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CONVERSAZIONI DELLA GUERRA
(1914 - 1919)
gennaio 1929 ‚
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Allo scoppio della grande guerra io mi trovai, quale direttore della «Tribuna», in situazione particolarmente favorevole per venire di continuo in contatto coi principali uomini che si succedettero al governo; o che, pure essendone fuori, esercitavano, per la loro autorità, una forte influenza su gli ambienti politici e sulla pubblica opinione; ed ebbi pure frequenti occasioni di avvicinare personaggi forestieri che si trovavano o venivano in Italia; e questa situazione mantenni sino alla pace conclusa. Con questi uomini, per ragione del mio ufficio, o per vecchia fiducia e consuetudine, io potei avere, specie ne' momenti più seri, lunghe conversazioni, che dovevano servirmi e mi servivano per la condotta del giornale; non per riferire quanto mi dicevano, ma per trarne materia al mio giudizio di ciò che fosse opportuno dire in quei momenti. Ma molto di ciò che in quei colloqui veniva fuori, e che non doveva essere reso pubblico, aveva spesso un interesse umano o politico permanente, assai superiore agli scopi a cui serviva caso per caso; e il sentimento di ciò mi indusse, sino dal principio, a prenderne delle note, spesso assai estese e circostanziate, sino a riprodurre le precise parole dell'interlocutore. Non c'era, per parte mia, in questa pratica, nessuna più lontana intenzione di polemiche avvenire; ubbidivo semplicemente a quello che chiamerei «il sentimento del cronista»; quel sentimento per cui in ogni tempo uomini che si siano trovati immischiati a grossi eventi, col privilegio di osservarli da vicino e mentre si producevano vedendoli quasi nascere nella mente dei maggiori attori; fossero essi o fraticelli medievali, o secretari di principi e di assemblee, o cittadini a cui erano aperte porte e finestre agli altri chiuse, hanno sentito l'impulso di notare le cose di cui erano testimoni, senza la pretesa di giudizii anticipati, e senza mescolarvi pensieri e sentimenti propri; vani e superflui al momento dei fatti, quando non ne facciano essi pure parte, diventando azione. E non è forse male che la cronaca, quando sappia rimanere tale, senza volersi levare ad altre virtù che non siano la verità e l'esattezza, e tenersi spoglia di preconcetti dottrinari e passioni politiche e partigiane, mantenga un suo posto vicino alla storia. Minore, ma non d'ancella; se non fosse di quelle ancelle che per lunga intrinsichezza e servizi resi, si sono guadagnate il diritto di richiamare a volte la loro signora. La storia, ne' suoi maggiori compiti, preoccupata sopratutto di coordinare e giudicare secondo i risultati, inclina troppo spesso a fare rientrare questi nelle intenzioni e previsioni degli attori assai più che non vi siano stati; con la conseguenza di trasmutarne e deformarne la figura, morale e intellettuale, in bene o in male, a gloria o obbrobrio, pietrificandola negli atteggiamenti solenni delle troppe statue che popolano le aule solenni del passato. Un po' di cronaca, semplice e schietta, che tenendosi a fianco della storia, senza mostrarsi troppo incline a pettegolezzi ed a malizie e facile a raccogliere il sentito dire, sappia a tratti intervenire un po' sottovoce, a rettificare e moderare, porta una nota umana, che parla sopratutto agli assetati di verità e realtà, grandi consumatori di libri di memorie e confessioni. E lo sanno bene gli storici di razza, che pure mirando alla rielaborazione sintetica degli avvenimenti ed alla loro ideale interpretazione, non mancano mai, prima di avventurarsi per queste strade maestre, di fare lunghi soggiorni e continue more nel campo più umile della cronaca e di ricercarne tutti gli andirivieni.
Questa mia cronaca della guerra si discosta dal tipo usuale, in quanto non riferisce quasi mai notizie o giudizi di seconda mano, limitandosi a riportare cose da me sentite direttamente. Ne è quindi eliminato quel vizio della inesattezza o della tendenziosità in cui la cronaca cade più spesso quando tende troppo facilmente l'orecchio ad ogni parola che il vento porta, o corre dietro alle tante dicerie comunque originate o s'ingegna essa stessa a discriminazioni e interpretazioni immature. Non che io voglia qui affermare che tutto quanto nelle mie pagine è contenuto risponda rigorosamente alla verità oggettiva; ma ciò che in esse vi possa essere di inesatto o magari storto non è mio; lasciando io parlare gli interlocutori e tenendomi in disparte, come un semplice scritturale. A me incombeva sopratutto l'esattezza del riferimento; e ad essa mi sono scrupolosamente attenuto, cercando di riprodurre addirittura, specie ai punti più importanti, le precise parole del colloquio o della intervista.
Qualcuno potrà osservare che non è infrequente il caso di interviste smentite; ma, a prescindere dal fatto che queste interviste mie, non essendo raccolte per il pubblico del tempo sfuggono a qualunque sospetto di interpolazioni o omissioni tendenziose; la smentita stessa essa pure non è alle volte affatto probante, rappresentando niente altro che il pentimento o la preoccupazione di chi si è lasciato sfuggire pensieri ed espressioni senza misurare gli effetti che divulgate avrebbero avute. E non mi nascondo che se queste pagine venissero alla luce oggi, mentre non pochi dei miei interlocutori sono ancora fra i vivi, le smentite mi pioverebbero addosso da tutte le parti; salvo qualcuno di essi a riconoscere poi meco, a quattr'occhi, che sì, quelle parole erano da lui state dette, ma non per la pubblicazione. Perché l'etichetta della vita pubblica inibisce ai poveri attori dei grandi drammi storici di confessare titubanze, che pure al momento in cui si manifestavano erano segno di profonda coscienza; di riconoscere che nel loro animo vicino all'ardimento parlava quella prudenza che dopo il successo prende la faccia di peritosità e debolezza; e sopratutto di ammettere di non essere stati sempre sicuri profeti. Ho però disposto che queste pagine non siano pubblicate se non dopo scomparse le persone che hanno collaborato, senza saperlo, alla loro stesura. Che se un qualche sussurro dovesse arrivarne in un remoto Campo Eliso, dove esse riposassero dalle fatiche e passioni della vita, mi sento sicuro che nessuna delle cose da me riferite potrebbe ormai ferirle. Che se nel loro animo, nella pressione degli eventi tremendi, nella responsabilità delle decisioni irrevocabili e che impegnavano non solo le fortune del loro nome, ma quelle della patria, vi sono state incertezze e manchevolezze e smarrimenti ed anche scatti di personale passionalità; se nelle loro previsioni e nei loro giudizii non sono mancate lacune ed errori; cose tutte che è troppo facile irridere e condannare dalle comode rive dei fatti compiuti; io posso e devo qui fare per tutti loro, senza eccezione, un'alta e sicura attestazione. Ed è che nella lunga e difficile prova, in tutti questi uomini così diversi gli uni dagli altri per abito intellettuale ed inclinazioni politiche, ed in certi casi gli uni agli altri antipatici ed avversi; e non ostante la diversità ed opposizione dei loro sentimenti e vedute su la guerra e su la parte che spettava all'Italia nel grande conflitto; il punto centrale e fisso a cui queste diversità e contrasti di opinioni si riferivano era sempre e solamente la salute del paese. E che le stesse incertezze e manchevolezze nel loro giudizio e nella loro azione, per un certo aspetto tornano a loro onore, esprimendo niente altro che preoccupazioni e trepidazioni sorpassanti di gran lunga l'interesse delle loro parti e le loro personali fortune.
O. Malagodi