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LA "SPAGNOLA" A TREVISO NEL 1918
di Ernesto Brunetta
Il 4 novembre 1918 , mentre sulle strade e sulle piazze si festeggiava la vittoria, a Treviso morivano Teso Clorinda di 2 anni di San Pelaio, localizzazione geografica sulla quale dovremo tornare, Marchetto Carolina di 26 anni , indicata come villica alla voce mestiere, e Gerotto Angelo di 22 anni, colpiti dalla febbre spagnola. Il medesimo giorno e per il medesimo motivo morivano in ospedale Piovesan Vincenzo di 67 anni, registrato anch'egli come villico, Fort Giovanni di 40 anni, indicato allo Stato Civile come profugo, e anche di costoro più avanti dovremo parlare, e Lana Luigi, del quale null'altro si dice se non che era in città in qualità di soldato, com'è ovvio sia in una Treviso immediata retrovia del fronte. Ci sareb be naturalmente da discutere se il popolo sceso in piazza festeggiasse la vittoria - e ciò vale certamente per taluni perchè senza questo entusiasmo che fa da preludio al mito costruito a posteriori della Grande Guerra, non ci sarebbe una spiegazione convincente della nascita e dell'avvento del fascismo - o non piuttosto la fine della guerra, cioè la fine degli orrori e dei patimenti che erano stati il frutto di un conflitto senza precedenti nella storia dell'umanità.
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Mai infatti masse così imponenti di uomini avevano combattuto l'un contro l'altro, mai erano state utilizzate armi così micidiali, mai ci si era dovuti interrare e permanere così a lungo in trincee nelle quali le condizioni di vita favorivano, come di fatto favorirono, fra !:altro anche l'irrompere delle malattie tra i soldati. Lasciamo da parte la pediculosi e la scabbia, compagne pressoché permanenti di quanti combattevano in trincea; fatto si è che si ebbero casi di colera, di tubercolosi, di tutte le malattie insomma delle quali si parla in altri capitoli di questo libro nonché numerosi , casi di pazzia, comunque poi la si voglia scientificamente denominare secondo generi e sottogeneri , anche per i quali rimando ad altra parte del lavoro. A parte la follia del combattente , la tipologia medesima della guerra che, per la prima volta nella storia, coinvolse direttamente la popolazione , fece sì che le malattie suaccennate avessero una qualche ricaduta anche sulla medesima popolazione, naturalmente in forma quantitativamente modesta e tale da non essere statisticamente rilevante. Quando invece apparve la febbre cosiddetta spagnola, ogni distinzione fra i militari e i civili venne meno e la malattia colpì indiscriminatamente gli uni e gli altri, favorita anche dallo stato di prostrazione fisica nella quale giacevano eserciti e popoli. Essa apparve infatti quando gli Imperi Centrali e particolarmente l'Austria-Ungheria erano preda della fame nel senso più pieno del termine, la Russia era percorsa dalla tragica guerra civile seguita alla Rivoluzione d'Ottobre, gli stati dell' Intesa vivevano degli aiuti ameri0ani e , se non faceva vitti- me la fame che invece attanagliava i popoli della Duplice, certamente le condizioni materiali di vita erano a bassi livelli, così come il morale, incrinato dalla lunghezza del conflitto del quale non si riusciva a percepire ancora un avvio alla conclus ion e.
La febbre , altissima, si presentava come una forma di influenza non diversa da altre che l'avevano preceduta e che la seguiranno, ma tale influenza, a corso molto rapido, degenerava spesso in edema polmonare così da rendere i polmoni spugnosi e pieni di sangue fino a una forma di soffocamento letale o, meno frequentemente, dava luogo a complicazioni cardio-vascolari irreversibili. Senza s ulfamid i ci e antibiotici, ancora da scoprire, era evidentemente impossibile bloccare l'infiammazio ne dei tessuti fin dalla sua origine e dunque le possibilità di intervenire erano di necessità delegate alle difese naturali dell'organismo. E questo è il punto di giun- tura tra l'elemento soggettivola fibra fisica del p aziente - e l'elemento oggettivo, cioè lo stato di sfinimen to dei popoli belligeranti, anche se c iò non costituisce invero un preciso discriminante dal momento che l'influ enza trasse il s uo nome proprio dali' essere sta ta individuata per la prima vo lta in Spagna, cioè in un paese neutrale, così come colpì ferocemente gli Stati Uniti, paese belligerante, la popolazione del quale per altro non era stata sottoposta alle privazioni delle quali avevano soffer to , come gìà detto, i belligeranti in Europa. É difficile dunque trovare un rapporto di causa ed effetto tra lo scopp io della malattia e le co ndizi oni di estremo disagio di eserciti e popoli, ma è naturale che la gravità del male, e il ta sso di mortalità che esso comportava, fossero massimizzati là dove le cond izioni di vita erano più difficili. La p ermanenza in trin- cea o i drammi del profugato o comunque lo stato di miseria nel quale versavano le classi più deboli della società favorirono indubbiamente il diffondersi della malattia , elevandone le possibi lità d i un esito letale.
Dopo quella che Paolo Preto definisce come un '"onda ta blanda ..." che serpeggiò qua e là tra la primavera e l'estate del 1918, la mala tt ia ebbe il suo culmine tra l'otto bre 1918 e il gennaio 1919, anche se poi la coda fu ancora piuttosto lun ga e di dovettero contare vittime ancora lun go tutto l'arco del 1919. Calcoli per forza di cose approssimativi fanno ascendere a 22 milioni, nel mondo, le vittime della spagnola, mentre, sempre secondo Preto che attinge alla statis tica sanitaria del Mortara, cioè al testo più accreditato sulle condizioni no sologiche del paese neg li anni della guerra e dell 'immed iato dopoguerra , in I talia i morti furono 274.000 così direttame nte diagnosticati, mentre di altri 500.000 ritiene di affermare possa esserci un chiaro nesso tra la morte e la malattia1 •
"Sicut fur in nocte" naturalmente la malattia dilagò all ' improvviso e non esisteva dunque alcun mezzo apprestato per la prevenzione e la profilassi. Semmai le preoccupazioni delle autorità militari e civili erano rivolte al colera, sia perch è esso aveva fatto la sua ultima apparizione nel p aese nel1910 , in tempi molto ravvicinati cioè, sia perchè la trincea, se non altro per la presenza costante delle deiezioni umane al fondo delle trincee medes ime, predisponeva a quel con tagio. Infatti, n el 1917 - momento cru ciale delle guerra, dalla R ivo lu zione Ru ss a all'Allocuzione pon tificia sull'inutile strage, dai 14 p unti di Wilson a Caporetto, segnato da una generale stanchezza per la guerra e per il sangue e le vittime che essa comportava -il Ministero dell'Interno fece distribuire alla prefetture un opuscolo sulla profilassi del colera. Al di là dell'ovvio richiamo alla scrupo losa pulizia del corpo e dei locali d'ab i tazione, l'opuscolo interessa anche il no stro tema laddove tocca almeno due punti che costituiscono al trettanti caposaldi della letter atura medica del tempo: la paura del male come più pericolosa del male mede simo, il timore c ioè che il pan ico comportas se turbamento dell'ordine pubbli co, scate nando magari l a caccia all 'untore per la quale s i pagava tributo alle sindromi- unite o divise- della barbarie del nemico e del pericolo costituito dalle spie, e la necessità di vincere precocemente ed efficacemente la paura dell'ospedale, an ti co retaggio non ancora esauritosi del concetto di ospedale come deposito dei poveri, luogo di contenzione piuttosto che di ·cura2 • Fortunatamente l 'ep idemia di co lera non si ebbe e poichè su questa eventuali tà erano puntati gli sguardi e non su altr o, si trascurò !"'ondata blanda" di influenza spagn ola della primavera 191 8. Se teniamo conto della temuta paura della paura di cui abbiamo appena parl ato e del fatto che si era in guerra, la prima guerra totale della storia , la so ttovalutazione del male da parte delle autorità, se non è scusabile, è però comprensib ile dal momento che lo spirito pubblico -per usare il linguaggio della carte di poliz ia - è un elemento essenziale per sostenere una guerra di masse. Anche in Spagna d'altronde, pur paese neutrale, il problema venn e so ttovalutato al punto di isolare il medico ehe per primo aveva dia - gnosticato i si ntomi diversi rispetto alla normale influenza e l'effetto s pess o letale alla quale essa perveniva3 • Non meraviglia dunque l ' atteggiamento dei governi dei paesi belligeranti , salvo che la notizia del male non potesse essere utili zza ta come arma di propaganda, attribuendo cioè al nemico la causa d eU' evento , così il l o agosto 1918, giunse alla prefettura una Circolare rnini s teriale che diceva, add irittura s otto forma di telegramma " ...Svizzera serpeggia grave epidemia con effetti letali della così detta malattia spagnuola dicesi importata da Germania ...", ove il verbo " importare" non cela che potrebbe anche trattarsi di un fatto doloso , ulteriore prova della barbarie teutonica4 • I giornali del 18 agosto , che per altro riportano voci, spostarono il bersa g lio e affermarono che la malattia sarebbe potuta venire dall'Austria , non è chiaro se perchè iv i era più virulenta - notizia di cro naca - o se la notizia contribuiva a confermare o ad accrescere l'odio verso il nemi co, odio che s i riteneva fosse ne cess ario per conseguire la vittoria . Odio come propellente, carburante morale al pari del cognac distribuito nell e trincee prima dell'assalto, secondo i moduli della propaganda che, con la cronaca, ha poco da s partire. Non erano per altro solo leggende se il 16 agosto, cioè due giorni prima, il Comandi supremo de l regio eserc i to aveva avvertito i prefetti del fatto che esis tevano timori di un arrivo del colera dall'Austria-Ungheria . Le c r onache dunque s i e rano limitate a trasformare l'epidemia di co lera in altra epidemia, ottenendo naturalmente il medesimo effetto 5 •
Il 3 settembre 1918 muore a Padova l'operaio militarizzato O scar Vicenzotto , la tes timonianza del cui decesso straziante è stata narrata a Richard Collier dalla moglie Tersilla profuga in una locali tà della Toscana e c hiam ata d ' urgenza al capezzale del marito 6 ; ed è il primo morto della seconda, e ben più grave ondata di febbre spagnola nel Veneto, anche se ripeto che essa si farà sentire in forma acuta solo da ottobre. Risalgono all'ottobre infatti alcuni interventi delle autorità che è necessario segnalare per una migliore comprensione del fenomeno. Paolo Preto in sis te sul filtro esercitato dalla censura che blocca le notizie o le fa trapelare nell a misura in cui sembrano compatibili con le capacità di so pportazione dei ci ttadini. Non c'è da meravigliarsi: nell'ottobre 1918 siamo giusto alle soglie dell'offensiva finale ed è quindi log ico che gli animi e i mezzi fo sse ro tesi a qu esto fine. Ai lutti della guerra e alle incognite dell'imminente offensiva non era pens abile sovrapporre le notizie di un'epidemia mortale. E dunque se ess a non poteva essere sop pressa, era comunque possi bile dare a quella la minor pubblicità consentita dalla sua presenza , vis to che con quella si era comunque chiamati a convivere. Il 15 ottobre , il Prefetto di Milano vietò i cortei funebri e ogni segno es teriore di lutto , quando di contro gli u si e i costumi inducevano a manifestazioni di cordoglio molto maggiori rispetto a quanto oggi in uso. Non s i trattava evidentemen te di un esorcismo, bensì del tentativo di non abbassare ulteriormente il morale delle popolazioni , già scosso di suo se non altro dal perdurare della guerra. ll 20 ottobre apparve un classico del costume italico in qualche maniera ancor oggi vivo: il ricorso al clero e il timore dell e superstizioni come rimedi in specie nelle campagne. Nel caso , è il Consiglio Superiore di Sanità a temere il diffondersi di empirici, se non dannosi, surrogati dei medicinali decantati come efficaci da qualche dulcamara girovagante nelle campagne medesime. E nella convinzione, tutto sommato fondata, che l'affidarsi alle autorità ci vili non sarebbe stato sufficiente, si fece appello al clero curato nelle campagne perchè convincesse i contadini a non affidarsi ai ciarlatani e alle loro pozioni. Anche l 'appello del Consiglio di Sanità testimonia dunque della paura della paura e del timore - in assenza di una cura che fosse in grado di blo ccare il decorso del male - del diffondersi di sistemi curativi diversi rispetto a qu anto prescritto dalla medicina ufficiale. Infine, il 24 ottobre, in co i ncidenza con l'avvio de ll'offensiva sul Piave , inter viene autor evo lmente il Capo del Governo per dire esattamente quello che in questi casi dicono i capi dei governi e cioè che si stava fac e ndo il possibile per contenere e debell are la malattia, per altro definita " . ..terribil e, misteriosa. ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti"7 •
A Trevis o , nel1 91 7- 18, convivono tre città: il centro storico di molto diminuito di popolazione dal fenomeno del profugato, le frazioni rimpinguate di abi tanti dalla . presenza de i p rofughi, il campo trincerato presidiato dai militari. Se dalla provincia di Treviso il totale dei profughi è s ta to calcolato in 138.387 pari al 28% de ll a popolaz ione residente, dal mandamen to di Trev iso vanno profughi in 49.550, va le a dire che la media sui residenti si alza al34,1 %8 • Se è vero che il profugato volontario interessò particolarmente le classi abbienti e molto meno le classi subalterne o, se si preferisce, piuttosto i cittadini che i contadini, è ovvio dedurre che il centro storico fosse pressoché vuoto e che i rimasti appartenessero alle classi meno abbienti. Indipendentemente dalla spagnola, dei due decessi registrati in centro- e già la cifra è significativa- uno è di un vecchio trovato raggomitolato dentro la scuderia di un palazzo patrizio in Piazza Sant'Andrea, sembra colpito da infarto, probabilmente un mendicante che in quella scuderia aveva tentato di trovar rifugio dal freçl.do. Negli ultimi mesi del 1918, la febbre s pagnola fece in centro s toricointendendo per tale quanto racchiuso entro la cerchia delle mura cinquecenteschesolo tre vittime che meritano però qualche cenno in più perchè se di Franchi n Vittoria conosciamo soltanto l'età (52 anni), è bene sottolineare che Veggia Antonietta di 46 anni faceva la lavandaia, cioè lavava i panni altrui nel Sile , china sulla tavola di legno fermata su una delle apposite piattaforme, e abitava nel degradato quartiere di San Nicolò, mentre Costacurta Paolino di 41 anni, del quale le carte non recano indicazione di mestiere, abitava in via Reggia che era in allora un'altra de lle zone degradate della città9 , quelle zone ove la miseria, il vizio - vi era ubicata una casa di tolleranza - e la microcriminalità convivevano in un amalgama dal quale i benpensanti si tenevano lontani.
Ciò conferma che dal centro storico della città erano andate profughe le classi abbienti ed erano rimasti i poveri, intr oduce però anche un discorso sulla periferia che ci porterà a ragionare delle frazioni. É opportuno rifarsi all' In chiesta sulle case malsane del 1911 per rendersi conto del degrado di talune zone della città, nonché del sovraffollamento di esse 10 • Ora se teniamo conto de l fatto che il quartiere di San Nicolò confmava praticamente con la piazza del Duomo e quindi era situato in pieno centro, non è strano che molti cittadini abbienti, seguendo un trend proprio anche di altre città, tendessero ad abbandonare quel centro e quei confinanti per cercare casa altrove. Entro la cerchia delle mura, esistevano ancora spazi vuotiper esempio la zona ove oggi sorge la cosiddetta città-giardino o quella ove venne più avanti edificato l'edificio dell'Istituto magi strale - ma il movimento fu invece centrifugo, privilegiò cioè la costruzione di abitazioni signorili o comunque civili appena fuori le mura, specie dopo la costruzione di quella che allora sembrava un'imponente circonvallazione delle medesime mura. Lo spazio per costruire era enorme perchè la tecnica che aveva presieduto alla costruzione delle mura cinquecentesche aveva imposto la presenza di un campo di tiro di ottocento metri di raggio, sicché ogni costruzione entro questa distanza era stata abbattuta. Solo tra 1'800 e il 900 si era costruito in quei luoghi, specie lungo gli assi di penetrazione , o nelle immediate adiacenze, ai varchi aperti sulle mura cittadine. Anche le cosiddette Case Luzzati, dal nome del ministro che aveva varato una prima legge sull 'edilizia economica e popolare vennero ubicate fuori le mura, ma le più erano, rip eto, abitazioni civili ove avevano trovato alloggio le famiglie benestanti che volevano sot- trarsi al sovraffollamento del centro. Il modesto sviluppo ·1i1 dustriale poi aveva fatto sì che pochi fossero nella zona anche i manufatti adibiti al settore secondario, confermandosi così , pur al momento del primo decollo industriale , la vocazione terziaria della città. Sicché, anche per la prese nz a, da ovest ad est , del Sile e della ferrovia, che di per sè costituivano un diaframma , le rade abitazioni costruite fuori le mura non avevano ricucito il centro storico e le frazioni, le quali erano rimaste isolate come sempre erano state , e questo isolamento non era solamente un dato geografico, bensì comportava anche caratteristiche economiche , sociali e cultuali diverse .
Staccate dunque dalla città, le frazioni erano paesi a se stanti, abitati per la più gran parte da una popolazione dedita all ' agricoltura che aveva tutte le caratteris tic he che , nel1918 , erano proprie di tutti i paesi contadini del Veneto e più in genera le dell'Italia intera : poderi di modeste dimensioni coltivati in affitto con formule il più spesso iugulatorie - sussistevano ancora affitti a fuoco e fiamma - persistenza di sacche di analfabetismo specie nella popolazione più anzi ana, miseria gener alizzata , ne fornisce un esempio l'elenco dei poveri dell'anno 1911 11 , modi di essere propri del mondo rurale, diffidenza nei confronti della città percepita come lontana e soprattutto come sfruttatrice del lavoro dei contadini. Le frazioni non vennero toccate dal fenomeno del profugato; al contrario , come vedremo subito sotto, esse ricevettero profughi che non poterono altro che condividere quella loro miseria. Va aggiunto per completare il quadro che parzialmente diversa era la situazione delle frazioni di Sant'Antonino e di Fiera ove era già presente qualche forma di industrializzazione- fornaci e laterizi a Sant'Antonino, molini, oltre la tradizionale attività dei barcari a Fiera - mentre Monigo era ancora comu ne autonomo e quindi non entra nel nostro discorso. Ciò non significa che la loro si tuazione economico e sociale fosse di molto diversa rispetto a quella dell e frazioni puramente agricole . Infatti se da una p arte c ' erano- poveri tra i poveri -i braccianti, dall'altro persisteva ancora il fenomeno degli industrianti , cioè di quanti a ogni levar del sole dovevano "industriarsi" a trovare qualche lavoro.
Fatto si è che nello scorcio di tempo preso in considerazione, esattamente il 10 settembre 1918 , Maria Marcon di 59 anni morì di pellagra12, di una malattia cioè che era stata correttame nte data per vinta neli 'ultimo decennio del secolo precedente13, che 15 bambini morirono - ufficialmente - per deperimento organico o per insufficiente alimentazione14 , tutti sinonimi di morte per stenti, senza contare i deceduti per di ssenteria spesso provoèata dalla pessima qualità del cibo, che il tifo e la tubercolosi serpeggiavano in forma endemica e che le case coloniche erano quei tuguri dei quali si parla nella già citata in chiesta sulle abitazioni del 1911 e addirittura nell'Inchiesta Agraria del1882 15 •
Tutto ciò serve a dire che la febbre spagnola si abbatté su una popolazione già prostrata dalla miseria e per la quale quindi le difese immunitarie non erano certo di elevato livello . L'arrivo dei profughi nelle frazioni aggiunse alla miseria nuove miserie. Come noto, infatti, gli oltre 138.000 profughi della Provincia di Trevisoma il discorso vale per il Veneto in generale - si possono dividere in due grandi categorie: i pr ofugh i volon tari e i profughi obbliga ti a essere tali Alla prima categoria appartengono quanti se ne andarono sulla scia della ritirata di Caporetto, e in questa serie statis tic a rientrano gli abitant i della città murata che già sappiamo essersi svuotata, compresi tra que sti le autorità civili , che, in zona di guerra, cede ttero i poteri a quelle militari; alla seconda categoria ap partengono gli abitanti dei paesi letteralmente attraversati dalla linea del fuoco ai quali il profugato fu imposto dagli eventi e dagli ordini di evacuaz ione che li seguirono. Nelle frazioni di Treviso si rifugiarono i contadini residenti sulla linea prospiciente il Montello e il Piave e dunque troviamo traccia di profughi provenienti da Pederobb a e da Cornuda, da Zenson e da Maserada. Dalla documentazione, ess i risultano villi ci di condizione, con una larga presenza di braccianti a ulteriore dimostrazione che l 'ultima ondata di profughi pescò veramente nel fondo della società e dislocò lontano dal loro paese quanti nulla possedevano. Infatti, delle 695 famiglie di Pederobba che, in un momento o nell'altro, es ularono , ci ascuna possedeva mediamente meno di un ettaro di te rra coltivabile, sicché anche il concetto di proprietà- o meglio dell'essere proprietari- va collocato nella sua giusta dimensione, dal momento c he la figura dominante era la figura mista, di famiglie cioè insediate in poderi di modestiss ime dimensioni c he integravano i loro r edditi andando a opera, offrendosi cioè come braccianti nei momenti di pun ta dell'annata agraria. Non a caso gli atti di morte dei quali mi avvalgo recano una dicitura stampata così concepita: mestiere e condizione, alla quale è aggiunta la scritta a penna: villico o bracciante, povera o miserabile, che definisce una gerarchia della miseria precisa fino alla minuzia burocratica. Nel mentre questi villici vivevano il dramma del profugato, fu l'esercito a provvedere alle operazioni agricole necessarie nei paesi d'origine, fermo restando il risarcimento previsto per i proprietari allontanati dalla linea del fronte. Dal censimento necessario per ottenere il risarcimento, conosciamo con certezza le dimensioni delle proprietà: Osellame Secondo di Venegazzù possiede 10 campi, cioè 5 ettari, ma Veronica Santon ne poss iede mezzo , Antonio Pol ega to di Crocetta scende a un quarto d i campo, Valentino Bordin di Cornuda risale a mezzo, cinque famiglie di Breda possiedono un campo ciascuna, ben 27 di Zenson ne hanno mezzo, Giuseppe Lorenzon di Maserda scende a un quarto 16 •
La terza città era costituita da quello che abbiamo definito come il campo trincerato di Treviso, che aveva un'e stens ione che andava oltre il perimetro comunale. A una manciata di chilometri dal fronte- n eli' offensiva di giugno gli Austro-tedeschi oltrepassarono Nervesa, occ uparono Fagarè e toccarono Monastier, località che cito per fornire un 'i dea geografica de ll a vicinanza del fronte - le truppe qui stanziate erano naturalmente molto num erose, ma anche molto mobili per le necessità del ricambio in trincea, specie dopo che la più oculata gestione del Comando Supremo da parte di Armando Diaz aveva fatto sì che questi turni venissero realmente rispettati. Ovviamente anche la terza città pagò il suo tributo alla febbre spagnola, ma è interessante notare come risultino dalla documentazione tre casi di soldati morti suicidi 17 , forse per il timore del fronte, forse p e rchè non più in grado di reggere le pressioni del servizio, forse per quella follia di guerra, evidentemente non clinicamente comprovata, di cui si parla in altra parte di questo libro.
La febbre spagnola non fa naturalmente differenza tra le tre ci ttà , anche se, come già detto, l 'elevato decremento della popolazione del centro storico fece sì che fossero le frazioni, oltre che i militari a essere particolarmente colpi te. Anche l'alta percentuale di poveri e di miserabi l i- mantengo la distinzione presente nella documentazione in atti - è spiegabile con lo sfollamento massiccio dei benes tanti che di per se aumentava la percentuale dei colpiti in situazione economica precaria. Prima di passare ai numeri, mi sembra opportuno sfatare almeno parzialmente un luogo comune ancor oggi diffuso nella s toriografia e in allora largamente sfruttato da quanti ritenev ano di trame vantaggio. Il luogo comune concerne la fuga d a Treviso delle autorità civili, sindaco Zaccaria Bricito in testa, e la supple nza di fatto esercitata dall a chiesa, dal momento che rimasero in città il vescovo Giacinto Andrea Longhin e tutti i parroci. Detto così, il fatto è vero e cosi venne vissuto dai cittadini a livello soggettivo dal momento che era facile constatare e verificare chi era rimasto e chi se ne era andato. La realtà però è più complessa. Alle . autorità civili fu infatti impartito l'ordine di sfollare e di impiantare altrO'Ve - a Pistoia nel nostro caso - l'apparato comu nale, mente il Codice canonico prevede espressamente che il clero rimanga comunque con il proprio gregge indipendentemente dagli accadimenti politici. In zona di guerra è naturale che a governare la città fo sse l'autorità militare, come infatti avven ne. Interessa per altro di più il nos tro discorso il fatto che l 'app arato sanitario - l a struttura dei medici condotti e l 'os pedale con il suo r eparto di mala ttie infet tive- in città continuò a operare durante l'anno dell'invasio n e e così evitò danni maggiori al momento della prova.
In realtà, l'aggettivo spag nol a o l'i dentico aggettivo sostantivato vengono utilizzati poco nei regi stri dei defunti dell 'anno 1918, fon te primaria dell a qual e mi avvalgo, v isto che troviamo il termine solo in 14 casi, da Menoncello Antonia co ntadina di 38 anni a Tegon Pi etro faleg name di 52, morti in casa, e da Bas setto Romano di 5 ann i a De Monte Anna di 21, morti in ospedale. n modesto uso del termine può avere diverse spiegazi oni che vanno dalla reticenza all a difficoltà oggettiva di di agnos ti care con sic urezza la malattia , anche se la voce pubblica così da subito la indicò. Infatti, il parro co di Salgareda chiamato ad assistere due bambine more nti in casa, scrisse nel suo diario: "Osservo quei du e angioletti (7 e 2 anni) colpiti dall'infezione Spagnola che tante vittime ha mietuto in quel triste periodo di tempo " e i118 ottobre 1918, indu gia s u" ...due povere c ugine ventiduenni colpi te dalla febbre Spagnola" 18 • É pensabile che in molti casi il referto sia s tato stilato indi cando la causa finale del decesso, normalmente la broncopolmonite s pastica, piut tosto che la causa ini zial e e determinante, cioè appunto la febbre spa gnola . Così, nello scorc io di tempo qui considerato, abb iamo repertato 25 defmizioni diverse della malattia, a prescin dere dalle 14 di cui sopra ove compare il termin e "s pag nola".
Oltre alle semplici "influen za", "bronchite" e "polmonite", troviamo infatti dizioni quali "infl ue nz a-broncop olmo nite", " febbri infettive" o , tes tuali nel documento, "febbre tipo influenzale", "broncopolmonite da influ enza" con le varianti "polmonite da influen za" e " pneumonite da influenza" , "i nfluenza-paralisi cardiaca", " paralisi cardiaca in cor so di influenza", "pleurite d a influenza" , il complicato "setticemia, in segu ito a broncopolmonite per influenza" fino al generico " influ enza grave" e ai dubbiosi "morbo a tipo influenzale" e "credo ... per febbre tipo influ enz ale" . Di un morto in os pedale ancora in agosto, qu ando cioè non era anco ra chiaro il tipo di malattia co n la q ual e si aveva a che fare, si diagnostica un "bron chite fetida" , che invero ha ben poco di scientifico . Poiché l a documentazione d ella quale nel c aso mi avvalgo è costituita dalle sch ede comp ilate dai medici condotti per i decessi avvenu ti in casa e dall ' ospedale per quanti ivi erano deceduti , indirizzate al comun e perchè provvedesse all ' inumazione delle salme , va anche tenu to conto d el fatto che, in m olti cas i , la causa di morte è om essa, così come sono più o meno completi e in esis tenti i d ati anagrafici. Nel caso la causa di morte sia chiaramente spec ifi cata, tra se ttembre e dicembre 1918, co ntiamo 372 decessi dovuti alla febbre sp agnola direttamente di agnosticata o a quell a riportabili, non essendo scientificamente corretto contare coloro per i quali, come ripeto, non era stata trascritta la causa di morte. n dato concorre a far salire il tasso di mortalità in provincia a quell'elevato 74/ per mille del1918 del quale parla Livio Vanzetto 19 •
P er il gennaio 1919, cioè per l 'ultimo mese del picco alto della malattia, non ho ancora reperito i dati, ma in una busta giacente presso l'Archivio di Stato di Treviso, esiste una relazione in data posteriore sulla Casa degli Esposti dalla quale risulta che in quel mese morirono ivi 26 bambini per broncopolmonite da influenza20. La cifra equivale a cir ca un quarto dei ricoverati ed è quindi molto elevata, ma le particolari condizioni nelle quali quei poveri bambini vivevano non consentono di estendere il dato a tutti i cittadini .
La febbre spagnola colpì tutte le classi sociali, se è vero che Granello Giuseppe di 70 anni, morto i119 ottob re 19 18 , risulta schedato come possidente, così come venne colpito Ernesto Gastaldo, studente di medicina, destinato poi a diventare il medico condotto di Ponzano, che si salvò rniracolosamente21 • É altrettanto vero , però, che oltre i due terzi dei deceduti dei quali possediamo il dato sono descritti di condizione miserabile e di mestiere villici o braccianti, termini che, come ho già detto, possono anche essere intercambiabili. L'altro più scarso terzo è costituito da operai, fornai, pizzicagnoli e camerieri, mentre, specie tra i deceduti nella Casa dei cronici - nome con il quale in allora si definiva la Casa di ricovero con particolare riferimento agli ospiti non autosufficienti -c'è un numero relativamente elevato di schedati come mendicanti , persone cioè ivi ricoverate dalla pubblica carità dopo una vita totalmente o parzialmente trascorsa a pitoccare per le vie o per le piazze cittadine.
Naturalmente, non conosciamo il mestiere di quanti morirono in divisa militare, poiché però un esercito di mobilitati rispecchia l a società civile dalla quale viene espresso; credo di non allontanarmi troppo dal vero ri tenendo che i mestieri e la condizione fossero d el tutto simili a quelli dei deceduti civili. Dal che si possono trarre due conclusioni: o la popolazione di Treviso era in quel momento compos ta essenzialmente di poveri per l'allontanamento delle classi benestanti, o la febbre spagnola, pur non guardando in faccia a nessuno, colpì maggiormente quanti erano già debilitati- nel senso di abbassamento delle difese immunitarie - dalle condizioni di miseria nelle quali erano costretti a vivere. Non si tratta per altro di un dilemma che debba essere per forza sciolto dal momento che sembra ovvio che i due fenomeni siano coesistiti e abbiano fufluito sulla malattia in pari misura. Nel caso di Treviso, dunque, anche la spagnola assume quel carattere di malattia sociale collegato, anche se non meccanicamente determinato, alle condizioni di vita di alcune particolari categorie di cittadini. La descrizione che fa nel già citato diario il parroco di Salgareda, sulla presenza del mo rbo in una casa di contadini , mi sembra particolarmente importante al fine della qualifica di malattia sociale da attribuirle. Oltre tutto., la narrazione del parroco ci consente di affermare che la situazione non era diversa nella zona invasa dagli Austriaci nella Sinistra Piave, ove anzi era acutizzata dallo stato di ·vera e propria fame dalla quale erano affette quelle popolazioni22 • ;.
In quell ' ottobre nel quale la malattia si acutizzò , il sindaco e la Giunta comunale erano già rientrati dal profugato a Pistoia e cercarono, per la loro parte , di prendere in mano la situazione. Il 10 ottobre infatti il s indaco sc risse una lettera al Prefetto co mpendiabile in tre punti: in primo luogo, dal momento che l'epidemia si poteva vincere o comunque circoscrivere soltanto iso lando gli ammalati , affermò che l'ospedale e in generale i luoghi di degenza non erano s ufficienti per le " esigenze sanitarie odierne"; di conseguenza- ed è il secondo punto -la situ azione si presentava come estremamente grave per la necessità e nel con tempo l'impossibilità di far front e alla malattia isolando i malati di "morbo influenzale ..." (nella malacopia le due parole so no in terval late dali' aggettivo "acuto", curiosamente cancella to a penna e che quindi non appare nel testo spedito); infine, propose di isolare temporaneamente gli ammalati di " .. Morbo acuto influenzale" (qui l'aggettivo invece appare) in Villa Margherita, già di p er sè sufficientemente iso lata rispetto alla città23 • Di Villa Margherita poi non si fece niente, ma non è ques to il problema che più c i interessa; ci interes sa piu ttosto l 'apparire di uno dei persistenti luoghi comuni trevigiani e veneti in generale. Il 14 ottobre infatti, il si ndaco scrisse a tutti i parroci della città una lettera per attivarli onde reclutassero il personale ausiliario necessario per affrontare la malattia24 • Il classico s ta nel ricorso alla Chiesa, al clero per meglio dire, nelle si tuazioni di emergenza; si farà così infatti anche per gli ammassi nel co r so e immediatamente dopo la Seconda Gu erra mondiale.
L'ospedale comunqu e si arrangiò se il16 ottobre la dire zione sc ri sse al s indaco che era stata aperta l'appos ita sala per i malati di influenza acuta23 , s ala da subito sottoposta a un sup erlavoro se il Cons iglio di Amministrazion e delle Op er e Pie deliberò un aumento d elle competenze dovute al primario di malattie infet tive per il verti ginoso aumento d elle sue prestazioni 26 •
Tutto ciò concerne la terapia; nel1919 però si co minciò a pensare anche alla prevenzion e, sicché il 26 gennaio la Giunta Comunale del i berò di " .. . mettere gratuitamente a di sposizione dell a popolazi one po vera il vaccino antinfluenzale", evidentemente fino a qu el mome nto riservato so ltan to a quanti se lo potessero perm ettere. Il s uccess ivo l o marzo la medesima Giunta deliberò l ' obbligo de lla vaccinazione antinfluenzale a titolo gratuito per tutti i lavoratori che fossero a contatto con il pubbli co27 • Pecca to che ormai, nel marzo 1919 , l 'ep idemia stesse r ap idamente decrescendo fmo a scomp arire mi steri osamente così come misteriosamente e ra apparsa.
Per la voce popolare era troppo semplice catalogare l 'epide mia co me dovuta a cau se naturali , a misteriosi e complicati giuo chi di germi che si trasme tto no da un u omo a un altro, da un paese a un altro. Molto più stimolante è prendersela con qualcuno, con qualcosa di tattile , di concreto, sperando che , eliminata la causa, c io è i diffu sori dell'epid e mia , se ne va da anche il male, ris ultato di manovre oscure delle quali erano comunque gli uomini a essere respon sabili. Era sempre cap itato così e se mpre s i era cercato il colpevole . Dunqu e non c'era alcun ragionevole motivo perchè non fo sse così anche per la febbr e sp agnola , tanto più che essa in s is tette nel corso della prima gu erra totale c he la sto ria avesse cono sc iuto. Che qu es ta guerra stesse per concludersi, lo si scoprì dopo ; in allora , gli Stati maggiori e l 'opinione pubblica erano convinti che essa non si sareb be conclusa se non nella primavera del 1919. Dato che la propaganda si era avvalsa de lla di ceria - assolu tame nt e falsa - che, invaso il Belgio n el 19 14 , i Tedeschi avessero tagliato le mani ai bambini, così evidenzi ando ch e erano barbari capaci di tutto, si diffuse la voce che essi fossero i colpevoli - omettendo naturalmente il particolare che anche gl i Imperi Centrali erano preda dell'epidem ia - ond e vincere la g uerra attraverso lo sterminio delle popola zioni nemiche. Corsia del reparto epidemia sia un regalo della Germania" e che" ... la malvagità diabolica dei nostri nemici ..." rendeva credibile la notizia28 • Sicché la psicos i della spia - già acuta in tu tto il corso del conflitto - si acutizzò perchè la spia poteva essere , era, anche l ' uotore che spargeva la polverina o il liquido malefici. Come sempre capita - piove , governo ladro! -altre voci imputarono il diffondersi del male al governo, che non va inteso come il governo in que l momento in carica, bensì piuttosto come classe dirigente da sempre espressione degli s trati più elevati della società. Si argomentava che questa classe volesse liberarsi dei poveri per il po tenz iale pericolo che es si costituivano e siccome la guerra non sembra va sufficien te a garantire lo sterminio di mas sa, a essa s i era aggiunta l ' epidemia come strumento per liberarsene , attraverso un ' "azione dolosa" o la "mancata preven zione" .
Si scrisse infatti che " .. . la nuova Padova. -.
Si usò cioè il medesimo argomento c he era stato utilizzato a più riprese n el XIX secolo i n occasione delle rip etute e pidemie di colera. Fortunatamen te, o meglio per l' evolu zione dei costumi e p er un qualche incremento della cultura di base , non si ebbero fenomeni generalizzati di cacc ia all'untore come invece si era verificato nel secolo precedente, anche se Paolo Preto afferma che la paura degli untori riapparve in Sicilia e in Puglia29 , in regioni cioè ove la c ultura popolare era ancora in parte costituita di supers tizi oni e non esi tava a servirsi di pratiche magiche , qualora ciò fosse ri te nuto necessario.
Note
1 Paolo Preto , Epidemia , paura e politica nell ' Italia moderna, Roma -Bari , Latena, 1987 , p . 251 .
2 ACSTV (A r chivio Centrale dello Stato di Treviso), f. Gabinetto di Prefettura, b. 92, cat. ctg 15 , fase. 10, opuscolo Ministero Interno alle Prefetture del Regno.
3 Richard Collier, La malattia che atterrì il mondo, Milano, Lursi a , 1980, p. 11.
4 ACSTV, ivi , Telegramma Ministero Interno alle prefetture del Regno, lo agosto 1918.
5 ACSTV, ivi, lettera del Comando supremo ai Prefetti del Regno, 16 agosto 1918.
6 R. Collier, op. cit., pp. 5-7 e 23-24.
7 P. Preto, op.cit ., pp. 251 -252.
8 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto l profughi in Italia durante la Grande Guerra, Roma - Bari, Latena, 2006,p. 241.
9 AcrY (Archivio Comun ale di Treviso), b. Morti 1918, registro I.
10 Municipio di Treviso,lnchiesta sulle abitazioni entro la cinta muraria. Brevi note, Treviso , s.i.d . (ma 1911). Il AcrY, Elenco dei poveri per l'anno 1911.
12 ACfV, b. Morti 1918, regis tro ll , deceduti in ospedale.
13 ACSTV, f . Archivio comunale, b. 3598, Risposta del Comune a una studiosa sulla presenza della pellagra , 1898.
14 ACTV, ivi, registri I e II.
15 ACSTV, ivi, b. 3493, Risposte ai quesiti dell'inchiesta agraria da parte dei medici condotti dei circondari e relazione finale del medico del Distretto di Treviso, 1877.
16 ACSTV, ivi, b. 22, cat . I , 7 -5 , Censimento per rifusione danni di guerra 1919.
17 ACTV, ivi, registro L
18 Renzo Toffolo, "Piovan" di una chiesa distrutta. Memoire di guerra di don Pietro Sartor 1917-1918, arciprete di Salgareda, s.d.l. a cura di Amministrazione comunale di Salgareda, 2007, pp. 310 e 305 .
19 Livio Vanz.eno, Introduzione a Ivo Dalla Costa , La vicenda Collalto e le popolazioni di Susegana e di Santa Lucia di Piave 1914-1923, s.d.l. e s.d.e.l991 , p XXXIV.
20 ACSTV, f. Ga binetto di Prefettura, b. 92, ctg . 15, fsc. l, relazione del Commissario del Civico Ospedale al Prefetto, 23 giugno 1926
21 Giovanni Gastaldo, Jl dottor Gastaldo medico , s.d.l., a cura dell' AJ.R.D.A 2008, p. 35
22 R. Toffolo , op.cit., p . 306.
23 ACTV, b. VIII/150/ 1904, Lettera del Sindaco al Prefetto, lO ottobre 1918.
24 ACTV, ivi, Circol are del Sindacu ai parroci della città, 14 ottobre 1918.
25 ACTV, ivi, Lettera della Direzione del Civico Ospedale al Sindaco, 16 ottobre 1918.
26 Archivio USL n. 9, Registro verbali del Consiglio di Amministrazione delle Opere Pie, seduta de19 mano 1919.
27 AVTV, Registro delle delibe re della Gi unta Comunale anno 1919, verbali delle sedute del26 gennaio e del 1° marzo 1919 .
28 P Preto, op.cit., p. 252.
29 P. Preto , op.cit., p. 253.