Recensioni Graziano Udovisi: “Foibe. L’ultimo testimone”, Aliberti editore, Roma, 2010, pp. 139, euro 12,00 “La bestia, tutto sommato, nutre verso l’uomo un certo rispetto, ma l’uomo nei confronti dei suoi simili non ne ha affatto”. A scrivere queste parole è Grazia-
no Udovisi, nato a Pola nel 1925, autore di questo saggio su un argomento che ancora oggi non ha trovato la sua pace: le foibe. È lui l’ultimo testimone che descrive lo scempio compiuto dall’esercito partigiano iugoslavo di Iosip Broz, detto Tito. Infoibato il 14 maggio 1945, Graziano Udovisi (comandante, dal settembre 1944 fino al 1945, del Presidio di Portole d’Istria e di Rovigno e Tenente della Milizia Difesa Territoriale) riesce a sopravvivere. “Sono stati circa ventimila gli omicidi e gli assassini di istriani italiani, benché i nostri magistrati si ostinino a definirli omicidi plurimi e non genoci-
dio”. A descrivere cosa patirono questi italiani è rimasto un testimone, l’ultimo, appunto: Graziano Udovisi. Consegnatosi al comando partigiano il 5 maggio 1945, subisce, fino al giorno dell’infoibamento, insieme ad altri compagni di sventura, le peggiori sevizie, quali mangiare sassi ed erbacce spinose, ricever colpi di fucile vicino alle orecchie, venire lapidato. Fino ad arrivare alla meta: la foiba”. Siamo giunti al dunque. La foiba è là, sotto di me, la luna ne rischiara una parte esposta alla sua luce. Un’altra, invece, è completamente oscura, non si riesce neppure a scorgerne il fondo. Siamo arrivati! L’alt intimato dalla guardia mi dice che in quel posto verrà messa fine alla nostra vita. ”Legati uno all’altro, i prigionieri cadono trascinati da colui che, colpito dai partigiani slavi che sparano alla cieca, cade per primo. All’ultimo del gruppo viene legato un masso, forse per assicurarsi che nessuno possa riemergere”. Dopo ogni infoibamento i partigiani slavi avevano la singolare abitudine di gettare nel crepaccio un cane nero, ancora vivo, un gesto scaramantico dettato dall’antica credenza che l’animale avrebbe fatto la guardia alle anime di tutti gli infoibati in modo tale che esse non disturbassero i loro sonni”. Ma Udovisi non rimane tra quelle anime. Egli, infatti, riesce a liberare le braccia legate, forse perché una pallottola vagante ha spezzato il fil di ferro che unisce tutti in quel groviglio. Tutta questa crudeltà per quale motivo, per quale colpa? La
Rassegna dell’Esercito on-line 4/2015
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colpa di questa gente è di essere italiana, ”di avere tenuta alta la bandiera nazionale, il tricolore”. I nomi delle città dislocate nell’Istria, il cui nome deriva da “Istro” che significa Basso Danubio, erano quasi tutti italiani. “Per volere di Tito sono stati quasi tutti cambiati. È da considerare che mai e poi mai l’Istria è stata terra slava.”. Graziano Udovisi, processato a Trieste dagli italiani, all’accusa di collaborazionismo con il tedesco invasore, risponde dichiarando di aver difeso il suolo italiano dall’Esercito slavo. Viene condannato a due anni, contro i tre richiesti dal pubblico ministero ed imprigionato a Padova, Venezia, Udine, Gorizia, Trieste e Civitavecchia. Qui viene liberato. Ma le umiliazioni non sono finite. In Italia prevale la tesi che gli istriani siano i veri nemici, i traditori. Tesi, quest’ultima, perorata dai partigiani slavi, gli infoibatori, che percepiscono una pensione italiana grazie ad un’iniziativa avanzata da un onorevole. Pertanto a Venezia, Ancona, Bologna, i profughi istriani vengono respinti. Ad Ancona sono accolti con sputi ed escrementi, a Bologna vengono rovesciati i bidoni di latte e minestra da distribuire ai profughi. Ma nonostante le sofferenze e le umiliazioni subite, l’autore di questo agghiacciante racconto ha il coraggio di rivolgere “un ringraziamento a tutti, anche a coloro che ci hanno fatto del male, ma che non giustifico e non perdono. Non condivido il buonismo imperante di oggi”. Gianlorenzo Capano
R e c e n s i o n i