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Mia madre Avigail Vigodsky De Philippis
Roberto De Philippis
Nell’autunno del 1938, mia madre Avigail Vigodsky de Philippis stava svolgendo regolarmente la sua attività di assistente incaricato presso la cattedra di Botanica della Facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Firenze1 quando fu repentinamente allontanata dall’incarico ed espulsa dall’ateneo fiorentino, insieme a molti altri studiosi e studenti ebrei, a seguito delle leggi razziali del 1938. Nella lettera inviata il 9 dicembre 1938 dall’allora rettore dell’Università di Firenze Arrigo Serpieri al ministero dell’Educazione nazionale si legge che «[il Rettore informa]… di avere in data odierna comunicato a mezzo raccomandata ai sottonotati nominativi la loro dispensa dal servizio a far tempo dal 14 Dicembre p.v.»2. Nell’elenco dei docenti figura, tra gli assistenti incaricati, «Vigodsky De Philippis Avigail».
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Mia madre era nata il 1° giugno 1912 a Rishon Le Zion, nella Palestina all’epoca facente parte dell’Impero ottomano. Suo padre Elhiau Vigodsky era un ebreo russo, laico e di idee socialiste, nato a San Pietroburgo ed emigrato in Palestina nel 1906 a seguito dei moti falliti in Russia nel 1905, ai quali aveva partecipato attivamente e per i quali era ricercato dalla polizia russa. Come molti degli ebrei immigrati in Palestina in quegli anni, Elhiau era un idealista ed era diventato agricoltore, dedicandosi alla produzione di agrumi e di uva da vino. Sua madre, Pessia Davidson, era giunta in Palestina all’età di tre anni con
1 ASUFi, AC, SS, f. 608, b. 16578, «Vigodsky Avigail». Rinvio a Roberto De Philippis, Avigail Vigodsky De Philippis, in Patrizia Guarnieri, Intellettuali in fuga dall’Italia fascista, Firenze University Press, Firenze 2019, <http://intellettualinfuga.fupress.com/scheda/vigodsky-de-philippis-avigail/613> (11/2019). 2 Il documento è riprodotto da Francesca Cavarocchi, Alessandra Minerbi, Politica razziale e persecuzione antiebraica nell’Ateneo fiorentino, in Enzo Collotti (a cura di), Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), vol. I, Saggi, Carocci, Roma 1999, pp. 465-510.
la prima immigrazione di fine Ottocento, in fuga dalla Polonia russa sconvolta dai frequenti pogrom antisemiti. Mia madre era cresciuta e aveva studiato prima a Rishon Le Zion e poi a Tel Aviv, fino al completamento delle scuole superiori nell’estate del 1931. Nella stessa estate aveva deciso di venire in Italia per proseguire i suoi studi presso l’Università di Firenze, dove il 3 novembre 1931 si era iscritta alla Facoltà di Scienze naturali. A Firenze aveva incontrato mio padre, Alessandro de Philippis, originario di Bellosguardo, un piccolo paese del Cilento ai confini tra Campania e Lucania, il quale si era trasferito a Firenze per completare i suoi studi in Agraria, iniziati presso l’Università Federico II di Portici. I miei genitori si erano sposati il 16 gennaio 1935 e, nel luglio dello stesso anno, mia madre si era laureata in Scienze naturali con 110/110, discutendo una tesi di Botanica sulla embriologia e cariologia di Ruscus aculeatus3 . Nel 1935 era stata nominata assistente volontario presso l’Istituto di Botanica dal professor Giovanni Negri e aveva iniziato la sua carriera di ricercatrice, pubblicando i suoi primi studi di botanica. Nel 1937 era stata nominata assistente incaricato presso la cattedra di Botanica della Facoltà di Agraria, della quale era titolare il professor Raffaele Ciferri, continuando la sua attività di ricerca in botanica e curando le esercitazioni del corso di Botanica per gli studenti della Facoltà4 .
Nell’autunno 1938, mia madre fu costretta ad interrompere la sua attività di ricerca e di studio presso l’Università di Firenze. Nel corso del 1939, mentre stava accompagnando mio padre in un viaggio di studio nei Paesi balcanici, da dove poi sembra avessero intenzione di proseguire per la Palestina, scoppiò la seconda guerra mondiale. Decisero quindi di tornare a Firenze, dove mio padre, nel 1942, vinse la cattedra di Selvicoltura presso la Facoltà di Agraria, pur con l’opposizione di un membro della commissione di concorso che intendeva fargli scontare il fatto di avere una moglie ebrea. Nell’inverno del 1943, quando il rischio di essere arrestati e deportati era divenuto troppo alto, i miei genitori decisero di lasciare Firenze e si rifugiarono a Paciano, paese umbro posto sulle pendici del Monte Petrarvella in vista del lago Trasimeno, nella casa di un cugino di mio padre. Trascorsero l’inverno nascosti a Paciano, fino a quando le truppe alleate non liberarono la zona a seguito della battaglia del Trasimeno del giugno del 1944. A quel punto, i miei genitori si spostarono a Bellosguardo, in attesa che Firenze fosse liberata dalle truppe alleate. Dopo la fine della guerra, Avigail e Alessandro tornarono a Firenze, ma mia madre non ebbe più alcun incarico ufficiale da parte dell’Università degli studi di Firenze. Nel 1949 dette alla luce mio fratello Donato e nel 1952 nacqui io. Non tornò mai più alla sua attività di studio e insegnamento presso l’Università di
3 Albina Messeri, Avigail Vigodsky De Philippis, «Nuovo giornale botanico italiano», 65, 1958, pp. 1-3. 4 ASUFI, AC, Stato di servizio, «Vigodsky De Philippis Dr. Avigail».
Firenze, anche perché nel 1956 apparvero i primi sintomi del cancro che la condusse alla morte il 10 giugno 1958.
La storia di mia madre è purtroppo una delle tante storie di studiosi ebrei cacciati dal nostro sistema universitario per effetto delle leggi razziali e mai più tornati a dare il loro contributo alla scienza e alla cultura italiana nemmeno dopo la Liberazione.
Prima di concludere questo mio intervento voglio ringraziare di cuore gli organizzatori di questo convegno, e in particolare la professoressa Patrizia Guarnieri, per avermi dato la possibilità di onorare la memoria di mia madre e di mio padre, portando alla luce eventi che hanno segnato in maniera drammatica la loro esistenza e messo a repentaglio le loro vite negli anni bui del fascismo e del nazismo. Il mio ringraziamento forse ancora più forte va agli organizzatori per il loro impegno a tenere viva la memoria di eventi che, a distanza di 80 anni, rischiano di svanire dalla memoria collettiva. A questo proposito voglio ricordare un episodio occorso solo poco tempo fa presso l’allora Facoltà di Agraria, presso la quale svolgo la mia attività di docente a partire dal 1990. Alcuni anni fa, ci fu la proposta di intitolare l’aula magna della Facoltà ad Arrigo Serpieri, che fu un importante economista agrario della prima metà del secolo scorso e che negli anni Venti dette un contributo fondamentale alla fondazione dell’Istituto agrario e forestale dell’ateneo fiorentino, divenuto poi nel 1936 Facoltà Agraria e forestale. La sua fama scientifica giustificava ampiamente tale proposta, mentre si era invece ormai del tutto persa la memoria del suo ruolo di rettore firmatario dei provvedimenti di espulsione dall’Ateneo fiorentino di tanti studiosi e studenti ebrei. Fu soltanto grazie alla mia presenza quel giorno in Consiglio di Facoltà e al mio appassionato intervento contrario alla proposta che i colleghi vennero a conoscenza del ruolo avuto da Arrigo Serpieri in quegli anni e presero la decisione all’unanimità di far decadere la proposta di intitolazione dell’aula magna. Un piccolo episodio recente, che dimostra come la memoria di eventi tragici del nostro passato debba sempre essere mantenuta viva, per evitare di rendere omaggio a personaggi responsabili dell’applicazione di una delle più efferate leggi del regime fascista.