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Osser vazioni sull’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista verso gli Stati Uniti

Guido Calabresi

Cosa potrei aggiungere a questo così importante e bel convegno? Innanzitutto, vorrei ringraziare tutti gli organizzatori, ed in particolare Patrizia Guarnieri, per il loro incredibile lavoro – e anche per avermi voluto includere.

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Sul tema del convegno direi solo due o tre parole. I miei genitori e mia zia erano fra coloro sui quali questo convegno si focalizza, e in un certo senso un po’ anche io e mio fratello. Quindi so, da molto vicino, sia quello – moltissimo – che l’Italia ha perso e quello che è andato perduto dappertutto per via dell’interruzione negli studi e le difficoltà di reintegrazione degli studiosi, sia quello che l’America ha guadagnato – tanto – nell’avere (almeno un po’) aperto le porte a tutti questi rifugiati.

Ma più di questo vorrei far notare che non tutti questi rifugiati e fuggiaschi dall’Italia negli anni Trenta erano, come i miei genitori, sia ebrei che antifascisti. C’erano anche grandi antifascisti non ebrei – come Salvemini ed altri – che sono dovuti scappare. E c’erano anche ebrei che erano stati fascisti fino alla venuta delle leggi razziali. E c’è qualcosa da dire a proposito di tutti e due i gruppi.

Che ci fossero alcuni ebrei ferventemente fascisti lo si è sempre saputo. Qualche persona, per un confuso patriottismo, credeva nel fascismo. Ma c’erano anche persone che, benché sapessero benissimo che il fascismo era (scusate la parola) una porcheria, volevano farne parte per ragioni di vantaggio economico. «Sì, sono farabutti, ma li controlleremo, e comunque intanto stanno facendo una politica che mi avvantaggia». Quanto spesso si sentono discorsi analoghi, perfino oggi, in tutte le parti del mondo. In questo gli ebrei certo non erano e non sono peggio di altri. Ma neanche tanto meglio. E si spererebbe che da ciò che è successo, sia a noi che ad altri, si fosse imparato cosa succede troppo spesso quando si segue questa strada. Eppure?

Cosa è avvenuto, invece, ai rifugiati ebrei pro-fascisti in America? La mia impressione – aneddotica – è: pressoché lo stesso che è accaduto ai rifugiati

antifascisti. Le somiglianze fra rifugiati hanno dominato sulle differenze passate: un po’ perché l’America non era particolarmente antifascista negli anni Trenta; un po’ perché, malgrado tutto, i rifugiati di ogni tipo trovarono difficoltà comuni; e, forse, un po’ perché questi ex fascisti se ne erano ben presto pentiti. Varrebbe la pena, però, fare una ricerca più approfondita a riguardo.

E cos’è capitato ai rifugiati antifascisti e non ebrei? Direi che, benché anche loro ebbero difficoltà, per lo più la loro immigrazione è stata un po’ più facile. Socialmente, l’America negli anni Trenta era alquanto antisemita, assai di più che l’Italia prima delle leggi razziali. Ed era più facile accogliere un Salvemini ad Harvard che non un analogo studioso ebreo. La madre dei fratelli Rosselli si sentì dire da un «gentile vicino»: «Signora, vedrà che il nostro villaggio è quieto, non ci sono ebrei». Lei rispose: «ma noi siamo ebrei» – cosa che stupì il vicino.

Ma malgrado questo antisemitismo, i rifugiati ebrei, per lo più, si sono stabiliti abbastanza bene in America, e durante sia la prima che la seconda generazione hanno dato e ricevuto moltissimo. Un po’ questo è dovuto al fatto che, con gli anni, e specialmente con la venuta della guerra, l’antisemitismo è diminuito. Ma un po’ è anche per via di una cosa molto importante da notare – specialmente oggi. Il razzismo – di qualsiasi genere – è tremendo ed orrendo. Ma il razzismo di certi individui, il razzismo privato così per dire, è molto più facilmente combattuto e superato con l’aiuto di altri individui antirazzisti e con la buona volontà. Il razzismo statale, pubblico, invece, ha effetti molto più generali e nocivi. E per questo che l’Italia ha perso così tanto per via delle leggi razziali, e che l’America, malgrado un antisemitismo sociale molto diffuso, ha guadagnato molto dalla presenza dei rifugiati ebrei.

Bisogna lottare contro il razzismo dappertutto! Ma quando è il governo che dice che «loro» non sono come «noi» – come sta succedendo spesso, e ora in così tanti paesi – bisogna lottare con tutta la nostra forza, senza smettere mai.

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