PAROLE COME ARMI

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Una guerra “moderna” Alberto Miorandi

Fondo Propaganda 1.1, b. 1, fasc. 1

Il breve testo del proclama con cui Vittorio Emanuele III esortava le Forze Armate italiane alla guerra con l’Austria, oltre a ribadire le ragioni storiche del conflitto, rassicurava i combattenti sulla qualità del nemico (“degno di voi”). Il linguaggio pubblico evocava la guerra come una manifestazione nobile della esperienza umana, occasione per manifestare forza e virtù. La realtà della Prima guerra mondiale fu invece quella di un conflitto brutale e crudele, spersonalizzante e massificato, per il quale milioni di uomini vennero prelevati da un mondo nel quale praticavano non il mestiere delle armi ma attività e professioni le più diverse, convocati dalle città e dai villaggi di provincia di Francia e Germania, Russia e Inghilterra, Italia, Serbia, Turchia, Stati Uniti, India, Nuova Zelanda, Sudafrica, Canada, da ambienti culturali lontanissimi. L’armamento disponibile permetteva di devastare il campo di battaglia, di colpire l’avversario da grande distanza; la tecnologia e il sistema industriale metteva a disposizione armi di ogni genere e in quantità immense: proietti e artiglierie, fucili, mitragliatrici e il relativo munizionamento, bombe a mano, bombarde e granate, aerei e sommergibili, lanciafiamme, gas letali... Armi con cui si poteva uccidere senza particolare coraggio, per le quali si moriva con il terrore nel cuore e la mente svuotata, senza vedere il nemico, senza potersi difendere. Alla crescita esponenziale degli armamenti corrispose la mobilitazione generale degli uomini; decine di milioni di individui furono impiegati su territori sterminati dove i combattimenti avvenivano fra trincee non di rado a contatto di voce, tra il “qua” e il “là” della “terra di nessuno”, nelle quali si parlavano – se prendiamo il fronte italo-austriaco - lingue diverse: tedesco, sloveno, croato, ungherese, ceco, slovacco, polacco, rumeno, italiano da una parte; italiano (sardo, siciliano, piemontese, veneto, napoletano...) dall’altra, che rendevano difficile il comunicare dentro un reparto e ancor più tra reparti diversi, figurarsi tra eserciti contrapposti. Eppure, di qua e di là c’era bisogno di sapere chi fosse il nemico: era improbabile che non si presentasse l’occasione di un qualche contatto, casuale o voluto, e che queste circostanze non sfuggissero a quanti pensavano alla guerra e alla vittoria secondo modi di azione e cercando strumenti nuovi per venire a capo di un conflitto sanguinoso che sembrava non dovesse avere mai fine. Se per tutti i comandi militari, i governi, i gruppi che orientavano l’opinione pubblica, quella guerra doveva essere vinta, tra i contendenti avrebbe prevalso chi fosse riuscito non solo ad interrompere l’afflusso di risorse materiali al nemico, ma avesse anche saputo motivare i propri soldati alla lotta e al sacrificio e, contemporaneamente, spegnere la fiducia dell’avversario nella vittoria. A raggiungere il primo obiettivo servivano il blocco commerciale e la guerra sottomarina; per il secondo ci volevano altre strategie, armamenti di tipo nuovo. Lo strumento individuato, quello più a portata di mano, il più originale – anche se antico –, il più umano in una 7


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