3 minute read

Introduzione

Nel volume è confluito un percorso di ricerca che non è semplice definire perché complesso e complicato è stato l’oggetto d’indagine. Come sempre accade, quando l’interesse è rivolto alla storia delle donne e dei rapporti tra i sessi. Un settore di studi che non ha suscitato in Italia lo stesso interesse che in altri paesi, per ragioni ben note e riconducibili, in larga parte, alla tradizione storiografica italiana. Quello che qui interessa mettere in rilevo è che, in Italia, la storia “di genere” ha incontrato difficoltà ad affermarsi e molti degli studi di storia delle donne si colloca nell’ambito di una “universalistica” storia sociale. Questo ha reso più difficile proporre una prospettiva di indagine che privilegiasse i rapporti di genere e li indagasse in diversi contesti. C’era bisogno di un “luogo” da cui fosse possibile osservare le dinamiche tra i generi e coglierne gli aspetti di lenta trasformazione.

La prima guerra mondiale e l’immediato dopoguerra sono apparsi il “luogo” ideale per verificare gli effetti, sui rapporti di genere, delle profonde trasformazioni che investono l’Italia tra Ottocento e Novecento. Le problematiche dei rapporti tra i sessi e del loro ridefinirsi nel “tempo breve” della guerra sono il percorso di ricerca presentato nel volume. In questo “tempo breve”, ma denso, sembra possibile individuare costruzioni sociali di genere e di identità culturale rimasti stabili per tutta la prima metà del Novecento.

Advertisement

Un evento drammatico e catastrofico come la prima guerra mondiale esalta le differenze di genere, ma, al tempo stesso, ne attutisce le specificità. La guerra femminilizza gli uomini, perché la sua durata e il carattere di moderna carneficina, avvilisce la virilità del genere maschile. Maschilizza le donne perché, per la prima volta nel nostro paese, sono chiamate a far parte di una comunità nazionale. Al tempo stesso, però, la guerra tende ad annullare le identità di genere in quella più “alta” della nazione.

Nella prima parte del volume sono approfonditi aspetti relativi alla mobilitazione patriottica delle donne dei ceti alto borghesi e aristocra-

tici del Nord Italia, un settore minoritario e non certo rappresentativo dell’esperienza di guerra delle donne. Da queste ricerche è emerso come il rapporto del genere femminile con la guerra fosse vario e complesso e assumesse, spesso, forme di irrigidimento nei tradizionali ruoli femminili di “cura” e di maternage.

È possibile supporre che la prima guerra mondiale abbia rappresentato un’occasione, se non di emancipazione, almeno di maggior libertà personale, per le donne dei ceti popolari. Qualche indizio viene dall’analisi dell’epistolario contadino di guerra analizzato nel volume e di cui si propone una selezione di lettere. Nella corrispondenza tra un “fante contadino” e la moglie vi sono tracce del ruolo svolto dalla guerra nel favorire una maggior libertà delle donne nella gestione dei rapporti coniugali.

Le contraddizioni aperte dalla guerra nei rapporti di genere appaiono con particolare evidenza tra le donne operaie, tradizionalmente uno dei settori più emancipati del lavoro femminile. Con la guerra si aprono alle donne nuove opportunità di lavoro nelle “fabbriche degli uomini”, ma, come è documentato nella seconda parte del volume, le gerarchie sessuali del lavoro industriale si rafforzano e possono fare della fabbrica un luogo ostile alle donne. Anche in fabbriche dove l’occupazione è prevalentemente femminile. Nel caso della Manifattura Tabacchi di Genova – Sestri Ponente, centinaia di operaie subiscono il potere di pochi “capi” operai.

Ci sono anche donne che restano del tutto estranee alla guerra. Sono le donne internate nelle istituzioni psichiatriche. Le loro vite scorrono senza tempo. Le autobiografie delle donne ricoverate, nel primo Novecento, in un manicomio genovese documentano che, per la maggior parte di queste donne, la guerra rimaneva fuori dalla porta del manicomio. Così come era accaduto per loro vite. Augusta Molinari

Donne in guerra

This article is from: