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UN DATO DEL PROBLEMA

Al di sopra delle necessità s trategkhe che bisogna accettare senza discutere, con animo incrollabilmente deciso, al di sopra delle vkende varie di una lotta che è mondiale e non ammette altra soluzione che non sia. mondiale, c'è nèl ~nflitto italo-austriaco un « dato». di natwa squisitamente morale che noi vogliamo prospettare ai nostri l ettori , Si tratta cioè di domandarsi sè lo Stato austriaco, che noh è una na2ione, non è un popolo, riuscirà a vincere una Nazione che è anche uno Stato. Questi sono i termini precisi del nff.ronto.

L'Austria non è una nazione, ma è uno Stato. Noi, prima della guerra, non eravamo tra quelli che predicavano il ftnis A,,rtriae a d ogni stormir di fronda nazionale. Lo Stato austriaco non rappresentava una nazione, cioè u n complesso omogeneo di popolazioni, con lingua, tradizione, storia in comune, ma si reggeva solidamente sul tripode rappresentato dall'esercito, dalla burocrazia, dal suffragio universale, con in più un diffuso sentimento di dev02ione per la dinastia degli Absburgo. Le famose « centrali>> proletarie cli Vienna non erano, forse, uno dei tanti organi funzionanti da connettivo nel « nesso » imperiale ?

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Questo Stato senza naz:ionc, ha subito nel cono della g uerra catastrofi che sembravario irreparabili . Più volte il panico si è impadronito cli Buda-Pest. Più volte i tedeschi di Vienna e i magiari cli BudaPest hanno visto sfilare nelle strade i cortei miserabili dei profughi della Bucovina e della Galizia. Più v olte l'apparizione dei russi sui Carpazi - i russi non leninizzati del 1914 e del 1916 - ha messo in allarme tutta la vasta pianura danubiana. E lo stesso spettacolo si è rinnovato all' epoca dell'invasione romena della Transilvania. Le perdite di prigionieri e di cannoni della mona.rchia danubiana sOno state qualche volta enormi. Il generale Potjorek, nd suo primo tentativo d'invasione in Serbia, ha perduto 60 mila prigionieri. In Bucovina e in G~a, più volte l'esercito austriaco ha conosciuto la disfatta e gli inevitabili sbandamenti delle ·ritirate sotto l'incalzar del nemico. Decine cli reggimenti si sono arresi senza colpo ferire, tanto che in Russia - nella Russia di alcuni mesi fa - si pensava di creare un esercito di boemi e czeco-slovacchi che sarebbe stato forte di

Benito Mussolini

300 mila uomini. Gli ordini dd giorno. coi quali Francesco Giuseppe cancellava dai ruoli dell'esercito i reggimenù che avevano defe2ionato in massa, sono noci, Rico rdate la resa di Przemysl cOn I 20 mila p rigionieri ? E L eopoli ?

Accanto alle disfatte nùlitari, la crisi all'interno soffocata cogli arresti· e le impiccagioni. Ebbene, malgrado tutto ciò, questo Stato austriaco si è rialzato· dopo gli immensi disastri militari della Galizia e della Bucovina; ha cercato di s uperare la. duplice crisi economica e politica nell'interno; tenta di risolvere il suo problema costituzionale

La ·domanda che noi rivolgiamo a noi stessi e al pubblico italiano. è questa : « l'Italia - Stato e popolo - sarebbe dunque inferiore aJl'Austria, Stato e non popolo ? »

No . N on può essere. Ecco pe rché l'Italia deve vincere e .vincerà.

La lotta fra uno Stato e un popolo deve concludersi col trionfo del popolo. Questa lotta non è cominciata il 14 maggio del 1915 . Dura da un secolo È comincia~ n el 1811. Le sue fasi son o segnat e da queste date: 1848-' 49, xs,9, 1860, 1866, e da un calvario di e ro ismi. Ha ripreso dopo sessant'anni. Le maestranze operaie di M ilano che esalt ano la Patria, che imprecano allo straniero, hanno lo stesso spirito che animava i fieri artigiani del 1848. È lo stesso dramma. Non c'è una sola2ione di continuità nel tempo. Dieci, vent'anni cli sosta o cli at1:esa, sono un intervallo quasi insignificante in un ciclo millenario di storia. Ma soprattutto manca ogni solU2ione di continuità morale, È ancora e sempre il popolo italiano che insorge co ntro lo Stato austriaco. Questa l'antitesi fondamentale. ·

Da una parte la forza naturale, un p opolo, che è stato _semp re « popolo » anche quando era oppresso e dh•iso e che cerca di conquistare attraverso uno sfor zo sanguinoso e secolare le garanzie naturali e politiche del su o sviluppo e della sua esistenza ; dall' altra parte una forza artificiale, uno Stato dinastico, un anacronismo sempre più palese in questi tempi di vangeli democratici echeggian ti dall'uno all' altro continente. In una lotta tra uno Stato e un popolo, chi v.inGC è il popolo, Chi ha vinto finora fra popolo italiano e Stato austriaco è stato il popolo italiano.

Metternich è stato battuto. L'Italia espressione geografica, secondo lo statista austriaco, è diventata, col r 866, un'espressione politica.' È passato un cinquantennio. Oggi l'Italia è un'espressione morale. Qui è 1a certezza della nostra vjttoria. Siamo all'ultima scena. AU'epilogo. Si tratta di coronare l'ed.i6.cio. Di compiere l'opera. Di risolvere l'antitesi fra Stato austriaco e popolo italiano. La nostra responsabilità è enorme. Il nos tro dovere è unico. Assoluto . Non si transige. Si resiste. Ma occorre, ad alleggerire la somma dei sacrifici n ecessari, cb,c questo popolo italiano abbia anche uno stato e - togliendoci dall'astrazione costituzionale - che ci sia un governo.

Finora non abbiamo che dei telegrammi più o meno indovinati. Mancano le «misure>), Cioè i « fatti >), Verratu10? Lo crediamo. Ma non c'è tempo da perdere. Ogni ora decide di secoli. « Qui si parrà la vostra, nostra nobilitate ». Qui si vedrà se abbiamo diritto alla storia, o semplicemente alla cronaca. Noi non vogliamo essere, nell'avversa fortuna, inferiori - per resistenza morale, per volontà e capacità di riscossa - all'austriaco. Metternich dev'essere battuto per la seconda ed ultima volta.

Questo è il nostro « credo».

Da Il Popola d'Italia, N. ;os, 6 novembre 1917, IV. Pubblicato anche sull'cdi2ione.di Rom:a, N . 308, 7 novembre 19 17, IV.

IL NOSTRO « DELENDA CARTHAGO »

Siamo sempre in attesa del provvedimento contro i sudditi e i beni nemici.

A nesto immediato e relegamento fuori d'Italia pei primi; confisca non meno immediata e desti naz ione dei secondi a un fondo per le famiglie dei combattenti, per j profughi delle regioni inva~.

Siamo sempre in attesa.

Ostinati, p azienti, fiduciosi. Ma l'attesa comincia ad essere un po' lung a . È strano che noi siamo quasi soli ad invocare · questo provvedimento. Il Mtst({ggero ha ammesso in una breve n ot a che uri altro regime s'impone per i sudditi ricmici, ancora e impunemente circolanti per le città italiane, ma tutta l'altra stampa tace.

La v erità triste e tragica è questà : se noi non arrestiamo i sudditi nemici , ci troveremo di fronte a terribili sorprese. E i tedeschi sono ancora dovunque. Sono nelle- Banche, n elle Industrie, nei Port i, nel giornalismo, -nelle Università, perfino in certe commissioni governative. [Censura],

Voi credete che i sudditi _ ted esc hi siano stati s.pa2zati via dalla Liguria? [Ce,uura].

Potremmo continuate. M a oramai la nausea tj prende. Abbiami;> il cuore grosso davanti a tanta insipienza. Ma in n ome della Patria, si può sapere p er ché non si arrestano i sudditi nemici come si è fa tto_ in tutti i p aesi d el mo ndo ? P erché non si confiscano i beni dei nemici, cooi'è avvenuto perfino nel Sjam ?

E attendiamo ancora.

Da li Popolo d'Italia, N. 308, 6 novembre 1917, IV (/).

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