Presentazione mostra “Confuse geometrie astratte di Roberto G.”

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CONVERSANDO CON ROBERTO G. Nicoletta Sturloni Non ho trovato parole migliori di quelle che mi ha detto Roberto G. durante una conversazione che abbiamo avuto riguardo a quello che avrei dovuto scrivere per farlo conoscere. Quasi tutto è letterale, anche se alcuni passaggi sono stati leggermente modificati per far scorrere la lettura. “Per favore, scriva Roberto. Roberto G., se proprio vuole, il punto va bene. E, soprattutto, non parli di arte, perché tutto è iniziato praticamente dal nulla. Anche all’asilo e alle elementari, quando tutti i bambini qualche disegnino sono obbligati a farlo, io non facevo neppure uno scarabocchio, non mi è mai interessato. Del resto io sono sempre stato un bambino ed un ragazzo superficiale, non mi sono mai fatto domande, nemmeno sui 12 anni, quando mi sembra che tutti dovrebbero incominciare a farsene. Io vivevo bene così, senza impegni, senza pensieri, senza tormenti e senza progetti, se non il fatto che una laurea me la dovevo prendere, per poi farne che cosa non avrei saputo. Ma era normale che studiassi, lo dovevo ai miei che si erano ammazzati di fatica per farmi crescere come un signorino, con un destino diverso da quello che era capitato a loro, che poi a forza di lavorare e di risparmiare sono diventati benestanti. Non mi mancava niente, neanche quello che non desideravo avere, come, per fare un esempio, uno scrittoio in legno che la mamma, di suo gusto, mi aveva imposto e sistemato nella “cameretta”. Sì, perché io ho avuto sempre la mia stanza, nella casa della mamma, fino a pochi anni fa, a più di quarant’anni. Insomma la strada era segnata ed io dovevo soltanto percorrerla, anche perché non ne vedevo altre e, in fondo, non mi dispiaceva. Anche se, proprio riguardo allo studio, per dire la verità, non ho mai capito bene come si facesse, ero semplicemente convinto che, se i miei amici studiavano, anch’io ci sarei riuscito. Adesso capisco che mi sbagliavo, perché, per esempio, quando sapevo di essere interrogato, andavo a scuola a piedi e mi leggevo in mezz’ora la lezione, così, naturalmente, quando ero lì davanti al professore non ricordavo più niente, eppure, secondo me, avevo studiato. Invece con gli amici andavo alla grande, sempre in giro a divertirmi. Non sapevo nemmeno cosa fosse il disegno e l’arte, o meglio, qualche volta mi era

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