giudica semiticamente intrise di « stanchezza» e di «intima malinconia»4). Una tempesta interiore che si quieta ed illimpidisce grazie all’assunzione dell’ideale di un’«Italia più grande»5 come somma ragione di vita. Torsione verso una forma di laica trascendenza – la religione della patria, interpretata a partire da una nozione di identità che in Stuparich sarà sempre di impronta culturale e mai biologistica6 – verso la quale lo conduce e lo educa l’esempio dei genitori. Il padre è vicino alle posizioni dell’irredentismo, vissuto con un trasporto mazziniano che in qualche occasione gli ha fatto conoscere perfino la prigione. 7 La madre, com’è normale negli ambienti dell’ebraismo triestino, 8 nutre di valori patriottici la propria tempra di donna insieme severa ed affettuosa. Una costellazione familiare, dunque, non poco articolata. Riassumiamo: c’è un padre, vagabondo e leggero (e tuttavia occasione dello splendido racconto: L’isola), un amabile filibustiere impiegato nel commercio e quindi spesso assente da casa, a inseguire i suoi sogni di guadagno e, probabilmente, qualche invitante fantasma femminile, due figli maschi, mai – a quanto è dato di capire – in competizione tra loro, una sorella, oggetto e soggetto di protettiva tenerezza, infine ma centrale la madre. Una madre sulla quale è opportuno ancora brevemente riflettere, non solo perché prevale (con un netto vantaggio sugli altri membri della famiglia) nelle trasfigurazioni narrative di Stuparich (che le erige un commovente “altare”, per dire con Ferdinando Camon, nelle pagine di Ritorneranno) ma in quanto ha rappresentato – Giani lo ha messo instancabilmente in evidenza – la vera 4 Vedi Slataper, Poesie di U. Saba, «La Voce», Bollettino bibliografico, 26 gennaio 1911, ora in Id. Scritti letterari e critici, a cura di G. Stuparich, Ed. de «La Voce», Roma 1920, pp. 240-241. 5 Si veda E. Gentile, La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo, Laterza, Roma-Bari, 2006, che segue l’evolversi del mito della “Grande Italia” tanto in prospettiva cronologica che nelle sue varie e contrastanti declinazioni ideologiche. 6 Per quest’ordine di problemi andrà tenuto presente – la frontiera più avanzata del discorso – A. Campi, Nazione, il Mulino, Bologna 2004. Ampia riflessione dove il nodo cruciale della contrapposizione tra una “maniera italiana” di intendere il valore nazione e una “maniera tedesca” (più incline ad assolutizzare l’aspetto etnico-naturalistico, a riconoscervi il riflesso di un mitico Volk) viene opportunamente tematizzata, allo scopo di individuare quella «significativa diversità d’accento o di registro» (p. 41) fra linea romantico-tedesca e autori italiani che si esplicita, già a metà Ottocento, nella riflessione di alcuni giuristi e uomini politici come Pasquale Mancini. In polemica con una interpretazione solo naturalistica della nazione, proposto dal fortunato A. M. Banti, La nazione del Risorgimento – Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000, e ribadita dallo stesso Banti e da P. Ginsborg in Per una nuova storia del Risorgimento, in Risorgimento, Storia d’Italia Einaudi, Annali XXII, Einaudi, Torino 2007. A proposito Senardi, Riscoprire il Risorgimento: un percorso a margine del “Risorgimento” di Banti e Ginsborg, in “La battana”, n° 166, Fiume, ottobre-dicembre 2007. 7 Cfr. R. Damiani, Giani Stuparich, Ed. Italo Svevo, Trieste 1992, pp. 20-21. 8 Su questo tema da vedere per es. Millo, L’élite del potere a Trieste – Una biografia collettiva 18911938, cit., e T. Catalan, La comunità ebraica di Trieste (1781-1914) – Politica, società, cultura, LINT, Trieste 2000. Per una sintesi focalizzata sugli scrittori triestini cfr. Senardi, Percorso storico e protagonisti letterari dell’ebraismo triestino, in Tra storia e immaginazione: gli scrittori ebrei di lingua italiana si raccontano, a cura di H. Serkowska, Istituto italiano di cultura di Varsavia/Rabid, Cracovia 2008.
Il giovane Stuparich
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