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Introduzione, pag
Sommario
Introduzione, pag. 4
Advertisement
Capitolo I – L’indipendenza degli Stati del Baltico pag. 14 La nascita dell’indipendenza lituana Le vicende dell’indipendenza lettone sino alla guerra di liberazione del 1919 Le vicende dell’indipendenza Estone
Capitolo II - La missione interalleata per il ritiro delle truppe tedesche dal Baltico, pag. 48 Il quadro generale politico-militare Gli avvenimenti militari in Livonia e Curlandia sino al maggio 1919 L’intervento dell’Intesa e le reazioni tedesche La guerra di liberazione lettone La Missione interalleata per il ritiro delle truppe
Capitolo III – Il generale Marietti e le sue “Osservazioni sul Baltico”, pag. 76
Capitolo IV - La formazione dello stato libero di Memel e l’occupazione lituana, pag. 94
Importanza e ruolo della “piccola Lituania” L’Alto commissariato francese e gli avvenimenti tra il 1920 e il 1923 L’occupazione lituana di Memel del 1923 Il progetto di convenzione
Capitolo V – Conclusioni, pag. 112
Appendice Giovanni Marietti – Appunti e osservazioni sugli stati baltici, pag. 119
Bibliografia, pag. 156
Introduzione
L’esame della situazione politico militare dei paesi baltici all’indomani della firma dell’armistizio tra le potenze dell’Intesa e la Germania nel 1918 rimane, almeno per la storiografia italiana, ancora poco esplorato. Molta della storiografia nazionale si è concentrata, soprattutto negli anni tra le due guerre, a illustrare i problemi dell’indipendenza dei paesi baltici con l’obiettivo di segnalare un nodo geopolitico derivato dalla pace di Versailles. Questo ha portato la pubblicistica a ricostruire la storia di questi paesi concentrandosi più che sulla ricostruzione degli avvenimenti, verso considerazioni di opportunità politica e di proposte che l’Italia avrebbe dovuto sostenere in sede internazionale.1 Le ragioni di ciò sono sicuramente da rinvenire soprattutto nella marginalità che questi paesi hanno rivestito per l’orizzonte degli studi italiani che si sono giustamente concentrati su altre aree dell’Europa Orientale sentite più vicine alla sfera di coinvolgimento per i problemi nazionali. Recentemente però una serie di studi sulla storia dei paesi baltici e anche di monografie sui singoli paesi hanno ripreso quella tradizione e hanno prodotto negli ultimi anni alcuni interessanti lavori2 che rappresentano il segnale di un rinnovato interesse per questi paesi all’indomani della loro indipendenza dall’Unione Sovietica avvenuta nel 1991 e soprattutto con la loro entrata nell’Unione Europea nel 2007. Accanto a questo elemento che può, a prima vista, giustificare la dimenticanza possiamo anche addurre però anche altre ragioni di ordine più generale che riguardano la vicenda stessa di questi paesi i quali, passati, nel corso della loro storia, dal dominio tedesco a quello russo riuscirono a recuperare e, per alcuni di loro, avere ex novo una autonomia statuale solo negli anni tra il 1918 e il 1939, periodo comunque troppo breve per inquadrare la loro vicenda nel problema della nazionalità e della nascita delle nuove realtà statali sulle ceneri degli Imperi centrali all’indomani della prima guerra mondiale. Province dell’Impero zarista sino alla pace di Brest Litowsk nel 1918, Lituania, Lettonia ed Estonia furono immediatamente occupati dopo quella data dalla Germania e la breve parentesi che va dal 1919 fino alla occupazione sovietica come risultato del patto di non aggressione firmato con la Germania hitleriana, riconsegnerà di nuovo queste terre alla loro dipendenza politica sovranazionale fino al 1991. Questi elementi ci portano ad introdurre qui in via preliminare alcune considerazioni generali su Versailles e il suo ruolo nella storia europea del XX secolo che fanno da sfondo alle vicende narrate e che debbono necessariamente essere tenute a mente per riuscire a comprendere anche l’importanza degli avvenimenti legati all’indipendenza baltica. Nel suo libro sulla Conferenza della Pace di Parigi, Margaret Mc Millan traccia da subito il problema centrale di quella sistemazione politica e militare europea: “fin dall'inizio la Conferenza di Pace si svolse in un'atmosfera di confusione circa la sua stessa organizzazione, gli scopi e le procedure da seguire. Vista la portata degli argomenti sul tappeto, ciò era probabilmente inevitabile.
1 Tra questi titoli i più interessanti sono quelli legati soprattutto alla riflessione sul problema di Vilnius: Lea Meriggi, Il conflitto lituano-polacco e la questione di Vilna, Milano, 1930; Lilio Cialdea, L’espansione Russa nel Baltico, Milano 1940; Costantino Camoglio, Lituania Martire, Roma 1929; Tito Frate, I problemi del Baltico, Roma 1940; Nicola Turchi, Nella Lituania indipendente, Roma 1920; Manfredi Gravina, Lituania, Polonia e Russia ed il nuovo aspetto della controversia per Vilna, Roma 1927; Umberto Ademollo, I confini dei nuovi stati baltici: Estonia, Lettonia, Lituania, Roma 1933; Alessandro Pavolini, L’indipendenza finlandese, Roma 1928: Nicola Turchi, La Lituania nella storia e nel Presente, Roma 1928 Molto diversa è la situazione invece degli studi di linguistica e della cultura baltica nel dopoguerra in cui la cultura italiana manifestò grande interesse per le lingue di questi paesi e in cui si distinse Giacomo Devoto con numerose pubblicazioni tra cui Le letterature dei paesi baltici: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Milano 1969 e con la redazione della rivista “Studi Baltici”. 2 Il più importante è il libro di Pietro U. Dini, L’anello baltico, profilo delle nazioni baltiche. Lituania, Lettonia, Estonia, Torino 1991; ma si segnalano anche la monografia di Claudio Carpini, Storia della Lituania: identità europea e cristiana di un popolo, Roma 2007 ed anche traduzioni di opere generali sui paesi baltici come quella di Ralph Tuchtenhagen, Storia dei Paesi Baltici, Bologna 2008. Questi volumi trattano gli avvenimenti dell’indipendenza in un quadro di storia generale e quindi offrono un quadro complessivo senza molto approfondimenti.
Le quattro grandi potenze – Gran Bretagna, Francia, Italia e Stati Uniti – programmarono degli incontri preliminari per accordarsi sulle condizioni da offrire, con l'intenzione di procedere in un secondo tempo a una Conferenza di pace a tutto campo in cui negoziare con il nemico. Sorsero subito dei problemi. Quando avrebbero potuto esprimere il loro punto di vista gli altri Alleati? Il Giappone, per esempio, era già una notevole potenza in Estremo Oriente. E i piccoli stati come la Serbia o il Belgio? Entrambi avevano perso più uomini del Giappone.”3 Stupisce ancor oggi infatti la brevità del periodo di questa conferenza preliminare che va dalla fine del 1918 alla primavera del 1919 in cui i negoziatori delle potenze dell'Intesa e gli altri diplomatici presenti a Parigi ebbero più in mente il quadro organizzativo e diplomatico del Congresso di Vienna che la reale esperienza di un conflitto maturato in condizioni del tutto diverse dalle guerre napoleoniche. Vi è però qualcosa in più da considerare per spiegare quella “confusione” di cui parla la Mc Millan e che non è solo lo scontro tra la semplificazione delle decisioni prese dalle singole potenze e la complessità dei problemi sul tappeto. Vi è anche lo scontro, diplomatico e di comportamenti, tra una vecchia concezione della sistemazione dei territori legata soprattutto alla mentalità dei paesi europei vincitori e una nuova diplomazia introdotta dal presidente americano Wilson legata alla trasparenza degli accordi e alla funzione dell'opinione pubblica come protagonista delle decisioni dei singoli governi. Non è nostro compito fare qui considerazioni generali sul senso di questo scontro e sul ruolo che esso ebbe nelle successive vicende, quello che interessa è considerare l’aspetto che molte delle decisioni prese in quella Conferenza derivavano anche da una parziale conoscenza delle questioni sul tappeto che venivano via via integrate soprattutto dalle missioni militari internazionali inviate nei luoghi più difficili dal punto di vista politico e che rappresentavano un prezioso strumento a disposizione dei decisori. Queste missioni internazionali fornirono così utili elementi di analisi a volte scarsamente considerati dalle rappresentanze diplomatiche presenti nella capitale francese.4 Ci pare quindi molto utile considerare nel dettaglio la vicenda della Missione internazionale per il ritiro delle truppe tedesche dal baltico che si riallaccia agli studi già pubblicati per altri paesi sulla base dei documenti forniti dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito5. I rapporti, le decisioni, le riflessioni di queste commissioni militari presentano non solo il vantaggio di una conoscenza particolareggiata degli elementi e delle dinamiche delle zone considerate ma, in più, obbediscono ad una logica, diremo così, operativa, in cui all'obiettivo principale della missione si accompagnano anche le testimonianze più immediate delle conseguenze politiche direttamente osservate . L’altro elemento politico che pesò sulla Conferenza della Pace fu l’espandersi della rivoluzione bolscevica. Il 1919 vide infatti, sulla scia della vittoria bolscevica nella guerra civile, la creazione in Ungheria della Repubblica dei Soviet di Bela Kun, l’occupazione delle fabbriche a Torino, la creazione di movimenti spartachisti in Germania. Un insieme vasto e articolato di esperienze politiche che impegnarono i negoziati in corso a tener conto in ogni momento che uno degli obiettivi della sistemazione diplomatica alla fine del conflitto era di impedire in ogni modo lo stabilizzarsi in altri paesi delle parole d’ordine di quella rivoluzione. Che la potenza militare sovietica fosse dall’Intesa a volte sopravvalutata6 non deve farci dimenticare che molta parte
3 Margaret Mac Millan, Parigi 1919. Sei mesi che cambiarono il mondo, Milano 2006, pag. 7 4 Nel caso del baltico si ricordano la Missione inglese del generale Cough o quella francese del colonnello Du Parquet. 5 I principali sono quelli relativi alla Russia, Antonello Biagini, In Russia tra guerra e rivoluzione, La missione militare italiana 1915-1918, Roma 1983; Alessandro Gionfrida, Missioni e Addetti militari italiani in Polonia (1919-1923), Roma 1996 e Guido Romanelli, Nell'Ungheria di Bela Kun e durante l'occupazione militare romena. La mia missione (maggio-novembre 1919), a cura di Antonello Biagini, Roma 2002 6 “Ciò che dominava nell’insieme di questi problemi era la crisi sovietica segnata prima dalla guerra civile (1919-1920) e poi dall’evidente affermarsi del potere rivoluzionario (1920-1922). Proprio il successo di una forza che metteva al centro della sua azione politica la bandiera della rivoluzione mondiale, e proprio l’eco che questo appello suscitava nel resto dell’Europa condizionavano le percezioni degli statisti occidentali, che non avvertirono adeguatamente le difficoltà interne al potere sovietico.” Ennio di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1918-1999, Bari 2000, pag.12
dell’opinione pubblica di tutti i paesi europei abbia visto nelle idee provenienti da Pietrogrado l’alternativa reale e concreta alla politica diplomatica di spartizione di paesi come Francia, Gran Bretagna o Italia e soprattutto un’alternativa meno fumosa politicamente dei quattordici punti enunciati dal Presidente Wilson che con il principio di autodeterminazione riprende in maniera puntuale gli stessi temi enunciati da Lenin nel suo decreto per la pace.7 La politica di contenimento dell’espansione bolscevica voluta dall’Intesa nel 1919 e, nello stesso tempo, la sconfitta della Germania e quindi il ritiro delle truppe di occupazione dai territori non tedeschi del nord pone così la vicenda del baltico più che ai margini della carta europea proprio al centro di questi nodi politici e ne fa un punto di osservazione di estremo interesse. I paesi del baltico subiscono le tensioni irrisolte che la guerra pone in primo piano e che si manifesteranno all’interno di quella cornice dettata dalle decisioni di Versailles. La missione interalleata destinata ai paesi baltici risponde quindi a questa impostazione e mostra quanto le direttive stabilite a Parigi furono efficaci e quanto invece ai singoli rappresentanti militari delle varie nazioni fu affidato anche il compito di dirimere molti punti politicamente delicati. La vicenda contemporanea è però strettamente legata alla tradizione politica di queste terre che nel corso della loro storia hanno convissuto sempre come dominio o in unione con altre realtà statuali. Senza richiamare nel dettaglio8 queste vicende possiamo ricordare che il rapporto con la Polonia, la Prussia Orientale tedesca e l’Impero Russo ne hanno determinato sviluppi, evoluzione sociale e culturale e vicende più o meno varie di oppressione. Questa vicenda storica che invece dovrà essere analizzata nel dettaglio per i secoli XIX e XX pone il problema dell’immersione di questi paesi all’interno di altre storie nazionali mancando quindi di un autonomo sviluppo. Tuttavia questo sviluppo vi fu ed ebbe a differenziare in modo puntuale i singoli paesi tanto che risulterebbe del tutto inspiegabile la loro vicenda contemporanea se non se ne richiamasse qui brevemente la vicenda. Domini feudali dell’Ordine Teutonico le regioni dell’odierna Lettonia ed Estonia subirono nel corso dell’età moderna una dominazione che alterna le popolazioni tedesche con quelle scandinave. E’ sotto il regno svedese che la Livonia, la Latgallia e l’Estonia entrano nell’orbita insieme con la Finlandia della dominazione centralistica di Stoccolma e proiettano sul mare il loro sviluppo. Le città anseatiche tedesche come Brema, Amburgo, Lubecca, Kiel sviluppano i loro traffici con i porti di Riga, di Tallin ma il centro strategico politico e militare rimarrà per lungo tempo la Svezia anche attraverso il controllo delle isole Aland vero punto nevralgico di tutta l’area. La convivenza tra svedesi e baroni baltici tedeschi fu favorita anche dallo stretto rapporto che la guerra dei 30 anni aveva sviluppato tra le coste tedesche e quelle svedesi e il connubio attirò in modo profondo queste regioni all’interno di quell’ orbita. Altre regioni dell’attuale Lettonia come la Curlandia furono invece dominio diretto della Prussia orientale sino a divenire regione strettamente legata alla antica capitale dell’Ordine, Königsberg.
7 Negli ambienti socialisti rivoluzionari torinesi, ad esempio, la dottrina di Wilson viene addirittura assimilata ad una possibile espressione politica del marxismo per i paesi evoluti dal punto di vista capitalistico: “Wilson è il vivente simbolo della realizzazione dell’internazionalismo nei paesi anglosassoni come perfettamente speculare a quello propugnato dal marxismo: le sue parole sono alla stregua di una civiltà che per i socialisti rappresenta il presupposto del loro trionfo. Il mondo capitalista ha raggiunto in Wilson la consapevolezza della sua funzione e la volontà di organizzarsi internazionalmente in una forma che sconfina con l’organizzazione del proletariato fatto padrone dei suoi destini” Antonio Gramsci, Wilson e i socialisti, in Il Nostro Marx (1918-1919), Torino 1984, pag. 315. Sull’origine bolscevica dei 14 punti si veda l’analisi di Edward H. Carr, La rivoluzione bolscevica 1917-1923,Torino 1964, pag. 808-809 8 Sulla storia dei paesi baltici dal medioevo all’età moderna si veda, oltre ai volumi di Dini e di Tuchtenhagen, anche i lavori di Jean Mevret, Histoire des Pays Baltiques, Paris 1934; Hugo Vitols, La mer Baltique et les Etats Baltes, Parigi 1935; Foreign Office, Historical section Courland, Livonia and Esthonia, London 1920. Per i singoli paesi: Louis Villecourt, L’Estonie, Paris 1932; Toivo U. Run, Estonia and Estonians, Stanford, 2001; Henry de Chambon, Origines et Histoire de la Lettonie, Paris ; Id., La Lithuanie Moderne, Paris 1933. Per una nozione generale sulla conformazione geografica e fisica dei paesi baltici, Ethel Gertrude Woods, The Baltic region: a study in physical and human geography, London 1932.
La Lituania subisce invece una sorte diversa. Come Granducato e quindi già costituitosi originariamente in entità statale autonoma nel corso del medioevo fu associato alla corona di Polonia e partecipò all’estensione territoriale di questo regno sino ai confini del mar Nero. La costruzione di uno stato paritario attraverso una politica matrimoniale perseguita nel corso del XV secolo portò così la Lituania a fornire alla casa regnante di Polonia il sovrano che dovrà legarsi a Bonza Sforza e introdurre il Regno di Polonia e Lituania in una prospettiva culturale e politica europea partecipando delle vicende delle grandi monarchie del rinascimento.9 La diversa vicenda storica di questi stati è unificata dal sorgere della potenza del ducato di Mosca. La formazione dell’Impero russo e la sua progressiva estensione verso occidente porterà queste regioni a subirne l’influsso politico e culturale prima e il dominio amministrativo poi. Nel corso del XVIII secolo la seconda e la terza spartizione della Polonia operata dalla Prussia, dall’Austria e dalla Russia portarono alla fine di un regno polacco già comunque entrato nell’orbita russa da almeno ottant’anni. L’opera iniziata da Federico II, Maria Teresa d’Austria e Caterina giunse alla sua sistemazione definitiva nel 1795 eliminando qualunque riferimento al passato e rendendo province amministrative quello che era stato il regno più importante dell’Europa orientale in età moderna insieme a quello svedese. La nascita dell’impero russo con la pace di Nystad del 1721 e con la fine del regno polacco aveva visto la creazione di provincie imperiali russe che comprendevano l’Estonia, l’attuale Lettonia, la maggior parte della Lituania e parte della Polonia, dividendo il territorio polacco e una sottile parte del territorio lituano assegnato al potere diretto della Prussia. Questa suddivisione non portò però ad una semplice divisione politica tra i due stati. In realtà le connessioni tra amministrazioni russe e tedesche ebbero in queste regioni una diretta collaborazione in cui si poteva avere una dominazione economica e amministrativa composta da funzionari russi e da baroni baltici tedeschi in Estonia, Curlandia, Livonia e Latgallia mentre vi era un dominio economico della nobiltà polacca anche in presenza di amministrazioni russe o tedesche in Lituania. La compresenza di queste èlites e la continuità sostanziale dei gruppi dominanti legati tra loro da accordi politici od economici ha avuto come risultato la messa ai margini delle popolazioni autoctone e le ha accomunate allo stesso destino di un silenzio politico interrotto solo dai tentativi di conversione forzata a religioni le più diverse e a subire inoltre sfruttamenti economici delle proprie risorse che prendevano la strada dei grandi fiumi come il Niemen o la Vistola e giungevano alla loro destinazione russa, tedesca o svedese. La storia delle popolazioni estoni, lettoni e lituane è quindi un tentativo riuscito di resistere a queste forme di oppressione politica, economica e culturale e il risultato di questa resistenza comincia a dare i suoi frutti nel corso del XIX secolo in cui si manifesta in Europa l’idea di nazione e in cui la trasmissione delle parole d’ordine di autogoverno, cultura nazionale ed autonomia dei popoli cominciano a circolare in modo sempre più forte. Possiamo dire che la presenza di tutti questi elementi è il quadro anteriore alle vicende relative all’indipendenza nazionale del Baltico che diventa quasi incomprensibile se non le colleghiamo allo sviluppo dei secoli precedenti una continuità di azione e soprattutto alla formazione di progetti di indipendenza molto differenti tra loro. Affermare dunque che la Lituania presenti nella sua pregiudiziale antipolacca un punto fermo che la porterà al progressivo isolamento nell’Europa del XX secolo non trova spiegazioni se non nella vicenda lituana di una progressiva decadenza della propria unità statale granducale a contatto con la nobiltà polacca che tenterà in ogni modo di stratificarsi all’interno di quei territori sino a divenire largamente presente nelle città e nei gangli vitali di questo territorio. La rinascita storica malamente interpretata dalla politica lituana contemporanea va letta quindi come un “ritorno alle origini” ad una ricerca di quel riscatto storico che non aveva alcuna ragion d’essere nel quadro della politica internazionale dopo il primo conflitto mondiale. Ma è esattamente quel collante politico che contraddistingue da subito la Lituania
9 Su questo tema si veda Giovanna Motta, Bona Sforza una regina del Rinascimento, in Giovanna Motta (a cura di), Regine e Sovrane. Il potere,la politica, la vita privata, Milano 2006, in particolare pag.18
indipendente disposta a tutto pur di non aver più a che fare con il suo antico alleato. Lo stesso vale per paesi come la Lettonia o L’Estonia che costituiti come nazioni indipendenti nel corso della fine del conflitto si pongono in modi differenti e con scelte politiche opposte il problema di eliminare per sempre l’élite nobiliare tedesca in economia e l’amministrazione russa per poter condurre i propri affari interni. Riflettendo ulteriormente su questa esplosione del sentimento nazionale o nazionalista, per i suoi detrattori, non si può fare a meno di considerare che, a differenza delle popolazioni dell’Impero Austroungarico o di quello Ottomano, il costante tentativo di queste nazioni dominanti è stato sempre quello di eliminare progressivamente ogni traccia della cultura e della struttura sociale di questi popoli prima con tentativi di repressione violenta della loro cultura fino poi con l’introduzione di altre popolazioni tedesche, russe o polacche sino alla creazione nel corso dei secoli, ad esempio, in questi territori della più grande concentrazione di popolazione ebraica di tutta l’Europa che appare la conseguenza di una strategia condotta anche con l’obiettivo di eliminare o di rendere minima la presenza delle popolazioni che abitavano da sempre queste regioni. Dimenticare tutto ciò nell’analizzare le vicende baltiche contemporanee significherebbe ridurle semplicemente ad un gioco di politica internazionale o di pedine di una grande scacchiera dove la popolazione residente diviene funzione semplicemente di disegni più vasti. Questa impostazione tipica di molta storiografia tra le due guerre e non solo italiana deve ormai cedere il passo ad analisi più serene e concentrate sulla specificità e sulla originalità di ogni singolo paese baltico a contatto con quegli avvenimenti. Dopo un periodo di contrapposizione molto forte tra la ricostruzione storica affidata a studiosi lettoni, lituani ed estoni tesi a ribadire la giustezza dell’indipendenza di questi paesi che è giunta talvolta sino alla deformazione di alcuni episodi cruciali della propria storia recente10 e l’interesse di studiosi di altri paesi di considerare il baltico semplicemente nell’ottica del gioco delle grandi potenze11 è giunto ormai il tempo di riprendere puntualmente questi studi con l’intento più modesto ma anche più fruttuoso di ricominciare la
10 Questa impostazione ci riporta a quel filone “rivendicativo” di cui si servirono molti storici per la ricostruzione dell’indipendenza baltica citati precedentemente. Accanto alla storiografia nazionale baltica inserirei alcuni lavori che invece si pongono l’obiettivo di fare chiarezza sui “dominatori” e sulla loro storia. Tra questi narratori della indipendenza vi è senza dubbio Georg Von Rauch che nel suo Die Geschichte der baltischen States, Berlin 1970 ha, con intelligenza, sottolineato come il rapporto tra mondo tedesco e baltico fosse più complesso e sfumato della semplice oppressione feudale ad opera di una minoranza sfruttatrice così descritti dalla storiografia nazionale estone o lettone. Il lavoro di Von Rauch mette bene in luce come in generale la storia baltica sia frutto di uno scontro tra popolazioni minoritarie dominanti e popolazioni colonizzate in cui i rapporti tra gli uni e gli altri non si fermano semplicemente ad una esclusione ma anche il frutto di una progressiva assimilazione della componente culturale dei dominatori sino a divenire, essi stessi, parte di quella nazione. In questo segmento vanno inseriti anche dei pregevoli lavori relativi alla comunità ebraica lituana come quello di Masha Greenbaum, The Jews of Lithuania: a History of a Remarkable Community 1316-1945, Gerusalemme 1995 in cui si mostra il rilievo che questa ebbe nelle vicende nazionali e internazionali sino alla nascita proprio nell’atmosfera dell’indipendenza lituana a Vilnius di correnti politiche che porteranno poi alla formulazione della dottrina sionista ad opera di Hertz. Il rovescio della medaglia di questo nazionalismo è invece testimoniato dallo sterminio negli anni tra il 1939 e il 1945 di questa comunità in cui la popolazione lituana ebbe un ruolo centrale insieme al nazismo prima e allo stalinismo poi. Su questo si veda soprattutto Karen Sutton, The Massacre of the Jews of Lithuania, Gerusalemme 2008. 11 Tra i lavori veramente notevoli in questo senso va situato quello di Stanley W. Page, The Formation of the Baltic States: A Study of the Effects of Great Power Politics upon the Emergence of Lithuania, Latvia, and Estonia, Cambridge Ms, 1959. Il lavoro di Page denso di considerazioni e di ricostruzioni storiche condotte sulle fonti inglesi, statunitensi, russe e tedesche è l’antesignano di quelle analisi dell’indipendenza dei paesi baltici che hanno al loro centro il ruolo che questi paesi ebbero nella politica internazionale di quegli anni. Il Baltico visto quindi come paradigma politico e militare di una situazione europea che si avviava in quegli anni a consumare la crisi del Trattato di Versailles e si avviava verso la seconda guerra mondiale. All’interno di questo filone di studi possiamo, a diverso livello di qualità e raffinatezza dell’analisi storica, porre anche Anatol Lieven, The Baltic revolution. Estonia, Latvia Lithuania and the Path of indipendence, London 1993 in cui la vicenda dell’indipendenza è proiettata nel ruolo dei paesi baltici durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il libro di Lieven metodologicamente porta la stessa impostazione analizzando quest’area geopolitica nell’ottica delle potenze internazionali e della guerra fredda.
riflessione su queste realtà anche utilizzando nuovi contributi documentali e nuove testimonianze. 12 In questo filone sono quindi da ascrivere nuovi lavori che attraverso lo scavo delle fonti sono riusciti a ricondurre alcune vicende puntuali della indipendenza baltica ad una loro chiarificazione attraverso osservatori indipendenti internazionali. Questi lavori inaugurano quindi, anche per questi paesi, una ricerca sistematica della documentazione che possa riprendere e rinnovare sia la storia peculiare di ogni singolo paese sia il ruolo d’insieme nelle vicende internazionali.13 I versanti degli studi storiografici sull’argomento possono quindi essere così riassunti velocemente. Da una prima fase di raccolta documentale legata alle vicende nazionali e a studi internazionali sui paesi baltici condotti negli anni tra le due guerre vi è stata poi un interesse crescente a rivedere, sulla base delle mutate condizioni storiche e politiche intervenute, il ruolo del baltico come scacchiere delle grandi potenze sino a giungere a nuovi studi puntuali e raccolte documentali che riaprono il problema di una nuova analisi delle peculiari situazioni che può gettare luce anche sulla complessità dei rapporti tra stati baltici, Germania e Russia da un lato e il ruolo delle potenze dell’Intesa dall’altro.14 All’interno di questa ricostruzione che non tralascia gli aspetti internazionali del problema dell’indipendenza baltica si pone quindi il presente lavoro che prende in esame la vicenda della guerra di liberazione lettone del 1919 alla luce delle fonti, in gran parte inedite, dello Stato Maggiore dell’Esercito. Questo materiale di archivio è stato già oggetto di un saggio di Antonello Biagini che ha avuto il pregio di aver riportato alla luce i documenti italiani della Missione internazionale bilaterale germano-alleata incaricata del ritiro delle truppe tedesche dal fronte lettone. Biagini ha sottolineato come questa missione contenga anche una serie di documenti che riguardano considerazioni politiche e sociali che il suo protagonista, il generale Giovanni Marietti, svolge e sottopone all’attenzione del suo Capo di Stato Maggiore. Vi sono quindi due aspetti principali da considerare: il primo è il resoconto diremo così “ufficiale” della missione che di per sé rappresenta una integrazione alla documentazione e alla memorialistica su quell’episodio15; il secondo riguarda invece il metodo seguito da Marietti nel tracciare i problemi relativi a quell’area e la capacità di
12 E’ quello che in questi anni ha condotto la ricerca di alcuni studiosi, soprattutto di area statunitense, in cui il richiamo alle vicende dell’indipendenza cerca di unirsi alla riflessione sull’ingresso nella modernità di questi paesi trascinati dal conflitto mondiale ad una coscienza di sé anche in relazione alle culture che li avevano sino a quel momento dominati. Tra i lavori più interessanti su questo versante vi sono, ad esempio, quelli che analizzano la cultura tedesca e il mondo baltico di Vejas Gabriel Liulevicius, War Land on the Eastern Front: Culture, National Identity, and German Occupation in World War I, Cambridge UK 2000 e The German Myth of the East: 1800 to the Present, Oxford 2009. 13 Su questo versante è il lavoro di Rolandas Makrickas, Santa Sede e Lituania. La rinascita dello stato lituano nei documenti dell'Archivio della nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera (1915-1919), Roma 2006 e quello di Isabelle Chandavoine, Les Français à Klaipėda et après (1920-1932), Vilnius 2003. Il primo è una raccolta di trascrizioni diplomatiche di documenti della Nunziatura di Monaco che getta nuova luce sulle relazioni internazionali della Lituania durante il primo conflitto mondiale, il secondo è una ricostruzione su fonti dell’archivio francese della missione a Memel di grande interesse per comprendere il ruolo delle grandi potenze nel baltico. 14 Su questo versante è utile segnalare un lavoro collettivo piuttosto recente sulla Lituania che si concentra proprio su questi nuovi aspetti interni e internazionali, Alfonsas Eidintas, Vytautas Žalys, Alfred Erich Senn, Lithuania in European Politics, The years of the first Republic, 1918-1940, New York, 1999. Non va dimenticato invece l’enorme lavoro di documentazione storica che da anni conducono il Nordost Istitut für Kultur und Geschichte der Deutschen in Nordost Europa an der Universität Hamburg e la Baltische Historische Kommission. A questi istituti di ricerca va aggiunto anche l’Association for the Advancement of the Baltic Studies con sede a Seattle dove viene pubblicata la rivista “Journal of Baltic Studies”. Per completare i centri di studio sul mondo baltico va segnalato, per la Lituania, anche il gruppo di studiosi francesi che si raccoglie sotto la rivista “Cahiers Lithuaniens” a Strasburgo. 15 La missione internazionale è stato un episodio centrale della guerra di indipendenza lettone del 1919. La descrizione degli avvenimenti è stata riportata dal comandante di quella missione, il generale Niessel, in L’èvacuation des pays baltiques par les Allemands: contibution à l’ètude de la mentalitè allemande, Paris 1935. Il maggiore dettaglio sulla questione è però opera del comandante francese della missione alleata a Riga che ne ha fornito un dettagliato resoconto in Emanuel Du Parquet, L’aventure Allemande en Lettonie, Paris 1926. Il volume di Niessel è però una riflessione a posteriori degli avvenimenti del 1919. Nel 1935 il generale richiama quell’episodio sopratutto per valutare la nuova rinascita militare tedesca ad opera del nazismo. Il volume di Du Parquet è invece la cronaca minuta degli avvenimenti della guerra germano-lettone ma non si occupa direttamente del ritiro delle truppe tedesche.
mettere a fuoco i principali problemi dei paesi baltici all’indomani della conquista della loro indipendenza.16 Il desiderio di approfondire l’intero fondo dei paesi baltici dell’Archivio dello Stato Maggiore ha quindi comportato la necessità di un ulteriore esame dei documenti per ricavare da questi ulteriori elementi di analisi. Possiamo quindi dire che il materiale contenuto in questo archivio sicuramente merita attenzione per integrare la ricostruzione di alcuni avvenimenti relativi alla campagna del Baltico da parte delle truppe volontarie tedesche di Von der Goltz ma il fondo archivistico riesce a documentare anche altri episodi relativi al baltico come l’occupazione lituana del porto di Memel che verrà seguita da Marietti a Parigi nella sua veste di rappresentante italiano nella Commissione Militare Alleata. L'insieme delle notizie e della documentazione rimasta, anche attraverso le osservazioni sui paesi baltici scritte dal generale e riportate in Appendice, ci permette di tracciare un quadro abbastanza chiaro e pieno di nuovi particolari su molti episodi relativi ai paesi baltici tra il 1919 e il 1924 ma soprattutto ci offre un punto di vista, quello italiano, sinora inedito. Per poter inquadrare la documentazione è stato quindi necessario ricostruire non solo la storia di questi paesi a partire dai primi anni del XX secolo ma integrare il quadro dei problemi presentati dalle fonti italiane con le ricerche che, sul piano internazionale, sono state condotte sin qui sui vari argomenti. Esaurire però un argomento così vasto come l’insieme dei paesi baltici tenendo sott’occhio la pubblicistica che è stata prodotta in questi anni è compito assolutamente impossibile. L’insieme degli studi tedeschi, statunitensi, inglesi e francesi sul baltico forma una biblioteca di centinaia di volumi. A questi va aggiunta la sterminata serie di documentazione e studio prodotta in lingua russa, estone, lettone e lituana che per la mancanza di conoscenze linguistiche adeguate non è stato possibile consultare. Ma questo studio non si propone di fornire una disamina esauriente di tutti gli avvenimenti relativi all’indipendenza baltica quanto quello, più modesto, di integrare con le fonti italiane, la documentazione relativa a quegli episodi dal punto di vista delle forze dell’Intesa che parteciparono attivamente a creare i nuovi stati. Riprendendo alcune considerazioni dell’introduzione di Stanley Page al suo volume sull’importanza dello studio delle fonti delle nazioni dell’Intesa per comprendere gli avvenimenti del baltico va comunque sottolineato che, in questi anni, anche le ricerche avviate in Lettonia, Lituania ed Estonia hanno ricominciato la riflessione sulla questione dell’indipendenza uscendo dal cliché nazionalista che lo stesso Page attribuiva loro.17 Il livello di informazione inviato dunque allo Stato Maggiore italiano e alla Conferenza Militare Alleata a Parigi risulta quindi interessante per ricostruire, ancora una volta, queste vicende. Il contributo dei militari italiani nel partecipare anche a missioni internazionali in cui non vi era un interesse immediato di politica estera da parte del governo italiano ci permette di assumere questa documentazione come un osservatorio indipendente delle vicende che descrivono. Nel momento in cui tali vicende assumono l’aspetto di veri e propri nodi politici per l’equilibrio europeo le considerazioni svolte a caldo possono essere utili testimonianze per comprendere la dinamica delle forze in campo e le varie posizioni in gioco. La questione, ad esempio, delle relazioni tra Lituania e Polonia e quindi il ruolo che ebbe la decisione da parte di Parigi di mantenere Vilnius sotto la sfera d’influenza polacca generò una forte tensione con la Lituania sino a spingere quest’ultima a cercare l’aiuto dell’Unione Sovietica rovesciando così tutti i disegni di stabilizzazione di uno spazio politico antibolscevico nella regione. La restituzione di Vilnius alla Lituania negoziata nel 1920 con i bolscevichi fece quindi guadagnare alla Lituania la fama di nazione non affidabile presso gli Alleati ma la cui inaffidabilità era diretta conseguenza di una decisione voluta dalla Francia con un appoggio quasi incondizionato al nuovo governo polacco. In questo modo le iniziali ragioni politiche che avevano determinato l'entusiasmo delle popolazioni nell’assicurare la rinascita delle
16 Antonello Biagini, Alle origini dell’indipendenza baltica in età contemporanea, in “Fra Spazio e Tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa”, vol.111, Napoli, 1995 17 S. Page, cit. Preface, pag. VII per quanto riguarda questi studi recenti da parte lituana è già un prodotto di questa nuova impostazione il volume a cura di Alfonsas Eidintas cit.
nazioni baltiche subiva una forte incrinatura. Le fonti italiane su questo problema ci presentano quella scelta come frutto più di un compromesso nato all’interno del contrasto franco-inglese che una vera e propria proposta di soluzione. Non è quindi solo all’interno della linea antipolacca del governo lituano che va cercata la causa di quella scelta. Il ruolo degli Alleati non appare più in questo caso come quello di arbitri internazionali ma è esso stesso protagonista attivo del problema con tutte le contraddizioni positive e negative di questa azione. Il caso forse più emblematico in questo senso riguarda la questione del territorio libero di Memel a cui si è spesso fatto riferimento alla soluzione trovata dalla Conferenza di pace come parallela a quella di Danzica evidenziandone similitudini e analogie. In realtà la vicenda di Memel si inserisce in una più complessa dinamica di scontri tra gli obiettivi dell’Intesa, la presenza di minoranze linguistiche ed etniche divise come quella lituana e il revanchismo dovuto alla mancata soluzione della vicenda di Vilnius che impedì qualunque colloquio tra Lituania e Polonia trascinando ambedue in una crisi che impedì qualunque possibilità di creare uno spazio politicamente stabile tra Germania e Russia sovietica. La storiografia inglese e francese ha approfondito il problema degli stati baltici soprattutto analizzando gli effetti del ruolo che nel periodo 1919-1921 ebbe a sostenere la Polonia di Pilsudski come strumento efficace contro i bolscevichi. Ci si rende conto però quasi immediatamente che l’aver abbandonato un appoggio a questi territori per le necessità più cogenti degli interessi nazionali delle grandi potenze ha, di fatto, reso impossibile la creazione di una più concreta alternativa alla presenza dei sovietici o dei tedeschi nel baltico. Ad una prima lettura può sembrare infatti che, per le potenze vincitrici e in piena contraddizione con la questione della nazionalità, una volta risolto il problema della creazione territoriale di un isolamento tra Germania e Unione Sovietica, i problemi politici che vivono e si muovono oltre il confine polacco non rivestano molta importanza ma è proprio a partire da questo punto che i paesi baltici rappresentano un interessante osservatorio di questa ambiguità. Durante la fase dell’armistizio nel 1918 da parte degli Alleati non si esita, per esempio, a chiedere alle truppe tedesche di divenire forze militari di resistenza alla espansione bolscevica. Questo crea una situazione molto complessa dal punto di vista politico anche a causa dell’iniziativa del governo lettone di richiamare volontari tedeschi a difesa del proprio territorio con probabili promesse di nuove terre e di colonizzazioni in quella regione. Nel giro di pochi mesi si passa quindi dall’obiettivo, sostenuto dai francesi di un contenimento della Germania all’interno dei confini del 1914 ad una fase di propaganda basata sull’autonomia e l’indipendenza di queste nazioni con la decisione da parte dell’Intesa di liberare queste regioni dai tedeschi attraverso uno sgombro forzato di quelle truppe. Viste in un ambito più generale l’Estonia, la Lettonia e la Lituania escono sicuramente dal conflitto mondiale restituite alla loro possibilità di autodeterminazione: dalla antica dominazione zarista si vedono proiettate verso un destino di indipendenza e di autonomia dal crollo militare della Russia imperiale. Questi territori resi indipendenti da un primo trattato di pace bilaterale tra Russia e Germania possono quindi aspirare finalmente a cercarsi un ruolo all’interno dell’Europa e a formare i loro quadri politici e militari. Per altro verso però gli stessi paesi subiscono contemporaneamente due fattori di grande tensione interna: il primo è l'invasione tedesca conseguente all’Armistizio del 1918 il secondo è l’interesse della Francia e della Gran Bretagna nell’affrontare il problema delle regione del nord con il solo fine di contenere l’espansione del bolscevismo: tra il 1918 e il 1920 prima e durante la guerra civile russa, l’obiettivo che viene attentamente perseguito dalle cancellerie di questi paesi è infatti la riorganizzazione delle forze antibolsceviche di qualunque orientamento senza preoccuparsi dei veri fini di queste forze militari sul campo. Tra nostalgici dell’impero russo, colonizzatori tedeschi della nuova Germania e spinte di indipendenza legittime delle popolazioni giunte alla fine del dominio dei grandi imperi, l’unica risposta sul piano politico da parte dell’Intesa sarà quella di creare una nuova potenza politica e militare come la Polonia che doveva, per un verso, contrastare e contenere l’espansione tedesca verso est e per altro verso resistere alla volontà sovietica di rioccupare i territori dell’ex impero zarista persi con il trattato russo-tedesco del 1918. La creazione della Polonia e le sue vicende politiche militari e diplomatiche successive sono, allo 12
stesso tempo, dal punto di vista politico e strategico però anche l’abbandono di una centralità di tutti i paesi baltici nella strategia di contenimento russo con il conseguente ritorno di questi ultimi ad una frammentazione che sarà fatale per il destino di tutta la regione. Per chiarire tutti questi punti l'Archivio dello Stato Maggiore dell'Esercito presenta dunque una documentazione non molto estesa e piuttosto compatta relativa soprattutto alle vicende citate. Accanto a queste vi sono poi una serie di documenti relativi alla questione delle forze antibolsceviche piuttosto interessanti e a quelle relative alla questione di Danzica e di Memel. Si ritiene quindi di dover dare conto in maniera minuta di questa documentazione per descrivere soprattutto i materiali presenti in archivio di cui alcuni di notevole interesse. Accanto a questa descrizione è stato operato un confronto soprattutto per chiarire meglio la vicenda dell’occupazione lituana di Memel con gli Archivi della Società delle Nazioni a Ginevra18. Questo confronto ha messo in luce il contesto diplomatico internazionale entro cui quell’episodio maturò e quale fu il dibattito provocato soprattutto dai tentativi lituani di esporre le proprie ragioni in sede di Società delle Nazioni. Questo confronto ci ha permesso inoltre di chiarire meglio alcune considerazioni del generale Marietti che si trovava a Parigi in veste di rappresentante italiano per la Commissione Internazionale del Disarmo. Ci si è soffermati quindi sulla documentazione ufficiale che tratta il problema delle forze internazionali francesi e dell’invasione successiva delle truppe lituane e in cui la posizione italiana in sede internazionale su quel problema viene inquadrata e considerata. Il lavoro presenta quindi una struttura strettamente cronologica per rendere più chiara anche la lettura della documentazione. Questa impostazione riflette quindi una certa provvisorietà nelle conclusioni dei singoli capitoli perché la necessità primaria in questo momento era cercare di rendere il più possibili chiari i temi e le considerazioni delle fonti italiane. Si è rimandato quindi alle conclusioni una riflessione più generale sulle vicende di questi anni e anche alcuni spunti per un approfondimento successivo. Non si tratta quindi di un lavoro esauriente su tutti gli aspetti dell’indipendenza baltica quanto la prima ricognizione puntuale di archivi documentali dei testimoni italiani i quali hanno avuto un ruolo non secondario nel seguire gli accadimenti, analizzare i complessi contesti politici ed che potranno offrire nuovi spunti e riflessioni alla storiografia degli altri paesi su queste questioni.
Il presente lavoro si compone quindi di quattro capitoli in qui nel primo si fornisce il quadro generale delle vicende dei paesi baltici tra il 1905 e il 1919. Nel secondo si ricostruisce, secondo la documentazione italiana il ruolo dei tedeschi e delle truppe di occupazione tedesche utilizzate dagli Alleati, in un primo momento, in funzione antibolscevica e il ruolo dei russi bianchi e il loro effettivo peso al fine di interrompere e rovesciare, a partire da queste regioni, la rivoluzione bolscevica e l'appoggio dato loro dalle potenze alleate. In questo contesto la guerra di indipendenza della Lettonia diviene il punto centrale da cui prenderà le mosse la missione internazionale per il ritiro di queste truppe dal baltico. Nel capitolo terzo si prenderà in considerazione invece il quadro politico, sociale ed economico che il saggio di Marietti sul baltico mette in luce e che riguardano una serie di aspetti molto interessanti sulla condizione stessa degli stati baltici e del loro effettivo ruolo politico nell’Europa uscita dalla guerra. Nel quarto capitolo si cercherà di ricostruire invece la vicenda posteriore del conflitto tra Polonia e Lituania per il possesso di Vilnius e l’occupazione del territorio di Memel posto dal Trattato di Pace sotto controllo internazionale. Anche in questo caso le vicende osservate e testimoniate da Marietti forniscono un punto di osservazione originale. Si ricorda infatti che una ricerca su questo periodo e in queste regioni rappresenta ancora oggi per gli studi italiani una ricerca ai suoi primi passi e che risulta essenziale ripercorrere queste vicende. Ripartendo dalle costituzioni in stati indipendenti realizzate negli anni immediatamente successivi
18 Vi è stata la possibilità di prendere conoscenza con i documenti internazionali relativi alla questione attraverso lo studio dei documenti presso l’archivio e la biblioteca della Società delle Nazioni a Ginevra. Il periodo di studio, finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha permesso una ricognizione di tutto il materiale relativo al Baltico che viene estesamente descritto, insieme alle fonti italiane dello Stato Maggiore, nella relativa sezione della bibliografia.