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LA FLOTTA COME STRUMENTO DI POLITICA INTERNA
Capitolo I
LA FLOTIA IN SERVIZIO D'ORDINE DOPO L'UNITA'
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A poche settimane di distanza dalla scomparsa del Cavour, il nuovo ministro della marina gen. Menabrea nominava (luglio 1861 ) una commissione di studio incaricata di presentare un piano del naviglio ( l ), cui venivano sottoposti otto punti, dei quali i primi due si riferivano alla protezione del commercio e alla custodia dei porti e delle coste in tempo di pace. In realtà, a questi due scopi ovvi per qualsiasi flotta un altro se ne aggiungeva, quantunque non esplicitamente dichiarato e forse adombrato sotto il punto 8 ( « Servizi speciali»): quello di facilitare le comunicazioni lungo la penisola quasi totalmente unificata dopo gli eventi del 1859-60, comunicazioni che costituirono per diversi anni un grave problema.
Il modo in cui il nuovo Stato era sorto sulle rovine degli organismi politici preesistenti, gli interessi locali perturbati, il forte disequilibrio economico tra regione e regione (2), l'incertezza degli ordinamenti provvisori, il malcontento diffuso ovunque e sfociato nel sud in un brigantaggio difficile a sradicarsi, tutto ciò rendeva oltremodo precario l'ordine pubblico e richiedeva rapidità negli spostamenti dei reparti armati da inviarsi a la sicurezza delle popolazioni delle vaste rone annesse al regno testè proclamato. Sia la conformazione geografica del paese, sia soprattutto l'insufficienza ( 3} ed il pessimo stato della rete stradale, specie nel centro-sud, rendevano disagevoli e pericolose le comunicazioni terrestri: né si poteva ancora contare sulla nascente rete ferroviaria ( 4 ). Si rese quindi indispensabile ricorrere ai trasporti marittimi, usufruendo in primo luogo dei mezzi della marina mercantile nazionale (5), noleggiando poi numerosi natanti di società di navigazione straniere ( 6 }, infine impiegando varie unità della flotta militare per i trasferimenti di autorità, di truppe, di privati e di materiale militare e civile (7 ).
(l) Cfr. M. GABRIELE: La politica navale italiana dall'unità alla vigilia di Lissa, Milano, 1958, pagg. 130 e 134.
(2) «Nel cerchio della nuova vita economica comune, ciascuna regione entrava con la sua struttura differente, con un grande e netto divario di posizioni iniziali, per le attività produttive, da regione a regione. Dalla unificazione non sorgeva un paese ricco, perché nessuno dei precedent i stati italiani era ricco, ma notevole era il distacco tra le diverse parti dell ' Italia riunita, nella possibilità di sopportare i gravissimi crescenti oneri per le difficoltà finanziarie del nuovo regno» (A. FRACCACRETA: Sulla economia del Mezzogiorno, in «Annali del Seminario di Giurisprudenza dell'Università di Bari», II (1928), pag 39).
Ma la principale preoccupazione del governo in quei primissimi anni dell'unità restava quella dell'ordine pubblico, al cui mantenimento la marina da guerra dovette contribuire notevolmente, soprattutto in due campi: la lotta contro il brigantaggio mediante la sorveglianza delle coste meridionali e la repressione della pirateria nelle acque sicilial)e. Tale servizio, subordinato agli inizi del 1861 alle necessità belliche (blocco delle piazzeforti ancora in mano dei Borbonici} ed intensificato in seguito, fu svolto dalle unità della flotta parallelamente ai normali compiti di polizia marittima: caccia al contrabbando, controllo delle merci trasportate dalle navi, ricerca e cattura dei bastimenti rubati. La marina militare vi impiegò numerose unità delle 79 in forza (8) alla proclamazione del nuovo regno, particolarmente il naviglio sottile.
( 3) Si vedano, ad esempio, le deplorevoli condizioni della viabilità nelle province ex ·pontificie, in G. FRIZ: Le strade dello Stato pontificio nel XIX secolo, in «Archivio economico dell'unificazione italiana», serie I, vol. XVI, fase. l, Roma, 1967.

( 4) Alla fine del 1861, esistevano in tutto il regno 1.566 km di ferrovie in esercizio, compresa l'unica linea di grande comunicazione, la Milano-Bologna-Ancona, entrata in funzione a metà novembre di quello stesso anno: v. REGNO D'ITALIA - MINISTERO DELLE CoMUNICAZIONI: Sviluppo delle ferrovie italiane dal 1839 al 31 dicembre 1926, Roma, 1927, pagg. 11 e segg.
(5) Incrementata di quasi 6000 unità per circa 650.000 tonn. nel decennio 1862-71 con le sole costruzioni dei cantieri italiani (v. relazione
La pirateria nei mari della Sicilia, pur non costituendo un fenomeno di notevoli dimensioni, specialmente a paragone di quanto avveniva nell'entroterra dell'ex regno borbonico, tuttavia diede luogo ad inconvenienti abbastanza seri, specie nel primo anno dell'unità. Si trattava, è vero, di semplici episodi di delinquenza locale, che non avevano nulla a che fare con l'at- del dir. gen. della Marina Mercantile G. Comandù in «Rivista marittima», luglio-agosto 1886).
(6) M. GABRIELE: LA politica navale, ecc., cit., pag. 276.

(7) Se ne possono reperire numerosi esempi in A.C.R.M., buste 78, 79, 80, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 92, ecc.
(8) Al 17 marzo 1861 la Marina Militare italiana, sulla carta, contava:
N. 2 corazzate: la Terribile e la Formidabile, entrambe da 2700 tono. e 30 cannoni, la prima in allestimento e la seconda in costruzione;
N. l vascello ad elica: il Re Galantuomo, da 3800 tonn. e 64 cannoni, che era il vascello a vela Monarca della flotta napoletana, opportunamente trasformato;
N. 9 pirofregate: di cui 5 in attività di servizio, la Maria Adelaide (3549 tono. e 32 cannoni), il Duca di Genova (3515 tono. e 52 cannoni), il Vittorio Emanuele (3415 tono. e 52 cannoni), il Carlo Alberto (3200 tono. e 52 cannoni) e il Garibaldi (3680 tono. e 54 cannoni): l'ultima proveniva dalla marina borbonica, le precedenti da quella sarda: altre 4 erano in costruzione: il Principe Umberto e il Principe di Carignano (ambedue da 3501 tono. e 50 cannoni), la Italia (3680 tono. e 54 cannoni) e la Gaeta (3980 tono. e 54 cannoni);
N. 3 pirocorvette di primo rango: delle quali una sola era efficiente, la Principessa Clotilde, della marina sarda, da 2182 tono. e 20 cannoni, mentre le altre due erano in costruzione o in corso di trasformazione: la San Giovanni, da 1780 tono. e 20 cannoni, e la Magenta da 2552 tono. e 20 cannoni;
N. l corvetta ad elica di secondo rango, ancora in costruzione, la Etna ( 1524 tono. e 10 cannoni), già napoletana;
N. 8 cannoniere ad elica: la Confienza e la Vinzaglio, da 262 tono. e 4 cannoni ciascuna, la Montebello, la Varese, la Curtatone e la Palestro, tutte da 215 tono. e 4 cannoni, la Veloce e la Ardita, da 274 tono. e 4 cannoni ciascuna: le prime quattro ex sarde, le altre ex toscane;
N. 2 avvisi da 269 tono. e 2 cannoni, il Calatafimi e il Ferruccio, provenienti dalla Botta garibaldina della Sicilia (v. GABRIELE: Da Mar· sala allo Stretto, Milano, 1961, p. 279); tività dei barbareschi nel Mediterraneo durante il primo terzo del XIX secolo: per lo più le manifestazioni della nuova criminalità marittima, dovute soprattutto alla carenza delle forze terrestri dell'ordine e circoscritta quasi esclusivamente al golfo di Castellammare, al litorale agrigentino e a talune zone del canale di Sicilia, consistevano in assalti rapidi e improvvisi, sotto co-
N. 6 trasporti a vapore: due ex siciliani, il Vittoria (2060 tonn., 2 cannoni) ed il Washington (1400 tonn., 2 cannoni), e quattro già sardi, tutti armati con due pezzi ciascuno: il Volturno da 1935 tonn., il Conte di Cavour da 1470 tonn.; e il Dora e il Tanaro, entrambi da 1100 tonn.;
N. 11 fregate a ruota di secondo rango: delle quali una inutilizzabile, la Roberto proveniente dalla marina delle Due Sicilie, da 1400 tonn. e 6 cannoni; le 10 efficienti erano le ex sarde Governolo ( 1700 ton n., 10 cannoni) e Costituzione (1600 tonn., 10 cannoni); l'ex siciliana Tiikery da 962 tonn. e 8 cannoni; e le ex napoletane Fulminante (1141 tonn. con 10 cannoni), Ettore Fieramosca e Guiscardo da 1400 tonn., Archimede ed Ercole da 1306 tonn., T ancredi e Ruggiero da 1168 tonn., tutte armate con 6 pezzi;

N. 7 corvette a ruota di secondo rango: 4 provenienti dalla marina di Napoli, con 3 cannoni ciascuna: Stromboli, Palinuro e Stabia da 580 tonn. e Miseno da 597 tonn. (ma la seconda e la terza erano inutilizzabili); e 3 già appartenenti al regno di Sardegna, armate con 4 cannoni ognuna, la Mozambano da 900 tonn. e la Tripoli e la Ma/fatano da 800 tonn.;
N. 8 piroscafi a ruote, di cui il primo non disponibile perché in corso di trasformazione: gli ex napoletani Peloro da 292 tono. e 3 cannoni, Aquila (376 tonn., 5 cannoni), Sirena (354 tonn., 3 cannoni) e Garigliano (330 tonn., 4 cannoni); gli ex sardi Authion (500 tonn., 3 cannoni), Ichnusa ( 450 tonn., 2 cannoni) e Gulnara (id.); e l'ex toscano Giglio, da 250 tonn., armato con 2 pezzi;
N. 2 avvisi a ruote, con 2 cannoni ciascuno, il Baleno da 195 tonn. e il Weissel da 300 tonn., già sardo il primo e siciliano l'altro;
N. 7 trasporti a ruote, tutti provenienti dalla Botta garibaldina della Sicilia, con due cannoni ciascuno: gli inutilizzabili Franklin (800 tonn.) e Piemonte (720 tonn.) e gli ancora efficienti Lombardo, da 729 tonn., l'altra nave dei Mille, e poi il Cambria (1949 tonn.), il Rosalino Pilo (925 tonn.) e la nave Indipendenza (1600 tonn.);
N. 6 rimorchiatori a ruote, uno soltanto dei quali era armato con 2 pezzi, lo Oregon da 188 tonn., già siciliano; gli altri erano gli ex pontifici San Pietro e San Paolo, da 110 e 80 tonn. rispettivamente, catturati ad Ancona (v. GABRIELE: L'industria armato- sta, effettuati di solito mediante normali imbarcazioni da pesca: ne erano vittime i battelli di piccolo cabotaggio, i pescatori, ed in genere gli abitanti locali. Solo di rado a questi piccoli malviventi - tra cui ex marinai borbonici, ex appartenenti alla disciolta marina di Garibaldi, « picciotti » e delinquenti comunisi aggiungevano, approfittando dell'occasione, dei legni più gran- riale nei territori dello Stato pontificio dal 1815 al 1880, in «Archivio economico dell'unificazione italiana>>, serie I, vol. Xl, fase. 3, Roma, 1961, pag. 41), gli ex napoletani Rondine e Antelope da 154 tonn. ciascuno, e l'ex sardo Luni da 151 tonn.;

N. 24 navi a vela, che comprendevano:
N. 3 fregate di primo rango: una proveniente dalla marina del regno di Sardegna, il San Michele, da 2400 tonn. e 30 cannoni; e due provenienti dalla flotta del regno delle Due Sicilie, la Regina (2908 tono., 50 cannoni) e la Partenope (2583 tonn., 30 cannoni);
N. 2 corvette di primo rango, entrambe con 20 cannoni, l'ex sarda Euridice da 1400 tonn. e l'ex napoletana Caracciolo da 1642 tonn.;
N. 4 corvette di secondo rango, la sarda Iride (725 tonn., 12 cannoni) e le napoletane Valoroso (600 tonn., 14 cannoni), Zeffiro (594 tonn., 14 cannoni) e Cristina (762 tonn., 12 cannoni);
N. 6 brigantini, dei quali i primi tre ereditati dalla marina borbonica e gli altri tre da quella sabauda: il Tronto, il Generoso e l'Intrepido, ognuno da 640 tono. e 18 cannoni; ed Eridano ( 450 tonn.), Colombo ( 400 tonn.) e Daino ( 480 tonn.), con 10 pezzi ciascuno;
N. 5 trasporti, di cui tre ex sardi, Des Geneys ( 1400 tono., 4 cannoni), Aurora (600 tonn., 10 cannoni) e Azzardoso (400 tonn., 2 cannoni), uno ex toscano, il Feritore (150 tonn.), ed uno ex siciliano, il Benvenuto (280 tonn.): questi ultimi due disarmati;
N. 2 golette, la già toscana Argo, da 180 tonn., e la già sarda Vigilante, da 150 tono.: entrambe senza pezzi di artiglieria a bordo;
N. l bovo, disarmato, il Lampo) già appartenente al granducato di Toscana; di provenienti dalla Grecia, dall'Albania, da Malta, dalle coste africane. Non pertanto la situazione, nella primavera del 1861, era tanto peggiorata da interdire alla navigazione commerciale lunghi tratti delle acque territoriali dell'isola e da suscitare vive lagnanze da parte dei danneggiati e di tutte le popolazione costiere.
N. l cutter ex napoletano, lo Sparviero, da 1.37 tonn. con 2 cannoni. Mentre dunque le unità iscritte nei ruoli figuravano essere 97 con una stazza complessiva di 112.726 tonn. ed un armamento di 1166 pe7.zi, in realtà quelle in efficienza di servizio erano soltanto 79, per 77.031 tonn. e con 745 cannoni. Questo divario tra la forza teorica della flotta da guerra italiana e quella effettiva rimarrà a lungo: ancora al lo gennaio 1866, contro 103 unità da guerra registrate, per 186.869 tonn. e con 1398 cannoni, il naviglio effettivamente utilizzabile contava soltanto 84 navi con la stazza complessiva di 133.526 tonn. e 1125 cannoni (MALDINI: I bilanci della Marina d'Italia) Roma, 1884, vol. I, pagg. 66-71 ).
Quando fu sciolta (9) la squadra che aveva operato in quei mari agli ordini del Persano durante la campagna garibaldina, l'amm. Albini, assunto il comando della divisione navale in Sicilia, dovette provvedere dapprima ad imbarcare un equipaggio della marina su uno « scorridore » (battello costiero armato), il Sicilia, per scorta alle imbarcazioni civili dirette verso le zone pericolose (l O) e a distaccare scialuppe armate in perlustrazione in altri punti, non potendo fare di più per mancanza di naviglio idoneo ( 11 ).
(9) Tra il 23 marzo e il l" aprile: la data esatta non è certa {v. GABRIELE: La politica navale, ecc., pag. 281, nota 11).

(lO) Il 20 aprile. Il giorno sresso l'Albini ne dava comunicazione al contramm. Di Ceva, comandante generale della marina in Sicilia {A.C.R.M., busta 78, reg. copiai. corrisp. varia). Ibidem si possono leggere le istruzioni impartite al comandante dello « scorridore »: « sorvegliare il più vigilantemente possibile sulla navigazione tra Capo S. Vito e Capo S. Gallo, prevenire o reprimere atti di pirateria ripetutamente commessi in tali paraggi. Visitare tutte le barche, battelli, paranzelle, specialmente di notte. Confrontare i ruoli coll'equipaggio, vedere se le carte sono in regola; nei casi di sospetto scortare il battello in quistione sino a Capo S. Gallo e consegnarlo alla Barcaccia ivi di Crociera, ed in assenza di questa, sino a bordo della Maria Adelaide o del legno stazionario. Dare scorta ai legni che in quei paraggi lo richiedessero, non uscendo però dai limiti predetti S. Vito e S. Gallo. Accorrere ave si vedesse un battello assalito e procedere alla repressione ed arresto nel modo più energico. Di giorno percorrere tutta la costiera del golfo di Castellamare, osservare i battelli tirati a terra, riconoscere se possono servire alla pirateria commessa, se abbandonati dai padroni, metterli a mare e consegnarli al porto di PaJermo o 3lle Autorità di Castellamare ... Se manca l'acqua ed ha bisogno far cucina a terra non lasciare allontanare la gente e commettere guasti e disordini nelle proprietà».
(11) Lettera dell'Albini al Di Ceva in data 24 aprile (ibidem): « ... non sl tosto avrò ai miei ordini cannoniere, o piroscafi leggieri appropriati a quel servizio, nulla trascurerò per procurare la sicurezza della navigazione in quelle acque ».
Il ripetersi degli atti di pirateria malgrado tale sorveglianza indusse il ministero ad accedere alle richieste dell'Albini e a spedire da Genova a Palermo le due cannoniere ad elica Veloce e Ardita, munite di 4 cannoni ciascuna, mentre le autorità locali invitavano i naviganti a provvedere nel frattempo con « fucili, spingarde, cannoni ed altre armi per la propria difesa» (12). Alle due unità leggere, appena arrivate, venne ordinato di procedere immediatamente ad una crociera di perlustrazione nei due settori minacciati, l'una da Marsala a Trapani e l'altra da Trapani a Palermo (navigando naturalmente soltanto a vela per risparmiare il carbone): intanto l'Albini stesso, con la pirofregata Maria Adelaide, il cui armamento di 32 pezzi era per l'epoca ed in quelle acque più che ragguardevole, compiva la circumnavigazione dell'isola ( 13 ).
Se in un primo momento la presenza delle unità da guerra sembrò scoraggiare i pirati e si ebbe una diminuzione della loro attività, poco dopo, tuttavia, non appena fu rallentata la vigilanza ( 14 ), gli atti di delinquenza marittima ripresero a manifestarsi qua e là, costringendo la marina a riprendere le crociere e ad estendere la sorveglianza alla costa meridionale della Sicilia (15): questa volta parteciparono alle operazioni di pattugliamento anche la cannoniera ad elica Confienza e la corvetta a ruote Tripoli. Purtroppo, i risultati non furono del tutto soddisfacenti e l'Albini se ne doleva con il comandante del dipartimento marittimo meridionale, lamentando la carenza della sor- veglianza a terra, che sarebbe stata molto più efficace di quanto non potesse essere, per forza di cose, quella dal mare (16).
( 12) A.C.R.M., busta 80, cart. maggio. Si erano avuti dei reclami anche da parte del console inglese a Palermo, per essere state assalite e depredate due barche dell'industriale britannico Ingham Whittaker di Marsala.
(13) A.C.R.M., busta 78, reg. copiai. corrisp. varia: istruzioni ai comandanti delle cannoniere; busta 80, cart. maggio: autorizzazione del ministero a che l'Albini compisse la progettata crociera intorno alla Sicilia.

(14) A metà giugno la Veloce venne spedita a Pantelleria, dove si sarebbero svolte le elezioni politiche, a disposizione del governatore di Trapani: ibidem, cart. giugno.
(15) A.C.RM., busta 79, fase. Rapporto Ardita; fase. Dispacci telegrafici, ecc.; busta 80, cart. luglio.
In agosto, venne assegnata alle crociere anche la cannoniera ad elica Palestro, che per altro accusava inconvenienti alle macchine (l 7 ). Dopo qualche altra manifestazione sporadica, la pirateria siciliana andò diminuendo nei mesi successivi, a mano a mano che veniva potenziata la vigilanza sulle spiagge, dando cosi ragione all'Albini, le cui unità erano state sottoposte all'usura di un continuo, faticoso pattugliamento, apparentemente senza pratici risultati, se non quello di dare, con la loro presenza, conforto morale e senso di protezione ai naviganti.
Più efficace fu, nel medesimo periodo, l'azione della marina diretta a prevenire eventuali sbarchi borbonici nell'isola, sia mediante le ricognizioni costiere, sia con il trasporto veloce di reparti di truppe da un punto all'altro del litorale. Molto spesso, in verità, gli allarmi erano infondati o ingigantiti dal timore, con il risultato di far correre inutilmente le navi e di sottoporre gli equipaggi a strapazzi non necessari: ma tanta era la paura nelle autorità piemontesi, che si vedevano « bande armate » dappertutto.
(16) Lettera dell'Albini al Tholosano in data 26 luglio: « Eppertanto atti consimili si vanno commettendo sulle coste di Sicilia senzaché bastino i pochi mezzi a disposizione per prevenirli. Queste piraterie non sono atti di pirati di mare, bensl di comuni assassini che da terra s'impadroniscono delle barche peschereccie e gettansi poco al largo per sorprendere i legni di cabotaggio in calma od inaccorti. La sorveglianza del litorale è il miglior rimedio a questo male, per mare poco o nulla si può che moralmente. Il dipartimento Meridionale non manca di piccoli vapori atti pure al servizio di crociera e possono coadjuvare per la parte loro, mentre non bastano quelli che ho per la costa di Sicilia » (A.C.RM., busta 78, reg. copial. corrisp. varia); lettera dell'Albini al DelJa Rovere, Luogotenente del Re per le provincie siciliane, in data 28 luglio: «Mi è grato rilevare... che S.E. si degnava ordinare una rigorosa perlustrazione da parte di terra, essendo mio avviso che una tale disposizione gioverà molto di più che qualsiasi altro ad estirpare quei malfattori, che infestando le coste di Sicilia non son gente di mare, ma bensl gente, la quale si stacca dal litorale nelle occasioni del delitto soltanto» (ibidem).
( 17) Rapporto dell'Orengo, comandante della Palestro, all'Albini in data 19 agosto: A.C.R.M., busta 79, fase. Rapporti

Più vero e più grave il pericolo rappresentato dal contrabbando delle armi destinate ai « briganti»: per reprimere il quale la marina dovette sorvegliare non soltanto le coste siciliane, ma quelle di tutta la penisola, nell'Adriatico a partire dall'Abruzzo e nel Tirreno dal Lazio in giù. Ad Ancona venne spedita la fregata a ruote Ettore Fieramosca in completo assetto di guerra; i piroscafi armati Tanaro e W ashington perlustravano il litorale occidentale: ne conseguì un rallentamento dei tentativi borbonici di introdurre clandestinamente nel regno, per mezzo di tartane o altri natanti leggeri, sia direttamente, sia attraverso lo Stato pontificio, i rifornimenti diretti alle bande. Del ritorno della situazione alla normalità e del contributo dato dalla marina a tale opera si dava atto da molti negli anni immediatamente seguenti (18).
( 18) Si veda, ad esempio, la lettera che il presidente della Camera di commercio di Cagliari indirizzava alt•Albini il l • ottobre 1864: « approfittando della bella occasione della presenza in questa rada della Squadra Italiana si fa un dovere di farne un omaggio alla medesima, persuasa la Camera che tanto più diventerà forte e fiorente il Commercio d'Italia, quanto più potente è la Marina dello Stato che dapertutto ne protegge e ne guarentisce i diritti» {A.C.R.M., busta 163, prat. 3 ).

Capitolo Ii
La Crisi Di Aspromonte
Quantunque la crisi dell'estate 1862, che ebbe nome da Aspromonte, non abbia avuto le caratteristiche di un avvenimento marittimo, tuttavia anche la marina militare del nuovo Stato unitario vi ebbe la sua parte, naturalmente non fondamentale, bensl limitata ad alcune unità e a qualche esponente della Marina: e se fosse possibile conoscere con precisione in che cosa tale parte sia consistita e il retroscena di talune azioni poco chiare, potrebbe aversi una luce più chiara sugli avvenimenti di quell'infausto mese di agosto.
Aurelio Saffi, nell'introduzione al XIII volume degli scritti mazziniani ( l ), spiega il viaggio di Garibaldi in Sicilia nel luglio del 1862 con il noto progetto di una spedizione in Grecia, dal cui fallimento sarebbe poi scaturito il nuovo programma dell'azione su Roma. A sostegno di questa tesi, il Saffi riporta una lettera di uno dei Mille, Ergisto Bezzi, data 13 luglio 1883. Il Bezzi scriveva tra l'altro: « Caduto il Ricasoli e salito al po« tere il Rattazzi, pareva che questi volesse mantenere la pro« messa del suo predecessore ( 2) e allora il Generale andò a «Torino. Sembra che il Rat:tazzi menasse pel naso il Generale.
« Il re gli fece invece, per mezzo di un intermediario di sua fi« ducia, la proposta di una spedizione in Grecia. Il re scrisse « una lettera a Garibaldi colla quale gli offriva i mezzi , e chiedeva « di quanto abbisognasse. Quella lettera fu letta da Garibaldi «alla presenza di Missori e d'altri; anzi il Generale chiese a « Missori che somma doveva domandare, e questi rispose: -
(l ) G. MAzzrni: Scritti editi e inediti, a cura di A. SAFFI, Roma, 1884, vol. XIII, pagg . CXXIV.CXXV.
(2) Relativamente all'eventuale formazione di corpi armati di volontari, ecc.

« Domandate un milione -. Garibaldi prese la penna e scrisse:
« - Mi dia Vostra Maestà trentamila lire per poter mandare
« in Grecia alcuni miei ufficiali per verificare e preparare; poi
«mi faccia trovare a Catania 10 mila fucili, 10 mila camicie
« rosse e l O mila paia di scarpe, con una fregata a mia disposi-
« zione -. Né Missori, né altri seppero mai la risposta del re.
« Garibaldi pochi giorni dopo partì da T orino per Caprera, ac-
« compagnato da Missori, Manci, Guerzoni, Corte e qualche al-

« tro che non ricordo. A Caprera si fermò tre o quattro giorni;
« poi salpò con essi per Palermo. Credeva forse di trovare in Si-
« cilia quanto avea chiesto al re, od altro che noi tutti ignoriamo,
« perché ei non disse mai nulla a' suoi ufficiali presenti; ma quel-
« lo che ho inteso asserire più volte e da Manci e da Missori, e
« che questi mi ripeteva anche ieri, si è che Garibaldi non avea
« mai, né lungo il viaggio, né prima, parlato di Roma. Anzi Mis-
« sori mi assicura che il grido di " Roma o Morte " non venne
« da lui, ma sibbene da qualcheduno della folla in una dimo-
« strazione; ed egli rispose: "Sì, Roma o Morte"; ed una volta
« accettato l'appello, e visto l'entusiasmo suscitato, fu costretto
« ad andare avanti ... Io e con me molti altri opinano che il re
« mancasse alla promessa, secondo il solito, e che Garibaldi si
« gettasse allora in quella impresa. E bisogna credere che sia
« così, perché non è possibile ammettere che se Garibaldi avesse
« avuto intenzione, prima, di fare un tentativo sopra Roma, fos-
« se andato in Sicilia ad incominciarlo, mettendosi così in un
« sacco alla mercè del Governo; quando invece, se si fosse pre-
« sentato nelle Romagne, il tentativo avrebbe potuto riuscire, e
« come piano militare, e per elementi migliori, e per la facilità
« di avere aiuti dall'alta Italia, nerbo dei volontari. No, non è
« possibile che pensatamente Garibaldi abbia commesso un cosl
« enorme errore, militarmente parlando: fu portato là da cir-
« costanze estranee e fu poi trascinato su quella via, come si dice,
«da forza maggiore ... Ma, disgraziatamente, documenti non ve
« ne sono. Garibaldi li possedeva, e deve aver scritto una sto-
« ria documentata de' fatti, che intendeva si pubblicasse dopo
« la sua morte; e Manci, per mezzo di Basso, ne lesse diverse
«pagine. Ma ... e di quella storia e di que' documenti nessuno sa « più che ne sia successo ... ».
In che misura sia attendibile questa versione dei fatti è difficile accertare, sia per le affermazioni discutibili che essa contiene, sia perché la lettera sembra esporre più opinioni che prove, sia infine per l'emergere dei particolari in un tono da leggenda dagli incerti ricordi dello scrivente dopo più di un ventennio: ma assai probabilmente si può ritenere che nella sostanza sia esatta ( 3 ). Comunque, a prescindere dalla maggiore o minore fedeltà della ricostruzione del Bezzi, qui compare la prima fregata fantasma, che Garibaldi avrebbe atteso dalla marina regolare. Intorno a tale fregata, in realtà, non vi è poi nulla di concreto, anche se è possibile che l'amm. Persano allora ministro della marina, uomo notoriamente vicino alla persona del re, abbia ricevuto da fonte autorevole un invito a mettere l'unità da guerra a disposizione di Garibaldi ( 4 ). Al riguardo non si può
(3 ) Di questo parere è anche R. MORI nel suo importante studio La questione romana, vol. I , Firenze, 1963, pagg. 128-130 .
( 4 ) Naturalmente, poss ibile, non provato. Infatti, non prova che il Persano abbia ricevuto l'ordine di mettere a disposizione di Garibaldi una fregata per una spedizione nel Montenegro -e non più in Greciala lettera del D'Azeglio al Persano datata Comero, 3 luglio 1862, in cui si legge: « Relativamente alla nuova spedizione sul Montenegro, se si raduna una forza, e che voglia partire apertamente per andare a far la guerra ai Turchi, mi pare evidente che, essendo noi in pace colla Porta, non possa permettersi. Quanto all'andarsene alla spicciolata, a ogni modo non si può impedire, onde il problema si risolve da sé ... »
(Lettere di Massimo D ' Azeglio a Carlo di Persano, Torino, 1878, pag. 145).
Appare evidente che il D ' Azeglio risponde ad un ' altra lettera del Persano contenente richieste di consiglio: ma della nave, proprio, non vi è parola. E chi, eventualmente, avrebbe dato l'ordine al ministro della marina? Non certamente il Presidente del Consiglio, sia perché se ne avrebbe ben altra documentazione, sia soprattutto perché in questo caso il Persano non avrebbe domandato consigli per sapere se doveva obbedire o meno. Rimarrebbero il re e Garibaldi: il primo che avrebbe potuto far capire, anche senza esporsi esplicitamente, che non gli sarebbe dispiaciuta la prospettiva di un colpo di mano garibaldino sulle rive orientali dell'Adriatico, da sostenersi più o meno apertamente; il secondo che, memore della esperienza del '60 ma immemore dd fatto che nonostante tante belle non rilevare che un'iniziativa del genere avrebbe esposto il governo italiano in un'assunzione di responsabilità che sarebbe stato poi difficile declinare, al punto che rimane da chiedersi come mai, e se, anche da parte di Vittorio Emanuele II, il progetto avrebbe potuto avere un inizio di attuazione.

Che però un'idea- della Grecia, o del Montenegro, o addirittura di Roma - sia frullata nella mente inquieta del re, un'idea fondata su un'eventuale azione di Garibaldi, appare effettivamente probabile: una prova indiretta se ne può dedurre dalla strana vicenda che sembra si sia svolta tra il generale, ormai avviato attraverso la Sicilia alla volta dello Stretto di Messina, e il contramm. Albini, comandante delle unità navali regie dislocate sulla costa orientale dell'isola. Anche qui si tratta di una fregata, di una nave di linea di prima classe, che costituisce il secondo vascello fantasma di quella calda estate siciliana. La narrazione dell'episodio si trova nel Chiala (5): « .. .il Re e
« quelli fra i ministri che conoscevano gli alti segreti... pensaro-
« no... di agevolare a Garibaldi il modo di togliersi anzitutto dal
« mal passo in cui si era cacciato, compromettendosi cosl aper-
« tamente per un'impresa su Roma, e gli fecero offrire, per
« mezzo del Albini, una fregata regia che da
« Catania avrebbe trasportato lui e il suo stato maggiore in quel
« qualsiasi porto del Regno, che meglio gli fosse piaciuto, sem-
« preché egli si fosse deciso a lasciare la Sicilia; dal porto che
« avrebbe eletto, il Generale avrebbe poi potuto, a suo talento, « recarsi a Caprera o fuori d'Italia. La lettera dell'Albini giunse
« in mano del Generale mentre questi si trovava a Leonforte me« ditando il modo di entrare in Catania senza incontrarsi nelle parole non aveva mai ottenuto dal Persano neppure una barca, avrebbe potuto fare delle avances per chiedere all'amico di allora - Garibaldi era davvero stranamente convinto che Persano fosse suo amico - una certa condiscendenza per le diserzioni dei volontari o addirittura per la cessione di una nave. Dal tono della lettera citata, tuttavia, sembrerebbe che ai primi di luglio si fosse ancora assai lontani da una fase concreta e che si discutesse soltanto di prospettive e di ipotesi.
(5) L. CHIALA: Giacomo Dina e l'opera sua nelle vicende del Risorgimento Italiano, Torino, 1889, vol. Il, pag. 126

« truppe inviate per impediglierlo. Egli rispose tosto all'Albini
« essergli gratissimo "per l'esibizione sua gentile ", di cui ap« profittava volentieri: mandasse la fregata a sua disposizione « ad Acireale, al nord di Catania ».
Questo, però, avveniva dopo Ferragosto, quando la situazione andava ormai precipitando, e poté costituire un ulteriore elemento di confusione e di incertezza. Certo si è che Garibaldi, sfruttando probabilmente anche il pretesto offertogli dall'Albini, avanzò ancora lungo la costa orientale, ma non pér recarsi ad Acireale, ché la sera del 19 agosto si trovava alle porte di Catania. Se qualche unità della flotta regia lo stava aspettando davvero più a nord, doveva aspettare invano e questo tentativo di soluzione falliva goffamente. Si era forse sperato di risolvere la situazione spinosa facendo sparire Garibaldi all'improvviso, nel clima di quei giorni arroventato dalla passione: ma si dimostrava così di non aver capito assolutamente nulla delle condizioni ambientali e psicologiche nelle quali andava sviluppandosi il tentativo garibaldino e di non aver saputo prevedere le naturali reazioni del protagonista. Se si era creduto che Garibaldi fosse soltanto una marionetta da far sempre muovere, dire e disdire a piacimento, questa volta si era sbagliato in pieno: il generale, oltre tutto, non poteva permettersi di perdere la faccia ancora una volta, dopo la penosa smentita del giugno precedente , circa l'idea di attaccare il Trentino ( 6 ), dopo aver inseguito- se così fu - n miraggio di un'avventura balcanica delusa all'ultimo momento, e infine dopo aver fatto proprio pubblicamente il grido del popolo di Marsala (7).
E poi, dove mai avrebbe dovuto andare Garibaldi? Anche se si fosse fidato dei maneggioni « che conoscevano gli alti segreti», che cosa gli veniva offerto da costoro? Di imbarcarsi con il suo stato maggiore e di lasciare la Sicilia per Caprera o per un porto estero: ora, escludendo la Francia e i porti dell'Africa settentrionale controllati dai francesi, la Spagna, l'Austria, la Turchia e le sue dipendenze, la Grecia, non rimaneva che Malta: ma fra Caprera e Malta era facilmente intuibile che la fantomatica nave avrebbe fatto rotta per la prima, assai più facilmente controllabile da poche unità italiane o francesi (8). E allora, in questo pietoso giuoco di tentennamenti e di piccole scappatoie, come stupirsi se anche l'offerta di una nave della flotta regia poté diventare per Garibaldi un utile elemento di distrazione dell'avversario, una normale ruse de guerre per ingannarlo e per prendere tempo, allontanandolo dal vero obbiettivo del generale, Catania?
( 6) Si allude alla nota lettera di Garibaldi al T ecc h io in data 3 giugno 1862, che suscitò tama indignazione tra i democratici e indusse il Crispi a scrivere al generale l'amara lettera del 7 giugno successivo.
(7) Che in quella occasione venne chiamata da Garibaldi « terra di felice augurio», in ricordo dello sbarco dell'l l maggio 1860, donde aveva preso il via la fortunata avvenrura garibaldina in Sicilia (cfr. CHIALA, op. cit., vol. II, pag. 114).

Istruttiva e caratteristica rimane comunque l'incerta pre· senza di queste fregate della regia marina, elemento non discordante nel quadro generale del momento: Garibaldi avrà forse una nave per andare in Grecia, ma il governo non ne sa nulla, anche se al ministro della marina sono state fatte delle aperture; per salpare alla volta della Grecia Garibaldi si reca in Sicilia - e a questo proposito sarebbero valide, tanto per la Grecia quanto per Roma, quasi tutte le controindicazioni di cui scrive Ergisto Bezzi nella sua lettera citata, poiché camicie, scarpe e fucili avrebbero avuto pur sempre bisogno degli uomini mentre il ministro della marina parla di spedizione nel Montenegro; nella Sicilia occidentale Garibaldi, dal momento che l'impresa ellenica non appare attuabile, si converte alla conquista di Roma, forse d'accordo con Vittorio Emanuele che intriga alle spalle del proprio governo; lo stesso re e alcuni ministri, in· fine, spaventati dalle minacciose reazioni francesi, cercano di portar via l'ingombrante generale a bordo di una nave della flotta regia, nel sempre generoso tentativo di salvare la propria faccia, buttando a mare quella di Garibaldi. Non c'è che dire, dal solo accenno all'ipotetico ruolo di queste navi fantasma emerge un bel pasticcio di cose dette e non dette, di promesse accennate e non mantenute, di indecisioni, di giochi d'azzardo, di ambizioni mutevoli e disordinate: un pasticcio degno in tutto e per tutto dell'oscura e poco onorevole vicenda di Aspromonte. Fin dal l o agosto era apparso chiaramente che Garibaldi non intendeva recedere dalla conclamata intenzione di marciare sullo Stato pontificio. Il 3 agosto con il noto proclama del re, erano state condannate le « colpevoli impazienze» e le « improvvide agitazioni », ma al tempo stesso il sovrano aveva dato assicurazione di conoscere i propri doveri verso il Paese ed aveva fatto comprendere pubblicamente che, se mai, il metodo e il momento scelti da Garibaldi erano discutibili, ma non i suoi fini. E poiché in passato il governo di Torino era stato costretto ad analoghe prese di posizione all'unico scopo di garantirsi un minimo di respiro e di margine di manovra di fronte alle Potenze, Garibaldi e i garibaldini sottovalutarono gli avvenimenti, allo stesso modo che avrebbero sottovalutato tutti i passi successivi del governo. Ed invece, fin dai primi giorni di agosto, aveva luogo un intenso movimento di trasporti militari per trasferire a Napoli e a Messina forze regolari dell'esercito (9); in- fatti le pressioni francesi e la posizione del governo Rattazzi erano tali che questa volta bisognava agire sul serio.
(8) Cosl si riteneva a quell'epoca. Nel 1867, dopo la fuga di Gari-· baldi, in seguito alla quale venne aperto un procedimento penale militare marittimo, non se ne sarebbe stati più tanto sicuri.

(9) Scorrendo la corrispondenza del Comando generale del dipartimento marittimo settentrionale, da Genova, al Comando del materiale, si apprende, per esempio, che nel grande porto ligure avrebbero dovuto imbarcarsi il l" agosto 700 uomini della brigata «Ferrara» sulla Costituuone per Palermo; il 2 e il 3 agosto, 500 uomini del 21" reggimento di fanteria sul Plebiscito e l'intero 3" fanteria sul Ville de Lyon; il 7 ancora sul Plebiscito due compagnie del 45" e sulla Indipendenza sei compagnie del 4", mentre un'altra compagnia dello stesso reggimento avrebbe preso imbarco sul Ville de Lyon; il giorno 9 la Indipendenza, in partenza per Messina, prendeva a bordo altri 500 uomini con cavalli e muli, e la Costituzione ne imbarcava 700 per Napoli; tra il 14 e il 15 sul Brésil prendevano posto 825 soldati del 57" fanteria con muli, cavalli e carriaggi, con destinazione Messina, e 874 militari, con salmerie, dei reggimenti u·, 45" e 46" diretti a Napoli; affluivano intanto all'imbarco anche altri elementi del 20• e del 22" fanteria, mentre il 19 la Costituzione e il Cavour lasciavano Napoli per Genova con 800 ungheresi a bordo, evidentemente in relazione al disegno di allontanare dall'Italia meridionale reparti che potevano risultare particolarmente sensibili al fascino di Garibaldi (dr. A.U.S.M., busta 91, fase. 3).

Chi, però, non ne sembrava molto convinto, era il gen. Elisio Cugia, spedito d'urgenza in Sicilia per fronteggiare la situazione, mentre una squadra navale al comando del contramm. Albini, mantenendosi tra Messina e Catania, incrociava sulle rotte che i garibaldini avrebbero dovuto percorrere per passare lo Stretto. Il gen. Cugia, a Palermo, tentava in tutti i modi di calmare le acque e di svolgere opera di pacificazione, ma senza molto successo, tanto che il 20 agosto, dinanzi al precipitare della situazione, si vide costretto a proclamare lo stato d'assedio in tutta l'isola: immediatamente dopo, a Torino ne venne decisa la sostituzione ( 10). A prenderne il posto fu designato il ministro della marina, amm. Persano, che la mattina del 22 partì per la Sicilia, lasciando il suo dicastero, interinalmente, nelle mani del ministro della guerra, conte Petitti ( 11 ). Le misure militari deliberate dal governo prevedevano l'invio del gen. Cialdini nell'isola per arrestare Garibaldi, e il blocco della costa siciliana orientale da parte della squadra navale al comando del contramm. Albini, onde assicurarsi che le camicie rosse non riuscissero a passare in caiabria. Qualora poi, nonostante tutto questo apparato di forze, Garibaldi fosse ugualmente sbarcato
(10) V. CHIALA, op. cit., vol. II, pagg. 114 e segg.; P. FEA: IL generale Efisio Cugia, in «Nuova Antologia », anno XXIII ( 1873 ), fase. luglio, pagg. 636-672, afierma che all'annunzio della sua sostituzione il Cugia avrebbe scritto: « ...ringrazio d'aver mandato il generale Cialdini: mettetemi in disponibilità; le colpe ricadranno sopra di me; il tempo mi giustificherà»; il Cugia, secondo il Fea, avrebbe salvato Palermo dalla guerra civile grazie al suo controllato modo di agire, come gli diede atto un deputato siciliano durante la discussione del novembre '62 sui fatti di Aspromonte, alla Camera dei deputatL sul continente, il Lamarmora, con truppe adeguate, avrebbe dovuto fermarlo sulla via di Napoli (12).
( 11) La comunicazione della sostituzione temporanea del Persano è in una circolare dello stesso giorno 22, n. 2212, ma l'o.d.g. del Comando generale della marina è in data 24 agosto, n. 68: se ne veda il testo in A.C.R.M., busta 88, cart. agosto.

Ma quali ordini aveva la flotta? Quando ci si persuase a Torino che la linea giusta non poteva essere che quella di arrestare Garibaldi, il ministro della marina avrebbe affermato pubblicamente - lo si vedrà in seguito - che erano stati dati «ordini chiari ed espressi » allo scopo di « impedire ogni sorta di evasione dal porto di Catania »: ma prima, allorché le unità della flotta regia stavano incrociando nello Stretto, che valore potevano avere le parole degli ordini e delle istruzioni, nell'atmosfera di incertezza e di confusione psicologica che dominava? Si potrebbe sostenere che i militari non devono discutere gli ordini, ma unicamente eseguirli: tuttavia le circostanze ed i precedenti immediat i non erano tali da incoraggiare l'obbedienza pronta ed ass oluta. Nessuno aveva dimenticato che proprio in quelle stesse acqu e, due anni prima, la marina militare di uno Stato italiano avrebbe potuto e dovuto fermare Garibaldi, ed era stata lodata e premiata per non averlo fatto ( 13 ); così pure era noto a tutti l'operato del Persa no durante l'estate del 1860 nei riguardi degli ufficiali napoletani e ognuno ricordava come la crociera sullo Stretto fosse stata condotta dai borbonici in maniera molto comprensiva delle esigenze di Gatibaldi, con il risultato di vedere grandemente facilitato il proprio inserimento nella nuova marina militare dello Stato unitario ed il rispetto delle promesse di pro- mozione elargite senza parsimonia, le une dal Persano anche per conto di Cavour, le altre da Garibaldi stesso (14 ). Su rutto, poi, sulle esitazioni, sui tentennamenti, sui tradimenti, era discesa, risanatrice e nobilitante, la grande ala tricolore della causa nazionale, del motivo sacro dell'indipendenza italiana: le disobbedienze dei militari erano così divenute degne della gratitudine del Paese, le diserzioni si erano trasformate in manifestazioni di eroismo: tutto questo perché era stato solennemente affermato che tali azioni, riprovevoli in sé, erano state compiute per favorire l'unificazione nazionale, per ricongiungere al regno di Vittorio Emanuele le terre meridionali ancora separate, per ricostituire l'I tali a.
(12) Cfr. GABRlELE: La politica navale, ecc., cit., pagg. 305-306. Si veda anche: 1862 - La prima crisi dello Stato unitario, in «Atti del secondo convegno siciliano di storia del R isorgimento », Palermo, 1962.
( 13) «Garibaldi, che al suo valore aggiunge la corruzione e l'ajuto dei Comitati e di altri sommi a lei ben cogn.iti, ha potuto senza opposi· z.ione sbarcare sopra le coste della Calabria alla vista dei Forti e dei vascelli Reali. D tradimento dell'Officialità è cosa ormai notoria. Quando gli Officiali che erano sopra i Bastimenti in crociera allo Stretto di Messina erano avvertiti dai loro soldati dello sbarco, rispondevano che erano Pesca tori e si allontanavano e tornavano per distruggere le Barche quando erano vuote. .. » (Pio Capranica al card. Antonelli Segr. di Stato, da Napoli, in data 28 agosto 1860: A.S.R., Miscetl. di carte politiche e riservate, busta 134, fase. 4856: è pubblicata in appendice in M. GABRIELE: Da Marsala allo Stretto , cit., pagg. 285-286).

Ma la liberazione di Roma non costituiva forse una causa altrettanto sacra, sufficiente a giustificare e forse anche a nobilitare qualche nuovo strappo alla disciplina militare? Roma, la capitale naturale della penisola appena unificata, verso la quale si levavano ogni giorno infiammate promesse; Roma, additata come irrinunciabile meta degli italiani tutti, valeva bene - doveva valere - ogni sforzo possibile, per conquistarla per mezzo dei volontari di Garibaldi, per facilitarne la conquista da parte degli altri italiani, costretti da una divisa e da una disciplina a recitare la parte che, in quel momento, faceva comodo al governo. A quel governo che forse, come in altre precedenti occasioni, si poteva supporre connivente, alla luce interessi supremi dalla Nazione, ma obbligato dal giuoco delle proprie alleanze a dimostrarsi, a parole, ossequioso ai voleri del potente alleato transalpino.
Questi ed altri analoghi ragionamenti potevano non sembrare vaniloqui, nell'atmosfera confusa dell'agosto 1862, quar. do gli ufficiali della marina militare unitaria recentemente costi tuita si trovarono sullo Stretto per fermare la marcia dei garibaldini. Oltre tutto, essi avevano di fronte il più famoso, il più fulgido eroe dell'empireo risorgimentale, e sarebbe bastata una certa mancanza di impegno per non assumersi la responsabilità gravissima di aver arrestato un movimento di liberazione nazionale: e se era vero che il re ed alcuni ministri andavano addirittura pensando di mettere una nave a disposizione di Garibaldi, un eccesso di zelo sarebbe parso veramente fuori posto.

Quanto poi agli « ordini chiari ed espressi » che potevano provenire dal Persano, è lecito avanzare qualche dubbio, considerata la natura dell'uomo. Due anni prima, per esempio, in quelle medesime acque dello Stretto, lo stesso Albini si era trovato in una penosa situazione di incertezza, dopo aver ricevuto le istruzioni segrete che l'amm. Persano, da Napoli, gli inviava a Messina in data 8 ago:;to 1860 (15); né più tardi, nei giorni tristi di Lissa, si potrebbe sostenere che il Persano abbia dato prove particolarmente luminose di chiarezza, fino al famoso casolimite del trasbordo dalla nave ammiraglia all'avvistamento del nemico, che determinò ulteriore disorientamento nella squadra italiana e fu probabilmente una delle concause dell'insuccesso.
Certamente nell'estate del 1862, fosse o meno colpa del Persano, non mancarono gli elementi di confusione: il più grave fu senza dubbio, per la flotta, la latitanza del ministro della ma rina nei giorni cruciali della crisi.
( 15) L'Albini comandava la stazione navale sarda sullo Stretto, mentre i garibaldini si preparavano a forzare il passaggio guardato da una squadra navale borbonica: e le istruzioni del Persano dicevano che bisognava proteggere la spedizione di Garibaldi, ma al tempo stesso astenersi dal compiere atti di aggressione. La perplessità dell'Albini era perfettamente comprensibile: egli non aveva ai suoi ordini che due unità, le fregate Vittorio Emanuele e Carlo Alberto, mentre i napoletani disponevano di un'intera flotta, dislocata tra le coste siciliane e quelle calabre proprio allo scopo di impedire il passaggio dei volontari (dr.
GABRIELE: Da Marsala allo Stretto, cit., pag. 177). Il 12 agosto l'Albini pertanto scriveva al suo superiore: «Nelle istruzjoni segrete in data 8 volgente da Napoli sull'incarico che mi prescrive di assumere il comando della stazione di Messina, la S.V. Ill.ma m'ingiunge di proteggere la spedizione del Generale Garibaldi, ma senza farmi mai aggressore; ora la spedizione del Generale in questo momento è lo sbarco in Calabria e per proteggerlo mi sarebbe impossibile di mantenere un'attitudine che non fosse positivamente aggressiva, quindi essendo mio intendimento di tenermi strettamente con la massima esattezza agl'ordini del mio Capo, io sono a pregarla di favorirmi sul prvposito quei maggiori chiarimenti che valgano a togliermi da ogni incertezza... » (A.C.R.M., busta 81, cart. agosto).

La campagna estiva della squadra navale al comando del contramm. Albini prevedeva opportune manovre ed esercizi di navigazione a vela e a vapore da effettuarsi nelle acque della Sicilia; alle consuete esercitazioni militari si univa così una funzione politica che gli avvenimenti dell'agosto dovevano porre in piena evidenza. La scarsa popolarità del servizio militare e della disciplina prevista dagli antiquati regolamenti della marina, nonché l'attrazione esercitata da Garibaldi che agitava la Sicilia in procinto di marciare su Roma, diedero luogo a numerose diserzioni dalle navi della squadra nei porti dell'isola ( 16 ). La campagna di istruzione, andava trasformandosi in una missione politico-militare, e la squadra dell'Albini si trasferiva nello Stretto, dove eseguiva una serie di crociere a ridosso della costa siciliana, per controllare gli avvenimenti e bloccare le iniziative garibaldine: nuove unità venivano a raggiungere ed a rinforzare la formazione navale ( 17).

(16) Fin dal maggio precedente era divenuto preoccupante il fenomeno delle continue diserzioni: v. Istruzioni emanate a Napoli dall'Al· bini il 4 maggio 1862, in A.C.R.M., busta 86, cart. maggio Cfr. anche (ibidem, registro degli ordini della corvetta Zeffiro sotto h data del 27 maggio) una circolare diramata ai comandanti di tutti i legni armati: « ... tale rilassatezza nel servizio ... si manifesta principalmente nelle continue diserzioni che avvengono tra gl'incLvidui di bassa forza, nelle ripetute mancanze di presentarsi a bordo, scaduta l'ora della licenza Ad un tale stato di cose è forza portare riparo». Ma nell'agosto si trattava di ben altro: coloro che abbandonavano le navi regie erano nella quasi totalità giovani desiderosi di entrare a far parte delle schiere garibaldine, la cui recente epopea faceva presa sugli animi: tuttavia, quale che ne fosse il motivo, il numero deJle diserzioni era talmente elevato, che il 10 agosto l'Albini si vedeva costretto a chiedere di poter far celebrare a terra una parte dei numerosi processi (A.C.R.M., busta 83, reg. prot. partenza); dodici giorni dopo, risulta che nella sola flottiglia dei novizi e mozzi {tre corvette a vela, tre brigantini e un trasporto) gli assenti ammontavano già a 22 da quando le unità avevano gettato l'ancora a Palermo (ibidem).
( 17) Il 14 agosto, ad esempio, il Comandante generale del dipartimento marittimo settentrionale scriveva al Comandante del materiale, a
Proclamato dal gen. Cugia il 20 agosto lo stato d'assedio in tutta la Sicilia, il Persano partì il 22, come si è detto, per sostituire il Cugia e per assumere, evidentemente, il comando della squadra navale. Nominalmente, il dicastero della marina non rimaneva scoperto, essendo stato assunto ad interim dal Petitti, ministro della guerra: di fatto, però, il processo burocratico di sostituzione fu lento, troppo lento, specialmente date le circostanze, poiché passarono due giorni prima che si attuasse il provvedimento (18). Cosl, mentre soltanto il 24 agosto venne emanato l'O.d.g. n. 68 del Comando generale della marina con cui si attuava il provvedimento della sostituzione, e il Persano non arrivò a Messina che il giorno 26, nel frattempo Garibaldi, durante la notte tra il 24 e il 25, aveva già passato lo Stretto infischiandosene della presenza delle unità da guerra dell'Albini, senza essere arrestato né intercettato, e la spedizione rivoluzionaria si trasferiva dalla Sicilia nel continente, navigando da Catania a Melito su una rotta tutt'altro che peregrina. Il blocco del porto di Catania, anche se effettuato con poche navi ma seriamente, avrebbe impedito senza dubbio l'evasione garibaldina: ma tra le more burocratiche e le infelici scelte dei tempi per le sostituzioni ed i viaggi, sta di fatto che la marina militare era rimasta senza guida diretta proprio nel momento in cui avrebbe dovuto e potuto svolgere un'azione decisiva.

Giunto Garibaldi in Calabria, la situazione politica subiva un ulteriore tracollo: il 29 gettava l'ancora nella baia di Napoli la squadra francese dell'amm. Rigault de Genouilly, partita improvvisamente da Ajaccio: il medesimo giorno avveniva l'episodio di Aspromonte.
Da Messina il Persano, ansioso di mostrarsi energico ed inflessibile, toglieva il comando delle loro navi ai comandanti delle fregate Duca di Genova e Vittorio Emanuele, Giraud e
Genova, rusponendo che la cannoniera ad elica veloce e la corvetta a ruote Tripoli passassero «sotto gli ordini del Comandante della R. Squadra d'Evoluzione per essere impiegate nella vigilanza del litorale dell'Isola e in altre occorrenze eU R. Servizio» (A.U.S.M., busta 91, fase. 3).
(18) V. prec. nota 11 a pag. 26.
Avogadro, infliggendo loro gli arresti di rigore in fortezza e deferendoli al giudizio di un Consiglio di guerra. Il 29 l'ammiraglio ne dava clamorosamente comunicazione alla squadra con questo edificante ordine del giorno diretto da Messina agli equipaggi:
« Equipaggi della Squadra, « debbo dolorosamente annunciare che i due Comandanti «del Duca di Genova e Vittorio Emanuele, ebbero tolto il Co« mando, e passeranno agli arresti di rigore in fortezza per subir «consiglio di guerra, in conseguenza della riprovevole loro tra« scuragine nello impedire ogni sorta di evasione dal porto di « Catania non ostante gli ordini chiari ed espressi ricevuti a tal «riguardo. Son sicuro che voi tutti il cui principio predominante « si è lo illeso onor militare, siete del riprovevole recente ac« caduto al pari di me sopraffatti; accaduto che quantunque agli «individui soltanto imputabile, e non giammai al nostro ono-

« revole corpo che più di una fiata diè prova di valore, e me-
« ritossi dal Re , e dalla patria lodi e riconoscenza , pur non ostan-
« te pesar gli deve non poco sull'animo sensibile di chi veste
« la onorata nùlitare nostra divisa. Fidiamo quindi nell'avvenire,
« e guidati sempre da quelli onorevoli sentimenti di disciplina,
« valore ed attaccamento al Re, e rispetto allo Statuto Nazio-
« naie speriamo non mancare novelle azioni, e più favorevoli an-
« cora di gloria nelle quali avremo più fortunata occasione di
« far sempre più brillare la militare scintilla istintiva negli ita-
« liani tutti, e massime poi nei marini. E poiché attualmente lut-
« tuose circostanze interne c'impongono il dovere di frenare le
<< agitazioni troppo moleste all'ordine pubblico, così confidando
« intieramente su ciascuno di voi son sicuro che sapremo far
« rispettare quelle leggi che formano il cardine d'ogni ordine so-
« ciale, ed in tal guisa renderei utili al Re, ed allo Stato » ( 19 ).
I due ufficiali, trasportati a Genova in stato di arresto sulla corvetta Malfatano (20), vennero poi giudicati da un collegio
(19) A.C.R.M., busta 88, cart. agosto.
{20) Cfr. in A.U.S.M., busta 91, fase. 3 , il telegramma di Persano da Napoli al Comando Marina Genova: (( I due comandanti del V iltorto composto da loro superiori e colleghi, ed assolti, mentre altri ufficiali della marina che si erano particolarmente distinti ( 21) furono nominati in un o.d.g. del Comandante della squadra, contramm. Albini, del 24 novembre 1862. All'Albini stesso, che con le sue aperture e le sue offerte aveva contribuito ad aumentare il disorientamento e la confusione negli animi, nulla fu imputato: né la cosa desta meraviglia, se si suppone che dietro le sue avances vi fosse addirittura la volontà del monarca.
E così nell'ufficialità di marina non ebbero a lamentarsi capri espiatori, se non temporanei: tutti uscivano indenni da questa tipica storia all'italiana: assolti e riabilitati gli imputati maggiori, una volta calmate le acque, di definitivo restavano solo gli encomi per coloro che si erano «distinti ». Forse una valutazione equa delle circostanze indusse i severi giudici militati alla comprensione, e si pensò, legittimamente, che la recente tradizione del '60 poteva aver ingenerato una certa confusione negli ufficiali circa il grado di prontezza e di zelo che era opportuno usare nell'obbedire agli ordini.
Quanto al Persano, si premiò da sé: si autopromosse da vice-ammiraglio ad ammiraglio il l o dicembre 1862, mentre il governo di cui faceva parte era già dimissionario (22).

Ben diverso fu invece il trattamento riservato ai volontari garibaldini. Dopo che lo stesso Garibaldi, ferito, era stato tradotto nel golfo della Spezia, trattenuto a bordo più a lungo del necessario per motivi di polizia e isolato da qualsiasi contat- to (23 ), ebbe inizio tra i prigionieri garibaldini la cacCia ai disertori della marina militare.
Emanuele e del Duca devono arrivare a Genova in istato d'arresto sul Mal/atano. V.S. procederà a loro riguardo secondo gli ordini già mandati »; ibidem, alrro dispaccio del ministero, da Torino, alla stessa destinazione: «Comandanti Duca et Vittorio giungeranno costì in arresto col Malfatano »: entrambe le comunicazioni sono in data 30 agosto.
(21) Baldisserotto, Pucci, Sanminiatelli. Era stato il comando della VI divisior.e dell'esercito, di stanza a Messina, a segnalare al ministero della marina, con un'apposita relazione di lode, gli ufficiali e gli equipaggi della cannoniera Veloce e dei piroscafi Plebiscito e T ukory (A.C.R.M., busta 86, cart. novembre).
(22) Sull'episodio e sullo scandalo che ne seguì, cfr. GABRIELE: La politica navale> ecc., cit., pagg. 179-180, 192.
In un primo momento, almeno, è probabile che le intenzioni fossero molto severe. Forse i dirigenti della marina militare erano -o si sentivano - impegnati ad emulare le esecuzioni capitali con cui si era illustrato l'esercito, poco onorevoli esecuzioni di ragazzi entusiasti che avevano seguito Garibaldi attratti da un motivo ideale.
A Genova fu costituita un'apposita commissione di sotruffìciali, che doveva « recarsi nei forti... ove sono detenuti i prigionieri garibaldini, onde riconoscere se fra i medesimi trovinsi disertori dei Corpi della R. Marina » (24 ). La commissione dei sottufficiali partl da Genova il 26 settembre per assolvere al proprio compito, che portò al riconoscimento di tre presunti disertori di marina tra i prigionieri garibaldini (25), sul cui destino finale, peraltro, non si sono rintracciati elementi certi. Né risulta se qualche altro infelice giovane marinaio sia stato riconosciuto in diversa occasione dalla medesima o da un'altra commissione inquisitrice come disertore per essere andato con Garibaldi ed essere divenuto, pertanto, « reo di ribellione e di tradimento » sulla via di Roma.

(23) V. tele gramma cifrato del Comandante della divisione di Genova al Comando del porro di La Spezia in clara 2 settembre: « Comu· nichi Comandan te Battaglione che in attesa ordini et istruzioni precise domandate da Comando questa Divisione eserciti massima sorveglianza se Garibaldi sia sbarcato al Varignano o al Lazzaretto. Nessuna comu· nicazione persone senza ordine ministeriale » (A.U.S.M , busta 91, fase. 3). Il giorno prima, lo stesso comandante della divisione di Genova aveva scritto al comandante del dipartimento marittimo settentrionale: « Il Ministero ordina che Garibaldi non sbarchi sino ad aspettare ordini per cui la prego darne avviso. Questa sera pare che voglia farsi qualche dimostrazione, ma dessa non sarebbe che dopo le sette, però la Polizzia (sic!) non è ancora ben certa di ciò » (ibidem).
(24) Comandante del dipartimento marittimo settentrionale a Comando del personale, Genova, in data 25 settembre 1862: A.U.S.M., busta 91, fase. 3. Fin dalla settimana precedente i criteri di composizione della commissione stessa erano stati opportunamente finalizzati, come risulta chiaramente da quanto scriveva, il 18 settembre, il coman· dante del dipartimento marittimo settentrionale all'Albini: « ... alcuni Sotto-Ufficiali del Corpo Reale Equipaggi, scelti tra i più avveduti, devono essere spediti al più presto possibile nei Forti ove si trovano detenuti i prigionieri Prego quindi V.S. Ill.ma di compiacersi ordinare che sette Sotto-Ufficiali della R. Squadra da Lei comandata (uno per bastimento) siano designati per tale incombenza e posti a disposizione del Comando del Personale per essere, unitamente ad altri Sotro-Ufliciali della Caserma, mandati, per ora, prima nel Forte dei Ratti e poi in quello di Vado» (A.C.R.M., busta 88, cart. settembre).
Certo è che anche per la marina la pagina di Aspromonte, tra documenti scomparsi ( 26) e maneggi poco chiari, risulta confusa e triste.
(25) Tali Gardella o Galea, Rambosio o Ambrosia, e Cameron. Il 27 ottobre l'Udirore di marina Annovazzi scriveva in proposito al Comandante del corpo R. equipaggi: «Il primo sostiene di essere Gardella Giovanni fu Francesco, d'anni 24, da Palermo, di professione facchino, e dice di essere stato preso prigioniero a Catania il 17 agosto scorso, quando faceva parte della truppa del Generale Garibaldi, ed afferma che egli non fu mai antecedentemente ascritto a qualsiasi Corpo Militare, per cui è certo che egli fu per errore scambiato col Galea, perché risulta a quest'Ufficio che il vero Galea, marinajo nel Corpo R. Equipaggi, disertore d'al Re Galantuomo, sta detenuto nelle carceri di Napoli a disposizione di quel Signor Uditore di Marina, e per cui il Gardella sarà a cura dello scrivente rimesso alla disposizione di quest'ufficio di Questura. Ammette l'altro di essere D'Ambrosia Giuseppe di Pio, d'anni 22, marinajo del Corpo R. Equipaggi e di essere disertato dalla R. Pirofregata Garibaldi in rada presso Palermo, e di aver fatto parte delle bande del Generale Garibaldi al Campo di Firenze, e quindi ad Aspromonte, dove sarebbe stato preso prigioniero. Lo scrivente sta ultimando l'istruttoria per rimetterlo all'Uditore di Napoli per essere sottoposto al giudizio del Consiglio di Guerra ordinario marittimo del Dipartimento, ove la diser· zione avvenne, ovvero per sottoporlo al giudizio di questo Consiglio Superiore di Ammiragliato come reo di ribbellione e di tradimento secondo le definitive risultanze processuali. In quanto al Cameron Angelo, furono iniziati gli ani, ma non essendo ancora arrivato in queste carceri, non si è potuto dar corso ulteriore » (A.U.S.M., busta 91, fase. 3: dove si trovano anche altre carte del settembre, ottobre e novembre 1862 sullo stesso argomento, e soprattutto sulla ricerca del latitante Cameron).
(26) Tra l'altro, non è possibile reperire gli atti del giudizio istruito a carico del Giraud e dell'Avogadro.

Capitolo Iii
L'AZIONE DELLA MARINA
DURANTE L'EPIDEMIA DI COLERA DEL 1865

Tra il '62 e il '65, sebbene non fossero completamente scomparsi gli elementi di pericolosità che avevano caratterizzato il primissimo periodo dell'Italia unita, destinati a permanere minacciosi finché la guerra del '66 e l'occupazione di Roma del '70 non permisero alla marina di contare su una situazione nuova, profondamente e favorevolmente modificata, tuttavia il governo fu più raramente costretto a ricorrere alla flotta per compiti connessi con la politica interna.
Nell'Adriatico, fino a quando gli italiani non controllarono anche Venezia, la posizione strategica rimase debole e la possibilità di una efficiente sorveglianza del litorale, anche ai fini interni, molto ridotta: tanto che ancora nel settembre del '65 il ministro Angioletti, inviando al Vacca le istruzioni per la crociera che l a divisione , navale al comando di quel contrammiraglio stava per iniziare, includeva nel programma anche una visita intirnidatoria ad Aulone, in Albania, « donde negli anni passati si è temuto imbarcare di briganti per le Provincie Napoletane » (l). Con gli agitatori che effettivamente talvolta sbarcavano di nascosto sulle coste adriatiche, venivano più spesso dal mare contrabbandieri e pirati, vecchia piaga che soltanto la presenza prolungata di consistenti forze navali in servizio di polizia poteva stroncare deftnitivamente.
Nel Tirreno, sebbene la situazione fosse migliorata in Sicilia, dove già nell'agosto 1862 le misure di protezione disposte a difesa delle navi commerciali potevano essere ridotte, le relazioni marittime con lo Stato pontificio rimasero cattive, a causa del contrabbando di materiale da guerra che unità da cabotaggio pontificie continuavano saltuariamente a far pervenire ai briganti. La sicurezza della navigazione commerciale, però, grazie anche all'opera della marina militare, andò aumentando sempre più: alla vigilia della terza guerra d'indipendenza, le rotte italiane erano ormai divenute assai meno rischiose che non negli anni precedenti. Anche l'attività di polizia costiera delle unità militari leggere aveva sempre meno occasioni di dirigersi contro pirati e sempre più contro contrabbandieri. Per la repressione del contrabbando ordinario, generalmente l'intervento di navi da guerra veniva richiesto dalle autorità doganali caso per caso, con apposite istanze (2).
(l) A.C.R.M., busta 167, doc. 29, prot. ris. arrivo (Aulone sta per Valona).
Mentre dunque andavano rarefacendosi, nel corso del primo quinquennio degli anni '60, gli interventi della flotta in servizio d'ordine nei mari della penisola, a mano a mano che la situazione interna migliorava in un graduale e faticoso processo di normalizzazione, la politica navale del nuovo Stato era volta, tra dissidi e incertezze, ad aumentare la consistenza della flotta, l'efficienza delle formazioni e delle singole unità e la capacità professionale degli equipaggi ( 3 ). Prettamente militati fu-
(2) Si può ricordare, ad esempio, il caso del piroscafo Giglio, che normalmente faceva servizio tra Genova e La Spezia, il quale fu r ichiesto il 31 dicembre 1865 dalla Direzione compartimentale delle gabelle di Genova, affinché prendesse il mare recando a bordo un ufficiale e un drappello di finanzieri, allo scopo di ricercare e fermare la goletta Rosa che era partira da Livorno per Genova con carico sospetto. L'unità venne prontamente concessa, ma non riuscì a sorprende re la Rosa. Di nuovo, su istanza della medesima Direzione delle gabelle, il Giglio fu concesso per una missione che lo portò a metà febbraio 1866 a fare una gita lungo la costa della Riviera orientale affine di impedire un nuovo tentativo di contrabbando di tabacco»: a bordo aveva il solito drappello di finanzieri e questa volta riusd a fermare un battello sospetto e a rimorchiarlo a Sestri Levante, ricevendo le congratulazioni ed i ringraziamenti del ministero delle finanze (A.C.R.M., busta 8, pacco 65, cart. Giglio, rimorchiatore). Per quanto precede, v. anche la lettera dell'Albini al comandante del brigantino Eridano in data 6 agosto 1862 (zbidem, busta 88, cart, agosto).
(3) Cfr. GABRIELE: La politica navale, ecc., cit., parte II, capp. IIIIV. Iniziata dal Cavour fin dal 1860, proseguita dai ministri Menabrea, rono, nel 1863, gli scopi dell'attività della flotta, che con una squadra armata in campagna di istruzione nel Mediterraneo occidentale, al comando del contramm. Provana, poi con un viaggio della medesima squadra in Portogallo ed infine con una rivista navale a Napoli. curò l'addestramento degli uomini nei limiti imposti da un'esosa economia ( 4 ). L 'anno seguente, l'attività fu ancora più inre:1sa nel campo dell'armamento, con la lunga missione della squadra di evoluzione a Tunisi al comando dell'Albini. che impegnò per cinque mesi alcune tra le migliori unità della marina, con la crociera della flottiglia dei novizi e mozzi e con gli esercizi delle operazioni di sbarco nel golfo della Spezia: durante le quali manovre, malgrado la scarsezza di ufficiali e la scarsa preparazione di quelli in servizio, le non perfette condizioni di molte navi e gli insoddisfacenti risultati delle esercitazioni di evoluzione tattica e di tiro , si fecero tu ttavia dei progressi nell'azione diretta ad amalgamare e ad affiatare gli equipaggi (5).

Persano e Cugia, la politica deJ potenziamento qunntitativo e qualitativo della marina militare portò in un sessennìo la lloua italiana, dalle 97 unità per 133.000 wnn. e con un totale di 1.166 cannoni esistenti sulla carta alla data della proclamazio:1e del regno (di cui però erano realmente efficienri solranto 79 unità per 77.000 tonn. e con 745 pezzi), ad un complesso reorico di 103 navi da guerra per 187.000 tonn. e con l AOO cannoni alla del 1• gennaio 1866, della qual forza erano effettivamente utili 8-J unità per 133.526 tonn. e con 1.125 pezzi. Più che dal raffronto di tali cifre, il miglioramento della flona risulta dal rafforzamento delle unità a \ apore ed in particolare delle corazzate, dalla omogeneizzazione del nucleo fondamentale delle navi da battaglia, dal superamento insomma della debolezza estrema insira in quell'accozzaglia di navi eterogenee che figuravano nel primo quadro dd naviglio del regno. A partire dal ministero Persano si era cercato, c si era in parte riusciti a costiruire una flotta abbastanza dotata di unità adatte alle forme nuove di combattimento che si stavano affermando. Nei riguardi della preparazione degli uomini, però, la politica del sessennio fu assai carente, eccetto che nel periodo del ministro Cugia: insufficienze si registra\·ano a rutti i livelli (\'. A.C.R.M., buste 155, 160, 162, 16.3, ecc.: in particolare si veda il « Rapporto della applicazione dei nuovi Regolamenti » inviato al ministero dal contramm. Provana l'Il settembre 1863, in A.C.R.l\1., busta 164, reg. copialettere corr. Ministero). Il naviglio, in sostanza, poté essere migliorato più facilmente che non gli equipaggi. La potenza della marina, auspicata dal Cavour e dal Menabrea, progredita decisamente con il Persano e il Cugìa, non continuò ad accrescersi dopo la caduta del governo Minghetti e soprattutto con l'avvento del Lamarmora e dell'Angiolettit: i risultati se ne videro poi a Lissa.
( 4) « :-\avigherà sempre alla vela, né permetterà che si accendano le macchine se non in caso di estrema necessità » si legge nelle istruzioni inviate al Provana dal ministero (A.C.R.M., busta 155, pacco 11).

La flotta ritornò alla ribalta della politica interna con la missione in Sicilia nella primavera e nell'estate del 1865. La divisione era all'ancora a Siracusa, al comando del contramm. Vacca, quando, il 27 marzo, ricevette l'ordine di procedere alle consuete esercitazioni nelle acque di Messina e di Palermo, prendendo a base Messina, il cui porto era ritenuto sicuro, mentre a Palermo le navi avrebbero potuto sostare soltanto con tempo favorevole ( 6 ). Lo spostamento delle unità da guerra verso le due città più importanti della costa sette ntrionale dell'isola era stato suggerito al governo dalla situazione interna siciliana, nel presupposto che le navi avrebbero dovuto svolgere indirettamente già con la loro sola presenza un'azione intirnidatrice e, qualora la situazione precipitasse, avrebbero affiancato l'opera delle truppe e della polizia al fine di garantire la sicurezza ed il mantenimento dell'ordine pubblico. Parecchie grosse bande operavano, infatti, nelle zone interne e con la loro opposizione alle forze governative offrivano un punto d'appoggio agli elementi politicamente ostili all'autorità dello Stato unitario, i quali potevano tentare di sfruttare il disordine per provocare movimenti rivoluzionari, il cui incubo turbava da cinque anni i sonni dei pavidi governanti.
Diverse crociere vennero effettuate in aprile lungo le coste siciliane dalla divisione navale, con manovre ed esercitazioni ed approfittando dell'opportunità per compiere rilievi dei vari porti e ancoraggi (7): nel maggio la formazione raggiunse Palermo, sede della Luogotenenza generale dell'isola, allora affidata al gen. Medici. E a Palermo , il 13 maggio, il Medici scriveva al Vacca per segnalargli di essere venuto a conoscenza di voci allarmanti, secondo le quali in quella notte stessa si sarebbe verificata un'insurrezione nella città e nelle campagne circostanti. Come già in altre analoghe occasioni, il Medici era stato incaricato di dirigere le operazioni militari al fine di un pronto ristabilimento dell'ordine, e pertanto, pur dichiarandosi scettico sulla veridicità delle voci correnti, chiedeva la collaborazione delle truppe da sbarco della marina ( 8 ). La sera del 13 e la notte sul 14 trascorsero nell'attesa dello scoppio del moto insurrezionale: il Vacca, chieste istruzioni a Torino, aveva ricevuto l'ordine di prestare la massima cooperazione al gen. Medici ( 9 ); tutte le forze governative restarono all'erta, ma non accadde nulla. Al mattino seguente il prefetto di Palermo ne dava comunicazione al ministero degli interni (l O) e, alla luce dei fatti, si constatava come avesse avuto ragione il Luogotenente generale e come le autorità civili, al solito, non avessero visto che fantasmi.
(5) Cfr. GABRIELE: La politica navale, ecc., cit., pagg. 214-222.
(6) Lettera del ministero al Vacca in data 27 marzo 1865 {A.C.R.M., busta 167, doc. 13, prot. ris. arrivo).

( 7 ) Lettera del ministro Angioletti al Vacca in data l O aprile 1865 (A C.R.M., busta 167, doc. 14, prot. ris. arrivo).

( 8 ) «A dir il vero mi sembra inverosimile un tentativo di tal sorta, ma il minimo fatto potendo in questo paese facile ad esaltarsi, prendere forti proporzioni, potrebbe accadere allora ch'io dovessi ricorrere a domandare a V.S. Ill.ma la cooperazione delle Truppe da sbarco da Lei dipendenti» (leuera personale confidenziale del Medici a Vacca in data 13 maggio: A.C.R.M., busta 167, doc. 16 prot. ris. arrivo).
{9 ) Telegramma contramm. Vacca a ministero: «Probabile insurrezione in Palermo Generale Medici ha chiesto cooperazione mia Divisione attendo ordini » (A.C.R.M., busta 167, ali. al doc. 17 prot. ris. partenza ) L'immediata risposta del ministero fu la seguente: «Dia Generale Medici ogni cooperazione. Passi da domani in poi Suoi telegrammi Ministero Firenze » {ibidem, ali. al doc. 17 pro t. ris. arrivo).
{lO) « Palermo al tutto tranquilla. Spirito pubblico rialzato. Panico ieri cessato. Timidi sì convinsero esistenza forze e prontezza autorità. Notevole come cittadinanza ogni colore si strinse Governo, si mostrò pronta. Divisione Navale accorsa quartieri numerosissima nella notte. Spontaneamente unitisi alla medesima studenti. Parola Governo diretta calmare paure esagerate accolta con rutta deferenza. Generale Medici perlustra i contorni. Avvenire dirà se falso allarme dato per stancare o per scopo ritirarsi. Banda Morreale che Carabinieri inseguono non più vista da ieri. S'ignora direzione. Fisionomia paese tornata normale. Autorità Governo prevalente» (ibidem, copia all. al doc. 17 prot. ris. arrivo).
Dalla metà eli maggio sino ai primi di agosto l'opera della divisione navale in sostegno alle autorità governative che dovevano assicurare l'ordine interno delle province meridionali, subì un'interruzione. Stante la mancanza di pericoli urgenti, le unità restarono impegnate in manovre ed esercitazioni: quindi , a fine maggio , la divisione raggiunse Alger i per una visita di cortesia in onore di Napoleone III ( 11) e a giugno, a ranghi ridotti, si trovava a Napoli ( 12).

( 11) Vittorio Emanuele II voleva far giungere il suo saluto a Napoleone III al termine di un viaggio dell'imperatore in Algeria. 11 ministro Angioletti inviava istruzioni al contramm. Vacca in via urgentissima il 20 maggio: <• S.M. vuole fare cortesia Imperatore Francese ordina Divi· sione Navale muova immediatamente per Algeri, o\·e a\·uto udienza presenti Imperatore saluti S.M. e dica essere ella mandato espressamente. Colà quindi attenderà partenza Imperatore che scorterà per breve tratto e dopo commiato diriga Napoli toccando due giorni Cagliari». Il giorno seguente il ministro ribadiva le istruzioni precedenti, raccomandando all'ammiraglio di lasciar capire a Napoleone III che la missione era stata ordinata per il solo scopo di onorare la sua partenza da Algeri e insisteva sulle manifestazioni di cortesia da tributarsì all'imperatore, rammentando il comportamento della squadra francese quando il re d'Italia si era recato a Napoli nel 1862. La divisione salpò senza indugio ed arrivò nella rada di Algeri il 24 maggio. L'incontro tra l'Imperatore dei francesi e gli ufficiali della marina italiana fu particolarmente cordiale: Napoleone III si mostrò commosso e ricambiò nella stessa giornata la visita salendo a bordo dell 'a mmiraglia italiana, passò in rivista gli stati maggiori, si trattenne a lungo con alcuni ufficiali, visitò tutto il bastimento e al momento di accomiatarsi ripeté al comramm. Vacca «di essere ben lieto di ritrovarsi in mezzo agli italiani a' quali intendeva dare con questa visita un attestato di simpatia ».
L'indomani, ad una colazione a bordo dello yacht imperiale Aigle, Napoleone sedette tra Mac Mahon e il Vacca; e quando la divisione italiana accompagnò a Philippeville l'imperatore, scortato anche dalla squadra del Bouet de Willaumetz, la fregata Italia teneva nella formazione il posto d'onore a destra dello yacht imperiale. Da Philippeville Napoleone III mandò all'amrnìraglio italiano una graziosa lettera di ringraziamento, invitandolo a non attendere oltre, dovendosi egli tratte-
Ma una situazione gravemente tesa stava determinandosi in Sicilia in quei giorni: per il diffondersi del colera che fece in quell'anno molte vittime nella ( 13 ), si accusava il governo di non aver preso le misure necessarie a scongiurare l'epidemia. La paura del terribile morbo e le mormorazioni degli scontenti - numerosi nell'isola, sia pure per motivi diversiche approfittavano di qualsiasi occasione per sollevare contro il governo l'opinione pubblica isolana, avevano nuovamente prodotto uno stato di agitazione veramente pericoloso. Non si trattava, questa volta, di vaghe paure ingigantite dalla cronica pavidità delle autorità locali e del governo, ma di una reale tensione della quale era difficile prevedere con esattezza gli eventuali sviluppi. « Le condizioni dell'isola di Sicilia per l'esaltamento della popolazione, stante la tema dell'invasione del cholera, richiedono le maggiori cure da parte del Governo » era giustamente detto nelle istruzioni che da Firenze, nuova capitale, il ministro Angioletti inviava al comandante della divisione navale ancorata a Napoli il 2 agosto, ordinandogli di trasferirsi a Messina con le sue unità ( 1 4 ). Era stato stabilito che il ministero nere alcuni giorni a Costantina. Terminata così la sua missione, la divisione salpò per Cagliari, dove gettò l'ancora il 29 maggio. Un singolare, ma significativo strascico di questo episodio si ebbe più tardi, nell'agosto, quando il Vacca si lamentò con il ministero che le decorazioni offerte all'ammiraglio e agli ufficiali superiori francesi non fossero state ricambiate ( documenti relativi aHa missione in A.C.R.M., busta 167, prot. ris. arrivo e partenza).
(12) A.C.R.M., busra 167, doc. 19, prot. ris. arrivo.
(13) Sul colera in Italia in quell'anno cfr. REGNO n'ITALIA - MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E CoMMERCIO - Statistica del Regno d'Italia: Sanità pubblica - Il cholera-morbus nel 1865-1866-'67, Firenze, 1867-18ì0; e G. FRIZ: La popolazione di Roma da! 1770 al 1900, in « Archivio economico dell'unificazione italiana» serie II, vol. XIX, Torino, 1972, pagg. 101, 109, 112.
{14) Ministro Angioletti al Vacca in data 2 agosto 1865: A.C.R.M., busta 167, doc. 21, prot. ris. arrivo. Per il rifornimento di combustibile il ministro suggeriva di fornire le fregate « di carbone a Reggio onde vuotare quel deposito che deve sopprimersi »: ma fu obbiettato che lo scalo a Reggio per i rifornimenti avrebbe contribuito ad aumentare le degli interni avrebbe provveduto nell'isola ad assicurare l'ordine pubblico e le misure igieniche essenziali, mentre la marina avrebbe dovuto assolvere al servizio di controllo sanitario per mare. Il ministro riconosceva che, dato lo scarso numero di navi di cui disponeva il contrammiraglio, non era possibile organizzare un vero e proprio cordone sanitario: tuttavia la divisione avrebbe dovuto assicurare il rispetto delle leggi sanitarie nei principali porti dell'isola e rassicurare con lo spiegamento « dell'imponente forza marittima >> la popolazione contro la violazione delle leggi sanitarie; come porto di stanza, su cui gravitare, si assegnava alla formazione quello di Siracusa, da cui però le unità avrebbero dovuto muovere in continue crociere di controllo sugli altri porti.

Il compito della marina non appariva agevole, dovendosi visitare i natanti, controllare l'applicazione delle misure igieniche e contemporaneamente tenersi pronti ad appoggiare l'azione delle autorità di terra per mantenere tranquilla l'isola. Il Vacca procedette per Messina, ma appena arrivò, il 7 agosto, si rese conto che la situazione presentava notevoli caratteristiche di pericolosità: la Sicilia era pervasa da una vera e propria psicosi dell'invasione del colera e il terrore dell'epidemia era fonte di turbamento. A Messina il popolo appariva assai depresso, e non a torto: tuttavia, come il contrammiraglio scriveva in una comunicazione riservatissima al ministero (15), era facile notare l'azione sobillatrice della « parte esaltata e sovversiva la quale coglie le occasioni per spingere il popolo aa eccessi e violazioni delle leggi >>. Era anche colpa delle autorità, se la situazione dell'ordine pubblico appariva tanto deteriorata: !l Vacca le accusava di incapacità, divise come erano e incerte fra le idee di prudenza e i propositi di energica coercizione. L'uso della forza per imporre alla gente il rispetto e l'ordine era per il comandante della divisione il metodo migliore da seguire, specialmente dopo gli ultimi eccessi che erano stati commessi da popolani esaltati diffidenze della popolazione siciliana, la quale temeva che con il carbone le navi imbarcassero anche i bacilli della malattia. contro le autorità sanitarie e contro l'edificio della Deputazione di Salute: «ora questo popolo minaccia il Governo e le pro« prietà , facendosi scudo di un supposto avvelenamento che il « governo manda alle popolazioni, e che una volta fu portato « dal Minghetti , un•altra volta dal Persano, ora si sparge por« tato dalla Divisione ». L'eccitazione popolare era giunta a tal punto, che i cittadini si armavano e si organizzavano in gruppi e presidiavano i loro quartieri, impedendo il passaggio ad ogni estraneo , per timore che portasse il contagio: ciò aveva dato luogo a violenze, intorno alle quali si era stabilità l'omertà, essendosi diffusa la convinzione , soprattutto negli strati più ignoranti della cittadinanza, che bisognasse difendersi prima di tutto dalle stesse autorità governative.

Nel telegramma di risposta del ministero, si avvertiva il Vacca che « si temono disordini pretendendo siciliani l'isola« mento assoluto dal Governo proibito » ( 16 ); il contrammiraglio veniva autorizzato a dividere le sue forze ove lo avesse ritenuto opportuno, ma con l'esortazione ad agire sempre di concerto con le autorità militari e politiche, per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico.
Nel corso del mese , si ha notizia della presenza della divisione a Catania e a Siracusa , sempre per esplicare il servizio sanitario marittimo: avendo deciso il governo di ordinare la quarantena per tutti coloro che giungessero in Sicilia dal continente, toccava alla divisione provvedere a che tale ordine venisse osservato, ed è soprattutto alla necessità di imporre l'obbedienza a questa misura che si deve attribuire il dislocamento delle unità navali sulla costa orientale siciliana , in modo da poter controllare il traffico di cabotaggio che si svolgeva in prevalenza lungo il litorale e che gravitava quindi sugli approdi dello Stretto. Il Vacca fece del suo meglio, ma probabilmente si dimostrò un po' troppo zelante e provocò qualche lamentela , a giudicare dal dispaccio inviatogli dal mtrustero il giorno 12 (17), in cui lo si invitava a non agire di propria iniziativa.
( 16 ) Telegramma urgente dell ' Angioletti al Vacca in data 10 agosto 1865 e lette ra riservata id. id. in pari data: A.C.R.M., busta 167, docc. 24 e 25 prot. ris. arrivo.

Il terrore dell'epidemia, come si è detto, era spesso un pretesto per sfogare il malumore del popolo sommamente malcontento della nuova amministrazione dello Stato unitario, e forse più a questo pericolo che non alla necessità di controllare i battelli in arrivo si devono le numerose richieste di navi rivolte dai prefetti al comando della divisione: il Vacca, dal canto suo, essendo responsabile del servizio sanitario marittimo per tutto il litorale dell'isola, cercava di farsi sentire dai prefetti proclamando un atteggiamento intransigente e raccomandando di « mantenere il rispetto delle leggi da qualunque parte si minacci di violarle » (18 ).
Non si sono potute rintracciare , per q•Jesto periodo, altre notizie importanti in relazione all'impiego della divisione nelle acque della Sicilia durante l'epidemia di colera: ma risulta che il Vacca si trattenne a Siracusa fino alla fine del mese di settembre. Le istruzioni del ministero del 20 settembre e del l o ottobre che gli ordinavano di recarsi nelle acque greche, erano infatti indirizzate a Siracusa ( 19) e si può presumere che nel settembre, quando l'Angioletti decise di far eseguire alla divisione quello che doveva essere un giro di istruzione, la situazione siciliana, sia dal punto di vista sanitario, sia da quello dell'ordine interno, fosse notevolmente migliorata. Il colera era ancora virulento in vari centri, specie dell'Italia meridionale, ma la sua pericolosità era ormai in fase decrescente, salvo in qualche punto: se ne trova indirettamente notizia nelle istruzioni inviate dal ministero alla fine di ottobre, in cui, ordinandosi al comandante
(17) «Limiti la sua azione ad appoggiare le disposizioni date dal prefetto quando ne viene regolarmente richiesto senza prendere iniziativa sua » (dispaccio del 12 agosto, A .C.P. M., busta 167, doc. 27 prot. ris. arnvo.

(18) Lettere del 13, 14 e 17 agosto in A.C.R.M., busta 167, doc. f, prot. ris. arrivo e partenza.
(19) A.C.R.M., busta 167, doc. 29, prot. ris. arrivo della divisione di recarsi con le sue unità ad Ancona, per far conoscere quella città agli ufficiali e per risollevare il morale della popolazione, depresso per la recente epidemia, lo lasciava libero di scegliere la rotta e gli scali, ma gli proibiva di toccare Brindisi, dove il morbo infuriava ancora (20).
Capitolo Iv
La Rivolta Di Palermo Del 18 66
Quel che era stato tanto temuto e non si era poi verificato tra il 13 e il 14 maggio 1865, il movimento insurrezionale in Sicilia, scoppiò invece con violenza di gran lunga maggiore a Palermo nel settembre dell'anno successivo, cogliendo di sorpresa tanto il governo quanto le autorità locali (l). Sui fatti svoltisi nella capitale siciliana alla fine dell'estate del 1866 esiste una copiosa letteratura, sia dell'epoca (2), sia posteriore (3 ), e molto può ritenersi acquisito dalla corrente conoscenza storica: meno noti, nei particolari, sono gli aspetti della partecipazione della marina militare alle operazioni di riconquista della città ( 4 ). Dopo gli avvenimenti di quell'anno infausto - Custoza, Lissa e le susseguenti vicende - alla prima notizia dell'esplosione del furore popolare tra la popolazione palermitana , il governo era certo di poter contare sulla marina ancor più che sull'esercito: sebbene il morale di quest'ultimo non fosse tanto depresso quanto ritenevano, o speravano, i mazziniani (5), tuttavia la flotta appariva più sicura. alcuni allarmi, poi rientrati, e quantunque si fosse manifestato il grave rifiuto di un ammiraglio srimato, quale il Pro vana, di assumere il comando in capo ( 6 ), benché infine gli ufficiali superiori si accusassero a Yicenda della sconfina e la stampa e l'opinione pubblica, esacerbate dalla delusione sofferta, si scagliassero contro la marina, in ultima analisi, però, la situazione non era così grave come si sarebbe potuto supporre. Le diserzioni erano state poco numerose, gli ufficiali si prendevano cura dei loro uomini, controllando il vitto che veniva loro fornito e preoccupandosi delle loro condizioni di vita, i servizi sanitari stessi, già tanto carenti, erano migliorati (7): non vi era quindi nella flotta un'ostilità e una divisione, tra ufficiali ed equipaggi, che potesse far ritenere giustificata una previsione di rifiuto aU'obbedienza quando se ne fosse presentata l'occasione. rapporto del medico capo degli ospedati di bordo della squadra all'amm. Albini in data 20 luglio 1864, in A.C.R.M., busta 162, pacco 41.
( l ) La fulminea estensione iniziale del moto, infatti, venne favorita soprattuttO dalla scarsissima consistenza delle forze disponibili in Palermo : 450 uom ini di truppa mobile di linea (granatieri, reparti del l o• deposito, del 69" e del 70.), di cui circa un centinaio di soldati addestrati, il resto reclute di II categoria delle classi 1842, '43 e '44; una bat t eria di 6 pezzi da 8 riga ti con 168 uomini, dei quali una sessantina istru i ti . gli altri reclute; 520 armati tra guardie dei dazi municipali e pompieri; 410 elementi di polizia e carabinieri; 250 guardie doganali; 80 allievi dell'istituto « Garibaldi »: in tutto 1.878 uomini , comprese 400-500 reclute. Gli armati asserragliatisi nel Palazzo reale insieme al gruppo delle aurorità militari e civili ammontavano a rirca 600 (PAGANO: A.vvenimenti del 1866. Sette giorni d ' insurrezione a Palermo, Palermo, 1867, pagg. 83 e 86).
(2 ) G. CroTTI: Cenni storici sugli avvenimenti di settembre 1866, Palermo, 1866; T. MERCADANTE: I fatti di Palermo nei sette giorni di anarchia desunti da fonti ufficiali, Palermo, 1866; P. MESSINEO: Le sette giornate di Palermo, Palermo , 1866 ; F VARVARO POERIO: Storia di sette giorni . Cenni storici degli avvenimenti seguiti a Palermo nel settembre 1866, Palermo, 1866; V . MAGGIORANI: Il sollevamento della plebe di Palermo e del circondario nel settembre 1866; G. PAGANO: op. cit.; ed altri.
(3) Importante, tra i moderni. lo studio del BRANCATO: Origini e caratteri della rivolta palermitana del settembre 1866, in « Archivio storico siciliano», serie III, vol. V, Palermo, 1953.

(4) Cfr. \Y/. GHETTI: La Marina nei moli di Palermo del 1866, in « Rivista marittima », 1962, giugno; c M. GABRIELE: La marina mi/tIare alla riconquista di Palermo (settembre 1866), in « Nuovi quaderni del Meridione», n. 16, Palermo, 1966.

(5) Nell'agosto il Mazzini scriveva: « L'esercito è irritato e, maneggiato a dovere, si smembrerebbe e, credo, non rifarebbe Aspromonte » (Lelfere di Giuseppe Mazzini ad Andrea Giannellt, Firenze, 1878, vol. II, pag. 264 ).
(6) L 'episodio (: assai noto: il ministro della marina Deprctis telegrafò al Provana 1'8 agosto in questi termini: «Il Governo lo ha nominato Comandante in Capo. Il Go,·erno in questi momenti supremi confida nella sua devozione al Re e nel suo patriottismo. Feccia immediatamente sue proposte». L'ammiraglio rispose lo stesso giorno: «Alla vigilia delle ostilità sono pronto ad imbarcarmi come semplice Comandante, non assumo Comando in Capo» (A.U.S.M., cassetta 51, vecchia collocazione).
(7) A.C.R.M., busta 174, fase. Principe Umberto. Sulle condizioni sanitarie a bordo delle unità della marina militare in quegli anni, dr.
Alla metà di settembre, la prima divisione della squadra di operazioni, composta in gran parte da unità di legno ereditate dalle marine regionali italiane, era concentrata a Taranto, sotto gli ordini del contrammiraglio Augusto Riboty, futuro ministro della marina, che si era condotto onorevolmente a Lissa e aveva fama di essere uomo di polso. A lui giunse il 16 settembre l ' ordine urgentissimo di salpare per Palermo: ma, nell'affannosa confusione del momento, al ministero ci si era dimenticati che il Riboty non era in possesso della cifra e che quindi non poteva decifrare il dispaccio del Depretis ( 8 ). Chiarita la situazione e continuando la pioggia dei telegrammi (9), la for-Za navale prese il mare nelle ore antimeridiane del giorno 17 (l O).

( 8 ) A.C.R.M., busta 174 , fase. Corrispondenza Ministero. Il primo telegramma del Depretis arrivò al Riboty alle ore 14 del giorno 16: l'ammiraglio rispose immediatamente (disp. 113): «Non avendo cifra non comprendo suo telegramma. Scriva se crede con dizionario telegrafico di bordo»; qualche ora dopo, non ricevendo risposta, insisteva (disp. 114 ): « Non si comprende dispaccio urgentissimo alle due pomeridiane d 'oggi. N on si ha ci fra a bordo. Attendo ordini ».
( 9 ) Ibide m : alle 19,36 arrivò il telegramma urgente spedito da Firenze alle 18,45: «Già spediti altri disp:1cci con telegrafo di bordo. Urge affrettare partenza»; aUe 21 ,52 quello inviato alle 21,05 : «Prego dirmi se riceve ne dispaccio con dizionario telegrafico di bordo >>; alle 7,30 del giorno 17 un terzo sollecito, mandato da Firenze aUe 2,30: « Affretti partenza e faccia tragitto a ruttO vapore alla massima sollecitudine». Dal canto suo il Riboty, alle 20,30 del 16, avendo finalmente ricevuto gli ordini , faceva preparare ie navi alla partenza con la maggiore rapidità possibile e ne dava conferma, con disp. 115, al ministero : «Assicuro partenza questa notte o alba domattina >>; contemporaneamente trasmetteva a Napoli, al comando in capo del 2• dipartimento marittimo: « Prima divisione muove da questo porto ».
(10 ) Salparono per prime le corazzate Re di Portogallo e Principe Umberto, alle quali seguirono, a mano a mano che furono pronte, le f regate Maria Adelaide, Duca di Genova, Gaeta, Garibaldi, Carlo Alberto
Intanto , gli avvenimenti a Palermo erano precipitati. Nella mattina del 16 i rivoltosi si erano impadroniti della città, mentre le autorità politiche e militari , 'tsserragliatesi nel Palazzo reale, tempcstavano Firenze di richieste di aiuto, che cessarono bruscamente quando gli insorti tagliarono i fili del telegrafo. Gli assediati ebbero tuttavia il tempo di ricevere dai prefetti di Messina e di Napoli l ' annuncio della partenza dei primi rinforzi ( 11 ).
Così , mentre la divi sione navale era in navigazione a tutto vapore. giungevano a Palermo , nelle prime ore del mattino del 18 , due unità della marina militare, salpate da Napoli alla mezzanotte tra il 16 e il 17: la corvetta T ancredi, ex-napoletana ( 1.168 tonn .. 6 cannoni) e. il trasporto Rosalino Pilo (925 tonn., 2 cannoni ). che per la sua scarsa velocità aveva proceduto a rimorchio dell'altra unità: recavano a bordo un migliaio di soldati del 52o fanteria. Queste due navi ebbero parte rilevante nelle vicende del giorno 18, come risulta dal rapporto del cap. freg. Carlo Felice Baudini, comandante del T ancredi , al contrammiraglio Riboty ( 12 ) :
« Rassegno a codesto comando della R. Squadra il detta« gliato rapporto sull'operato, da che io fui spedito dal comando « in capo del 2o Dipartimento Marittimo per venire in soccorso « della guarnigione di Palermo infine al momento dell'arrivo del« la R. Squadra. Partii da Napoli sulla mezzanotte dal 16 al 17 « p.p. e diressi per Palermo, avendo a bordo 148 uomini del 52° e la corvetta San Giot•anni CRANDACCIO: Storta delle marine mtlitarz ztaliane dal 1750 al 1860 e della marina militare italiana dal 1860 al 1870, Roma, 1886, vol. II , pagg. 228 e 301). Come punto di riunione era stabilito il golfo di Palermo.

( 11) PAGANO, op . cii., pagg. 86-99.
( 12) A.C.R.M. , busta 174 , fase: Corrispondenza Mini st ero: « Ra!>porto sull'operato della R. Corvetta nella gio rnata del 18 sette mbre sulla rada di Palermo», del cap. frcg. C.F. Baudini all'Amm. Riboty, in data 20 settembre 1866, n. 284, con 5 allegati ( 1•. ordine al Rosolino Pilo di carbonare e ritornare a Napoli; 2• e 3°, dispacci e richiesta di viveri al Comando militare di Messina; 4 , telegrammi cifrati per il ministero e per il comando del II dipartimento marittimo con informazioni sulla situazione di Palermo; 5· , rapporto per il comando del II dipartimento marittimo sull'operato delle due unità a Palermo).
«reggimento fanteria, e scortando il Rosalino Pilo con circa 900

« uomini dello stesso reggimento. Il Rosalino Pilo non potendo
« far più di 4 miglia e Y2 di cammino, fu da me tratto a rimor-
« chio fino a Palermo dove arrivai sulle 8 a.m. del giorno 18.
«Appena giunto nelle adiacenze del porto, si presentarono a me
«un luogotenente della capitaneria del porto, un capitano di Piaz-
« za e parecchi ufficiali di diverse armi, per farmi edotto delle
« condizioni in cui versava la piazza e città di Palermo, la quale
« da più giorni si trovava in mano ai rivoltosi i quali scesi in massa dal borgo di Monreale avevano invaso la città, si erano
« impadroniti del Municipio ed assediato le autorità politiche
« e militari nel Palazzo Reale, il quale non aveva a presidio che
« 600 uomini con 6 cannoni e difettava grandemente di muni-
« zioni da guerra e di viveri. La città mi si disse essere in mano
« a quanto vi ha di triste in Sicilia e mi si volle assicurato che i
« rivoltosi potessero ascendere a 90 mila ( 13 ). La guarnigione
<< erasi ridotta in piccole proporzioni nei casali del porto, nella
« Viccaria e nel forte di Castellamare, mentre che un presidio
« di circa 3 8 uomini sosteneva ancora il palazzo delle Finanze.
« Ed infatti all'avvicinarmi del porto, vidi fare un fuoco vivissi-
« mo dalli insorti appiattati nei giardini circostanti alla Viccaria,
« e dalle case che formano la testa del borgo di S. Lucia sul largo
« della Viccaria e più specialmente dalla chiesa di S. Lucia.
« L'insorti erano provvisti di vecchi cannoncini montati so« pra fusti marini (cannoni che furono poi presi dai Bersaglieri)
« e minacciavano direttamente la Viccaria ed il porto. Pochi col<< pi di cannone avrebbero bastato per aprire breccia nelle mura
« di circonvallazione della Viccaria, il cui presidio in numero di « 600 uomini non avrebbe bastato certo per respingere lo at« tacco degl'insorti ed a mantenere in freno i 2000 condannati «che mi si assicurava avessero già tentato anch'essi la rivolta. Il «porto poi era più seriamente minacciato, perché mentre respin-
{13 ) Cifra palesemente esageratta. E' eccessivo anche il numero di 25.000 riportato dal GHETTI (art. cit., pag. 14): forse è abbastanza vicina al vero la cifra di 15-20 mila uomini, a cui fanno riferimento vari scrittori e molte testimonianze.
« geva lo attacco sullo stradone che mena a S. Lucia, avrebbe
« potuto essere preso alle spalle dalle falde del monte Pelle« gnno.
«Codesti dati io li ebbi concordi da quanti vennero a bordo
« al mio giungere in porto. Senza titubare io risolsi di oppormi
« con quanto avevo di forze per proteggere la Viccaria ed il Por-
« to, e tenere in freno i rivoltosi minacciando con qualche colpo
« di cannone i giardini ed i campi che stanno in quelle adiacen-
« ze. In conseguenza io m'imbozzai sulla boa più foranea del
« porto , presentando il fianco sinistro al borgo S. Lucia, e co-
« minciai il fuoco a granate dirigendo qualche colpo alla testa
« del borgo e tirando in arcata sui giardini e campi radenti la
« Viccaria. Assunsi su di me gravissime responsabilità. L'immi-
« nenza del pericolo me l'impose indeclinatamente. Ad ogni costo
« io volli protetta la Viccaria e salvo il porto quale rifugio per le
« truppe della guarnigione e per base di operazione di quelle
« forze che il governo avesse creduto di mandare per domare la
« rivoluzione. In pari tempo sapendo che le truppe non aveva-
« no viveri ordinai al Rosolino Pilo di consegnare al presidio del
« porto tutti i viveri che aveva a bordo non conservandone pet
« sé che i1 quantitativo necessario per 4 giorni, essendo che ave-

« vo deciso di respingerlo a Napoli dopo avere imbarcato col-
« l'opera del suo equipaggio il carbone che gli era necessario. A
« mia volta io ravvitagliai per due giorni il forte di Castellamare
<<dove v'erano 400 condannati e circa 200 uomini di presidio,
« mandandogli inoltre quantità di capellozzi fulminanti di cui la
« truppa difettava, come pure consegnai mtte le mie munizioni di
« cartucce a palla per fucili di fanteria al distaccamento che avevo
« portato con me, il quale n ' era poco provvisto.
« Allo scopo poi di tutelare lo sbocco dello stradale che dal
« porto conduce a S. Lucia ed alla Viccaria feci sbarcare i due
<< cannoni da 17/c I. R. montati sopra affusti a ruote del Rosalino
« Pilo e li feci consegnare al Maggiore comandante il battaglio-
« ne del 52° fanteria, mentre che sbarcavo tutta la mia compa-
« gnia da sbarco con due cannoni sotto gli ordini del Sottotenente
« di Vascello Sig. Porcelli a cui davo per consegna di mettersi
« sotto gli ordini del succitato ufficiale superiore più anziano
« fra gli ufficiali del presidio, e con consiglio di fare subito una
« forte barricata con cannoniere per proteggere lo stradale con
« i cannoni.
« Siccome poi la posizione s'andava aggravando ad ogni
« momento e poiché vociferavasi della resa a discrezione del Pa-
« lazzo Reale e che inoltre il Governo non poteva essere edotto
« della gravissima situazione in cui versavano i suoi rappre-
« sentanti, essendo il telegrafo in mano agli insorti: e che il bi-
« sogno di viveri non ammetteva ritardo, assunsi sopra di me di
« costringere la compagnia Florio, perché avesse fatto partire
« senza dilazione due piroscafi , l'uno per Messina con un mio
« ufficio a quel Comando Militare, nel quale ufficio io doman-
« davo immediato soccorso di viveri, mentre che gli spedivo due
« telegrammi in cifre , l'uno per il Ministero e l'altro per il co-
« mando del 2"' Dipartimento Marittimo; ed il secondo piroscafo
« lo diressi per Napoli con un mio rapporto al sopracitato Co-
« mando poiché temetti che il Rosolino Pilo non potesse partire
« atteso il tempo minaccioso sopravvenuto in quell'andare. La
« compagnia Florio non frappose ostacolo in proposito ed i ca-
« pitani dei piroscafi Leone ed Archimede si prestarono all'uopo
« con tutta energia e devozione al Governo.
« Il Rosalino Filo, a cui sulla sera avevo fatto facoltà di « non partire atteso il cattivo tempo, volle tentare di ricondursi
«a Napoli avendo a bordo 10 feriti di fanteria, se non che so-
« praggiuntegli alcune avarie nelle caldaie dovette retrocedere
<< nella notte. E qui mi cade in acconcio di portare a conoscenza
« di codesto Comando della Regia Squadra quanto io ebbi a « lodarmi della condotta del suo comandante Luogotenente di « Vascello Sig. Miloro Antonio, il quale non pretermise ener<< gia ed attività, secondandomi in tutte le disposizioni che lo « riflettevano con rara intelligenza ( 14 ).
(14 ) Quesro ufficiale aveva tra gli insorti un fratello, il quale, preso prigioniero con le armi in pugno, morì poco dopo per le ferite riportate in combattimento (GHETTI, art . ci t., pag. 15 ) : «Fortunatamente» annotava A.V. Vecchi « perché così tolse d ' impaccio noi, suo fratello e se stesso ».

« Durante il giorno io feci fuoco a larghissimi intervalli di « tempo, essendo che la Regia Pirocorveua era poco provvista
« di munizioni da guerra tolte ad impresrico dall'Ettore Fiera<< mosca al momento della partenza, poiché da meno di 24 ore
« il Regio Legno era uscito dal bacino di 1\apoli. Fu mia cura il
« fare meno male possibile ai caseggiati da dove non vedevo far
« fuoco sulla Viccaria e sullo stradale del porto, e diressi quasi
« tutti i colpi nei giardini e nei campi.
« Sulle 4 p.m. cessai il fuoco e mi ormeggiai per la notte sul-
« la boa di ormeggio, mantenendo però lo zaffarancio di combat-
« timenro. Nella notte ordinai un servizio di due lance armate in
«perlustrazione, affinché impedissero ogni traffico col porto e
<< sul litorale della città poiché mi si era asseverato essere atteso
<< un rinforzo di malviventi di Ustica.
« Nella notte sul giorno 19, imbarcato sopra il piroscafo
« Milano, giunse un Battaglione di Bersaglieri che feci subito
« scendere a terra, e nel mattino, visto all ' orizzonte lo apparire
« della Regia Squadra, sospesi ogni qualunque mio ulteriore prov-
« vedimento e venni rosto a bordo del Legno Ammiraglio a ripe-
« tere a voce quanto nell'interesse del Governo e della città stes-
« sa di Palermo io avevo creduto di assumere su di me per im-
« pedirc più grave danno ed oggi ne rassegno dettagliato rap-
« porto per iscritto, essendo che quello da me spedito al Coman-
« do del zo Dipartimemo 1v1arittimo fu dettato in momenti in

« cui essendo io l'ufficiale più in grado di quanti stavano ancora
« a difesa delle posizioni occupate dal Governo e libere nelle loro
« comunicazioni non potè essere un sunto completo di quanto io
« feci e ordinai, essendo che ad ogni minuto io ero ricercato per
« disposizioni ed ordini e per ricevere tutte le comunicazioni che
«militari e cittadini credevano di dovermi riportare nell'inte« resse generale del Governo e della città ».
Cosi il primo aiuto era venuto dalla marina, il cui imervento tempestivo, anche se effettuato con forze modestissime, era stato assai efficace sul piano psicologico, rianimando il morale degli assediati, e notevole sul piano tattico, impedendo la liberazione dei detenuti da parte degli insorti. Si dimostrava pertanto come la flotta, in politica interna, costituisse la forza mobile più immediatamente impiegabile in situazioni di emergenza e l'unico strumento logistico capace di permettere il trasferimento celere di reparti terrestri a distanza. Tali effetti positivi dovevano accre· scersi il giorno 19 , con l'arrivo della divisione Riboty , anche se fu vano il primo tentativo dei governativi del Palazzo reale di porsi in contatto con essa ( 15 )
Le unità da guerra, appena giunte, erano state disposte con le fiancate parallele alla riva, per tenere la città sorto la minaccia dei cannoni. Ma da terra non erano venute azioni ostili e le imbarcazioni della squadra avevano potuto far la spola indisturbate fra le navi alla fonda e la zona portuale controllata, tra le caserme dei Quattro Venti e quelle di Castellamare. In tal modo furono rapidamente sbarcate armi e munizioni, viveri ed uomini: il forte di Castellamare ricevette dei cannoni di rinforzo e le truppe trasportate dal continente presero terra. Alle l O l'amm. Riboty sbarcò per effettuare una ricognizione, accompagnato dal cap. freg. Emerico Acton, comandante in seconda della nave ammiraglia Re di Portogallo. Un'ora dopo presero terra un battaglione di marinai ed uno di fanteria di marina, insieme ad una aliquota di artiglieria da sbarco: si trattava delle forze che, unitamente a quelle di altre specialità dell'esercito, avrebbero dovuto tentare , appena possibile, di rompere il cerchio che assediava Palazzo reale. Due unità, il T ancredi e il Duca di Genova, accompagnate da imbarcazioni minori, sorvegliavano la costa durante le operazioni di sbarco, che non incontrarono il minimo ostacolo: secondo il Ghetti la presenza della flotta ebbe un effetto assai deprimente sugli insorti, che cercarono di scendere a patti attraverso la mediazione del console francese ( 16 ).
(15 ) <<L'arrivo della flotta >> scrive il PAGANO (op. cit., pagg. 114· 118 ) << ave va confortato gli animi abbattuti della gente rinchiusa al Palazzo Reale e fu loro primo pensiero porsi in relazione con essa>>. Ma la sort1ia, rentata per l'Olivuzza, via dei Lolli, largo San Francesco di Paola, da un gruppo di armati al comando del cap. Fallardi, non tiu· sci: quasi tutti i militari caddero o furono catturati dagli insorti. Allora, « perduta la speranza di collegarsi sulla sinistra colla flotta, si avvisò il comrammiraglio della g ravità delle cose. Coll'acido di limone scrissero · sulla carta: - Abbiamo vi veri per due giorni, munizioni da guerra per due , pensate ad unirvi con noi -. Erano otto messi travestiti i mandati e uno solo riuscì. li Riboty aveva risposto: - Vengo - », Cfr. analoga narrazione presso il RANDACCIO: Storia delle marine militari italiane, ecc., cit. , vol. II, pag. 303.

Depressi o no, sta di fatto tuttavia che gli insorti stessi, come avevano resistito valorosamente nelle prime ore della mattina alla sortita del drappello che da Palazzo reale intendeva raggiungere il porto, cosl bloccarono un tentativo dei bersaglieri, a mattino inoltrato, e, nel pomeriggio, un più impegnativo sforzo di tutte le truppe disponibili. Questa seconda azione venne condotta al comando dell' Acton, che il Riboty aveva nominato comandante delle forze da sbarco, e che nella sua relazione così riferiva ( 17 ):
«Nominato dalla S. V. al comando delle truppe da sbarco, « mi recai nelle ore del mattino del 19 a terra, per mettermi « di concerto col maggiore più anziano che trovavasi al co«mando delle truppe che bivaccavano ai Quattro Venti.
«Assistetti al primo attacco dato in Scinà dal 24° battaglio« ne bersaglieri comandato dal maggiore Brunetta, il quale giun« se in piazza Ruggero Settimo ove prese tre piccoli pezzi di
(16) Si veda il cit. art. del GHETTI: «Le oscure murate delle fregate, immobili, con le volate dei cannoni chiaramente visibili fuori dai portelli; l'incessante movimento delle imbarcazioni; lo sbarco di truppe di mare cominciano ad influenzare i rivoltosi. Circola voce che si tratti della flotta britannica con a bordo un principe borbonico per il uono di Sicilia. Ma i colori delle grandi bandiere nazionali, vivaci nel translucido mattino, sono perfettamente visibili ed il comitato rivoluzionario pensa che sia ora di far sondaggi, a mezzo del console di Francia, per una tregua o capirolazione che riconosca belligeranti gli insorti c assicuri l'impunità». Circa tali contatti dei rivoltosi con il console di Francia, cfr. anche il rapporto del 22 settembre del console stesso, pubblicato da F. BRANCATO (op. cit.).
(17) A.C.R.M., busta 174, Corrispondenza Ministero: «Rapporto del capitano di fregata Emerico Acton, comandante del corpo di sbarco, al contrammiraglio Riboty, comandante della r divisione della Squadra Operazioni, Palermo, 25 settembre 1866 ». Si veda anche il rapporto finale dell'amm. Riboty al Depretis ministro della marina, pubblicato dal RANDACCIO, op. cit., vol. II, pagg. 301-306.

<<artiglieria agl'insorti e si ritirò nelle prime posizioni (18). Al« lora invitai il predetto signor maggiore a voler fare mangiare
« e riposare la sua gente mentre io avrei fatto eseguire lo sbarco
« dei marinai e soldati di fanteria marina dei Regi Legni che « già trovavansi in pronto e tentare da poi di fare un attacco « per aprire la comunicazione con le Autorità di Palazzo Reale «percorrendo via Scinà, piazza San Francesco di Paola e porta «d'Osimo.
«Alle riuniti i due battaglioni di marinai e fanteria «marina con dieci pezzi da sbarco(19), in rutto 1.170 uomini, « sul viale del mole , sotto dirotta pioggia, presi il comando della << spedizione, avendo anche sotto i miei ordini il 24o battaglione
« bersaglieri comandato dal bravo maggiore Brunetta che fian« cheggiava l'artiglieria da sbarco la quale marciava in testa, « una frazione del 5° battaglione granatieri e parte del 19° di « linea. Allo sbocco della piazza della Viccaria, ricevuti a fuci« late dagl' insorti, tirammo alquanti colpi a granata e traver« sammo hl via Scinà recevendo il fuoco dalle case e dalle can-
( 18 ) Derro ma gg iore Brunetta così scriveva nel suo proprio rap· porto al contramm. Riboty, da questi ritrasmesso a Firenze, al mini· stero: « Questa mattina uscii dal locale della 3 ' casa ove stetti bivaccando la notre, e col battaglione in colonna serrata marciai verso il Corso Scinà fino alla sua imboccatura sulla piazza della Vicaria. Colà giunto, ricevuto a fucilate dalle prime case di corso Scinà , feci marciare avanti la r compagnia, e colle altre feci delle diversioni verso Santa Lucia e a lato della Vicaria. La l ' com!)agnia rispondendo ai fuochi obliqui che venivano dalle case del corso , si portò fino alla piazza Ruggero Settimo ricono scendo terreno e vidde che l'insorti respinti si rifugiavano dietro la barricata di via Le altre compagnie mantennero un vivo fuoco cogli insorti nelle case, ed arrivarono a scassinarne parecchie venendo a corpo con gli insorti. Mi ritirai in buon ordine avendo preso agli insorti numero tre piccoli pezz i di artiglieria, e mi ritirai in quartiere; ebbi in questo attacco n. 3 feriti gravemente e qualcuno leggero. Ufficiali e soldati dimostrarono molto valore e non ho che ad encomiarli tutti... »
(A.C.R M., busta 174, fase Corrispondenza Ministero).
(19 ) Secondo il GHETTI ( art. cit. ), il quale fonda il suo racconto sui ricordi dell'allora tenente di vascello A.V. Vecchi che in quella cir· costanza comandava l 'artiglieria , i pezzi presi agli insorti dai bersaglieri q ue lla mattina sarebbero stati 14: 7 sezioni di 2 pezzi ciascuna.

« tonate delle vie trasversali d'onde i granatieri sloggiavano gl'in« sorti proteggendo cosl il nostro fianco. Sul largo Ruggero Set« timo fummo accolti da un fuoco micidiale, ricacciammo gl'in<< sorti dietro alle barricate di porta Maqueda e nel Giardino In-
« glese e corremmo attaccare il convento di San Francesco
« di Paola, facendo ritirare gl'insorti da porta Carini, via Stabile, « Villa Filippina, occupando il largo San Francesco di Paola
« e strada Pignatelli.
« Mancate però le munizioni. avendo vari obici resi inser« vibili e 42 morti e feriti, cioè due morti, quattro feriti del « 24° bersaglieri e 36 di marina, tra i quali i capitani di fante-
« ria marina signori Bcuf ( 20) e Di Palma ed il luogotenente di « vascello signor Colonna; bagnate le poche munizioni, ordinai
« di riprendere le primitive posizioni senza che gl'insorti osas« sero inseguirei (21 ).
« La sera si rinforzarono i posti che guardavano le falde « di monte Pellegrino e si rilevarono gli avamposti dai Quattro «Venti, occupati fino dal giorno 16 dai granatieri con compa« gnie di marinai e di faati di marina. Feci provvedere le grandi « prigioni di viveri per due giorni, munizioni e due obici da « sbarco ».
Si può concludere che la giornata del 19, nonostante ogni sforzo del corpo di sbarco, non presentava un bilancio attivo, come era inevitabile che fosse, data la scarsezza dei mezzi a disposizione del governo. Non rimaneva che attendere l'arrivo dei rinforzi preannunciati , mantenendosi sulla difensiva.
( 20) « Tra gli ufficiali » narra il Vecchi « è feritO per primo il capitano del Real Marina Beuf con una palla nell'omero destro. Andò da Acron per avvertirlo; ma Acton dtmostrandosi angustiato di cosa che sembravagli prematura, gli disse con calma imperturbabile: - Eh! Se cominciamo adesso ad esser feriti, che sarà tra un'ora? Vada al suo posto -. Beuf obbedì; ma ritornò poco dopo: - Questa volta ho anche una palla nella gamba -. Era vero, in meno di cinque minuti era stato ferito due volte» (GHETTI, art. cit. ).
( 2l) Il rapporto del maggiore Brunetta cosl proseguiva: « Uscito in tes[a alla colonna comandata dal signor colonnello cavalier Acton, aveva davanti di me l'artiglieria di Marina, e prendemmo pure il corso

Gli inserti controUavano sempre la città ed anzi l'insurrezione si estendeva nel contado, mentre gli assediati di Palazzo reale continuavano ad aspettare la liberazione con un certo sconforto, derivato dalla crescente scarsità di viveri e di munizioni e dalla constatazione del fallimento delle operazioni intraprese per venir loro in soccorso. Inoltre, la sera del 19, al rientro della colonna Acton, si era ri levato che gruppi di rivoltosi, calati dal monte Pellegrino, erano stati sul punto di aggirarla e di tagliarla fuori dalle sue basi ai Quattro Venti.

La presenza della flotta, con il timore di un bombardamento generale della città, agiva per altro come deterrente sugli insorti, distogliendoli , quando anche ne avessero avuto l'intenzione e la forza, da attacchi diretti contro il porto. Il R iboty, infatti, nella giornata del 20 settembre, preoccupandosi dei n - fornirnenti di carne e di viveri freschi, aveva ordinato la requisizione di buoi nella campagne ed aveva spedito a Trapani la corvetta San Giovanni per venovagliamento; ma soprattutto, messo in allarme da movimenti avversari che potevano far temere un attacco sul forte di Castellamare, aveva cercato di organizzare la base di sbarco e di attacco per i rinforzi. Aveva ordinato al Duca di Genova di controllare il movimento delle imbarcazioni private disponendosi alla fonda all'imboccatura del porto; a sud-est aveva fatto imbozzare la Princtpe Umberto} a sostegno del fronte meno munito dello schieramento: l'ordine dato all'unità era quello di sparare con i cannoni sulle case dalle quali fossero partiti colpi contro le forze governative e contro le postazioni dell'artiglieria. Può darsi che tali movimenti delle navi da guerra avessero contribuito a diffondere nella cittadinanza la paura di un imminente, indiscrirninato bombardamento dopo l'insuccesso delle forze da sbarco (22): ma in realtà non sembra probabile che i responsabili della flotta abbiano veramente pensato ad un'azione del genere, anche perché si era consapevoli che non tutta la popolazione parteggiava per i rivoltosi. Il 20 settembre trascorse quindi relativamente tranquillo, nella preparazione del grande attacco generale che doveva essere sferrato la mattina seguente. Nel corso della giornata arrivarono, narra il Pagano, « il 31 o bersaglieri da Napoli e spezzoni del 19o di linea. In sul pomeriggio da Livorno tre battaglioni del 53o di linea, il 24° bersaglieri (23) e i generali Angioletti e Masi, quello comandante la l 0 3 divisione attiva e questi la brigata Umbria »; contingenti molto più importanti erano annunciati in arrivo per la notte e per l'indomani. Appariva ormai evidente alla marina che il giorno successivo la situazione sarebbe stata affrontata dai militari di terra con il massimo impegno, scartando qualsiasi forma di accordo con gli insorti, nella precisa volontà di domare con la forza la rivolta.
Scinà ove con fuochi nelle case cominciammo ad occupare la piazza Ruggero SeHimo, cacciando l'insorti dietro le loro barricare in via Maqueda, O\ è face,·ano un fuoco micidiale. Continuai a marciare verso il largo di San Francesco di Paola e comb attevo i fuochi che uscivano dal con\"ento di San Francesco e dalle case anigue; mi portai fino sul piazzale, protetto sempre dai fuochi dell'artiglieria, e mi provai a battere gl'insorti i quali erano barricati in via Stabile, Porta Carini, e Villa Filippina, sostenni un fuoco accanito, essendomi trovato avvolto, fino a che, mancando le munizioni ddl'artiglieria, il signor cavalier Acton, comandante la colonna, mi ordinò la ritirata; i bersaglieri pure erano quasi sprovvisti di munizioni. ln questo combattimento ebbi due bersaglieri morti e quatrro feriti, come l:t mattina il battaglione si portò coraggio· sameme. Mi faccio lecito far ossen•are alla S.V. Ill.ma che per congiungersi a Palazzo Reale occorrono forze, le quali marcino divise in sguerriglie (sq uadriglie? ), ed abbiano ad arrivare contemporaneamente nei diversi punti occupati dagli insorti dalle strade di Giardini Inglesi, Marina , Porta Strada di Ferro, Olivuzza, Mome Pellegrino , via di Monreale e via Serra di Falco, poiché in tal modo si giunge in città all'improvviso senza passare pelle contrade ove il fuoco riesce di poca utilità per noi e molto micidiale». Nel rapporto finale dell'amm. Ribo t y al ministro della marina, cit., la fase conclusiva delle operazioni del 19 era cosl esposta: «Se non che, giunti a porta Maqueda verso le 5 pomeridiane, dovettero indietreggiare, riuscito essendo impossibile il penetrare fra forti barricate vigorosamente difese, e costrutte con tale destrezza ed accorgimento che non posso in coscienza affermare che gente popolana e facinorosa avesse potuto dirigerne la costruzione».
(22) Cfr. PAGANO, op. cit., pag. 118: « Dicevasi che per l'insuccesso delle truppe da sbarco a bordo della flotta era stato discusso se doveasi bombardare la città Fortunatamente non furono aggiunti altri nomi nella storia d'Italia a quei che erano già pei fatti vergognosi di Custoza e di Lissa ».
( 23) Veramente, a quanto risulta dai rapporti precedentemente ci· tati, il 24" bersaglieri si trovava già a Palermo ed aveva preso parte ai combattimenti del giorno 19.

Alle 4,30 pomeridiane, allorché giunse il gen. Angioletti, che era sta t o ministro della marina, l'amm. Riboty gli cedette il comando generale delle forze di terra ed aveva messo a sua disposizione quelle di mare. L'Angioletti prese alcune misure per rendere più sicure le posizioni di partenza (24) e convocò per la sera una riunione dei capi militari sulla nave ammiraglia del Riboty, la Re di Portogallo. In tale consiglio di guerra egli espose il proprio punto di vista sulle operazioni che dovevano portare alla liberazione degli assediati del Palazzo reale ed alla ticonquista della città: due colonne, al comando di lui stesso e del gen. Masi, sarebbero avanzate, rispettivamente, sulle zone di via Libertà-Lolli e dell'Olivuzza per condurre l'attacco nel cuore dell'abitato. Contemporaneamente, ad evitare sorprese, le forze da sbarco sotto gli ordini dell'Ac ton avrebbero presidiato la zona dei Quattro Venti, mentre reparti di granatieri avrebbero rastrellato le propaggini del monte Pellegrino per impedire eventuali aggiramenti. La flotta, nel corso di tali operazioni, avrebbe dovuto garantire un efficace sostegno dal porto, sia effettuando un'azione massiccia di fuoco, da parte di lance ed imbarcazioni a vapore appositamente armate sotto il comando del tenente di vascello Francesco Ruffo di Scilla. sia compiendo una particolare azione diversiva alla foce del fiume Oreto. Le barche a vapore e le lance, divise in gruppi, sarebbero entrate in azione contemporaneamente poco prima dell'attacco generale, aprendo il fuoco d'infilata sulle vie Lincoln, Toledo. Cavour e attraverso porta Felice: in tal modo si sarebbe realizzata una pressione continua sugli insorti, che avrebbe efficacemente appoggiato l'azione delle colonne di attacco. L'azione diversiva alla foce dell'Oreto era prevista allo scopo di in1pedire, sia la fuga degli insorti di città, sia l'arrivo di rinforzi ad essi dalla campagna (25).
(24) Cfr. cit. rapporto dell'Acton, che dal pomengg1o del 20 prendeva ordini -direttamente dall'Angioletti: «Il giorno 20, clovendo giunger rinforzi per via di mare , ordinai di requisire dei buoi in campagna, ed essendo stato informato che i ribelli avrebbero tentato attaccarci dal lato di monte Pellegrino, dove infatti si vedevano alcune squadriglie, distaccai due compagnie, una del 24• battaglione bersaglieri ed una di fanteria marina, per perlusuare la campagna. Verso le 4 V2 p.m. giunse il tenente generale Angioletti che mi ordinò di rilevare il 24• battaglione bersaglieri e fare occupare tutti i posù durante la notte dai marinai e fanteria marina, tenendo pronri due pezzi da sbarco che all'alba doveano marciare sotto ai suoi ordini, rendendomi interamente responsabile della difesa dd molo e dei Quattro Venti ».


Le operazioni decisive del giorno 21 ebbero inizio all'alba, quando la fregata Gaeta, al comando del tenente di vascello Carlo Cerruti, trasferitasi dall'ancoraggio dì Villa Giulia sulla sinistra del fronte a mare, aprl il fuoco sulla foce dell'Oreto. II compito dell'unità venne agevolato dall'opportuno arrivo, alle 8 antimeridiane, di tre battaglioni del 54" reggimento di linea, che vennero sbarcati direttamente sulla spiaggia di Romagnolo, « perché si tenessero sulla linea del fiume Oreto, sulla destra della posizione di Palazzo Reale , in modo da circuire interamente la città e togliere agl'insorti. .. che potessero sfuggire per le strade di Bagheria e di Misilmeri » ( 26 ).
(25) GHETTI , art àt L'amm. Riboty, nel più \·olte citato rapporto al ministro della marina, riporta gli orclini del gen. Angioleni per la flotta come segue: « All 'alba doveva richiamare alla via di mare l'attenzione della città con far fuoco su di essa dalla parte del fiume Orero ed àbbattere il ponte degli Ammiragli e quello della strada ferrata posti entrambi nella medesima direzione da mare, nello scopo di non permettere o1i malvi\·enti di rifugiars: nelle campagne nel caso di una disfatta, come pure d'impedire il continuo arrivo di gente armata proveniente dalla Bagheria ».
(26) PAGANO , op. cit , pag. Cfr. clisp. del 21 settembre al comandante della Gaeta: « Il Luogotenente Generale Angioletti fa conoscere che due altri battaglioni di truppa dovranno essere diretti sulla sinistra dell'attacco, cioè sulla desrra del fiume Oreto per prendervi posizione e respingere energicamente chiunque volesse uscire dalla città e prendere la campagna da quella parte. Mettendosi a cavallo ognuno di una delle due strade che ivi esistono e bene apposrati possono rendere grandi servizi» (A.C.R.M., busta 174, fase. Gaeta.
Con queste mosse preliminari, tutro era pronto per il grande attacco generale. Le colonne d'assalto, rinforzate oltre il previsto dai contingenti che continuavano ad arrivare (27), scattarono sulle direttive previste: quella del gen. Masi giunse combattendo fino all'Olivuzza verso le ore 11, ed allora l' Angioletti sferrò l'attacco su tutta la linea, sbloccando dai Quattro Venti le forze da sbarco al comando dell' Acton per impiegarle contro le posizioni dei rivoltosi ai Quattro Canti di Campagna.
L'Acton stesso così descrive l'azione nel suo citato rapporto:

« Il mattino del 21, ricevuto il rinforzo della compagnia
« da sbarco della Garibaldi, aumentando così le forze di marina
« sotto i miei ordini a 1.250 uomini, distaccai i due pezzi della
« Gaeta comandati dal sottotenente di vascello signor Lugaro
« Enrico sotto gli ordini del generale Masi per seguire quella co-
« lonna; ordinai a due pezzi della Garibaldi con quattro avan-
« treni e 12 operai di marciare con la colonna del generale An-
« gioletti.
«Alle 9Y2 a.m., quando queste colonne erano partite, oc-
« cupai il convento di Santa Lucia e gli sbocchi del borgo senza
<< trovare resistenza, facendo alquanti prigionieri.
« Stabilite le barricate e lasciate due compagnie e 4 pezzi,
« feci ritornare la mia gente per mangiare il rancio che allora
« scendeva da bordo. In questo frattempo il maresciallo dei ca-
« rabinieri dovendo scortare munizioni al Palazzo Reale ed aven-
« do pure ricevuto ordine di mandare 4 pezzi di rinforzo alla
(27) Il rapporto di arrivo del comandame del Conte di Cavour all'ammiraglio, datato dalla rada di Palermo 21 settembre, riferiva che il giorno 18 ad Ancona era stato diramato l'ordine di imbarcare truppe per Messina, dove il comandante dell'unirà doveva presentarsi al gen. Adorni per rice,•ere ordini circa la destinazione di sbarco della truppa.
A Messina il suddetto generale « prescrisse rotta Palermo a Cavour, Voltumo, Europa, Cairo, Governolo e ai comandanti di quei legni lasciai lettere da rimettersi dal capitano del porto di Messina al loro giungere»
Tutti i mezzi navali e le truppe disponibili all'imbarco dovevano con· fluire su Palermo: « Fu ordinato inoltre di sbarcare il 59" Infanteria al molo vecchio di Palermo, il 60" nel golfo di Sonora vicino a Bagheria».
Il Cat.:our era preceduto d1 14 ore dal Vittorio Emanuele, che aveva imbarcato truppe a Brindisi (A.C.R.M., busta 174, fase. Cavour e Volturno).
<< colonna del generale Angioletti, feci partire questo convoglio

« sorto la scorta di due compagnie di marina comandate dal ca« pitano Cesaraccio e dal luogotenente di vascello signor Co« scia. I quattro pezzi erano sotto gli ordini dei sottotenenti di «vascello signori Devoto e Belzini. Questa scorta dopo di avere
« consegnate le munizioni prese parte insieme ai 6 obici da « sbarco comandati dai sottotenenti di vascello signori Musti, «Devoto e Belzini all'attacco della barricata di porta Maqueda.
« li sottotenente di vascello signor Belzini veniva ferito mortai« mente {28), restavano pure morti un marinaio e un soldato, « oltre due feriti.
«Ad un'ora p.m. un ordine del Luogotenente Generale An-
« gioletti, scritto alle ore 11 Y2 m'ingiungeva di marciare in avan-
« ti sulla direzione di porta Maqueda; nel medesimo istante il
« maggiore del 31 o fanteria di linea domandava soccorso pel
« convento di San Francesco di Paola , dove si trovava circon-
« dato dai rib elli che occupavano tutte le case circostanti ed
« una formidabile barricata a porta Carini.
« Lasciai a guardare le posizioni dei Quattro Venti due com-
« pagnie e due obici da sbarco e con le poche forze che ancora
« mi rimanevano diressi per porta Maqueda; trovatala già occu-
« pata dai nostri, girai per piazza Sant'Oliva sul convento di
« San Francesco di Paola, di dove le truppe che lo guardavano
« domandavano soccorso. Respinti i ribelli da tutte le posizioni
« circostanti sotto un fuoco micidiale attaccai la barricata di
« porta Carini, dove il bravo luogotenente di vascello signor
« Grandville fu il primo all'attacco e ferito gravemente conti-
« nuò a combattere alla testa della sua compagnia. Ottenuto il
«mio scopo di liberare il convento di San Francesco, presi posi-
« zione, mentre due compagnie prendevano altre due barricate
<<e si demoliva quella di porta Carini.
« Le nostre perdite furono di 25 uomini tra morti e feriti ». Dopo mezzogiorno, la situazione degli insorti andò precipitando. Le forze governative avevano raggiunto il Palazzo reale ed era stato ristabilito il coll-egamento con la flotta, tanto ac- canitamente contrastato dai rivoltosi. Nel corso del pomeriggio, mentre l'organizzazione armata dei ribelli si sfasciava e nelle loro file si moltiplicavano le diserzioni, alcuni colpi di mano condotti con decisione restituivano praticamente alle truppe il pieno controllo della città. La vittoria veniva a confortare l'intransigenza dei capi militari, che avevano sempre rifiutato di trattare con gli insorti e che a maggior ragione si mostravano ora sordi ad ogni appello all ' umanità e decisi ad una sanguinosa rappresaglia. La rivolta viveva le sue ultime ore in un ' atmosfera di disgregazione: « nella notte » scrive il Pagano « le bande di campagna cercarono scampo fra le tenebre e rimasero in città i soli disperati e i pochi i1lusi )) (29).
Si può dire che nella notte tra il 21 e il 22 tutto fosse ormai finito. « The insurrection is over » comunicava la mattina seguente a Londra il console inglese a Palermo Goodwin ( 30 ), testimone impassibile della tragica vicenda, con lo stesso imperturbabile distacco con cui, sei anni prima , aveva commentato le fasi della conquista garibaldina della città e la sollevazione del popolo corro i borbonici ( 31 ). Con gli ininterrotti arrivi dei piroscafi che durante la notte e in mattinata sbarcavano sempre nuove truppe, la superiorità delle forze governa- tive era divenuta schiacciante. All'alba del 22 giunse anche, sulla Stella d'Italia, il tenente generale Raffaele Cadoma, che assunse la carica di commissario regio straordinario per la capitale siciliana e per la sua provincia. Alle 9 i regolari, già padroni di tutto l'abitato, davano inizio alle operazioni di rastrellamento. È sintomatico che, mentre il Riboty faceva eco alle altisonanti vanterie dei militari, in relazione all'attività del 22 (32), il co· mandante Acton non riferisse nulla di particolarmente glorioso, ma soltanto azioni di ordinaria amministrazione (33 ). Del resto, è anche significativo al riguardo come quest'ultimo, riferendosi agli avversari, li designasse costantemente con l'appellativo di « insorti», ed invece l'ammiraglio , uniformandosi al vocabolario dell'esercito, li chiamasse « briganti », « malfattori», « infami malviventi ».
(29) Op. cit., pag. 130.
(30 ) Il giorno 18 , Mr. Goodwin aveva riferito stringatamente al Foreign Office lo scoppio dell'insurrezione: « My Lord, since the 16th this c ity· has been tbe scene of insurrection. A large body of armed men carne in and occuped the main and cross streets and seized the gates and held them all day long. Next moming they attacked the Hotel de Ville and kept up the attack aU day In the night the building was evacuated and taken possession of by the insurgents. Three palaces have been sacked. No English molested. The Prefect and the Syndac are in the royal palace. Barricades are erecting in tbe T oledo: cannonades from the palace ineffectual ». Il testo completo del breve messaggio con cui il console annunciava la fine detla rivolta era il seguente: << The :insurrection is over and the King authority restablished. In two hours this forenoon the troops drove out the rebels and took possession of the town amidst general applause. Much damage has been done to the town and same injury to the villa of Mr. Ingham » (P.R.O.L ., London, Foreign Of/ice, 45-95).
(31 ) GABRIELE , Da Marsala allo Stretto, cit., passim .

L'operato della marina nella giornata del 22 risulta dall'ultima parte del rapporto del Riboty:

« .la città di Palermo è messa all'ordine mercè l'energico
« operato delle truppe coadiuvate dalle nostre compagnie da « sbarco e dalle Regie Navi della flotta. Quest'oggi alle 5 11:! il « signor generale Cadorna, Regio Commissario Straordinario che «giunse con la Stella d'Italia all'alba di questa rnane, à preso « stanza nel Palazzo Reale rendendosi i dovuti onori al suo «sbarco.
« Le compagnie marinari sonosi ritirate sui propri bordi, la « squadra ha spento i fuochi alle macchine, da per tutto segue << la tranquillità, danni insignificanti furono resi ai fabbricati, « immensi ai malfattori.
« Questa notte parte d'ordine del Regio Commissario la « pirofregata Carlo Alberto con due battaglioni di fanteria per « sbarcarli uno a Girgenti e l'altro a Trapani per tranquilliz« zare quelle popolazioni pacifiche dalle scorrerie di piccole
(32) «Truppe sbarco fanno prodigi» (dal cit. rapporto al ministero).
(3 3) « Il 22 a mezzogiorno tutti i posti furono rilevati dal 57° di linea, al quale consegnai i prigionieri, 9 muli e feci ritorno a bordo».
«bande di brigami (34). Giunse da Napoli il Peloro con mu« nizioni del T ancredi e fu rinviato di nuovo. Giunse l'Europa « con carbone, il Flavio Gioia con viveri. Tutti i bastimenti giun« sero con truppe, eccetto il Vittorio Emanuele, l'Indipendenza « e il Cairo.
« Domani prenderò ordini dal Regio Commissario per in« viare a Livorno vari piroscafi e licenziarne altri chiamati al « regio servizio ... Si è stabilita la comunicazione con Termini « mercè del rimorchiatore Vittorio Emanuele e si spera domani « stabilirla direttamente con questa città. Circa l'operato della « squadra e del personale distintosi per atti di eroico valore, « sarà oggetto di un mio circonstanziato rapporto che sottomet« terò alla S. V. al più presto possibile (35), non omettendo in-
(34) Cfr. anche l'ordine del Riboty al comandance della Garibaldi in data 22 settembre, per trasportare un altro battaglione a Trapani (A.C.R.M., busta 174, fase. Principe Umberto).
(35) V. ibtdem le proposte dell'ammiraglio per gli ufficiali distintisi nelle operazioni. Esse furono: l) caphano di fregata Emerico Acron, ufficiale in seconda del Re di Portogallo e comandante delle truppe da sbarco, proposto come ufficiale dell'ordine mìlìtare di Savoia « pel raro valore dimostrato nell'attacco delle barricate della città di Palermo »; 2) capitano di fregata Carlo Felice Baud.ini, comandante del T ancredi, proposto come ufficiale dell'ordine mauriziano « perché trovatosi solo col bastimento di suo comando salvò da certa rovina la città di Palermo impedendo che i rivoltosi si rendessero padroni delle prigioni, liberando gli assassini che le popolavano»; 3) capitano di fregata Francesco Ruggiero, capo di S.M. della squadra, proposto a cavaliere di S. Maurizio e Lazzaro « pel zelo e indefesso lavoro da lui dimostrato nel secondare il Comandante in Capo dell'Armata navale »; 4) luogotenente di vascello Cnrlo Cerruti, comandante della Gaeta, proposto per una menzione onorevole «per l'indefesso zelo dimo:;trato nelle varie azioni »; 5) luogotenente di vascello di Clavesana, comandante del Duca di Genova, parimenti proposto per la menzione onorevole perché « incaricato della polizia e della sorveglianza del porro, nonché al soUecito sbarco dei materiali e viveri dell'armata, spiegò in tale operazione tutta la maggior attività possibile»; 6) sotto tenente di vascello Filippo Narducci, ufficiale di S.M. della squadra, proposto per la medaglia d'argento al valor militare perché « intrepidamente diresse i molti lavori necessari a maggiormente assicurare la resistenza del forte di Castellammare, ed essere stato al fuoco con diversi pezzi da lui fatti montare con mezzi di bordo e con non dubbio pericolo della vita»; 7) luogotenente di vascello Francesco Ruffo di Scilla, proposto per la menzione onorevole « per avere con sangue freddo e valore diretto nel giorno 21 le barche incaricate di secondare le truppe nei suoi attacchi ».

« formarla che le nostre compagnie da sbarco ebbero proporzio« natamente con le truppe di terra da deplorare maggiori per« dite » ( 36 ).
« Infine le sommetto che per essersi mostrati casi di co« lera nei due battaglioni provenienti da Napoli, partiranno que« sta notte col Conte di Cavour per quella rotta. Il ferale « morbo che attaccò qualche altro soldato e marinaro (37) sem« bra non volersi promulgare ».
(36) Le forze della marina ebbero complessivamente a lamentare 9 morti e 57 feriti, secondo quanto riferisce l'Acton nel suo cit. rapporto. Il 27 settembre il ministero premeva presso il comandante della divisione navale per avere l'elenco delle perdite: «Grande orgasmo per feriti o morti fatti Palermo. Faccia telegraficamente conoscere almeno uf. ficiali feriti e morti. Invii sollecitamente rapporto ( A.C.R.M., busta 17 4, fase. Corrispondenza Ministero). Il Riboty rispondeva: « Uffiziali Grandville, Belzini, Beuf feriti gravemente; Palma di Cesnola, Colonna, Francescani leggermente. Totale 8 morti, l dubbio, l disperso, 57 feriti • (ibidem). La differenza di un'unità in più si riscontra anche nell'analisi delle perdite che in un altro rapporto, del 25 settembre, l' Acton presentava al Riboty, distribuendo i dati per nave: Re dì Portogallo, un morto, un ferito scomparso (si crede assassinato) e 14 feriti; Principe Umberto, un morto, uno scomparso (morto o prigioniero) e 15 feriti; Maria Adelaide, un morto e 11 feriti; Gaeta, 8 feriti; Duca di Genova, 6 feriti; Garibaldi, 3 feriti; Carlo Alberto, un morto e 3 feriti; San Giovanni, un morto (ibidem, fase. Principe Umberto). Sette morti e 60 feriti, tra i quali 6 uffiicali, è pure la cifra che riporta il RANDACCIO (op. cit., vol. II, pag. 306 ). Il totale delle perdite subite dalle forze governative di terra e di mare, a quanto riporta il CroTTI (op. cit., pag. 99), ammontò a 53 morti, di cui 7 ufficiali, 255 feriti, dei quali 20 ufficiali, e 24 dispersi.
(37) Una rieomparsa del colera si era già manifestata tra le forze armate sul continente (dr., per Barletta, il rapporto n. 97 del cap. vasc. Ruggiero al comando squadra di Ancona, in data 12 settembre, in A.C.R.M., busta 174, fase. Garibaldi); quando l'epidemia si manifestò nuovamente a Palermo tra le truppe, il R.iboty dovette constatare che il lazzaretto locale non era assolutamente attrezzato per fronteggiare la situazione: anzi, chiedeva aiuto alla squadra, che aveva le unità già ca-

Soffocata la rivolta, innumerevoli proclami e ordini dd giorno di esecrazione per i « ribaldi » e di ringraziamento per la prode condotta delle forze armate si incrociavano, sia da parte dei comandanti (38), sia da parte delle a1,1torità locali, che tripudiavano per lo scampato pericolo (39). L'ordine del giorno indirizzato dall'amm. Riboty al corpo di sbarco diceva: « Equipaggi, « il sottoscritto comandante la squadra si fa premura di « esternare al signor comandante le compagnie di sbarco, a riche di feriti di tutte le armi: «E così» scrive l'ammiraglio «ebbi il dispiacere di veder morti alcuni degli attaccami senza che loro fosse apprestata assistenza di sorta, e giacenti su dura paglia ». Alcuni generi di rifornimento per l'organizzazione sanitaria furono recati di urgenza dal trasporto W ashington, che faceva la spola rea Napoli e la capitale siciliana.
(38 ) A chiusura del suo cit. rapporto, l'Acton aveva scritto: «Tutti gli ufficiali , marinai e so ldati si batterono col più grande valore con un nemico non degno di loro , sopportando gravi fatiche con molta abnega· zione. lvli fo un dovere d ' informare la S.V . che il Luogotenente Generale Angioletti mi ha esternata la sua soddisfazione per la condotta te· nuta dagli uomini dd Corpo Regi Equipaggi e Fanteria Marina, coi due obici souo i suoi ordini immediati. Vado superbo di avere avuto il giorno 19 sotto ai miei ordini il 24" battaglione Bersaglieri comandato dal bravo maggiore Brunetta, il quale ci è stato di guida e di esempio. in una guerra affatto nuova per noi. Una lode va pure tributata al sottotenente dei volontari signor Giacomo Magliocco, che pratico dei luoghi fu sempre alla testa della colonna nel detto giorno. Devo infine segnalare alla S.V. l 'as sistenza avuta dal Corpo Sani tario che ha seguito le operazioni curando i feriti tanto della J\.iarina che dell 'Esercito sul luogo stesso ddl' azione »

( 39 ) Il 3 ottobre G. Trigona, assessore anziano del comune di Palermo, scriveva a nome del sindaco al Riboty, pregandolo «a nome della Giunta municipale e del Consiglio a voler accogliere e far gradire all'in· tera squadra sotto i suoi ordini il sopracennato voto di ringraziamento, come quella che recò i più pronti ed i più efficaci aiuti alla Città»; l'aromi· raglio rispondeva a sua volta che « grato... si fa interprete di tutti i suoi dipendenti, i quali sono superbi di aver dato braccio forte a liberare cosl vasta e bella città da un 'orda di malvimenti ingordi di rapina, e di aver offerto all ' Italia il sangue di valorosi compagni che gareggiando di zelo e patriottismo con il bravo Esercito ànno tranquillizzato oneste famiglie »
(A.C.R.M., busta 174 , Co"ispondenza Ministero )
« tutti gli uffiziali, sottouffiziali, marinai e soldati che ad es;;e «appartenevano, l'alta sua ammirazione per il modo somma« mente valoroso che, insieme coi soldati del regio esercito, ten« nero nel reprimere il moto di brigantaggio del quale questa « disgraziata città fu per parecchi giorni teatro, essendo soggio« gata dai più infami malviventi, nei quali queste immonde fra« terie avevano soffiato tutto il loro livore, e consigliato il mas« sacro e la rapina. Voi siete stati terribili nella pugna, gene« rosi nella vittoria. Affamati, avete dato il vostro pane ai vinti « che lo erano forse meno di voi. Il sottoscritto è più che mai « orgoglioso di esservi capo » ( 40 ).
Tuttavia, malgrado le proposte di ricompense, a cui si è accennato, e malgrado gli altri riconoscimenti ( 41 ), si ha l'impressione che la marina pa.rtecipasse in tono minore al trionfo dei « buoni »: certo, non si trovò nella triste necessità di dare un notevole contributo all'opera di repressione, trovandosi soprattutto alle prese con i problemi logistici connessi con il trasporto delle truppe e del materiale necessario ad ammalati e feriti. Il Riboty, d'altra parte, appariva ansioso che le sue unità lasciassero la rada di Palermo, dove erano esposte alle traversie del maltempo e ai rischi delle epidemie, e dove le navi da guerra finivano per fungere da navi ospedale e da bastimenti da trasporto, quando non dovevano essere impiegate per operazioni di polizia costiera e per dare la caccia ai fantasmi. Il 27 settembre l'ammiraglio scriveva al ministro, per informar!o del servizio delle unità militari e mercantili e della salute degli imbarcati:
« Colgo questa occasione per raccomandarle lo stato de« gli equipaggi di questa squadra che sono sforniti di vestiario <<d'inverno, e che se lunga pezza deve durare in queste acque
( 40) RANDACCIO, op. cit., vol. II, pagg. 232-233.
( 41) Riconoscimenti, per altro, di natura puramente morale, giac· ché, per esempio, quando il Riboty chiese che agli ufficiali impegnati a terra verùsse corrisposto il soprassoldo di sbarco, il ministero lo concesse, ma defalcando, per i 4 giorrù, l'ammontare del diritto al trattamento di tavola per gli ufficiali imbarcati {lettera del Depretis all'ammiraglio in data 1• ottobre, in A.C.R.M., busta 174, fase. Corrispondenza Ministero).

« sarebbero mal garantiti, singolarmente nelle attuali circostanze
« igieniche; mi permetto farle rispettosamente osservare che la
« presenza della squadra si rende quasi superflua giacchè non
« trattasi, ora che l'ordine è stabilito, della presenza di varie
« corvette a ruote od elica che sotto gli ordini del Regio Com-
« missario Straordinario possano stare tranquillamente nel por-
« to, soprassedere agli imbarchi e sbarchi di truppe e fare se
« occorre quelle crociere necessarie alla sicure:.za della Sicilia.
« La rada, come V. S. conosce, è sufficienterrente esposta e le
« fregate che più o meno hanno sofferto dei danni a Lissa per
« la guerra, o in Ancona per cattivi tempi, sarebbero malsi-
« cure in queste acque ... In questo momento ricevo ordine dal
« Regio Commissario Straordinario di spedire un bastimento in
« crociera nel canale di Malta per dei bastimenti sospetti che
« diconsi trasportare Borbonici ad infestare l'isola; non avendo
« corvette a mia disposizione che la San Giovanni sola , la quale
« trovandosi col luogotenente di vascello signor Coscia attac-
« catodi cholera non ho creduto spedirla per non incontrare dif-
« ficoltà nelle comunicazioni dell'isola , spedisco invece la Gaeta
« per eseguire la crociera ordinata ... » ( 42 ).

Effettivamente- a parte infondati e ricorrenti allarmila marina militare non aveva più nulla da fare a Palermo.
Il 3 ottobre fu firmata la pace con l'Austria, che le unità navali dovettero solennizzare con salve di cannone e gran pa- vese ( 43 ). Subito dopo, cominciarono a partire le truppe e le navi ( 44 ); il giorno 6, « in vista delle condizioni politiche in cui entra oggi il Regno d'Italia» (45), venne diramato dal ministero della marina l'ordine di scioglimento della squadra. Si era avuta la pace: ed era stata precisamente quella « povera pace» che era stata temuta dal Ricasoli dopo Custoza e prima di Lissa ( 46 ): d'altronde, si doveva riconoscere che il risultato finale era quasi superiore a quanto sarebbe stato giusto sperare, data la debolissima capacità contrattuale, al tavolo della pace, di un paese che aveva subito, in una guerra aggressiva, dure sconfitte per terra e per mare, che era assai poco sostenuto dall'alleato trionfante, e che per di più, durante le trattative del delicato periodo armistiziale, aveva dovuto registrare e soffocare nel sangue la rivolta di una delle sue maggiori città (47).
{ 42 ) Ibidem , fase Gaeta , è reperibile l'ordine del Cadorna, datato Palermo 27 settembre, come pure le istruzioni del Riboty al comandante dalla Gaeta: « Dal Regio Commissario Straordinario mi viene ordinato d'inviare un bastimento in crociera nel canale di Malta ove si dubita siasi imbarcato un certo numero di Borbonici colà rifugiati con la intenzione di effettuare uno sbarco in questa isola, e vuolsi aver veduti quattro piccoli legni che si suppone contengano i rifugiati stessi»: di conseguenza alla Gaeta veniva ordinato di andare a Trapani, dove si trovava la Carlo Alberto, e di trasmettere a quest'ultima unità l'ordine di incrociare per 4 giorni nel canale di Malta, mentre la Gaeta stessa doveva stabilire un collegamento con i semafori ed i posti di osservazione costieri tra Licata e Marsala, controllando i movimenti di qualsiasi natante sospetto.
A prescindere dagli aspetti internazionali, all'interno del paese, tra accuse, recriminazioni e processi , non regnava dav- vero una situazione di pace: e meno che mai poteva regnare a Palermo, dove la reazione imperversava, singolarmente accanita, da parte dei militari. Costoro parevano decisi a dare in Sicilia una dimostrazione di energia spietata e di assoluta intransigenza, traendo aspra vendetta di «quel moto finito», come ormai lo definiva il Mazzini: ne fa fede la lunga , inutile battaglia del Ricasoli contro gli ambienti dell'esercito per evitare che gli insorti venissero giudicati da tribunali militari appositamente costituiti ( 48 ). Così Palermo ebbe il tribunale eccezionale, e con ciò lo Stato unitario, rinverdendo i fasti dell'Aspromonte e delle operazioni contro il brigantaggio meridionale, aggravò il solco della diffidenza e dell'incomprensione che si era venuto a creare in Sicilia dopo le speranze e le ingiustificate illusioni del1860.
( 43) Ibidem, telegramma n. 34 del 3 ottobre: « Non appena ricevuto dispaccio telegrafico uffiziale della pace faccia fare centouno colpi cannoni tutti i bastimenti, la grande gala bandiere, comunichi questo ordine a navi sua dipendenza distaccate in altri siti Isola perché facciano altrettanto »; e successivo telegramma n. 196: « Oggi alle due pomeridiane fu firmato il trattato di pace fra l'Italia e l'impero d'Austria colla cessione della Venezia. Voglia fare eseguire le salve indicate col telegramma precedente».

( 44) l bidem1 fase. vari.
(45) Ibidem, fase. Corrispondenza Ministero} disp. del 6 ottobre del comandante Bracchetti , per il ministro , al Riboty.
( 46) Così il Ricasoli nella famosa lettera del 13 luglio 1866 da Bologna, con la quale intimava al Persano di agire e di ottenere succéssi militari, « altrimenti ci coglierà l'armistizio, la vergogna per le nostre armi e dovremo fare una povera pace... • (GUERRINI, Lissa, Torino, 1908, vol. II, pag. 357).
( 47} Il 13 ottobre il Menabrea, ambasciatore a Vienna, scriveva al Visconti Venosta, ministro degli esteri: « ... il faut qu'on se persuade que nous avons obtenu beaucoup car c'était difficile traiter et de faire valoir prétentions pendant que l'Autriche occupait Venise et le quadrilatère; que la vie de Napoléon semblah en danger; que nous étions sous le poids des souvenirs de Custoza et de Lissa, et qu'à cela se joignait l'insurrection de Palerme » (Are h. Visconti V enosta 1 Santena, 52 b, fase. 0/16}.
Quanto all'azione della flotta nel corso del triste episodio, c'è da rilevare che allo scoppio del movimento rivoluzionario, essendo le forze governative ridotte assai a mal partito, l'intervento delle unità da guerra ebbe a risultare di primaria utilità per bloccare l 'estendersi dell'insurrezione, per sostenere il fronte a mare a Palermo e per mantenere la testa di ponte sulla riva senza cedere agli insorti né il carcere della Vicaria né il forte di Castellamare. Decisi va fu, a tal proposito, la tempestività dell'arrivo della divisione, la quale, pur non trasportando una forza d'urto capace di avere la meglio sulla rivolta, ne condizionò gli sviluppi sul piano operativo fin dal suo primo appa· rire nella rada. I cannoni delle unità navali minacciavano direttamente la città e gli insorti non avevano nulla da opporre. È possibile che la presenza della marina da guerra abbia esercitato una certa influenza anche sugli eventi politici, puntellando la posizione precaria dei governativi che si irrigidirono nella resistenza e determinando, per contro, una certa irresolutezza negli insorti, tra le file dei quali il processo di sfaldamento, politico e militare, cominciò ancor prima della « grande battaglia » del giorno 21 settembre. Dal punto di vista militare, importanza notevole ebbero quelle 48 ore nel corso delle quali -a parte il primo intervento del T ancredi e del Rosalino Pilo - si esaurì la spinta offensiva della rivolta, tra il fallito tentativo del corpo da sbarco del giorno 19 e la interlocutoria giornata del 20. Certo non si può attribuire un valore determinante all'intervento della marina, per quanto efficace e tempestivo, poiché è certo che l'insurrezione sarebbe stata soffocata in ogni modo, prima o poi, dalle forze governative, con la loro pesante superiorità militare sulle disorganizzate e composite milizie rivoluzionarie. Non si reperiscono documenti da cui desumere con quale spirito e con quali sentimenti gli uomini della flotta affrontarono il combattimento: ma non riesce difficile immaginare cosa doveva avere nell'animo il comandante Miloro, il cui fratello combatteva dall'altra parte e morl di ferite. o la gente che ritornava da Lissa e si trovava a dover far fuoco su una città italiana. Nella difficile e penosa circostanza, comunque, la disciplina militare non venne mai meno: ed è importante rilevare che, sebbene fanti da sbarco e marinai avessero subito nei combattimenti delle perdite proporzionalmente più elevate di quelle dei reparti dell'esercito, nei rapporti dei capi responsabili non traspaiono né una particolare animosità contro gli avversari, né un desiderio di rappresaglie, ma piuttosto quasi un'imbarazzata aspirazione ad allontanarsi quanto prima possibile da quell'infausto teatro di guerra civile.
( 48) Se ne ritrovano ampie traccie nei documenti dell'Archivio Ricasoli di Broglio.


Capitolo V
La Crociera Nel Tirreno Del 1870
Anche se formalmente operante su un piano internazionale, l'attività della marina militare durante l'estate del '70 può essere considerata appartenente alla sfera della politica interna, nella quale, infatti, rientrava ormai, sia da un punto di vista storico, sia come presa di posizione ufficiale, la cancellazione di quanto restava dello Stato pontificio dalla carta politica della penisola.
Sebbene soltanto ai primi di settembre, dopo Sédan e dopo la scomparsa dell'unico pericoloso sostenitore del potere temporale, il ministero Lanza abbia deciso in linea di massima di procedere all'occupazione del Lazio e di Roma, soprattutto allo scopo di non lasciare ad altri il merito della compiuta unità d'Italia, tuttavia le misure destinate a porre in atto tale volontà politica erano già predisposte da tempo. Ora, se per terra l'enorme superiorità delle forze destinate ad affrontare le poche migliaia di uomini dell'esercito papale (l) assicurava una immediata ed incruenta riuscita all'invasione che si progettava, sussisteva per altro, almeno fino a tutto agosto, il pericolo che attraverso l'unico porto rimasto al papa, quello di Civitavecchia, potessero giungere aiuti stranieri a complicare ulteriormente la soluzione della questione romana. Era dunque necessario neutralizzare preventivamente la piazzaforte (2), e ciò non poteva essere conseguito se non per mezzo della flotta.
(l) Cfr. G. FRiz: Burocrati e soldati nello Stato pontificio (18001870), in « Archivio economico dell'unificazione italiana », serie II, vol. XX, Torino, 1972, pagg. 72.
(2) Non era un compito molto impegnativo. Civitavecchia era una mediocre piazza marittima: le sue fortificazioni, tanto quelle del fronte a terra quanto quelle del fronte a mare, erano ormai vecchie e di scarso valore protettivo: gli ultimi rifacimenti di una certa importanza risalivano al 1841, quando il princ. di Meuernich aveva persuaso il governo pontificio a riattarle; in seguito eraoo state ancora restaurate in alcuni punti dal gen. Oudinot, quando vi era sbarcato con le truppe francesi nel 1849, e dal geo. De Failly nel 1867. Le artiglierie della fortezza si erano arricchite di 35 obici lasciati dal gen. Dumont, sembra d'ordine dell'imperatrice Eugenia, prima di partire nell'agosto. La guarnigione contava circa un migliaio di uomini, tra zuavi, cacciatori indigeni, quattro sezioni di artiglieria da campagna, mezzo squadrone di dragoni ed un nucleo di gendarmeria (v. G. GoNNI: Le cronache navali dell'anno 1870, a cura dell'Ufficio Storico dellà Marina Militare, Roma, 1932, pagg. 63-64).

Ma le condizioni della flotta all'inizio del 1870, in conseguenza della politica di « economie fino all'osso » propugnata da Quintino Sella, erano tali da menomarne gravemente l'efficienza. Disarmata la squadra che agli ordini del principe Amedeo di Aosta aveva compiuto alla fine del '69 una crociera nel Mediterraneo orientale (3 ); ridotta e quasi annullata l'attività degli arsenali; inviato in gran parte anticipatamente in congedo il personale; sospesa la chiamata della classe di leva del 1849; diminuita la disponibilità di carbone per i pochi servizi rimasti in essere; revocati i rifornimenti per le artiglierie, le costruzioni navali e gli armamenti; soppressi ospedali marittimi, uffici idrografici, divisioni del dicastero e persino - insignificante economia -la banda musicale della fanteria marina: il bilancio del ministero, ridotto a 15 milioni annui, divenne l'ultimo per importanza tra i bilanci delle principali marine europee ( 4 ).

( 3) Non erano rimaste armate, oltre al naviglio sottile, che la fregata Duca di Genova, stazionaria a Tunisi, e le quattro vetuste unità della divisione stazionaria nell'America meridionale, la fregata Regina, la corvetta a ruote Fulminante e le cannoniere Ardita e Veloce, tanto malandate che di esse una sola sarebbe riuscita più tardi ad attraversare l'Atlanùco e a tornare in patria (GABRIELE, La politica navale, ecc., dt., pagg. 482 e scgg.).
( 4) La Commissione che riferl al Parlamento sul bilancio della marina all'inizio del 1870 tracciava un quadro deprimente dello stato fallimentare in cui, dopo tali provvedimenti di economia, versavano il naviglio e il personale: le fregate e le corvette a ruote e ad elica erano vecchie di vent'anni e più, deboli per l'armamento superato, scarse di velocità, divoratrici inutili di carbone; le unità tipo Castelfidardo, seb-
Per altro gli avvenimenti interni e internazionali avrebbero dovuto in breve portare lo stesso ministero Lanza, che aveva praticamente annullato la flotta, a farla rivivere per imperiose necessità nazionali. Già il 28 marzo, nel timore di un'insurrezione mazziniana , venne ordinata per il l o aprile la ricostituzione delle squadra del Mediterraneo disciolta il 15 dicembre precedente, da formarsi con 8 unità (5), agli ordini del contramm. Isola e che avrebbe dovuto provvedere con sei navi a trasportare rinforzi di polizia nel meridione e a mantenere crociere di vigilanza nelle acque siciliane, lasciando una corvetta a ruote (la Ettore Fieramosca) e un avviso (il Gulnara) a prestare servizio stazionario, rispettivamente a Palermo e a Cagliari. A giugno, in vista degli sviluppi della situazione, il ministro Acton ordinò all'amm. Isola di lasciare le coste della Sicilia e di incrociare lungo il litorale del Lazio, allo scopo di impedire un'eventuale nuova spedizione garibaldina contro lo Stato pontificio: mentre la pomposa denominazione di «squadra del Mediterraneo», inadeguata alle reali forze della formazione, veniva cambiata in quella più modesta di « squadra in legno ». Ad estate inoltrata, fu precipitosamente costituita una divisione navale corazzata, formata dalla Roma, dalla San Martino e dalla Ancona richiamata dalla « squadra in legno », nonché dall'avviso Messaggero; gravi difficoltà si opposero all'appron- bene abbastanza recenti , abbisognavano di urgenti e importanti lavori di raddobbo ; mancavano le corazzate moderne; gli avvisi erano cosl antiquati che non si poteva farne conto per il servizio di esplorazione; i trasporti erano vere « tartarughe)>; le sole buone unità di linea erano le fregate corazzate Roma, Palestro, Principe Amedeo, ma in disarmo; gli equipaggi non arrivavano a 8.000 uomini e quasi tutti adibiti a servizi di custodia e di arsenale; gli ufficiali erano in lunghi involontari congedi o tristemente inattivi nelle sedi dipartimentali. « Continuare in questa condizione di cose » concludeva la relazione della Commissione « è impossibile: è ora di decidere se dobbiamo avere oppure no una marina militare» (GoNNI, op. cit. , pag. 14). tamento eli tale formazione ( 6 ), il cui comando venne affidato al contramm. Del Carretto.

(5) La fregata Italia, nave ammiraglia; la fregata Magenta; la corazzata Ancona; le corvette a ruota Guiscardo e Fieramosca; gli avvisi Gulnara ed Aquila. Della squadra era chiamata a far parte anche la fregata Duca di Genova, già armata e di stazione a Tunisi.
Intanto, tra la fine di luglio e i primi di ago sto, le truppe france si stanziate a difesa dei territori papali furono ritirate e si imbarcarono a Civitavecchia: il giorno 8 la bandiera imperiale venne ammainata sul forte michelangiolesco. Il Mazzini, arrestato in Sicilia il 13 agosto, fu rinchiuso a Gaeta. Garibaldi era bloccato a Caprera da una flottiglia di piccole unità al comando del cap. freg. Nicastro. All'inizio eli settembre, decisa ormai l'azione su Roma, venne intensificata la sorveglianza dei due temuti personaggi (7).
La divisione corazzata dell'amm. Del Carretto, la quale nel frattempo, completato alla meno peggio l'armamento (8), era stata mandata ad affiancarsi alla « squadra di legno » nel Tirreno non appena era giunta a Firenze la notizia che una formazione austriaca incrociava in quelle acque (9), venne disciolta, per dar luogo alla costituzione di una squadra corazzata su due divisioni, così formata:
(6) L'arsenale era ben lontano dal poter soddisfare adeguatamente alle esigenze delle operazioni di armamento , cosl che si dovette ricorrere alla vecchia Darsena di Genova ed all'antico cantiere della Foce, con dispendio di tempo e di energie. Il deposito reali equipaggi non aveva uomini a sufficienza per fornire il pers onale delle quattro unità, e si fu costretti a far affluire da Venezia un contingente di 300 marinai, oltre ad una compagnia di fanteria marina.
(7) V. disp. telegr. in data 8 settembre: al prefetto di Caserta, « Raccomando massima vigilanza custodia Mazz ini. Sua fuga in questi momenti creerebbe seri imbara7.zi Governo» e al prefetto di Sassari, « Raccomando massima vigilanza custodia Garibaldi. Sua presenza continente darebbe gravi imbarazzi Governo. Partecipi pure comandante Nicastro questa raccomandazione» (GoNNI, op. cii., pagg. 52-53).
(8) Permaneva infatti la carenza del personale, nonostante che fosse stata cffetruata la chiamata alla leva della classe 1849, sospesa all'inizio dell'anno, ed inoltre fossero state richiamate le classi 1846 e 1845, quest'ultima già posta in congedo illimitato.
(9) Era composta dalle fregate Habsburg, Dandolo e Novara e dalla cannoniera Kerka ed era comandata dal commodoro Misolssich. La presenza della divisione navale austro-ungarica fu per altro temporanea: le unità imperiali e regie, passate dalle acque dell'Elba a far rotta lungo le spiagge laziali, senza nemmeno fare scalo a Civitavecchia, misero la prua su Napoli e di 11, per Messina, fecero ritorno a Pola (GoNNl, op. cit., pag. 46).

Prima divisione:
Corazzate: Roma, nave ammiraglia, Ancona, Re di Portogallo, Formidabile, Castelfidardo, Affondatore;
Avviso: Messaggero.
Seconda divisione:
Corazzate: Principe di Carignano, ove era imbarcato il ' comandante in sottordine, San Martino, Terribile, Messina, Varese;
Avviso: Vedetta.
Navi logistiche:
Piroscafi: Authion e Plebiscito per le comunicazioni;
Trasporti: Cambria (carbonaio), Città di Genova, Città di Napoli, W ashington (per gli approvvigionamenti);
Cisterne: due, per il servizio dell'acqua. Un totale di navi di 55.000 tonn. di dislocamento, di 8.500 cavalli vapore, con 150 pezzi abbastanza moderni e 5.000 uomini di equipaggio; si deve però notare che tutte queste unità, armate in fretta, navigavano con personale ridotto rispetto alle tabelle di armamento, mentre alla « squadra in legno>>, che aveva ceduto alle corazzate i suoi elementi migliori, venivano a mancare complessivamente 700 uomini.
Alla squadra venne preposto il contramm. Del Carretto con le funzioni di vice-ammiraglio ( 10); in sottordine, comandava la seconda divisione il contramm. Martini. Il raduno della squadra fu completato <1l largo di Porto Santo Stefano nella notte sull'll settembre: le navi da guerra rimasero n per due giorni, occupando gli equipaggi in esercitazioni di tiro e in si- mulacri di sbarchi e provvedendo a completare il rifornimento di carbone, in attesa dell'ordine di partire per Civitavecchia.
{10 ) La nomina dell'amm. Del Carretto con le mansioni del grado superiore venne a porre fine ad una incresciosa e indecorosa disputa, poiché il governo, in un primo tempo, aveva stabilito di affidare la squadra al Riboty , ormai a riposo da due anni: il che aveva suscitato il ri · sentimento e le aspre rimostranze dei vice-ammiragli in servizio, nessuno dei quali, per una ragione o per l'altra, era stato ritenuto idoneo a quel comando.

I piani prestabiliti dal governo Lanza per l'attacco allo Stato pontificio prevedevano tre direttive di attacco delle forze armate partecipanti all'operazione: da nord a sud per il corpo del gen. Cadoma, con punto di invasione a Ponte Felice; da sud a nord per la divisione Angioletti, con ingresso da Ceprano; e da nord-est a sud-ovest per la divisione Bixio concentrata ad Orvieto e destinata ad operare di concerto con la flotta per il blocco e l'investimento di Civitavecchia. Ora, mentre all'alba del 12 settembre i reparti di terra avevano ricevuto l'ordine di sconfinare, l'amm. Del Carretto continuava ad essere tenuto all'oscuro dei movimenti cui avrebbe dovuto prender parte. Il 12, udito un insolito cannoneggiamento proveniente dalla direzione di Civitavecchia, mandò due unità in esplorazione e seppe che si trattava di esercitazioni di tiro compiute da una fregata inglese ( 11 ). Il 13 spedì in ricognizione l'avviso Vedetta e il piroscafo Plebiscito e non ebbe alcuna notizia. Allora, di sua iniziativa, nelle prime ore della notte seguente salpò da Porto Santo Stefano e fece rotta su Civitavecchia, il cui faro venne avvistato alle 4,30 a,.m. del giornq 14.

Compiute alcune evoluzioni davanti al porto, la flotta diresse per Porto Clementine, dandovi fondo poco prima di mezzogiorno: l'ammiraglio scese a terra e finalmente riuscì a prendere contatto con il Bixio a Corneto. Colà furono presi gli ultimi accordi per coordinare l'azione di investimento e l'eventuale bombardamento della città pontificia: i tre tempi dell'azione sarebbero stati: l) dimostrazione di forza delle corazzate dinanzi alla piazzaforte;
( 11) Si trattava della Defence, al comando di sir Nowel Salmon, inviato dall'Ammiragliato britannico a Civitavecchia per- porsi a disposizione del papa, qualora questi avesse voluto trasferirsi da Roma a Malta o alle Baleari; nel porto si trovava anche un'unità francese, la Orénoque, agli ordini del cap. freg. Henry Briot de Crochais, con analoghe istruzioni da parte dell'imperatrice reggente.
2) attesa dell'esito dell'intimazione di resa che il Bixio avrebbe inviato al comando della piazza;
3) eventuale apertura del fuoco sui bastioni a nord-ovest della città,. tra il mare e la strada litoranea.
Ritornato il Del Carretto a bordo della Roma, la squadra salpò alle 1,30 ed alle 9 del giorno 15 era schierata a semicerchio davanti all'avamporto.
Mentre giungeva a Civitavecchia un parlamentare del Bixio ad intimare la resa della piazzaforte, le unità da guerra compivano al largo una serie di evoluzioni e di esercitazioni a fuoco che erano destinate a far colpo sulla cittadinanza e sulla guarnigione. In effetti, malgrado l'opposizione del maggiore D'Albiousse che comandava gli zuavi, il consiglio di guerra riunito dal col. Serra comandante della, piazza decise infine, alle 9 di sera, di arrendersi, soprattutto allo scopo di evitare il bombardamento della città, alle condizioni stabilite: immediata partenza dei contingenti stranieri; incorporazione delle truppe indigene nell'esercito italiano conservando grado e soldo; mantenimento della corvetta pontificia Immacolata Concezione a disposizione del papa.
Così, il 16, Civitavecchia cadde senza spargimento di sangue. L'opera della marina in tale circostanza fu senza dubbio determinante, per l'azione intimidatoria svolta sui pontifici dallo spettacolo di potenza dato dalla flotta: non pertanto, all'epoca, essa non venne ufficialmente affatto riconosciuta ( 12).
(12 ) In nessuna delle pubblicazioni apparse negli anni successivi sulla campagna del 1870 si parla della partecipazione della marina militare ; lo stesso Cadoma, nel suo volume La liberazione di Roma nell'anno 1870 e il Plebiscito, Roma 1889, vi accenna appena con cinque righe a pag. 31. All'epoca , si ebbe soltanto l'o.d.g. del Bixio alle sue truppe, che riconosceva testualmente: « La resa di Civitavecchia, principale nostro obbiettivo, non è che in piccola parte opera nostra; all'aspetto formidabile della nostra flotta sono dovuti i primi onori del fausto avvenimento... )>; ed un tardivo messaggio del re al ministro Acton, in cui si diceva: « Esprima ai comandanti di Dipartimento, agli Ammiragli Del Carretto e Martini, agli Stati Maggiori ed equipaggi della Squadra corazzata la mia alta soddisfazione per la prontezza con la quale si è organizzata la flotta, che si trovò all'ordine ovunque occorreva, dando una prova dei sentimenti di cui sono animati pel servizio del Re e della Patria. In questa congiuntura la Marina ha pienamente corrisposto alla mia fiducia ed a quella della Nazione» (GoNNI, op. cit., pagg. 78-79).

La seconda divisione, agli ordini del Martini, parù l'indomani 17 per Gaeta; il Del Carretto e le altre unità rimasero a Civitavecchia fino al 28 settembre, quando, terminato l'imbarco dei mercenari papalini, salparono anch'esse lasciando nel porto soltanto la corazzata V arese a sorvegliare le mosse della francese Orénoque ( 13 ).
A fine anno la squadra andò in disarmo, tranne una fregata e un avviso destinati a scortare a Cartagena « el rey don Amedeo » ( 14 ).
(13) La fregata britannica Defence, a crisi conclusa, era salpata per Malta.
(14) Erano la Principe Umberto e il Vedetta. Il principe Amedeo d'Aosta, vice-ammiraglio e ispettore della marina italiana, era stato eletto re di Spagna dalle Cottes di Madrid e prese imbarco a Napoli sulla Numancia il 26 dicembre, per andare a prendere possesso di quel trono, sul quale per altro assai poco sarebbe rimasto.
La Flotta Come Strumento Di Politica Estera
Capitolo Vi
Le Ambizioni Del Nuovo Stato Nel Mediterraneo E Nei Mari Lontani
Unificata politicamente la penisola in seguito alle fortunate vicende del 1859-1860, la fusione reale delle diverse regioni estranee le une alle altre, sia sul piano economico e sociale, sia su quello psicologico, costituiva un arduo compito che avrebbe richiesto gli sforzi di più generazioni. E sulla precaria situazione interna si innestava una congiuntura internazionale minacciosa e pericolosa per il giovane Stato, impossibilitato a difendere i confini assurdi che gli erano stati attribuiti dal modo stesso della sua formazione, e costretto invece a seguire una po· litica di rivendicazioni territoriali e di guerre aggressive. Miseria, disordine, confusione all'interno; all 'estero un arrischiato giuoco d'azzardo di alleanze, di equilibrismi, di minacce talvolta ridicole e di angosciose parate; e tutto ciò da compiersi da una classe politica modesta e divisa, dopo la scomparsa dell'unico personaggio eccezionale cui l'unità in massima parte era stata dovuta: questo il quadro, questa la situazione di fondo, a cui è indispensabile riferirsi nell'esaminare i problemi marittimi e gli elementi formativi della marina italiana nei primi decenni postunitari.

Al 17 marzo 1861 le prospettive navali del regno che nasceva poggiavano su basi nettamente sfavorevoli. C'era anzitutto la posizione geografica del paese, ad esigere imperiosamente che la politica marittima del nuovo Stato venisse impostata, e i relativi problemi affrontati, con la massima urgenza: cosa di cui il Cavour, per quanto assillato da ben più gravi questioni, si era reso perfettamente conto (l). Ognuno dei mari che circondano
(l) Nella nota preliminare al bilancio della marina nel 1861 il Cavour dichiarava: «Il sottoscritto, preposto all'amministrazione delle cose di la penisola costituiva un tema a sé per lo sviluppo della politica marinara del paese: e l'esempio degli altri Stati europei doveva stimolare l'attività degli italiani in questo campo , particolarmente quello della Francia , che dalla decadenza degli anni della Restaurazione si era rapidamente risollevata, costruendosi, con una flotta potente, un poderoso strumento di ingerenza negli affari mediterranei e mondiali (2 ) . La guerra del 1859, d'altra parte, aveva richiamato all'evidenza l'elevata potenzialità di una marina, anche piccola, ma efficiente, contro l'infelice prova data in Adriatico dalle navi disordinatamente speditevi dal governo mare di uno Stato collocato in mezzo del Medit.!rraneo, ricco di invidiabile estensione di coste e di una 'lumerosa popolazione marittima , sente il dovere di date il più ampio sviluppo alle risorse navali del paese valendosi degli elementi di forza che ha trovato nelle nuove provincie ,. (MALDINI, op. cit., vol. I, pag. 183 ). Era stato del resto il Cavour che l'anno precedente aveva sentito la necessità di erigere in ministero autonomo l'amministrazione della marina , che nel regno sardo aveva vagato da questo a quel dicastero: unita prima alla Segreteria della guerra, poi (1850) al ministero di agricoltura e commercio, quindi (26 febbraio 1852) al ministero delle finanze, per ritornate nel maggio seguente alle dipendenze del ministero della guerra. di Torino (3 ): ma permaneva tuttora nelle concezioni strategiche piemontesi una radicata mentalità terrestre, che induceva a sottovalutare l'urgenza dei problemi marittimi, mentre le facili glorie navali di Ancona, di Gaeta e di Messina, regalando alla marina un prestigio sproporzionato, ne avevano nascosto l'effettiva impreparazione. In queste circostanze, con una dirigenza poco versata in questioni navali, con una popolazione troppo occupata, nella sua profonda miseria, a trovare i mezzi per tirare avanti giorno per giorno, con l'eredità di una flotta numerosa sulla carta, ma raccogliticcia e antiquata, con un personale scarso e mal diretto, senza basi adeguate, senza cantieri importanti , soprattutto senza una tradizione marinara che non fosse quella - retorica e inutile - delle repubbliche medievali e di Roma antica, il nuovo Stato unitario doveva affrontare una situazione estremamente difficile, soprattutto per la diversità dei problemi che, nei diversi settori e con pari urgenza, si presentavano.
(2) Fu il ministro Portai. armatore bordolese, a dare inizio alla ripresa nel 1825: e i primi effetti si videro cinque anni dopo, nella spedizione di Algeri (cfr. R. JouAN: Histoire de la Marine Française, Paris, 1950, pagg. 268 e segg.). La resurrezione della marina da guerra della Francia è poi soprattutto legata al nome dell 'amm. Lalande: già dal 1830 , da comandante di unità, egli aveva fatto applicare gli alzi ai pezzi della sua Resoiue, vedendosi in seguito addebitare dzl ministero il costo delle artiglierie « deteriorate »; nel 1832 pubblicò il suo primo trattato di tattica navale; nel 1838, ottenuto il comando della squadra francese del Mediterraneo, persegul energicamente il suo scopo di migliorate ed innovare la tattica, curando le condizioni di vita degli equipaggi, allenandoli e preparando le sue navi per la guerra soprattutto con il perfezionamento della loro efficienza offemiva: nella quale attività si pose talvolta clamorosamente in contrasto con il suo ministro, al punto che, di sua iniziativa, fece sparare alla squadra in un solo mese tutti i colpi che, secondo le istruzioni ministeriali, avrebbero dovuto bastare per le esercitazioni di due anni. In tal modo le forze navali da lui preparate divennero uno strumento bellico potentissimo, come si dimostrò a Tangeri nel 1844 e poi a Mogador.

Di tali settori, quello che si proponeva come il più pericoloso e il più importante al momento, era senza dubbio l'Adriatico. Tanto la situazione internazionale, quanto la manifesta aspirazione dell'Italia al completamento della sua unità, imponevano la priorità di una politica marittima che tenesse conto delle esperienze del '59, della potenzialità del nemico e dell'avversa condizione geografica. Quest'ultima era invero assai sfavorevole per l'Italia: l'immenso golfo costituito dal mare interno, già soggetto per intero alla sovranità della Serenissima ( 4 ), era, sl, chiu-

(3) Mentre il trasferimento delle navi italiane sul teatro della guerra fu assai tardo, e le navi stesse ben poco poterono operare a causa di guasti alle macchine e di deficienze tecniche - inconvenienti che si sa· rebbero potuti evitare se il governo sardo avesse precedentemente condotto una più adeguata politica di preparazione navale al conflitto imminente - la squadra francese, conquistandosi una base in un'isola nemica, chiuse dalla parte del mare le coste venete e costrinse le forze austriache ad asserragliarsi nei porti, con la preoccupazione di un possibile sbarco alle spalle del loro fronte terrestre.
( 4) La pretesa della repubblica di Venezia di tenere soggetto rutto l'Adriatico costitul uno dei cardini della sua politica marinara fin dal so a sud da chi possedeva Brindisi, ma presentava sempre maggiori vantaggi per gli austro-ungarici, a mano a mano che si risaliva verso nord. Di fronte alla costa occidentale, esposta alle offese in tutta la sua lunghezza perché compatta e priva di insenature e di porti, salvo quello, insufficiente , di Ancona, si estendeva la costa dalmata ricca di ottimi rifugi , con migliaia di isole e isolotti a copertura di riparati canali attraverso cui delle formazioni navali avrebbero potuto manovrare af sicuro per linee interne, con una catena di munite basi già stabilite e la possibilità di valorizzarne innumerevoli altre con la costruzione di poche opere opportune. Su questo grande arco di litorale, da Venezia al confine turco, operava la giovane marina austriaca, priva anch'essa di tradizioni marinare, ma ricostituita e potenziata dopo il '60 dal danese Dahlerup e poi dall'arciduca Massimiliano, che erano riusciti ad amalgamare il composito personale, formato, oltre che da austriaci e da ungheresi, da tedeschi, danesi e dalmati , ed a migliorare la qualità dei quadri, già riconosciuta durante la breve guerra del 1859 dai loro stessi av-
1200 e continuò ad essere accampata dai veneziani fino al XVII secolo. Per oltre cinquecento anni la Serenissima, dichiaratasi padrona assoluta del mare interno, impose pedaggi alle navi che vi navigavano, reprimendo ogni opposizione da parte degli anconetani e di altri rivieraschi, i cui commerci venivano intralciati e rovinati da tali taglie (cfr. CESSI: Storia della Repubblica di Venezia , Milano-Messina, 1946 ). « Bientòt toutes !es puissances » - Scrive uno storico francese - « reconnurent ce dro it de souveraineté. Les exemples sont fréquents de demandes adressées à la Seigneucie pour obtenir le libre passage de grains, de ma.rchandises , de munitions, et souvent elle fit des concessions; mais elle se montra toujours jalouse d'interdire la navigation du golfe aux batiments de guerre, et ne laissa échapper aucune occasion de constater et de soutenir son privilège à cet égard. Meme à une époque où la république était déjà fort déchue de sa puissance, et où d'autres nations avaient une marine bien autrement respectable que la sienne, en 1630 , le Sénat ne voulut pas permettre que l'Infante Marie allat de Naples à Trieste escortée par l'armée navale du roi son frère, et la priocesse dut se résigner à demander le passage sur la flotte de Venise » (Du SEIN: Hìstoire de la marine de tous /es peuples, Paris, 1879 , t. I, pag. 442 ) versari (5 ). L'installazione dell'arsenale a Pola, voluta dall'arciduca Massimiliano nel '54 , aveva ulteriormente potenziato quell'imprendibile base; si stava ponendo rimedio alle deficienze quantitative e qualitative del materiale navigante, con l'impostazione e l'armamento di nuove unità corazzate ( 6 ), che andarono a costituire il nucleo della flotta da battaglia. Si profilava il pericolo che un ulteriore rafforzamento dell'impero austro-ungarico sulla costa adriatica orientale, unito al costante sviluppo dei traffici mercantili austriaci , conducesse al soffocamento di ogni attività italiana in quelle acque e ad un disastroso squilibrio strategico nella prossima probabile guerra. Per contro, qualora la giovane marina militare italiana si fosse rafforzata al punto da eliminare ogni elemento di minaccia austriaca in Adriatico , tutto quel mare, per mancanza di potenze concorrenti, sarebbe potuto cadere sotto l'effettivo predominio dell'Italia ed i confini marittimi del regno si sarebbero ridotti di almeno un terzo , permettendo l'apertura di altre proficue direttrici di espansione.

Ben altra appariva invece la situazione nel settore tirrenico. Diverse anzitutto erano le condizioni geografiche, per essere il Tirreno un mare largamente aperto a sud e a nord-ovest, onde la possibilità di difendere le estese coste peninsulari non poteva poggiare sull'ipotesi di un controllo degli accessi. Ma so. prattutto quel che vi caratterizzava la situazione navale era la presenza della potente flotta imperiale francese , la seconda del mondo, all'avanguardia nella tecnica marittima, sostenuta da una tradizione secolare e da una politica ambiziosa, tale da preoccupare gravemente persino l'Inghilterra (7 ). Nei riguardi della Francia il nuovo Stato italiano era chiaramente impossibilitato ad assumere qualsiasi atteggiamento meno che amichevole, sia per l'enorme estensione delle indifendibili coste, sia per la schiacciante superiorità francese sotto ogni aspetto, tecnico, numerico, qualitativo, di mezzi e di uomini. Non restava al giovane regno che tenersi rigorosamente al di qua delle rotte che congiungevano la Sardegna con la Liguria e con la Sicilia , nelle acque di casa, evitando qualunque motivo di frizione con il potente vicino e cercando di conservarne la protezione e l'amicizia. Non si poneva poi alcun problema immediato nei confronti della Spagna, non soltanto perché ormai questa aveva rivolto da più secoli la sua politica marittima all'Atlantico , ma anche per l'esistenza, tra la sfera navale italiana e quella spagnola, del diaframma costituito dalla zona delle rotte francesi per l'Africa settentrionale ( 8 ).
( 5 ) « Les officiers de l'escadre autrichienne » si legge presso }URIEN DE LA GRAVIÈRE, che aveva comandato la squadra francese in quella operazione << étaient pleins d'ardeur , c'étaient déjà les vaillants officiers qui devaient tr iompber à Lissa. Ils demandaient à tenter une sortie, et à nous faire lever un blocus qui les humiHait. L'archiduc ne crut pas qu'il fUt sage d'aventurer une flotte qu'on avait eu tant de peine è créer et que l'Autriche, si elle la perdait, ne se déciderait jamais à reçonstruire. n préfera s 'inspire r de l' exemple des défenseurs de Sébastopol, et appliqua tous ses soins à nous in terdire l' approche de la ville » (La marine d'auiourd' hui, Paris, 1872, pag. 157).
( 6) Nel dibattito alla Camera italiana del giorno 6 luglio 1861, sul progetto cavourriano di far costruire in America due corazzate per la marina del regno , al Menabrea che esponeva la situazione di inferiorità di fronte all'Austria in tale settore, il Bixio ebbe ad obbiettare che, se il nemico costruiva delle corazzate, tanto meglio: « ce le prenderemo (A.P .C. , 1861, l " periodo, pag. 1841).


(7) Allarmata dal varo della prima nave da battaglia in ferro , la Gioire, avvenuto nel 1858 , la Gran Bretagna si era affrettata ad imitare la sua pericolosa vicina impostando la Wa"ior . L' applicazione del vapore alle navi, che, secondo il Palmerston, aveva tramutato la Manica in un ponte ( << steam bas bridged the Cbannel »), aveva contribu ito ad aggravare la psicosi dell 'in vasione , così da far orientare il Regno Unito, in quel decennio degli anni '50 che segnò un declino del prest igio marittimo britannico, verso una politica di difesa delle coste contraria ai principi tradizionali nelsoniani e basata sulle fortificazioni stabili : la cosiddetta politica del « brick and mortar del mattone e del calces truzzo (dr. MARDER: The anatomy of British Sea Pow er, New York, 1940, pagg 66-67).
(8) Tuttavia la presenza spagnola nel Mediterraneo non fu considerata trascurabile , perché la possibilità di un ' intesa tra la Spagna ed un ' altra nazione avrebbe potuto ess.!re assai pericolosa, obbligando l' Italia a dividere le sue forze navali. Appunto in rapporto a un tale ipotetico evento, fu presente a lungo nella dirigenza italiana una tendenza alla creazione di una flotta abbastanza potente da equiparare la potenzialità offensiva delle marine spagnola e austriaca sommare.
Lo scacchiere mediterraneo meridionale, infine, si presentava come quello nel quale, al di là delle preoccupazioni immediate, erano maggiori le possibilità future per la nuova marina italiana. Al sud, lungo i litorali della Sicilia, stavano per riattivarsi quelle rotte attraverso cui fino a quattro secoli prima erano passati i più importanti traffici mondiali. Il canale di Suez non era stato ancora aperto, ma ci si stava già lavorando, e la certezza che il taglio dell'istmo era imminente apriva ampie prospettive di imponenti sviluppi commerciali per un paese posto dalla natura al centro delle nuove vie di comunicazione marittima verso l'oriente. Con il possesso pieno di uno dei due soli passaggi tra il bacino occidentale e quello orientale del Mediterraneo, lo stretto di Messina, e con il controllo parziale del secondo, il canale di Sicilia, controllo suscettibile di rafforzarsi molto con l'occupazione dell'antistante sponda africana, l'Italia era nata come Stato unitario proprio nel momento più propizio per sfruttare la posizione geografica e strategica chiave della penisola. Per altro la spinta verso Tunisi, che sembrava imporsi come obbiettivo primo alla politica navale del nuovo regno, era destinata ad urtare contro forti opposizioni: e la maggiore di queste, agli inizi degli anni '60, poteva venire appunto da quella Gran Bretagna che aveva appoggiato il movimento indipendentista e unitario dell'Italia principalmente in funzione antifrancese (9) e che non avrebbe tollerato che una nazione, per quanto debole, acquisisse il completo dominio di un passaggio obbligato di importanza mondiale.
Esisteva ancora un'altra grande potenza le cui navi comparivano a volte nel Mediterraneo, ma era fondamentalmente estranea a quel mare e la presenza saltuaria delle sue unità da guerra, giustificata formalmente con motivi di rappresentanza (l O), non aveva altro significato se non quello di manifestare debolmente le sempre vive aspirazioni russe ad uno sbocco marittimo meridionale libero dall'impedimento degli Stretti turchi.
(9) Cfr. The letters of Queen l'ictoria, London, 1907, vol. III, pag. 545; StG:-/ORETTI: LA politica inglese dura11te la crisi risolutiva dell'unità d'Italia, in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, 1923, fase. II , pagg. 280 e segg.; SILVA: Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'Impero italiano, VII ediz., Milano, 1942, pagg. 295 e segg.; RENOU· VIN: Histoire des relations internationales, Paris, 1954, t. V, pagg. 328 e segg.

Tale essendo la situazione geografico-strategica, si doveva prevedere che, se la politica navale italiana in un immediato futuro avesse dovuto dedicarsi alla preparazione dell'inevitabile conflitto con l'Austria ( 11), in un avvenire più lontano si sarebbe necessariamente rivolta verso sud e verso oriente.
Fuori del Mediterraneo, la presenza navale italiana era, nella primavera del 1861, presso che nulla, come lo era stata quella delle marine militari degli Stati preunitari durante i primi sei decenni del XIX secolo, nel corso dei quali si erano registrate alcune mtsstom sarde nell'Atlantico e nel Pacifico ( 12) ed una
( 10) Cosl nell'ottobre 1859 Palermo era stata toccata da una squadra russa al comando del granduca Costantino, diretta a Nizza per rendere onore all'imperatrice vedova (GoNNI: Le cronache navali dell'anno 1859, a cura dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, 1931, pag. 80); e nel 1863 aveva attraversato il Mediterraneo la fregata Degla, partita da Kronstadt «per recarsi a Tolone e di lì fare scorta a S. M. il Re di Grecia (Giorgio I di Danimarca) sino all'approdo nei suoi staù,. A.C.R.M., busta 164, reg. copiai., corrisp. col ministero).
( 11) E' noto che tra il 1861 e il 1866 la politica estera italiana oscillò continuamente tra l'aspirazione a Venezia, che voleva dire una nuova guerra con l'Austria, e l'aspirazione a Roma, che significava rottura con la Francia. Nonostante le dei liberali, il governo mirò costantemente a Venezia, soprattutto sotto l'influenza di Vittorio Emanuele Il, avverso ad ogni contrasto con l'ex alleato e tendente alla realizzazione di una « combine simile a quella del '59.
(12) Cfr. LEVA: Storia delle campagne oceaniche della R. Marina, Roma, 1936, vol. I, pagg. 11 e segg. La corvetta Euridice compì due missioni in Sud America nel 1836-38 e nel 1846-48; ue la fregata Des Geneys (1835, 1841, 1843); altre crociere vennero effettuate dalle corvette Aurora, nel 1847, e San Giovanni, nel 1849, e dai brigantini Daino, tra il 1845 e il 1847, e Colombo, nel 1844-48 e nel 1858. Notevole il viaggio del briganùno Eridano, che, tra il 1842 e il 1845, condusse una lunga campagna oceanica al comando del Persano, raggiungendo Tahiti e le isole Hawai e ritornando poi a Genova sempre per la rotta del capo Horn; lo stesso Eridano effettuò un'altra crociera nel 1848-51. Tutta que- crociera della flotta napoletana sulle coste del Brasile nel 1843 (13), seguita da un viaggio di istruzione della fregata a vela Urania l'anno successivo ( 14 ). D'altra parte le rotte oceaniche ad est e ad ovest dell'America meridionale erano frequentate dalle navi mercantili italiane ( 15 ), fin da quando, ancora nel periodo napoleonico, aveva avuto inizio una notevole corrente migratoria, soprattutto di liguri, verso quel continente e in particolare verso la zona dell'estuario del Rio de la Plata. Pertanto, a partire dal 1861, la marina italiana prese a mantenere nelle acque sud-americane almeno un'unità di stazione, affinché l'appoggio dei consoli in difesa degli emigrati, nelle instabili con- sta attività marinara fu senza dubbio assai utile, ma non servì a sviluppare le conoscenze militari né l'esperienza bellica della marina sarda, anzi contribuì ad ingenerare nei quadri « l'illusione che la capacità nautica bastaSse ad una flotta da guerra » (GU.ERRIN1 , op. cit., vol. l, pag. 102). dizioni politiche di quei paesi, risultasse efficiente. Poco dopo la proclamazione ufficiale del regno, venne destinata come stazionaria a Montevideo la corvetta a vela Iride di 725 tonn. con 12 cannoni, agli ordini del Roberti: questa fu sostituita nel 1863 dalla corvetta a ruote, ex napoletana , Fulminante, di 1141 tonn. con 10 pezzi, al comando del Martini. L'anno seguente, essendo state inviate laggiù altre due piccole unità ( 16 ), il cap. freg. Mattini assunse il titolo di Comandante superiore della stazione navale al Plata e potè fronteggiare validamente le agitazioni verificatesi durante la guerra del Paraguay ( 17 ).


( 13) Si trattava della scorta della principessa Teresa Cristina di Borbone, che andava sposa all ' imperatore del Brasile don Pedro IL La principessa prese imbarco sulla nave :unmiraglia della flotta brasiliana, la Constituci6n , inviata a Napoli, con la scorta di due corvette, a prelevarla per condurla nella s ua nuova patria. Nove unità napoletane, e cioè quasi l' intera flotta borbonica, al comando dell'amm. De Cosa, accompagnarono la sorella di Ferdinando II nel suo viaggio attraverso l'Atlantico: erano tre grandi fregate a vela, il Vesuvio, nave ammiraglia, la Partenop e e la R egina, una fregata a vapore, il Ruggero ; tre fregate a vela di secondo rango, la Isabella, la Urania e la Amalia; la corvetta a vela Cristina e il brigantino Ge11eroso. Le unità napoletane restarono a Rio de Janeiro per tutta la durata dei festeggiamenti nuziali, rientrando in Italia per Natale (LEVA, op. dt , vol. I, pag. 16).
(14) Cfr. D'ALESSANDRO: Viaggio marittimo ad ttso d'igie11e navale con la fregata " Urania ", Napoli, 1846.
( 15) Per diversi anni la marina commerciale italiana figurò al quarto posto nei traffici dei porti del Perù e nella zona dei grandi fiumi, Rio de la Plata, Rio Paraguay e Rio Paranà , i trasporti fluviali erano praticamente quasi tutù in mano di italiani. Se il movimento locale dei natanti italiani era notevole, scarsa era stata per altro, nella prima metà del secolo, la presenza commerciale marittima delle bandiere degli Stati preunitari nel traffico ttansoceanico: dr. al riguardo M. GABRIELE: L'armamento italiano sulle rotte atlantiche (1800-1860), in « Anuario de estudios americanos », a cura della Escuela de Estudios Hispano-Americanos, Sevilla, 1968, t. XXV, pagg. 295-324.
Fu nel 1865 che la politica navale italiana nelle acque del nuovo mondo ebbe ad affermarsi con un provvedimento assai importante, l'istituzione della divisione dell'America meridionale, che rappresentò un tentativo di riunire in una sola e più potente formazione le unità inviate in quei mari australi, per im- primere maggiore impulso e per coordinare organicamente l'attività politico-marittima da esse esplicata. La decisione del governo italiano venne provocata dalla situazione politica in quel continente, dall'aumento continuo degli interessi nazionali in quei luoghi, dove l'attività degli emigrati presentava favorevoli prospettive e sembrava suscettibile di futuri sviluppi economici e forse anche politici , e infine dalle pressanti richieste degli agenti diplomatici e consolari, i quali segnalavano analoghe iniziative da pane delle altre potenze e sottolineavano l'opportunità della presenza della bandiera italiana nei porti che ricadevano sotto la loro sfera di azione (18 ) . << I gravi disordini» scriveva il 31 agosto 1865 il ministro della marina Angioletti al suo collega degli esteri « dai quali è continuamente turbato l'ordine pubblico nell'America meridionale fanno sentire ai numerosi sudditi nazionali colà stanziati il bisogno d'una protezione più efficace per parte dei nostri bastimenti da guerra; e la distanza considerevole alla quale c;i trovano i comandanti delle nostre forze navali in quei mari richiedendo che sia resa meno stretta la loro dipendenza dal Ministero e che siano ad essi conferiti più ampi poteri; il sottoscritto crede, in conseguenza, conveniente aumentare il numero dei legni in quelle acque estendendo così l'attuale stazione del Plata a tutta l'America meridionale, e formare dei bastimenti destinati a servire in quelle acque una divisione navale, il comando della quale verrebbe conferito a un contr' ammiraglio » ( 19 ). Costituita la divisione, si ebbero difficoltà per arrivare alla nomina del comandante: dopo che due contrammiragli, il De Boyl e il D'Aste, l'ebbero rifiutata preferendo di essere messi a riposo anzi che spediti agli antipodi, il terzo designato, il Riccardi, volentieri o malvolentieri, l'accettò e si accinse a partire: effettivamente, la lontananza del settore operativo, le difficoltà della missione e le gravi responsabilità da assumersi non rendevano desiderabile la destinazione.

(16) Il rinforzo consisteva nella vecchia fregata a ruote di secondo ordine Ercole , già della marina borbonica, di 1.306 tonn. e con 6 cannoni, e nella cannoniera ex-toscana Veloce, di 274 tono., armata da 4 pezzi.
(17) Passato il potere in Uruguay dal partito dei blancos a quello dei colorados , appoggiato dalla flotta brasiliana , ne segul un lungo periodo di lotte, durante il quale le navi italiane ebbero a prestare assistenza a connazionali e a cittadini di altre nazioni minacciati nei beni e nella vita . Tra l'altro , la Fulminant e sbarcò a Montevideo un distaccamento di fanteria di marina in occasione del passaggio dei poteri presidenziali allo scopo di assicurare il mantenimento dell'ordine e ne ottenne una lettera di ringraziamento dal presidente uscente , grato ai marinai italiani perché avevano assolto il loro compito mantenendo una stretta neutralità tra le parti in conflitto; quando la provincia argentina di Corrientes fu occupata dalle truppe del generale paraguayano Lopez, nell'ottobre 1865 , la cannoniera Veloce condusse su per il fiume un convoglio di navi noleggiate e cariche viveri , in aiuto agli italiani e agli stranieri danneggiati dalla guerra, 0ffrendo a chiunque volesse porsi in salvo la po ssibilità di imbarcarsi sotto la protezione della sua bandiera, il che procurò alto prestigio alla nostra marina ; la medesima cannoniera, dopo il bombardamento di Paysandù , accorse al soccorso della città colpita, aiutando la popolazione senza distinzioni di nazionalità, per la quale operazione il comandante dell'unità Calmi e il medico di bordo ricevettero un particolare elogio (LEVA, op . cii., vol. I, pagg. 22 e segg .).
( 18) V. disp. del ministro italiano a Lima,. Migliorati, al ministero degli esteri in data 13 agosro 1865: « ...è mio dovere osservare all'E<;cellenza Vostra che lo stato continuo di rivoluzione in questi paesi crea continui pregiudizi ai R. Sudditi qui residenti i quali hanno sempre più frequenti motivi di fondati reclami. L'Inghilterra, la Francia, la Spagna e gli Stati Uniti, le quali potenze assieme riunite non hanno certamente tanti interessi come l'Italia da proteggere in questa Repubblica mantengono qui costantemente legni da guerra. Non crederei decoroso che il Governo di Sua Maestà il quale qui mandò un rappresentante di grado superiore a quelli della Francia e dell'Inghilterra voglia esporlo a dere inutilmente dilazionate le risposte alle giuste domande sporte a favore dei regii sudditi: e che essi voglia lasciar andare depredati impunemente del frutto dei loro sudori e delle loro privazioni. Rinnovo pertanto l ' istanza perché se già non si è a ciò provveduto sia immediatamente surrogata la fregata Prir1cipe Umberto in queste acque (l'unità aveva toccato il Callao durante una crociera), essendo come ho avuto l'onore di esporlo molte volte nella mia corrispondenza di somma necessità di appoggiare colla forza i reclami e le domande di indennità che le anormali circostanze di questo paese rendono ogni giorno più numerose e più fondate» (A.C.R.M., busta 8, cart. Divisione America Meridionale).

In ogni modo, a novembre, il contrammiraglio Riccardi, preso imbarco sulla fregata Regina, salpò da Napoli e, scortato dalla cannoniera Ardita - o piuttosto trascinandosela faticosamente dietro (20)- attraversò l'Atlantico ed arrivò nel gennaio del 1866 a Montevideo.

Con le forze assai scarse a sua disposizione, il Riccardi doveva affrontare dei problemi estremamente complessi: da un lato gli era difficile distogliere dall'estuario del Rio de la Plata un'unità, poiché la situazione locale assorbiva tutte le possibilità della divisione per la difesa degli interessi dei connazionali (21) e dall'altro appariva non meno urgente la necessità di far comparire la bandiera nel Pacifico (22); né il contrammiraglio poteva avvalersi della Magenta) pervenuta a Montevideo nella primavera dell865, poiché questa corvetta parti nel febbraio seguente, diretta al Giappone, proseguendo il suo periplo navale, e due mesi dopo era salpata precipitosamente anche la Principe Umberto di ritorno dal Callao e richiamata in Italia: cosl che, rimpatriata la Fulminante) spedita la vecchia Ercole nel Pacifico (23 ), la formazione italiana si trovò ridotta a tre sole unità, una soltanto delle quali abbastanza efficiente (24 ).
(19) Ibidem.
(20) La Regina, infatti, fu costretta a rimorchiare la cannoniera per vari tratti durante la traversata dell'oceano. Soltanto dopo Rio de Janeiro il Riccardi potè lasciar andare per suo conto la Ardita, dato che di U in poi la rotta era più facile, seguendo la costa (ibidem).
(21) Proseguendo la guerra paraguayaoa, le unità ebbero numerose occasioni di intervenire: nel febbraio 1866 le cannoniere fecero rilasciare un piccolo bastimento italiano, il Marinetta, sequestrato da una unità da guerra argentina; poco dopo ottennero il rilascio di altri mercantili nazionali trattenuti dai paraguayani.i.. nel marzo vennero fatti liberare due marinai della Ercole arrestati, pare arbitrariamente, dalla polizia argentina a Buenos Ayres ed alcuni cittadini italiani imbarcati a forza, per essere arruolati, sopra una nave brasiliana (LEVA, op. dt, voi. I, pagg. 37-39).
Alle insistenze del Riccardi per avere qualche altra nave, il ministero, pur promettendo vagamente di mandare la corvetta Principessa Clotilde) ma non prima della fine dell'anno, in ultima analisi se ne lavava le mani e diceva all'ammiraglio di arran- giarsi (25): giungendo, a un certo punto, a scrivergli chiaramente che poteva restare in Atlantico , o passare nel Pacifico, purché la smettesse di dar fastidio (26 ).
(22) Le istruzioni del ministero lasciavano al Riccardi ampia facoltà di decidere personalmente circa la dislocazione delle navi a seconda delle necessità; tuttavia suggerivano: «il Comandante in Capo farà in modo che i bastimenti da lui dipendenti visitino di tempo in tempo i principali porti dell'America Meridionale e più frequentemente Rio de Janeiro e Lima ,. (A.C.R.M., busta 8, cart. Divisione America Meridionale); e il ministro Migliorati premeva dal Perù, mentre il conflitto ispano-cileno in corso reclamava la presenza di un'uni tà nel porto di Valparaiso (ibidem). Fin da due anni prima era stata richiesta invano la presenza delle navi da guerra nell'America centrale, sulle coste del Salvador, del Guatemala e del Nicaragua {A.C.R.M., busta 2).
(23) La vecchia unità a ruote, per altro, non riuscl ad arrivarci. Partita il 29 marzo dalla capitale dell'Uruguay, trovò avverse condizioni di mare nel canale di Magellano e fu pertanto costretta a rifugiarsi alle iso le Falkland per riparare le avarie. Ripreso il mare ed imboccato nuovamente il terribile stretto, vi subì un nuovo incidente che danneggiò in grave maniera il vetusto scafo, cosl che si trovò obbligata a rientrare faticosamente a Montevideo (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 42).
(24) Per vecchia che fo-;se, la Regina poteva ancora incutere rispetto con le sue quasi 3.000 tonn. di stazza e i 50 cannoni di cui era armata. Nata come fregata a vela della marina napoletana, a vela aveva attraversato l'Atlantico 22 anni prim:1 e forse per questo precedente, raro tra le navi italiane, era stata scelta: ma, sebbene vi fosse stata montata dopo il '61 una macchina a vapore, era sostanzialmente rimasta un bastimento velico e ne conservava le caratteristiche superate dai tempi.

Malgrado fosse in tal modo abbandonato a se stesso senza speranza di aiuti , e sebbene nessuno dei suoi bastimenti presentasse delle spiccate caratteristiche di potenza, tuttavia il Riccardi riusd a raggiungere gli scopi che gli erano prefissi, e cioè quelli di ovviare alle violenze contro i connazionali, da parte di privati o di fazioni fortunatamente sprovviste di mezzi navali. n fatto che l'ammiraglio italiano non avesse ai suoi ordini che legni a vela o muniti di macchine di ben poca efficienza non importava molto, dal momento che non si trattava di combattere per mare contro formazioni avversarie, ma solamente di operare nell' estuario o lungo il corso dei grandi fiumi, dove anzi lo scarso pescaggio delle unità risultava vantaggioso. Montevideo, base della divisione, pur non disponendo di un porto molto attrezzatoma sempre preferibile ai bassi fondali di Buenos Ayres -, appariva adatta, per trovarsi al centro della zona di. lDaggior densità degli emigrati e per avere abbastanza facili comunicazioni con la costa brasiliana e con quella argentina, nonché, attraverso i fiumi, con le piaghe interne, anch'esse abitate da connazionali, dell'Argentina e dell'Uruguay. Da Montevideo, poi, non era eccessivamente difficoltoso nemmeno il lungo viaggio per il Pa- cifico, da effettuarsi sempre sotto costa, con l'appoggio, al largo, della base britannica amica delle isole Falkland e con l'unico trano arduo dello stretto di Magellano. Cosl, con modica spesa, il governo italiano sperava di mantenere in quegli anni il controllo della situazione in quelle regioni dove era indispensabile la presenza della nostra bandiera: ed è innegabile che il Riccardi e il suo stato maggiore, operando con i mezzi di cui potevano disporre, unendo ad un'intensa attività militare una prevalente e accorta azione diplomatica, intervenendo con energia o con tatto a seconda delle circostanze e mantenendo soprattutto una rigorosa neutralità nelle faccende interne dei singoli Stati, riuscirono ad assolvere in maniera encomiabile il compito affidato loro, proteggendo efficacemente i connazionali tra i sussulti rivoluzionari e le lotte sanguinose delle popolazioni locali ed affermando nel sud dell'America latina il prestigio della marina della neonata . . . naz10ne unuana.
{25) «Faccia come crede, lei meglio del Ministero può decidere» {lettera del ministro Angioletti al Riccardi in data 12 marzo 1866: minuta in A.C.R.M., busta 8 , cart. Divisione America Meridionale).
{26) Ibidem, lettera del ministro Angioletti al Riccardi in data 19 aprile 1866: « La Divisione sotto i suoi ordini è costituita pel servizio generale lungo tutte le coste dell'America meridionale, senza distinzione particolare di regioni... per conseguenza la S. V. è in facoltà di trasportare il comando non solo nel Pacifico, ma in quali altri paraggi stimi conveniente la presenza di esso (la sottolinea tura non è nel testo). Se poi si desse il caso ch'Ella sentisse il bisogno di commettere alla Regina una spedizione qualunque, e che nel tempo stesso non stimasse conveniente abbandonate il Plata, allora converrebbe che si adattasse ad un trasporto temporaneo della sua residenza comunque questo potesse riuscire incomodo».

All'infuori delle acque dell'America meridionale, la flotta italiana non ebbe occasione di far registrare la propria presenza in altri mari extra-mediterranei , durante quei primi anni dopo l'unità. Vi fu un momento, durante la guerra di secessione ame· ricana, nel quale parve prendesse forma l'idea di inviare un'unità militare italiana nel Messico, in coincidenza con l'accresciuto interesse della Francia a tale paese. E la circostanza della guerra di secessione, con le connesse vicende navali legate al blocco marittimo degli Stati confederati, offriva un pretesto valido per mandare a Vera Cruz -o comunque nei Caraibi - una nave da guerra italiana. Il Messico, fatto oggetto di particolare attenzione da parte di Napoleone III , era diventato, proprio a causa delle ambizioni francesi, un argomento abituale di molte conversazioni internazionali. A Londra, l'ambasciatore d'Italia, Massimo D'Azeglio, giocando a biliardo con lord Palmerston, introdusse nella conversazione un cauto sondaggio circa l'idea di una modesta presenza navale italiana nelle acque messicane, e gli inglesi si trovarono d'accordo. Ma da Parigi, malgrado gli sforzi del Nigra e nonostante la modestia del progetto, venne una decisa opposizione: la Francia non gradiva alcuna attiva coopera- zione italiana, per poco significativa che fosse, nell'area messtcana, e cosi non se ne fece nulla (27 ).

La prima crociera effettuata dalla marina militare italiana per presentare al mondo la bandiera del nuovo regno sarebbe stata effettuata soltanto nel 1866-68: il viaggio di circumnavigazione della corvetta Magenta, al comando del cap. freg . Vittorio Arminjon, con scopi dichiaratamente scientifici e in via subordinata diplomatici e commerciali. Di tale missione e dei risultati che consegui sarà detto in seguito.
(27) V . .i rapporti del D'Azeglio e del Nigra, rispettivamente ambasciatori d'Italia a Londra e a Parigi, in D.D.I., serie I, vol. l, pagg. 481, 497, 501, 502 e 546.