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2a parte
Nella puntata precedente abbiamo visto come ora più che mai abbiamo bisogno di una nuova cultura, la cultura dello Sviluppo Umano. E senza più nessuna esitazione.
Quindi non stiamo parlando di razionalità, logica e cognizione bensì di Intelligenza Emotiva, ossia dell’uso intelligente delle nostre emozioni.
Le emozioni sono informazioni. Fanno parte della natura umana. Ci aiutano a regolare la nostra mente ed il nostro corpo, a trovare la nostra strada di vita. Se è così, perché amputarcene?
L’obiettivo è pertanto di far lavorare per noi le nostre emozioni avvalendocene come supporto per meglio pilotare i nostri comportamenti verso gli obiettivi della nostra esistenza.
Il nostro cervello è cresciuto secondo spinte evolutive casuali con la caratteristica che sulle sue strutture primordiali si sono sovrapposte nuove aree, con scarsissima o nessuna coordinazione tra di loro.
Ne deriva che i nostri comportamenti vengono influenzati da emozionalità in modo del tutto originale e altamente soggettivo. Siamo tutti uguali? No! Siamo tutti diversi!
L’Intelligenza Emotiva ci offre dunque la possibilità di scegliere come esprimere i nostri atteggiamenti, attenuando ed educando le risposte emotive, migliorando i nostri rapporti e rendendo più consapevoli e responsabili i nostri comportamenti.
Nei nostri rapporti interpersonali l’inespressività emotiva spesso comunica un messaggio negativo, un senso di distacco, di indifferenza, di disinteresse.
Una recente ricerca su 2.000 manager USA ha dimostrato una forte correlazione tra indifferenza caratteriale e prestazione scadente. E c’è da chiedersi: quanto è
concretamente diffusa la consapevolezza di questa situazione?
Se le nostre aziende non riescono a far evolvere i comportamenti di una crescente popolazione di Collaboratori è perché esse adottano un modello di apprendimento che tuttora privilegia l’aspetto razionale ed ignora l’aspetto emozionale.
Nel mondo del lavoro si sta affermando la consapevolezza che la Human Satisfaction costituisca una indispensabile evoluzione a favore della Sostenibilità Sociale delle imprese. I benefici che ne derivano consistono in un aumento significativo della qualità del lavoro e del rapporto interpersonale, dello spirito di iniziativa, del senso di responsabilità, dello spirito di collaborazione e di condivisione, del clima aziendale. Nel complesso, ciò che chiamiamo benessere collettivo.
Dobbiamo pertanto riuscire finalmente a coniugare le aspirazioni della Persona con le esigenze di competitività dell’Azienda.
PRODUTTIVITÀ DELLE NOSTRE AZIENDE
Quando in Azienda si parla di produttività ci si riferisce subito a numeri, ottimizzazioni, parametri di efficienza.
Analizziamo sempre il QUANTO, ignorando il COME, dimenticando che la produttività, prima di essere un processo economico e tecnologico, è il risultato di una predisposizione mentale.
I nostri media da tempo evidenziano un importante calo nella produttività media oraria della nostra economia: dal 2000 al 2020 la produttività in Italia è aumentata del 2,7%; in Germania del 16,7%.
Ciò dipende da una flessione di:
• motivazione/soddisfazione: su 6 Paesi UE, l’Olanda (benchmark) ha il 18% di lavoratori insoddisfatti; l’Italia il 34%
• engagement: in Italia solo il 14% dei Collaboratori si sente engaged; il 68% si sente disengaged; il 18% very disengaged (trasmettendo il loro disimpegno a Colleghi e, a volte, anche ai Clienti).
In fatto di assenteismo ne deriva che solo il 41% dei Collaboratori italiani è sempre stato presente in azienda (vedi slide). E solo l’11% dei Collaboratori si sente pienamente soddisfatto rispetto alle 4 dimensioni del benessere lavorativo: relazionale, psicologico, fisico, economico (ricerca 2023 Osservatorio HR Innovation del Politecnico di Milano - 800 interviste).
Consideriamo, infine, che nei 27 Paesi della UE la perdita di produttività dovuta all’assenteismo è stata stimata in 136 miliardi (EU OSHA – Indagine 202016.622 interviste).
È quindi assodato che il rapporto interpersonale può favorire o indebolire le prestazioni, individuali e di gruppo. Il problema è che in molte Organizzazioni il rapporto impersonale è la norma.
Se il Manager si desintonizza dai suoi Collaboratori per evitare di prenderli in considerazione, ne consegue che il Manager:
• non riconosce e non premia i punti di forza, i risultati, i meriti
• non offre utili feed-back per lo sviluppo delle persone
• non pianifica la loro crescita
• non fa da mentore, non offre guida, non fa crescere, non protegge.
Il peso e il valore dell’Intelligenza Emotiva possono solo aumentare dal momento che l’Azienda competitiva diventa sempre più dipendente dal talento sensibile e dal comportamento consapevole dei suoi Collaboratori. Infatti le regole del lavoro sono cambiate: conoscenza ed esperienza non bastano più. Ora ci servono consapevolezza di sè, motivazione di sè, padronanza di sé, rapporto empatico, abilità sociali.
In tal caso lo spirito di appartenenza di ciascun Collaboratore alla propria
Organizzazione diventa molto solido se giocato sul fronte delle emozioni, e non più sul puro doverismo, sull’arida gerarchia, sul decreto aziendale, sul mero obbligo sindacal-contrattuale.
L’attuale 4a Rivoluzione Industriale è considerata dagli esperti non solo come un prepotente potenziamento della tecnologia, bensì come un vero e proprio ripensamento a 360° del modo di lavorare. E la certezza di tale prospettiva è che, per sostenere questa sfida, la Persona deve poter provvedere al proprio reskill, ovvero ridisegnare le proprie competenze vincenti. E, dato che il lavoro è un processo sociale, le competenze sociali ed emotive sono competenze professionali a pieno titolo!
UN FONDAMENTALE DISTINGUO
Osservando il Collaboratore percepiamo che:
• quello che sa fare lo vediamo dalla competenza: SKILL
• quello che pensa lo deduciamo dal comportamento: WILL.
NB. I nostri comportamenti sono pensieri e sentimenti messi a nudo.
Se la Persona non collabora, resiste al cambiamento o decide di giocare la partita solo in apparenza esiste un problema di fondo che l’Azienda pesantemente sottovaluta.
Infatti, i livelli di soddisfazione e di performance saranno tanto più elevati quanto più l’unicità e la motivazione del Collaboratore vi troveranno spazio.
Da questa situazione scaturisce per il Collaboratore la possibilità di attribuire un senso al proprio lavoro e di rispondere alle sfide ad esso connesse in quanto vissute quali proprie realizzazioni.
In tal caso la responsabilità che la sfida richiede alla Persona risulta condivisa e funzionale alle sue aspettative e, quindi, egli vi aderisce e vi si dedica in piena coerenza e senza riserve mentali.
Fabrizio Favini
