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1.1.5 Produzione legislativa e prassi di governo
1.1.5 Produzione legislativa e prassi di governo
Nonostante una scuola giuridica di primo livello la scarsa produzione legislativa del ducato estense risulta evidente a chi abbia sfogliato i volumi della Collezione Generali delle Leggi, Costituzioni, Editti e Proclami per gli Stati Estensi. Infatti il tante volte citato decreto del 28 agosto 1814 rimane la legge fondamentale che regola la struttura dello
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Stato per tutta la sua residua durata. A ben guardare i successivi interventi rappresentano soltanto una maniera di risolvere di volta in volta i problemi più urgenti senza tuttavia intaccare la struttura stabilita all’indomani del ritorno del duca nei suoi Stati. Nemmeno
le riforme attuate da Francesco V dopo gli sconvolgimenti politici del 1848 mutano nel profondo gli ordinamenti estensi. Anche dal punto di vista della direzione dei vari ministeri la continuità risulta
premiata nei confronti della maggiore efficienza o del ringiovanimento delle cariche dirigenti. Bisogna considerare però che se il duca sceglie i ministri tra la nobiltà di provata fede legittimista con cui esiste un rapporto di reciproca fiducia ed amicizia, questo finisce ovviamente per limitare la possibilità di variare la compagine ministeriale (non a caso assai limitata dal punto di vista numerico). Non solo, abbiamo visto, le alte cariche
ministeriali sono accompagnate a quelle di dignitari di corte (praticamente tutti i ministri sono anche ciambellani) ma le stesse cariche amministrative sono affidate alle famiglie nobili, restringendo così ulteriormente la base del potere anche decentrato. Quando degli elementi ‘nuovi’ entrano nella compagine amministrativa lo fanno in virtù della provata fedeltà alla causa legittimista come avviene per il famoso principe di Canosa o per Vincenzo d’Odiardi, capo della polizia di Reggio fino alla morte avvenuta nel 1843:
D'Odiardi Cavl Vincenzo Consultore Delegato Ministeriale Incaricato dell'Alta e bassa Polizia della Città e Provincia, Maggiore Comand. il Battaglione Cacciatori Militi Volontari della Montagna Reggiana è morto in Reggio vecchio e per consunzione il 22 marzo di quest'anno. Egli è nato in Corsica. Entrò nella celebre unione dei Realisti della sua Patria ma il Corpo rimase vinto dagli Francesi. Allora con altri Ei fuggissene per mare traendo seco una fuggitiva da lui stesso salvata e di cui innamorossi e la sposo ed è quella che è vivente in Reggio Vittoria Sapey. Ricovraronsi entrambi a Costantinopoli dove dal Gran Sultano ebber ricovero e sovvennimenti. Dopo alcuni anni passarono in Olanda, poi in Inghilterra prendendo Egli diversi Servigj nelle
armate e nella quale ultima Provincia ricevè onori ed impieghi di Polizia. Nel 1814 detronizzato Napoleone Odiardi passo a Venezia in impiego. Poco dopo essendo il Duca di Modena a Padova a Lui presentossi, E mostrandogli attestati onorifici e di fedeltà gli offese i proprii servigii. Francesco IV lo accettò e lo pose a capo della nostra polizia40 .
Il problema diviene però ancora più grave quando parte di questa nobiltà comincia a guardare se non con interesse almeno con indulgenza alle istanze di rinnovamento, non eversive ma riformiste, che almeno dall’ondata del 1831 cominciano a coinvolgere il
ducato.
Mentre possono essere passate sotto silenzio nel 1814 le antiche simpatie rivoluzionarie e napoleoniche di alcuni dei neo collaboratori del duca come il già ricordato conte Ippolito Malaguzzi, governatore di Reggio, (in fondo è passato molto tempo ed a essere stato detronizzato era stato l’ormai dimenticato Ercole III), lo stesso non può
essere fatto per coloro che si sono resi colpevoli di reati di lesa maestà nel 1831 e negli anni successivi. Le possibilità di scelta calano così ulteriormente. È stato giustamente notato come il duca scelga ministri “ai quali era unito da legami di fiducia personale e quasi di amicizia”41 ma tale rapporto probabilmente non giova alla coesione del governo nel suo complesso. In molti casi pare infatti di poter scorgere antipatie e scontri tra i non molti personaggi che si avvicendano nei ministeri
come infatti ricorda l’esule politico Luigi Chiesi scrivendo nel 1853 all’amico Prospero
Cugini:
Aggiungo cosa che non ho scritto al M.e Gherardo [Molza], dalla lettera del quale ho con certezza capito che esso e qualche altro personaggio hanno pel Ministro di Grazia e Giustizia decisa antipatia 42 .
Tuttavia tali considerazioni valgono a maggior ragione per tutti i ranghi dell’amministrazione ducale. Se i vertici continuano sempre ad essere monopolizzati dalla nobiltà, i livelli medio-alti dell’amministrazione ministeriale e governativa decentrata
40 BMP, Mss. Regg. C 128, P. Fantuzzi, Memorie delle cose più rimarcabili che accadute sono giornalmente nella nostra città di Reggio (1820-1836), manoscritto, p. 173. 41 G. Bertuzzi, cit., p. 9. 42 BMP, Mss D 117 37 E, Lettera di Luigi Chiesi a Prospero Cugini, 7 giugno 1853. Il ministro di Giustizia è Rinaldo Scozia.
finiscono per essere la naturale destinazione professionale di quel ceto delle professioni
(avvocati, professori, medici) che maggiormente soffre la mancanza di prospettive ed il limitato orizzonte dentro cui sono costretti a muoversi nel regime estense. Non sorprende quindi che poco alla volta gran parte di questi ceti finiscano per essere attratti dalle tentazioni costituzionali e si dimostrino anzi disponibili a passare senza colpo ferire da un regime all’altro anche in fasi cruciali come quella del 1848. Tra i tanti esempi possibili si
può citare quello del cancelliere del ministero di Buon Governo, Domenico Leonelli. Egli fa già parte degli organi della polizia estense prima della fase rivoluzionaria del 1848 e viene lasciato in carica dal governo provvisorio almeno fino al maggio di quell’anno. In agosto torna di nuovo in servizio, richiamato dal comitato provvisorio di governo (che come vedremo deve gestire la situazione in attesa del ritorno del duca). L’ex cancelliere va a colmare un vuoto di potere e di personale:
Essendo l’Uffizio di Buon Governo sprovveduto di Impiegati di quali abbisogna soprattutto nei momenti attuali, ha determinato di richiamare al suo posto il Cancelliere Domenico Leonelli cui si scriverà lettera di nomina43 .
Egli rappresenta evidentemente la memoria storica e la continuità nella macchina burocratica, a lui infatti si rivolgono dal comitato di governo per risolvere la questione del gesuita Vinelli44, in carcere dal maggio precedente. Visto che il fascicolo relativo è andato perduto è il Leonelli stesso a ricostruire le modalità e le motivazioni del suo arresto e ad appoggiare le istanze per la sua liberazione45 .
Tuttavia bisogna considerare che la mancanza di un sistema educativo superiore in grado di fornire un numero adeguato di elementi adatti a svolgere mansioni di responsabilità all’interno dell’amministrazione limita grandemente la scelta del personale e questo sia per i governi provvisori che per il governo ducale restaurato. La cosa è tanto più evidente se si considera che tra il mondo delle professioni, buona parte del clero, l’alta
43 ASRE, Archivio del Comune, APG, Titolo XV, Rubrica III, Filza 2, Verbale del Comitato Provvisorio di Governo, 4 agosto 1848. 44 Il padre Gaetano Vinelli era Procuratore del collegio della Compagnia di Gesù in Reggio, vedi Almanacco della Regia Corte e degli Stati Estensi, anno 1843, Modena, Tipografia Eredi Soliani, 1843, p.248. 45 ASRE, Archivio del Comune, APG, Titolo XV, Rubrica III, Filza 2, Foglio di informazioni sul gesuita Vinelli, diretto dal Cancelliere Leonelli al Comitato Provvisorio di Governo, 6 agosto 1848.
burocrazia e la nobiltà esiste spesso una storia comune di frequentazioni, di amicizie, di
studi e di letture.
Parrebbe paradossale ma i legami sono tanto stretti che può accadere che ex membri del governo provvisorio del 1848, in esilio perché esclusi dalle amnistie del duca, mantengano legami personali con persone di altissimo rango dell’amministrazione di Modena. È il caso del giurista Luigi Chiesi che nel 1853, non potendo rientrare in patria, si
trova a Firenze dove frequenta Pio Scozia, il giovane figlio del marchese Rinaldo, ministro estense di Grazia e Giustizia. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia:
Quanto al morale, egli [Pio Scozia] è dolente immensamente di non avere nell’età giovanile intrapresa una carriera o di medico, o di legale, o di ingegnere, e piange i perduti anni, e per occuparsi e per imparare qualche cosa del ramo amministrativo ha potuto ottenere di mettersi come apprendista (ben inteso senza paga) nella Segreteria dell’amministrazione della strada ferrata Leopolda da Firenze a Livorno. Egli attende a questo suo impiego con un amore e zelo da far meraviglia dalle nove del mattino fino alle quattro e mezzo del dopo pranzo, e nelle poche ore che avanzagli la sera vive una vita ritiratissima, non usa in alcuna casa, meno qualche visita alla Signora Giulietta, pranza solo in una modestissima trattoria e vive in tutto una vita costumatissima, e più da vecchio che da giovinetto. Ha grande amore alla famiglia, mi parla assai spesso di suo padre con trasporto d’affetto e con venerazione, e vorrebbe tutti i giorni avere una lettera di Clemente, che gli desse nuove di casa sua. Di questo quadro che vi ho detto non vi è parola che non sia vera e se andando a Modena avrete occasione di vedere S.E. suo padre, potrete dargli del figlio suo queste nuove che sono esattissime46 .
Ancora più emblematico è il fatto che nell’agosto 1854 lo stesso Chiesi venga chiamato a fare da padrino al battesimo del figlio dello Scozia in vece del padre ministro.
La moglie di Scozia ha dato felicemente alla luce una bambina, della quale sono stato io il compare nella cerimonia del battesimo in nome di S.E. il padre di Pio.
La caratura esatta della modalità di governo degli estensi, che accomuna Francesco IV e Francesco V, va però ricercata prima di tutto nella tendenza ad operare al di fuori, o
meglio, al di sopra sia delle leggi che della normale prassi istituzionale.
46 BMP, Manoscritti D 117 37 E, Lettera di Luigi Chiesi a Prospero Cugini, 21 giugno 1853.
Il duca interviene infatti pesantemente su tutte le questioni attraverso i rescritti o
i chirografi, ponendo una pesante ipoteca sulle decisioni non solo di direzione generale dei singoli ministeri ma anche sulle più pratiche definizioni dei provvedimenti di polizia. Si tratta di una prassi che ha prima di tutto a che vedere con la concezione stessa del potere che appartiene prima a Francesco IV e poi allo stesso Francesco V. Si tratta
di una monarchia in cui la dimensione patrimonial-familiare fa aggio su quella statale in senso proprio, e in cui dunque, la figura giuridica dello stato stenta a smarcarsi dalla struttura della dinastia sovrana e dalla propensione di questa a percepire il governo del territorio come ‘governo della casa’47 .
Alcuni studiosi48 hanno rilevato l’influenza del testo del giurista Josef von Sonnenfels, teorico dello Stato di polizia, sulla condotta di governo di Francesco IV. Il libro Grunsätze der Polizei, Handlung und Finanz pubblicato da Sonnenfels a Vienna nel 1765 ed in seguito tradotto in italiano, rappresenta la guida nella concezione del potere per
molti dei regnanti legittimisti dell’epoca. La tesi di fondo di queste dottrine è che il principe in origine abbia esercitato un potere di derivazione patrimoniale e privatistica piuttosto che politico-pubblica sul proprio territorio. Occorre quindi che il principe si faccia mediatore delle nuove istanze.
Gli ideologi del Polizeistaat […] consigliarono un programma di attività amministrative di natura economica, morale, religiosa, giuridica, pedagogica, commerciale, tra le quali il principe, in virtù del suo “ius politiae” sceglieva quelle che potevano favorire il benessere, la “felicità terrena”, la sicurezza delle singole famiglie in connessione con la sicurezza dello Stato. Ma in pratica, commenta il Bussi, il concetto di felicità terrena venne determinato esclusivamente dal signore che decideva i modi di raggiungerla49 .
Appare evidente, come lo sarà in tutti i campi dell’amministrazione che andremo
a trattare, che il sovrano più che porsi come fonte del diritto ed elemento ordinatore di un sistema legale ed amministrativo che funziona in armonia ed in autonomia, tende
47 M. Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 132. 48 In particolare E. Bussi, Evoluzione storica dei tipi di stato, (1970) ripubblicato Giuffrè, Milano, 2002 e, sulla sua scorta, Giuseppe Bedoni, cit. 49 Giuseppe Bedoni, cit., p. 42.
invece ad esercitare il suo potere in tutti gli ambiti dell’amministrazione, attraverso
interventi specifici che a volte scavalcano oppure contraddicono le prassi di governo. Questa modalità ha delle conseguenze facilmente individuabili: mentre una legge è pubblica e rappresenta un riferimento fisso che si applica a tutti i casi nella ste ssa maniera, un chirografo o un provvedimento di polizia è segreto e può variare a seconda delle circostanze o delle persone a cui si applica mantenendo un alto grado di
discrezionalità. Questa concentrazione di potere nelle mani del sovrano non è priva di risvolti negativi: in primo luogo viene meno la certezza del diritto e la tentazione di ricorrere contro le decisioni ducali è sempre frenata dalla consapevolezza di un’autorità superiore che fa affidamento sulle proprie considerazioni personali o su quelle degli ambienti a lui vicini piuttosto che su precisi principi legali:
Io con l’avidità di Tantalo aspettavo di giorno in giorno il mio salvacondotto, ma oramai sono passate tutte le feste e sono costretto a disperare. Si vede che il Duca, non ostante la promessa fattane a Luigi, non può vincere l’odio, ed anzi il ribrezzo che ha per me. Se non avessi urgenza assoluta per moltissimi affari non insisterei, e non capisco come un uomo che è tollerato ed accolto colle più simpatiche dimostrazioni di stima e di benevolenza dal Governo di Parma, che non è certamente un Governo rivoluzionario, non possa ottenere dal Duca di Modena un salvacondotto di pochi giorni dopo 7 e più anni di esilio senza processo e senza condanna.50
Inoltre si mortifica la presenza di personalità anche di notevole caratura dal punto di vista giuridico. È il caso dell’avvocato Cocchi, giurista ed ex direttore del convitto legale
di Reggio, chiamato poi a Modena come ministro di Grazia e Giustizia. In teoria egli dovrebbe trattare delle domande di grazia che gli esuli gli sottopongono ma la sua ritrosia prova come sia difficile ed in alcuni casi sconsigliato muovere dei passi a favore di qualcuno che non gode dei favori del duca. In sostanza il rapporto di fiducia con il sovrano viene prima del proprio dovere come funzionario pubblico e come giurista.
[Il Ministro] di Grazia deve dare al Principe quel consiglio che gli detta la sua convinzione. Il Duca starà o no al consiglio. Ma il Ministro che non dovrebbe essere, neppure nei governi assolutissimi, un cieco strumento di una volontà superiore, e che anzi sotto qualunque forma di Governo è sempre il naturale consigliere del Principe, ha il dovere di comunicare al Principe la supplica, e di consigliarlo secondo sua
50 BMP, Mss. Regg. D 117 37 H, lettera di Luigi Chiesi a Prospero Cugini, 2 gennaio 1856.
coscienza a secondare o a negare la dimanda. Capisco benissimo che uno che non è Ministro, per quanto possa godere la confidenza e la grazia del Principe, e sia collocato in altissima dignità, si possa rifiutare dal raccomandare una supplica e di spender parole in favor di una qualche persona e famiglia. Ma credo che un ministro entro la sfera delle cose che non passano la giurisdizione sua, non solo possa ma debba assolutamente, se non vuole mancare al dovere suo, consigliare il Principe ad accordare o negare la Grazia che gli si domanda51 .
Ancora più gravi da un punto di vista sostanziale risultano però gli interventi che sia Francesco IV che Francesco V operano direttamente sulle decisioni della magistratura facendo pressioni per aumentare o diminuire la pena a seconda delle circostanze. È emblematico il fatto che questa maniera di agire sia percepibile non soltanto da coloro
che hanno dimestichezza con le cose di legge ma pure da osservatori distaccati (e non prevenuti contro il duca). Per esempio nel gennaio 1844 una guardia ad una delle porte della città spara e uccide un ciabattino che non ha sentito il suo richiamo.
14 gennaio 44: Ieri sera un calzo[la]jo giovane passò da S. Marco, la guardia chiamò altolà, ed egli non disse niente perchè non sentì, nemmeno amici, come suol rispondersi e la detta guardia gli scaricò una schiopetata e lo colpì, notate, che la sera avanti sassarono certi giovinastri la guardia della Piazza grande. Ciel abbia avuta misericordia dell'anima di quel povero ciabattino52 .
Due mesi dopo la guardia viene graziata dal duca e la sua pena capitale commutata
a dieci anni di galera:
11 marzo 1844 : Quella guardia, che diè morte ad un giovane Calzolajo passando dinanzi a detta Guardia, perchè non fu pronto a rispondere, amici, il Duca l'ha graziato, e condonatogli invece della morte, dieci anni di galera; Notate che questo militare del Battaglione, dicesi che sia sempre stato un birbante53 .
Ovviamente, in modo ancor più scoperto, il duca si adopera per far prosciogliere
coloro che si dimostrano vicini alla sua linea di condotta politica, come quando
51 BMP, Mss. Regg., D 117 37 H, lettera di Luigi Chiesi a Prospero Cugini, 9 gennaio 1856. 52 BMP, Mss. Turri, B41_4, Diario di don Terenziano Benassi. 53 Ibidem.
nell’ottobre 1849 scrive al ministro di Grazia e Giustizia per porre sotto silenzio il processo
contro degli individui che a Vignola avevano aggredito la guardia civica.
Al Ministero di Grazia e Giustizia Che farà mettere in libertà e imporrà il silenzio al processo intentato contro undici individui del circondario di Vignola, per un fatto di carattere politico in odio alla disciolta Civica, avvenuto in Vignola stessa il 18 giugno scorso; e ciò ad eccezione dei due più gravemente indiziati di ferimento, ordinando però per quelli ancora il più sollecito disbrigo dell’affare, riferendoci la Sentenza. […]e ciò per essere cosa troppo nota a Noi che si fa di tutto per aggravare coloro che trascorrono menomamente verso lo scaltro e compatto partito rivoluzionario, e che in cuor loro sono affezionati al Nostro Governo54 .
Assai più frequenti tuttavia sono i casi in cui il duca contesta alla propria magistratura la tendenza ad essere troppo tenera e permissiva nei confronti dei rei. È prassi che al duca si trasmettano i prospetti delle sentenze emesse dai tribunali. Nel luglio
1851 egli esamina le sentenze a Modena e Reggio nell’anno 1849 aventi come oggetto dei casi di omicidio. Esaminando il processo di un certo Francesco Salardi condannato in appello per “omicidio commesso in ira per ingiurie” il duca commenta “essendovi piena prova per confessione meritava la morte”55. Per certi Landini e Campanini condannati a 20 anni di galera ai termini delle leggi parmensi vigenti in Poviglio (che di recente è passata sotto la legislazione estense) egli annota “È strana l’espressione: più che SUFFICIENTEMENTE INDIZIATO, che Noi riteniamo sinonimo al PROVATO, ed allora vi voleva la morte”56. Altrove
egli accusa direttamente i giudici: la condanna a 7 anni di galera di un uomo che ha ucciso un tale sorpreso ad amoreggiare con la propria amante lo spinge ad annotare “Vediamo essere 7 anni la pena arbitraria fissata dai deboli nostri magistrati per l’omicidio!”57 . Ancora più dura è le lettera del 1° agosto 1856 al ministro di Grazia e Giustizia
Cocchi in cui il duca si spinge a considerazioni feroci sul Tribunale d’Appello:
54 Documenti risguardanti il Governo degli Austro-Estensi in Modena dal 1814 al 1859, Tomo I, Modena, Zanichelli Librai ed Editori, 1860, p. 92. 55 Documenti risguardanti il Governo degli Austro-Estensi in Modena dal 1814 al 1859, Tomo II, Modena, Zanichelli Librai ed Editori, 1860, p.195. 56 Ibidem. 57 Ivi, p. 196.
Scorsa la sentenza da Lei mandatami ed il dissenso del Presidente Tassoni, eccole le mie impressioni e risoluzioni in proposito: 1° Che il Tribunale d’Appello fece da avvocato dei rei e non da Giudice; 2° Che non stava a lui ad interpretare le mie intenzioni non espresse da nulla; 3° Che non sono né gli autori umanitari né le decisioni speciali prese in antecedenza che debbano valere, ma la legge tal qual è;[…] Da tutto ciò concludo come vedrà dall’altro Nostro Decreto definitivo: 1° Che il Tribunale d’Appello ha interpretato senza averne facoltà una Nostra intenzione rendendo retroattiva la legge; 2° Che quindi ordino al Tribunale di Revisione di rivedere le Sentenze Garuti e Contarini e dar sentenza58 .
La sentenza riguarda un omicidio commesso durante una rapina e viene giudicato
dopo l’entrata in vigore del nuovo codice penale. Si può facilmente notare come il duca non ammetta l’acquisizione di precedenti sue “decisioni speciali” come facenti parte della giurisprudenza atte ad alleviare la sorte dei rei. In più il nuovo codice penale del 1856, che rende più miti le pene in alcune fattispecie di reati, non può e non deve applicarsi in maniera retroattiva. Ciò confligge con gran parte delle generali norme giurisprudenziali
ove una nuova legge entrata in vigore tra il delitto commesso e il suo giudizio può essere applicata nel caso in cui contenga norme favorevoli all’imputato. Questa frizione tra il mondo della magistratura ed il sovrano nasce da una contraddizione insita nel governo estense. Il duca delega per ovvie ragioni gran parte delle decisioni ad una classe di giuristi che fa riferimento ad una scuola solida ed affermata in cui la legge è principio centrale e unico. Egli mantiene la possibilità di scavalcare questa
opposizione giuridica attraverso interventi che esulano dal campo proprio della giurisprudenza, cioè con rescritti o altri atti di vero e proprio imperio. Come abbiamo visto l’entrata in vigore di nuovi codici non mitiga il problema anzi finisce con l’esasperarlo. Francesco V cerca una nuova definizione dei reati ed anche una maggiore efficienza del sistema giuridico e per fare questo deve affidarsi ad una
magistratura di cui non si fida ma con cui è obbligato a confrontarsi, non trovando un’appropriata possibilità di selezione del personale proprio a causa del limitato numero
58 Ivi, pp. 9-10.
di studenti che gli estensi stessi, come vedremo, hanno abilitato al perseguimento degli
studi superiori. Durante la stesura di questi codici il duca pone osservazioni e correzioni59 ma probabilmente queste non sono ritenute sufficienti a fornire quello strumento di precisa repressione che avrebbe trasformato la magistratura finalmente in un corpo asservito al volere sovrano. Anche durante gli anni Cinquanta, quando il duca sta facendo mettere
mano alle leggi, permane l’impressione che la magistratura sia abbastanza indipendente o che almeno rimangano persone dotate di un’autorevolezza che esula dal favore sovrano. Questo si può cogliere facilmente da alcune osservazioni contenute in una lettera del futuro senatore Chiesi, che commenta la nomina a consigliere del tribunale supremo di revisione del magistrato reggiano Torreggiani, già presidente della corte d’appello:
Levi mi ha finalmente detto che Torreggiani va a Modena Consigliere, e sebbene mi dispiaccia che la città nostra lo perda, non posso non lodare la scelta fatta dal Governo. Tutto ciò che riguardo il mondo legale mi interessa grandemente, e godo immensamente nell’animo quando essere commessa ad uomini degnissimi la carica di Magistrato. La Magistratura è il Palladio dei cittadini, e quando i Magistrati sono bricconi o asini, la società si trova in uno stato che per poco differisce dall’anarchia. Se mai avete occasione di vedere il Consigliere Torreggiani, riveritelo da parte mia, e fategli le mie sincere congratulazioni60 .
Questa continua frizione col mondo della magistratura può essere anche letta come una conseguenza necessaria della concezione di potere del duca. Come abbiamo notato egli non ammette la presenza di ordini intermedi che mettano in ombra o che possano in qualche maniera rappresentare qualcosa di diverso rispetto alla materiale esecuzione della sua volontà. Nella mentalità sia di Francesco IV che di Francesco V al
sovrano spetta non soltanto il compito di fonte del diritto e di principio ordinatore della
59 Documenti risguardanti il Governo degli Austro-Estensi in Modena dal 1814 al 1859, Tomo I, Zanichelli Librai ed Editori, Modena 1860, p. 248 e seguenti. Si vedano in particolare le note ducali sull’opportunità di rendere pubblici i processi. 60 BMP, Mss. Regg., D 117 37 E, lettera di Luigi Chiesi a Prospero Cugini, 16 luglio 1853.
struttura giuridica ed amministrativa, ma quello di unico interprete della volontà e delle
necessità dei sudditi che a lui devono rivolgersi, in forma di supplica, per qualsiasi
esigenza. La comune impostazione è tanto evidente che uno dei primi atti di Francesco V, appena arrivato al potere in seguito alla morte del padre, è quello di richiamare le disposizioni date dal suo predecessore in materia di suppliche61 .
Il richiamato decreto, risalente al settembre 1816, stabilisce delle regole che varranno per tutto il tempo successivo. Per prima cosa si chiarisce che ci si deve rivolgere al sovrano per “tutti i ricorsi, tutte le Suppliche, e qualunque altra rimostranza in cui venga implorata la Protezione e l’autorità Sovrana, sia per impetrare qualche grazia, o deroga, sia per ottenere qualche necessaria Suprema provvidenza”62. Le suppliche devono essere presentate alla segreteria di gabinetto oppure al governatore della propria provincia che
provvederà poi a rimetterle alla segreteria stessa. Tuttavia per le materie di diretta competenza di un ministero le petizioni devono essere dirette ai ministri che poi nel caso le rimetteranno al duca: il petente potrà in questi casi rivolgersi al principe solo in caso di reclamo contro la decisione del competente dicastero. Tutte le suppliche devono essere compilate seguendo regole precise, facendo adeguato riferimento ad eventuali
precedenti richieste presentate e menzionandone l’esito, e vanno preventivamente registrate presso la segreteria di gabinetto. I dicasteri, i governatori o comunque i funzionari che devono curare l’attuazione dei rescritti sovrani hanno il compito di verificare che la domanda presentata ed accolta si basi su elementi veritieri, in caso contrario il provvedimento viene annullato. In senso generale lo spirito del provvedimento tende a delegare ai ministeri ed ai
tribunali la maggior parte delle richieste. Tuttavia “Chiunque si trovasse gravato per ritardato corso degli affari in pregiudizio della Giustizia e del buon servigio, potrà sempre ricorrere direttamente a S.A.R.”63. In questo modo molte delle richieste finiscono
61 Collezione generale delle Leggi, Costituzioni, Editti, Proclami ec per gli Stati Estensi, Tomo XXV, Modena, Tipografia Eredi Soliani, 1846, n.2, p. 5, Notificazione 29 gennaio 1846. 62 Collezione generale delle Leggi, Costituzioni, Editti, Proclami ec per gli Stati Estensi, Tomo IV, Modena, Tipografia Eredi Soliani, 1816, n.20, p. 86 e seguenti. 63 Ivi, p. 91.
direttamente al duca interviene personalmente su molte delle questioni, specialmente
per quanto riguarda la carità pubblica. Infatti, mancando un ministero esattamente delegato a questo scopo, le moltissime richieste in questo senso vengono trattate personalmente dal sovrano che d’altra parte ha l’ultima parola sul bilancio dello Stato e dei suoi singoli dipartimenti. Le prescrizioni appena citate non sembrano quindi frenare la valanga di richieste
che arrivano al sovrano, compilate spesso dagli stessi impiegati pubblici. Il ministro dell’Interno scrive un’apposita lettera sull’argomento al delegato del Ministero a Reggio, comunicandogli la determinazione sovrana sull’argomento:
Costandoci che in varj uffizi, ma soprattutto in alcune parti del Nostro stato esiste da lungo tempo l’abuso che gl’Impiegati scrivono memoriali o suppliche pei particolari con iscapito dei lavori d’Uffizio o per un sordido guadagno, persuadendo i supplicanti a chiedere cose che ostano a massime od a Leggi, o sono troppo vaghe o generiche, siamo venuti nella determinazione di ordinare che i Ministri e Capi d’Uffizio veglino che questo abuso cessi, sotto comminatoria agli Impiegati disubbidienti di sospensione dal loro impiego64 .
È interessante notare con quale mezzo la carità pubblica di provenienza ducale
venga poi distribuita materialmente. In questo senso è illuminante la lettera con cui la corte di Modena, nella persona dell’elemosiniere65 don Giacomo Bernardi, fornisce al vicario vescovile Jacopo Casoli, le disposizioni su come procedere alla divisione del denaro stanziato per i supplicanti.
Riceverà dalla Finanza It. £ 89 quali è pregata fare distribuire come segue. 1° A Iori Daria di S Pellegrino né Borghi it £ 5. 2° A Torelli Teresa di S.Giacomo e Filippo in Zuelli demente £5 3° A Gio.Batt.a Zilocchi vecchio, una volta impiegato di Reggio It £ 69 per rescritto Sovrano del Luglio scorso, ora pervenutomi66 .
64 Archivio della Curia Vescovile di Reggio Emilia (d’ora in avanti ACVRE), Governo di Reggio, busta 43, Circolare del ministro dell’Interno al Delegato del Ministero dell’Interno a Reggio, 4 aprile 1851. 65 Almanacco della Regia Corte e degli Stati Estensi, anno 1854, Modena, Tipografia Eredi Soliani, 1854. 66 ACVRE, Carte vicario Casoli e corrispondenza governi, Lettera del canonico Giacomo Bernardi a Jacopo Casoli, 27 ottobre 1851. Nella stessa posizione archivistica sono presenti altre tre lettere, datate a partire dal 1849, sulla distribuzione di elemosine ducali.
Alla Chiesa locale, nella figura del potentissimo vicario vescovile (di cui si parlerà in
seguito), è quindi delegata la funzione di attuatore della carità pubblica di provenienza ducale unitamente a quella di controllo della legittimità delle richieste inoltrate. Infatti
Supplicano poi Monica Landini V[edov]a Faccini con due figlie, della Parrocchia di S. Gia Evangelista per pensione o sussidio stabile. Per queste occorre sapere se sieno veramente meritevoli di soccorso sia per reale povertà, sia per buona condotta67 .
Presentano domanda direttamente al sovrano, e non al vescovo, anche i parroci per questioni inerenti al decoro delle loro Chiese.
Il Parroco di Villa Roncocesi, il quale chiede provvedimento perché la sua Chiesa manca di mezzi, onde provedere i necessari Sac arredi. Se ciò è vero, potrei spedirgli uno o due Pianete complete; su di che attenderò il riscontro di Vs Illma e Revma68 .
Il tratto un po’ sbrigativo delle risposte del duca alle tantissime richieste che gli giungono è evidente nella successiva nota riportata direttamente dal Bernardi:
Una Suora di Carità espone che Scolari Rosa, orfana, quasi scema, deve uscire dallo Spedale di Reggio, perché guarita; ma con evidente pericolo di tornare a servire alle brutte passioni degli iniqui come in addietro: però chiede provvedimento. S.A.R. il 18 ottobre 1851 n. 7478 rescrisse “Se è scema si faccia mantenere dall’Opera Pia al Ricovero”. Perciò prego VS Rma, unitamente alle Suore di Carità, a procurare sia eseguito tale Sovrano rescritto69 .
Come si è visto un tratto caratteristico dell’attività benefica ducale è il soccorso
collegato al controllo politico e morale sui sudditi. Proprio questo tratto paternalistico nel trattare molte delle suppliche che gli vengono rivolte riflette l’esigenza di collegare ogni sua decisione al perseguimento di una visione (per altro assai ristretta) della società. Per questa ragione spesso si sacrifica la logicità della richiesta all’intento educativo del principe nei confronti degli altri sudditi. È il caso del rifiuto opposto da Francesco V alla richiesta di Jacopo Ferrari, coinvolto nei moti del 1821, del 1831 ed anche del 1848
67 Ibidem. 68 Ibidem. 69 Ibidem.
che, ormai vecchio e infermo, chiede attraverso il nipote Costante di poter rientrare in
patria:
Considerando essere il Ferrari Jacopo70 incorreggibile rivoluzionario del 1821, 1831 e 1848, benché lo sappiamo ormai impotente per età a nuocere, per l’esempio altrui lo vogliamo escluso dalla grazia di ripatriare71 .
In altri casi appare ancora più evidente l’intento di esprimere anche in maniera abbastanza cruda il proprio orizzonte di governo attraverso le risposte ai richiedenti. Alla domanda di un contadino che chiede un sussidio per far proseguire gli studi al figlio, il duca replica:
Non si fa luogo alla domanda, essendo noi contrari affatto che la classe, troppo numerosa e nociva, dei Dottori, s’aumenti maggiormente con giovani dell’altra più utile dei contadini72 .
In molti casi il duca cercherà di mantenere saldi i propri legami proprio con la “classe” dei contadini, nei quali vede il prototipo del cittadino umile e fedele. A loro egli si rivolge in modo privilegiato, con paternalistico affetto, sentendoli come garanti della stabilità soprattutto quando le circostanze politiche hanno appena mostrato quanto
infide e difficili da gestire possano risultare le classi colte e quelle urbane. Lo dimostra la sollecitudine con cui per esempio si ricostituisce la milizia di campagna (sotto la rinnovata definizione di milizia di riserva) nell’aprile 1849, proprio mentre poco alla volta si sta smantellando la guardia civica. La premessa che accenna allo spirito di questa classe è
indicativa:
Volendo Noi stabilire sopra basi più solide e più convenienti a Milizia di Campagna la Guardia Nazionale Forese, e confidando nell’ottimo spirito che anima questa classe dei nostri Sudditi, decretiamo quanto segue […].73
70 Nato il 21 agosto 1781 a Quattro Castella (RE) e morto il 17 aprile 1863 a Reggio Emilia. Fece studi giuridici, coinvolto nei moti del 1831 dovette riparare in Francia dove si dedicò agli studi letterari. Rientrò brevemente nel 1848 per poi dover nuovamente espatriare, questa volta a Firenze, da cui fece poi ritorno definitivo in patria nel 1859. Si veda E. Manzini, cit., pp. 475-479. 71 Documenti risguardanti il Governo degli Austro-Estensi in Modena dal 1814 al 1859, Tomo II, Modena, Zanichelli Librai ed Editori, 1860, p. 42, rescritto ducale del 25 giugno 1857. 72 Ivi, p. 82, rescritto ducale del 13 maggio 1858. 73 Collezione generale delle Leggi, Costituzioni, Editti e Proclami per gli Stati Estensi, Tomo XXVIII, Modena, Tipografia Eredi Soliani, 1849, n. 11, p. 33. Decreto 10 aprile 1849.