CALIZZANO E IL SUO PASSATO

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MARIO BERRUTI 1630-1631: la peste a Calizzano 1. Premessa – 2. I mezzi di tutela contro le epidemie: le patenti di sanità, i rastelli, i lazzaretti, la contumacia o quarantena, la Magistratura di Sanità – 3. 1631: il “mutto” di Bardino, la peste tra Calizzano e Finale – 4. Il rastello del Melogno.

1. Premessa Dopo la peste nera del 1348, l’epidemia più celebre – anche perché resa tale dalla letteratura – e più virulenta fu quella che colpì l’Italia settentrionale nel 1630, e che fa da sfondo alle note vicende de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Tra il 1630 e il 1632, in concomitanza con la guerra per la successione al Ducato di Mantova, l’Italia fu colpita da una serie di sventure. In primo luogo la carestia, e, appunto, la peste. Sull’epidemia che colpì, in particolare, la Val Bormida e il Marchesato del Finale, poco si è scritto, e non sempre la documentazione è sufficiente a delineare l’entità del contagio, e i suoi effetti sulla popolazione. Per quanto riguarda il Finalese, è stato pubblicato a fine 2012 un volume dal titolo La peste a Finale, 1631-1632, Diffusione e incidenza di un’epidemia nella Liguria di antico regime, a cura di MARIO BERRUTI, edito da Philobiblon di Ventimiglia, che è la base del presente lavoro. Sulla peste di Calizzano, purtroppo, vi sono pochissime notizie. Ma che il paese fosse stato colpito dal morbo è assolutamente certo. Molti gli indizi, che vedremo. Si ritiene opportuno, innanzitutto, un breve excursus sui mezzi di tutela contro la peste, e le epidemie in generale, al fine di comprendere meglio i termini e le situazioni che le autorità dell’epoca dovettero affrontare. 2. I mezzi di tutela contro le epidemie: le patenti di sanità, i rastelli, i lazzaretti, la contumacia o quarantena, la Magistratura di Sanità Le autorità che avevano il governo del territorio, in mancanza delle conoscenze sull’origine e sui veicoli di trasmissione della peste, non avevano molti mezzi di tutela, se non la segregazione del territorio stesso, con lo scopo di impedire a coloro che provenivano da luoghi infetti, o anche solo sospettati di essere tali, di varcare i confini. Non era questa una scelta facile: segregare un territorio, infatti, poteva voler dire anche condannare alla povertà le popolazioni locali. In un periodo nel quale i commerci e gli scambi erano la base dell’economia, dato che l’agricoltura era appena sufficiente alla pura sopravvivenza, significava impedire l’ingresso di generi alimentari da fuori, e nel contempo impedire l’esportazione di beni. 139


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