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POLITICA INTERNA

Orlando Deve Venire A Milano

E d ora che la visita di Orlando a Milano ha subito ancora un rinvio, ci permettiamo di r iprendere l' a rgomento che ba fatto sco rre re ta nto inchiostro q ui e a Roma.

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Anzitutto precisiam o il carattere d ell'invito, che è s tato, nel p rimo e od secondo t empo , interventista. La prima volta sonò andati a Roma due interventisti del Comitato d'Azione fra mutilati e invalidi di guerra, uno dei quali, il Gilardi, decorato con t re m edaglie d 'argento al valore e proposto per una medaglia d 'oro. La seconda volta - dopo una serie di riunioni alle quali non abbiamo assistitosono partiti per la Capitale a ripetere l' invito altri personaggi autore voli dell'interventismo milanese. Ora, se in tutto questo v olere, disvolere, rivolere, c't qualcuno che non ci fa del tutto una brillantissima 6gura, non è già l'on. Orlando, il quale non si è auto -inviuto, ma - sia detto con t utto jl si ncero rispetto che abbiamo per alcune istituzioni e alcuni uomini -l' interventismo milanese Tutto questo retrosce na ha (<pregiudicato» in un certo senso Ja visita stessa, ma p oi sono sopraggiunti nuovi avvenimenti, dinanzi ai quali le facccndllo]e interne dell'interventismo milanese passano in seconda o ultima linea, mentre si rende necessario che il Governo parli e parli precisamente a MiJano. L'a tteggiamento di certuni di fronte all'eventualità d i una visita O rlando , è stato ed è abbasta nza strano, per n on dire grottesco. È sembrato ad un dato momento - per la frequenza d i certi terribili e minatòri punti interrogativi - che la venuta dell'~n. Orlando a ·Mil:m o costitufase una specie di profanazio ne, d i contaminazione della città, o ppure una specie di lavacro di tutte le co lpe dell'on. O rlando, con il conseguente rito di pud6cuione e di riconsacrazione. Di qui il proposito - espresso colla sequenza dei punti interrogativi - d'impedire la v enuta dell'on. Orlando a Milano.

Se c'è qualcuno che n on p uò essere sospettato di soverchie tenerezze per l'on Orlando, quel qualcuno è da ricercarsi fra noi. Anche d opo il mutato atteggiamento dell'on. Orlando - mutamento che noi ab- biamo rilevato, perché sonq soltanto i pazzi o g li imbecilli che non si inchinano alla evidenza dei fatti - noi siamo di fronte all'attuale Presidente del Consiglio in istato di a.rpettativa diffùknte. Ma da questo al non volere che il Capo dd Governo d'Italia visiti Milano, c'è un bel salto. Se ci sono delle ragioni per « impedire» la venuta delJ'on. Orlando a Milano ; se ci sono dei motivi cosi forti da rendere intollerabile la presenza - anche per un giorno solo - dell'on. Orlando a Milano; se insomma si ritiene che l'on. Orlando - oltre alla parte grande di responsabilità che gli spetta e che noi gli abbiamo addossato anche prima di Caporetto - ha tutta intera la responsabilità della disfatta - anche in ciò che fu il risultat o di deficcnze t ecnic he e puramente militari (e vedi all'uopo la impressionante documentazio ne dell'on. Gasparotto) - allora, illustri signori, è troppo poco impedirgli di visitare - con dei ringhiamenti, che sarebbero simpatici, se non ci fossero dei retroscena - Milano. BiJ()gna itnpedirgli di gQvernare l'Italia, bisogna impedirgli di rovinare per sempre l'Italia. Bisogna rovesciarlo. E p oiché a.Itri ministri, come l'on. Sonnino e l'on. Bissolati, h anno esternato da ben due anni a questa parte più volte e solennemente la loro solidarietà all'on. Orlando, è tutto il Ministero che deve andare all'aria.... E siccome la Camera italiana è quella che è - coi suoi Taverna, Grosso-Campana e simili - l'avvento quasi inevitabile di un Governo disfattista con in testa il « noto » personaggio, dovrebbe essere impedito [.... censura ] non soltanto con articoli o «vibrati)) ordini del giorno [Cenmra]. Bisogna, dunque, prima di fare dell'opposizione, sceg liere il terreno, e non varcare - salvo il caso in cui fossimo costret ti ad optare tra una rovina certa e una rovina incerta - j limiti segnati daUa ragione e dal buon senso. ln Italia, malgrado tutto, non siamo ancora a questi estremi.

La v isita dell'on. Orlando è stata persino presentata come una specie di de<lizione, di resa della città. Ora, Milano, -e intendiamo con queste parole di sintetizzare gli elementi direttivi deUa vita cittadina - non abdica. L'on, Orlando non com{'ra Milano, perché Milano non si vende. Non ci risulta. che fra i numeri della cerimonia ci sia anche l'atto di o maggio, alla guisa medioevale, quando i ·consoli del Comune reca vano su di un vassoio d'argento le grosse chiavi delle porte al nuovo signore che veniva da lontano, •., È tempo di spogliare le visite dei ministri di tutto quell'apparato etichettistico e spagnolesco, residuo ingrato dei secoli della nostra servitù. I popoli liberi ricevono i ministri non in ginocchio, ma in piedi, a fron te alta, colla cortesia - non smancerosa - degli uomini forti e coscienti, poic~é sono i « ministri )> che ripetono la. loro sovranità dal popolo che combatte e che lavora, non già questi da quelli. Cosi avvccrà per la visita dell'on. Orlando a Milano. Noi non gli abdicheremo quel diritto di critica e di opposizione che abbiamo esercitato ieri, esercitiamo oggi cd cScrcitcremo, secondo le circostanze, più o meno accanitamènte anche domani.

Ma una parola del Governo nOn può tardare. E noi preferiamo che sia detta a Milano, piuttosto che a Mo ntecitorio. Al popolo di Milano, e quindi al popolo di tutta Italia e non soltanto ai colendissimi «seimila» che si riunisco no di quando in quando nel Camerone, senza che il Paese lo desideri. La coscienza nazionale soffre da due o tre settimane di un oscuro disag io. Si ha l'impressione e non è solt a nto nostra, che l'Italia sia un po' in ritardo, col pericolo di « p erdere la co rsa )} ; si ha l'impressione che certi circoli dirigenti la n os tra politica nazionale siano rimasti indietro, parlino un linguaggio quasi arcaico, pratichino sistemi che in qu esto formidabile rivolgimento dei mondi appaiono s11rannù; s i ha l'impressione che bisogna · alzare di quando in quando le portiere felpate dei gabinetti diplomatici, per prendere più diretto contatto colle correnti vive che si agitano nel profondo, poiché a Roma non si sta « senza 11n'idea 11niver1ale » ; per tutto ciò e pe r altro ancora ch'è inutile dire, ma che tutti intuiscono , è necessario che il cittadino investito della più alta carica e autorità dello Stato parli ai cittadini. Ma non per fare il solito discorso. Colle solite frasi. Colla solita retorica. Non vogliamo una « oraz.ionc ». Oramai q uesta roba fa venire il latte cagliato a quei marronr glarh che stan no ·sotto .1ll'ombellico. Vogliamo un discorso sincero, veridico, s chietto sino alla brutalità. Incitamènti a resistere sono superflui. Milano sa che deve resistere, che non vi è altro da fare che resistere. Non dunque un discorso di « propaganda >) che potrebbe essere pronunciato indifferentemente a Milano o, senza offesa, a Pescoboscosolido. Un discorso che si stacclù dal genere di tutti g li altri. Perché diverso è l'ambiente e diversa è l'ora.

MUSSOLINI

Da J/ Pop olo d'IJali«, N. 23, 23 gennaio 1918, V. Pubblicato anche sull'e-cfj 1:ionc di Roma, N. 25, 25 gennaio 1918, V.

Al principio della guerra, ma soprattutto dopo il nostro intervento, fu più volte creduto imminente il finis A1utria~. La vecchia monarchia, presa fra due fu~hi l'itiliano e il russo, avrebbe dovuto decomporsi e sparire. Qu.a.ndo il famoso rouleau moscovita si spingeva sino alle gole dei Carpazi, oppure quando gli italiani compivano un 2.ltro sbalzo verso Trieste o verso Lubiana, il ritornello della catastro fica pro-fezia tornava in circolazione e se ne attendeva in breve volgere di tempo il compimento. È certo che molti in Europa, e specialmente in Italia, ignari delle trasformazioni o peratesi nell'Impero d egli Absburgo, ritenevano questo incapace di reggere a una lunga prova, ma chi aveva qualche conoscenza della reale situazione i n Austria-Ungheria, sapeva che lo Stato si appoggiava ben saldamente sul tripode dell'esercito, della burocrazia e del suffragio universale, certo, però, che una grande disfatta militare, spezzando l'anello più forte della catena, cioè l'esercito, avrebbe provocato lo sfacelo di tutto il resto. Ma oggi questa eventualità deve esseÌ:e scartata. La Russia militarmente non conta più. La Romania nemmeno. L'Austria-Ungheria ha un solo fronte - il nostro - sul quale può convergere tutte le sue energie. L'Austria-Ungheria può essere ancora sconfitta dalle nostre armi e lo sarà. Ma da esclUdere dal calcolo delle possibilità una sconfitta tale da determinare il crollo d ello Stato. A meno che l'urto degli eserciti nostri non sia aiutato all'interno con movimenti insurrerionali deUC nazionalità oppresse. ·

Delle due l'una: o noi accettiamo per il problema italo-austriaco le soluzioni mediane, e allora prepariamoci, per quello che ci riguarda, a grandi o piccole rinuncie ; abbandoniamo alla dominazione tedescomagiara 20 milioni di uomini ; lasciamo mano libera nei Balcani ali'Austria-Ungheria e ai suoi due brillanti «secondi >).

. Oppure noi crediamo che la soluzione del problema austriaco non possa essere che la soluzione radicale del dtlmda Amtria - inteso questo dtl,Ma nel senso di uno Stato da demolire, di una dinastia da detronizzare, di cinque popoli da liberare una volta per sempree allora tutta la nostta azione nazionale e internazionale deve essere orientata verso questa mèta.

E venuta l'ora di scegliere La nostra p olitica deve avere UJla direzione precisa. Bjsogna, secondo noi, allargare in un certo senso i fini della nostra guerra. La nostra g u erra deve diventare anti-austriaca anche p er gli altri popoli soggetti all'impero degli Absburgo.

Bisogna dire chiaramente, Senza equivoci> che l'Italia combatte non soltanto perché Trento e Trjest e e Fiume e Zara siano italiane, ma perché Lubiana possa essere domani il centro politico e spirituale degli sloveni, cosl come Zagabria per i croati e Praga per i czecoslovacchi.

Bisogna che l'Italia, anche quella ufficiale, allarghi il suo irredentismo e abbracci per risolverli, sècondo giustizia, tutti gli irredentismi. Mentre la Russia dei bolscevichi abbandona a Czernin gli slav i del nord e del sud (il telegramma del comitato jugo -slavo di L o ndra a Tro t zky è una protesta inutile), è l'It alia che deve raccogliere e bandìre il prog ramma della liberazione di tutti i p opoli che lo ttano per costituirsi a nazionalità, Deve farlo. P erché la collabora2ione - anche soltanto passiva - di quei popoli può essere un fattore dominante della nostra storia.

Noi ci guardiamo bene dal voler detta re coosigli ai supremi reggitori della nostra politica estera : noi domandiamo soltanto che in questo gioco, la cui posta è veramente la nostra vita o la nostra morte nazionale, siano giocate tutte le carte che possano fard vincere la partita. Anche le carte di indole morale, anche quelle che esercita.no una influenza decisamente spirituale. Sono sordi da questo orecchio alla Consulta, o lo sono stati fino a questi u ltimi tempi, È stata, p er esempio, la stampa, che ha illustrato la necessità di lavora re l'opinione pubblica nei paesi alleati e neutri e si è visto quali deplorevoli co nseguenze abbia àvuto in certi momenti la non conoscenza all'estero d ei nostri problemi più vitali. Noi crediamo c he l'Italia, i n q uesta fa se delicatissima della guerra, possa e debba assolvere un compito di importanza decisiva per ciò che riguarda il sud-o riente euro peo. È necessario prima di tutto convincere gli Alleati e le opinioni pubbljche dei paesi j.lleati della necessità che l'Austria-Ung heria sia condannata a scomparire dal novero degli Stati, perché altrimenti il principio di nazio nalità sarebbe ancora rinnegato e rimarrebbe il pericolo di nuov i disordini e cli nuove guerre.

È necessario anche che l'Italia, ufficialmente o no, prenda contatto col mondo slavo dell'Austria-Ungheria. Non c'è bisogno per questo di incomodare jJ signor Ante Trumbié , La Serbia è nostra alleata ed è impegnata, col patto di Corfù, alla creazione ddla Jugo -slavia.

È colla Serbia che noi p oss iamo trattare l'accordo i talo- jugo -slavo. Quanto agli slavi del n ord o czeco-slovacchi, il pegno che essi ci chic- dono è, in realtà, un'offerta preziosa del loro sangue. Respingerla sarebbe supremamente odioso. Non spetta a noi di rilevare l'enorme importanza che avrebbe, anche agli effetti delle nostre relazioni cogli jugo-slavi, la creazione in Italia di una legione czeco-slovacca. Dopo l'esempio d ella Francia, le riluttanze della Consulta non si spiegano più. A meno che a Roma non si tema che la creazione di questa legione significhi adesione al ddenda Austria.

Noi tracciamo cosl « grosso modo» le linee di quella che potrebbe essere la nostra azione di grande popolo che assume la salvaguardia dei diritti di tutti i piccoli popoli oppressi, ma poiché sappiamo ch e le voci della strada non riescÒno a varcare certe porte, è alle rappresentanze di questi popoli che noi ci rivolgiamo. Noi auspichiamo l'intesa - consacrata da un patto solenne - fra tutte le nazionalità oppresse dell'Austria-Ungheria, dagli italiani ai czeco-slo vacchi, ai serbo-croati , E. questa missione che può dare all'Italia di domani uno dei primi posti nella gerarchia delle g randi nazioni. A l di fuo ri delle combinazioni diplomatiche, vecchio giuoco che può riuscire o fallire, è lo spirito garibaldino, è l'insegnamento stesso divjnatorio di Manioi, che noi invochiamo in questo momento, perché la quarta ed ultima guerra dell'inclirendcnza italiana si concluda non soltanto colla rivendicazione delle terre che sono nostre. ma colla consacrazione luminosa del nostro diritto di vivere liberi fra popoli liberi.

Mussolini

Da ti Popolo d ' fo,Ji,r, N. 24, 24 gennaio 1918, V Pubblicato anche sull'ed izione di Roma, N. 26, 26 gennaio 19 18, V.

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