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Giuseppe Speciale, Introduzione

Giuseppe Speciale InTRodUzIonE

Nel cuore della civilissima Europa, nel secolo XX, il legislatore italiano fascista limitò la capacità giuridica dei cittadini in base alla loro appartenenza ad una razza e produsse un articolato corpus di norme che condusse al compiuto e perfetto isolamento – ancor prima che all’annientamento della vita – dei membri della minoranza ebraica; lo stato mise in moto una complessa e invasiva macchina amministrativa per attuare tale legislazione; l’opinione pubblica, adeguatamente preparata da un’attenta e ben orchestrata campagna di stampa, accolse nella sua larga maggioranza le novità legislative con acquiescenza cinica, opportunistica, timorosa, convinta o anche solo conformista. Il legislatore si cimentò nella costruzione di un insieme di regole che da un lato sancirono meticolosamente esclusioni (dalla scuola, dal pubblico impiego, dalla proprietà, dalle professioni, etc.), dall’altro posero limiti a tali esclusioni e previdero garanzie per gli ebrei: si disposero le scuole e gli albi professionali per gli ebrei; si issarono i limiti entro cui era possibile per gli ebrei continuare a possedere terreni e fabbricati e si statuì la cartolarizzazione delle quote eccedenti tali limiti; si stabilì che gli ebrei licenziati a causa delle leggi razziali potessero godere della pensione anche con un’anzianità di servizio inferiore rispetto a quella prevista dal diritto comune. La legislazione razziale, assolutamente disumana, isolò dalla società nazionale gli ebrei, ne compresse fortemente i diritti, ne mortiicò la dignità escludendoli dalle scuole, dal lavoro, dalla vita civile, tuttavia non comminò loro pene capitali né previde, almeno in un primo momento, deportazioni che si dovevano concludere con stermini. Non previde, cioè, soluzioni che avrebbero potuto più facilmente suscitare gesti generosamente eroici, o comunque prese di posizione ‘meta-giuridiche’, quali quelli che si ebbero a partire dalla seconda metà del 1943, quando fu chiaro a tutti, almeno nei territori controllati dai nazisti e dai fascisti della RSI, che per gli ebrei si erano chiusi anche i residui spazi di tutela e che iniziava per loro un cammino verso la distruzione collettiva. Una legislazione siffatta fu percepita

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subito dall’ariano, dall’italiano non ebreo, nel suo nucleo essenziale. Forse l’ariano colse supericialmente e rozzamente il senso che il legislatore aveva attribuito alle norme in difesa della razza, ma lucidamente capì gli effetti ultimi e più veri che la legislazione razziale persegue: l’ebreo non era più un soggetto di diritti. Del resto, il legislatore era intervenuto nell’art. 1 del nuovo codice civile a limitare la capacità giuridica in ragione dell’appartenenza alla razza.

La reazione della comunità nazionale può essere misurata, semplicisticamente ed esempliicativamente, con una scala ideale i cui gradi corrispondano al dissenso, all’acquiescenza, all’adesione. Utilizzando ora il termine consenso in un’accezione lata, comprensiva dell’acquiescenza e dell’adesione, non mi sembra arrischiato sostenere che le norme razziali riscossero il consenso della maggioranza della comunità nazionale, consenso talvolta convinto, talvolta imposto, talvolta indotto da una eficace campagna di stampa, talvolta, inine, dovuto a ragioni di opportunistica convenienza. Il regime si avvalse dell’adesione di pochi per consolidare l’acquiescenza dei molti e gli intellettuali – molti, non tutti – si prestarono volentieri all’operazione. In questo senso non mi sembra arrischiato sostenere che le norme razziali godevano di un diffuso consenso e potevano presentarsi come un rilesso del comune sentire degli italiani.

Quelle vicende scandalizzano, scandalizza la legge che diventa strumento di sopraffazione e persecuzione, scandalizza l’alterità dell’ebreo, scandalizza l’opportunismo dell’ariano che si insinua nelle pieghe della legislazione razziale per trarne il maggior proitto possibile. Quanto è successo in quegli anni è un elemento costitutivo della nostra identità di italiani ed europei.

Se vogliamo che quella identità sia un’identità forte dobbiamo fare i conti con le vicende della legislazione razziale, dobbiamo rilettere serenamente e con passione su quegli eventi, non possiamo far inta di nulla.

Questi temi sono attuali, lo sono non solo per le derive totalitarie che si affacciano anche in Italia ogni giorno più forti e inquietanti, ma sono attuali anche per altre ragioni. Inducono a rilettere sul rapporto tra legge, espressione formalmente legittima della volontà del legislatore, e giustizia, insieme di regole e principi non disponibili da parte di nessun legislatore; inducono a rilettere sui cardini non della tolleranza, ma della convivenza, della condivisione; inducono a rilettere sulla saggezza di alcune soluzioni costituzionali, tra tutte quella di cui all’art. 113 che afferma che nel nostro ordinamento i provvedimenti del potere esecutivo sono sempre soggetti a controllo giurisdizionale.

Per la stampa e il sostegno alla realizzazione di questo volume devo ringraziare la Fondazione Sicilia e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania.

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