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La professione medica
Dal S. Francesco al nuovo nosocomio
stato veneto, come pure negli altri della Penisola, escludendo lo stato pontificio, forme di aiuto a domicilio incontrarono minore fortuna di quelle offerte a livello istituzionale; proprio in età napoleonica tale profilo delle pratiche assistenziali venne ulteriormente potenziato. In questo momento di passaggio, guadagnò molto terreno anche la convinzione che il compito di coordinare le organizzazioni dell’assistenza dovesse essere pubblico. Depositi di mendicità si diffusero nelle città europee; non tutte funzionarono e da quando in Inghilterra la New Poor Law del 1834 ebbe il mal celato proposito di spingere tutti gli abili al lavoro a cercare un impiego nel mercato, piuttosto che nelle workhouses, sostenute da risorse provenienti da una specifica imposta sulla proprietà, qualcosa cambiò anche nella Penisola.
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La professione medica
Anche in Italia il dibattito tra i sostenitori di un sistema basato sulla carità legale o sulla pubblica beneficenza si concentrò principalmente sulla scelta tra un sistema pubblico, tenuto in piedi da denaro pubblico, e un’organizzazione della beneficenza che continuava a gestire risorse private a fini pubblici. Il punto di passaggio stava tutto nel riuscire a concepire la possibilità che un servizio pubblico potesse essere frutto di risorse private e, soprattutto, di un’iniziativa privata. Questo passaggio fu molto evidente proprio in ambito ospedaliero: spesso fondazioni private, come quella di Padova, guadagnarono posizioni nella sfera pubblica, anche a causa dell’epidemie di colera che avevano colpito la Penisola nei primi decenni del XIX secolo35. Fu in questo preciso contesto che la professione
trimoni e amministrazione nei luoghi pii e negli enti ecclesiastici in Italia (secoli XV-XVII), a cura di Alessandro Pastore e Marina Garbellotti, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 231-261. Su simile tematiche si è soffermata Angela Groppi, Il welfare prima del welfare. Assistenza alla vecchiaia e solidarietà tra le generazioni a Roma in età moderna, Roma, Viella, 2010. 35 Paolo Preto, Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1988.
Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)
del medico assunse uno spiccato carattere pubblico, in quanto promotore di progresso scientifico e responsabile dell’igiene pubblica36. Il processo di definizione della professione medica fu particolarmente lungo e tortuoso: in età veneziana si cercò sempre di esercitare uno stretto controllo sull’esercizio della professione di medico e di chirurgo. I Deputati e aggiunti alla provision del denaro in Venezia avevano chiesto il 9 agosto 1743 una «catasticazione» dei medici e chirurghi che esercitavano la professione a Padova, avvalendosi, operativamente, dei Provveditori di sanità, a loro volta comandati a ciò dal podestà della città. L’intento dei magistrati veneziani era di natura fiscale: si intendeva sottoporre a tassazione anche l’esercizio delle arti liberali e per questo motivo tutti, avvocati, notai, ingegneri, medici e chirurghi furono suddivisi in tre classi secondo i diversi oggetti che essi trattavano nelle loro professioni37. L’Ufficio lavorò su dati forniti dai parroci che elencarono medici e chirurghi residenti all’interno della loro parrocchia. L’operazione aveva lo scopo di classificare gli impegni professionali dei professionisti padovani e pure l’ambizione di fissare un ruolo, un albo, di medici e chirurghi che fossero stati in qualche modo abilitati alla professione e fossero, pertanto, iscritti nella matricola del Sacro Collegio dei medici e filosofi. Nemmeno il cancelliere conosceva l’identità di tutti i medici entrati in Collegio, ma con il tempo si impegnò a stamparne la lista, comprendente anche i pubblici professori dello Studio che esercitavano la professione di medico pratico affermando che
36 L’ospedale abbandonò per sempre la tradizionale fisionomia di luogo di ricovero dei poveri spesso ammalati, in termini ottocenteschi un deposito di mendicità, per assumere la veste tutta nuova di luogo di cura, come hanno mostrato G. Cosmacini, Medicina, ideologie, filosofie nel pensiero dei clinici tra Ottocento e Novecento, in Storia d’Italia. Annali 4. Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981 e Claudio Pogliano, L’utopia igienista (1870-1920), in Storia d’Italia. Annali 7. Malattia e medicina, a cura di Franco Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984. 37 ASPd, Ufficio di sanità, b. 141, cc. 677-682.
Dal S. Francesco al nuovo nosocomio
nel rolo che presenterò saranno descritti anche li pubblici professori di questo Studio quali furono dalla maestà del prencipe abilitati a poter entrare nel Sacro Collegio, stante che non tutti li professori dello Studio vengono nel Sacro Collegio, ma solamente quelli che con ducali del serenissimo prencipe sono al medesimo abilitati. Io non so poi dire se tutti li professori di questo Studio ch’entrano nel Sacro Collegio s’esercitino come medici pratici anzi so che molti d’essi punto non s’esercitano in ditta professione di medicina38 .
La situazione era dunque piuttosto confusa ma, in ogni caso, il cancelliere dell’Ufficio di sanità riuscì a costruire un ruolo di medici e di chirurghi comprendente sia chi era stato ammesso al Collegio sia chi ne era fuori. Alcuni medici furono identificati come ebrei e si indicò pure chi era professore presso lo Studio39. Il fatto che le magistrature sia veneziane sia padovane si siano non preoccupate troppo di sapere con assoluta precisione chi tra i professori dello Studio esercitasse o meno la professione e fosse o non fosse membro del Collegio evidenzia che tra lo Studio, l’ospedale e la professione non esisteva ancora un rapporto di formale collaborazione, sebbene sia del tutto verosimile che i professori di materie mediche, specialmente cliniche, abbiano esercitato anche in ospedale e con ogni probabilità pure con finalità didattiche. Tutto un universo si andava velocemente sviluppando, lasciandosi alle spalle un vecchio ospedale e un vecchio Studio; ormai la necessità di una relazione assai più stretta tra le due istituzioni della città era sotto gli occhi di tutti. La modernità fu anche questo: l’esplorazione di nuove forme di collaborazione tra enti e persone.
Guardando così alla situazione sociale nello stato veneto, l’offerta assistenziale veneziana e la platea dei poveri che a essa faceva tradizionalmente riferimento, trovarono riscontro anche nelle città del dominio. L’ospedale inteso genericamen-
38 ASPd, Ufficio di sanità, b. 141, cc. 763-764. 39 ASPd, Ufficio di sanità, b. 141, cc. 765-770. Nove medici appartenevano alla prima classe, 16 alla seconda e 26 alla terza; i chirurghi di prima classe erano 5, 8 di seconda e 30 di terza. Questa era la situazione in città nel 1744.
Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)
te come luogo di ricovero per i bisognosi era capillarmente diffuso nella Repubblica, mentre ospedali in qualche modo specializzati erano attivi solo nelle città più popolose40. A Padova furono attivi ospedali per le necessità più varie, anche se il loro numero, rispetto a quello di Venezia, era inferiore. Inoltre, a Padova, il nosocomio poté far buon uso della scuola medica che nello Studio aveva da sempre trovato il luogo più adatto per potersi esprimere ai più alti livelli scientifici. Sebbene una relazione stabile, di carattere formale, tra ospedale e Studio poté essere raggiunta solo nell’ultimo periodo della millenaria storia della Serenissima, anche precedentemente non si possono escludere fecondi contatti tra la Scuola e il S. Francesco.
La Deputazione e ufficio alle cause pie di Padova era l’organo amministrativo preposto al controllo dell’assai variegato universo di enti che insieme costituivano l’espressione più matura della società civile della città. Di questo esiste un prezioso catastico, compilato da Antonio Marchettani nel 1815 e definitivamente sistemato 4 anni dopo quando l’interessato era archivista generale dell’Imperial regia direzione del demanio della provincia. Lo strumento è particolarmente utile poiché fotografa la precisa nomenclatura di un mondo altrimenti difficilmente comprensibile. Luoghi pii erano considerati tutti gli ospedali, il S. Francesco e la Casa di Dio a Padova e quelli situati in provincia a Cittadella, S. Daniele a Ponte di Brenta, Monselice e Teolo. Tra i luoghi pii figuravano anche il Monte di pietà, la Congregazione dei poveri vergognosi e la Scuola della carità41. Quest’ultima fu registrata anche tra le scuole. Ognuna di queste realtà poteva contare su un patrimonio, più o meno cospicuo, dal quale
40 David D’Andrea, Santa Maria dei Battuti di Treviso. L’ospedal Grando secc. XIII-XX, I, Profilo istituzionale. Dal Medioevo all’età moderna, a cura di Ivano Sartor, Treviso, Terra Ferma Edizioni, 2010. 41 Il catastico elenca nell’ordine abbazie, l’Arca del Santo, Caneva e Canevetta del Duomo, canonicati e capitoli, Capitolo del Duomo, canonicati e cappellanie diverse, chiese, chiericati, collegi, collegiate, commissarie, congregazioni, conventi, fraglie, luoghi pii, monasteri, oratori, scuole, seminari (ASPd, Corporazioni soppresse. Deputazione alle cause pie. Catastico, b. 1).