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farlo per la gente: Lanciano ci ha dato tanto e avvertivamo il bisogno di restituire qualcosa. Questa del resto è una piccola città, bene o male ci si conosce tutti, e questo è stato un vantaggio». Un dovere? «Il calcio dà immagine, togliere alla città questa visibilità avrebbe comportato un danno alla comunità. Per questo ci siamo gettati nell’avventura». Esperienza transitoria o no? «Non si può dire, spero duri per tanti motivi. Se non accadesse potrebbe essere per noi il segno di un fallimento, e questo non ci piacerebbe. Come non ci piacerebbe dare dispiaceri alla gente». Però perché a lei la presidenza? «Mio fratello è amministratore delegato, mio padre è il patron della società. Forse più di tutti mio fratello ha intuito che in una società di calcio un volto femminile potesse dare qualcosa di più». Come una dose di cuore in più? «Tutte le scelte fatte hanno avuto questo segno. La scelta del mister, dei giocatori, del direttore sportivo. Non stando nell’ambiente, del resto, non avrei saputo come gestire una società di calcio. Stiamo imparando anche sulla nostra pelle cosa cambiare, come per il caso dell’allenatore: perché è stato doloroso esonerare un tecnico (Eusebio Di Francesco, ndr) con il quale c’è soprattutto un rapporto di stima e di amicizia». Il cuore, per lei porta dritti al campo di calcio. Il suo compagno, Manuel Turchi, veste la maglia rossonera della squadra di cui lei è presidente… Come si sta in questi doppi panni? «Benissimo. Il lavoro è lavoro, e quello che poi avviene tra le mura domestiche è tutta un’altra storia. Del resto noi stavamo già assieme da anni, abbiamo un bambino, la nostra è una storia collaudata che con il calcio non ha nulla a che fare». Ma che succede se gioca male? «Succede che mi arrabbio, da presidente. Con lui l’ho sempre fatto, gli leggevo le pagelle, forse lui adesso è solo un pochino più attento a non sbagliare… ma d’altra parte non sbaglia mai». Torniamo alle donne del calcio. La più vicina, in tutti i sensi, è la Caldora. «Con lei mi sono trovata da subito benissimo. Anche perché siamo due mamme, e ci sono tante cose in comune, le faccio i migliori auguri. Rispetto a me, però, lei aveva già alle spalle un curriculum importante». Progetti comuni? «Certo, del resto ne abbiamo già parlato, ci saranno occasioni. Nello sport due figure femminili possono contribuire a stemperare tensioni». Lei, come la Caldora, è una imprenditrice. «Nell’azienda di famiglia ci occupiamo di ambiente a 360 gradi. Io di risorse umane, curo i contatti con tutti i nostri dipendenti, ma devo dire che il paragone con il calcio è difficile, si tratta di

una esperienza del tutto differente. Sul lavoro ti affezioni di più a una persona, nascono anche rapporti umani intensi e amicizie. Nel calcio non funziona così, e non perché i diversi protagonisti non vogliano. I rapporti sono più volatili, spesso un calciatore ha altri obbiettivi, diventa dura sviluppare un’amicizia: se poi vanno via che fai? Occorre fare attenzione a trovare il giusto confine». Coi tifosi pure? «Ecco: loro mi hanno sempre mostrato affetto, però qualche piccola tensione c’è stata a ridosso della sostituzione del tecnico. Io ero dispiaciuta dei risultati, ma lo difendevo perché è pure un amico. Loro però mi chiedevano di accelerare il cambio». Perplessa della scelta fatta? «No, sono ottimista in generale, anche se magari qualche momento di scoramento ce l’ho pure io».

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