SAGISTICA POLICO-CIVILE DI GIANI STUPARICH

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popoli che hanno la virtù di affrontarla». 6 Germe esplicito di peggiori mali, che maturerà negli anni Trenta quando, sullo sfondo di una situazione internazionale sempre più critica, il fascismo avrebbe scelto la strada dell’emulazione del progetto nazista di una “Neue Ordnung” europea inflessibilmente articolata su una rigorosa gerarchia di popoli7 dove l’”arianesimo” avrebbe dovuto sposarsi all’inclinazione guerriera (a proposito della quale metterà in guardia Giame Pintor, con parole che Stuparich avrebbe incondizionatamente condiviso, denunciando il crudele orizzonte dell’ethos nazista, ovvero l’«adozione della guerra come modo di vita»8). Un argomento sul quale tanto si insiste, come si sarà ben capito, perché qui si trova la “contraddizion che nol consente”, l’invalicabile spartiacque (almeno fino a che non entri in gioco la lealtà nazionale e l’identificazione con la patria combattente) tra l’umanesimo risorgimentale di Stuparich e il bellicismo fascista. Grazie all’epistolario messoci a disposizione da Apih possiamo meglio capire il percorso dell’intellettuale convertitosi alla letteratura. È bene ricordare la citata lettera ad Elsa Dallolio del gennaio 19239 dove Giani, annunciando la svolta radicale nella sua vita di uomo e di intellettuale («sono contento di aver rinunciato a Praga e di essermi risolto alla vita che faccio: grigia e minuta all’esterno, ma abbastanza ricca interiormente»), sminuiva l’importanza della vita esteriore, nel campo della politica e della battaglia delle idee, e pur ammettendo che la presa del potere da parte di Mussolini potesse risultare benefica per l’Italia, giustificava la lunga apnea nell’interiorità: le rivoluzioni politiche mi paiono manifestazioni effimere: siamo invece a una vera rivoluzione della civiltà, ad uno di quei momenti in cui l’uomo ha bisogno di ritrovare dentro di sé la più semplice via, perché tutte quelle esterne e interne egli ha smarrito; ad una di quelle svolte in cui si ripresentano all’uomo i problemi più semplici e originari della sua natura: e risolverli non è più un lusso intellettualistico, ma è una necessità totale.10 6 Fascismo, in «Enciclopedia italiana», Vol. XIV, 1931/ 1951, p. 849. 7 «Vi è una politica imperiale dell’Italia che si innesta nella crisi dei vecchi imperialismi, e vi è un’idea-forza rivoluzionaria che agisce come elemento eversore di un sistema, come volontà costruttrice di un ordine nuovo. Naturalmente per ciò che si riferisce al nostro Paese, tutto ciò ha come presupposto necessario e non lontano il Risorgimento [che] fu il più alto modello europeo della lotta per la liberazione delle nazionalità, questa guerra segna invece, tra l’altro, la crisi delle nazionalità minori, il bisogno di superiori gerarchie e di unità organizzate», C. Morandi, Questa guerra e il Risorgimento, in «Primato», II, 1 aprile 1941. Morandi sembra qui ampiamente giustificare l’opinione di G. Belardelli, (Il fascismo e l’organizzazione della cultura, in G. Sabbatucci e V. Vidotto, Storia d’Italia, IV, Guerra e fascismo 1914-1943, Laterza, Roma -Bari, 1997): «‘Primato’ […] lungi dall’essere un periodico di fronda come ha sostenuto qualche studioso, doveva rappresentare nelle intenzioni del suo fondatore uno strumento per l’inserimento della cultura italiana nella ‘Nuova Europa’ che sarebbe scaturita dalla guerra dell’Asse» (p. 487). 8 Pintor, Commento a un soldato tedesco (su «Primato», I febbraio 1941), ora in Id. Il sangue d’Europa, Einaudi, Torino, 1950, p. 135. 9 Cfr. cap. I, nota 81. 10 Apih, Il ritorno di Giani Stuparich, cit., pp. 172-173.

Gli anni del regime

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