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alla coda della mia colonna ov'era suo figlio perché la strada faceva una grande curva e passava sotto il ponte. Io mi trovavo al dilà del ponte, tra questo e la strada ferrata. Fui fatto prigioniero poco dopo circondato dai partigiani ed avviato ad una caserma poco distante. Fatti un 50 metri vidi suo figlio ferito che veniva da un'altra parte, sorretto da un mio soldato anch'esso ferito. Ci abbracciammo e sorreggendolo ci incaminammo verso la casermetta. Era ferito all'emitorace sinistro, al naso ed al pollice destro, accusava dolore al petto ed impossibilità a camminare. Povero Vittorio. Cercai di fargli coraggio che certamente avrebbe trovato ogni conforto e le cure del caso nella casermetta. Ahimé! Non avevamo fatto pochi passi che un partigiano con modi bruschi gli toglieva l'orologio d'oro da polso. Lungo la strada mi raccontò come era stato ferito: vistosi circondato dai partigiani aveva invitato i soldati alla difesa ed egli stesso era passato al contrattacco con bombe a mano, finché non veniva colpito al petto da un colpo di parakellman (parabellum? N.d.I.). Giunti che fummo alla casermetta ci misero in una stanzetta ove erano molti altri ufficiali fatti prigionieri prima di noi; cercai di sistemarlo alla meglio per terra con un po' di paglia e feci presente ai russi le gravi condizioni del ferito, ma a stento e dopo infinite insistenze ottenni dell'acqua da bere (aveva sempre sete data l'abbondante emorragia) ed un pacchetto di medicazione col quale mi accinsi all'arduo compito di bendarlo. Impresa veramente disperata, aveva la maglia, il pullover la camicia inzuppata di sangue. Riuscii a bendarlo con mezzi di fortuna. Presentava ferita d'arma da fuoco all'emitorace sin. con foro d'entrata al 2° spazio intercostale e foro d'uscita alla regione scapolare dello stesso lato. Le condizioni generali, molto gravi, data la notevole perdita di sangue e le lunghe marce dei giorni scorsi. Dietro le mie insistenze mangiò un po' di pane e un po' di carne in conserva. Al pomeriggio venne per noi l'ordine di partire; feci presente che il ferito era grave, non in condizioni di muoversi e che doveva essere trasferito in ospedale. Il russo di guardia mi disse allora di lasciarlo sul posto, che sarebbe stato trasportato in ospedale. Ci abbracciammo ancora una volta e lo lasciai con il morale ancora buono. Fui condotto al campo provvisorio di Walniki. Al mattino del 29 quale non fu la mia meraviglia quando seppi ch'era giunto un gruppo di malati e di feriti e che tra questi v'era vostro figlio? La notizia mi arrecò un grave dolore perché speravo che fosse già in ospedale ed in buone mani; il mio dolore fu ancora maggiore nel vederlo: era diventato molto pallido, quasi terreo, il viso s'era affinato, gli occhi infossati e cerchiati di nero, le condizioni generali erano enormemente peggiorate. Ci guardammo negli occhi e ancora oggi dopo tanti anni non posso trattenere le lacrime quando rivedo il suo sguardo, sguardo d'uno che conosce prossima la sua fine e che sa di non poter essere aiutato in alcun modo. Situazione tremenda. Fu disposta un'infermeria, se tale si può chiamare un locale con della paglia, ove furono adagiati feriti ed ammalati in attesa dell'arrivo di medicinale e di materiale sanitario. Riuscii a sistemarlo un po' meglio degli altri, lo feci visitare anche da un chirurgo e lo affidai con ogni raccomandazione a