SAN ROSSORE 1938 CONTRO GLI EBREI

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Ebrei: parole e cose, antico e nuovo Adriano Prosperi

Premessa

V

orrei collocare queste mie considerazioni all’ombra di un celebre passo della sesta tesi di filosofia della storia di Walter Benjmin: «articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “come propriamente è stato. Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo [...] anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere». Questo ottantesimo anniversario delle “leggi razziali” è diverso dagli altri, perché lo stiamo vivendo come qualcosa che fino ad oggi non è mai stata davvero presente nella coscienza storica e civile: incombe su di noi un senso di colpa collettiva non solo per il modo in cui quelle leggi furono accolte senza resistenza dal nostro Paese ma anche per il ripresentarsi oggi di una congiuntura sociale e politica in cui riprendono vigore nell’opinione pubblica immagini e forme di ostilità nei confronti dell’“altro” – il migrante, il nero, il “semita” – e si smarrisce il senso del dettato dell’articolo 10 della Costituzione repubblicana. È un caso in cui la conoscenza storica è chiamata a disperdere le pesanti ombre delle responsabilità collettive di un popolo oscurate nei decenni scorsi da un’autoassoluzione collettiva e ignorate dalle generazioni più giovani. Solo così la storia può svolgere un ruolo importante nella formazione di una coscienza civile.

1. La mia relazione, posta all’inizio del convegno perché tocca premesse remote del razzismo fascista, si potrebbe quasi definire un “Prolog im Himmel”: o meglio un prologo nell’Inferno se esiste un inferno


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