RIVISTA MILITARE 2014 N.5

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comparvero i primi fucili Mod. ’91 con cannocchiale tipo “Amigues” e “Scheibler” entrambi corredati da apposite “Norme per l’uso”. Quelle del Fucile Mod. ’91 munito di cannocchiale di puntamento tipo “Scheibler”, sono riportate integralmente nella scheda della pagina precedente (13). Le lezioni, così duramente apprese al fronte, vennero messe a frutto sotto la spinta delle necessità della guerra. Così ne parla Paolo Monelli, classe 1894, Tenente degli alpini nel battaglione “Feltre” nel dicembre del 1916, nel libro “Le scarpe al sole”: “Il rombo (della valanga) desta con raccapriccio: si balza fuori a tender l’orecchio, si parte per il biancore sfatto a recar soccorso, sotto la minaccia incombente che nuovamente si aduna in alto. E quando il cecchino se ne accorge, comincia a spararci sopra. Fa male? Fa bene, adempie al suo dovere di nuocerci, dove può, quando può. A noi spetta rendergli la pariglia, invece di gemere sulle sue crudeltà; e non indaghiamo che sarà in tempo di pace di questa nostra fredda abitudine all’omicidio, che sarà di questi uomini a cui abbiamo insegnato ad essere uccisori tranquilli. Quando venimmo sul Cauriòl, i cecchini ci molestavano nei passaggi obbligati, sparavano sulle corvè, tiravano dai punti più inopinati. Hanno ucciso un Capitano che usciva dal piccolo posto, il dottore, che s’era accucciato per benino dietro a un mugo, l’hanno costretto a darsela a gambe (...). E allora dicemmo: “A cecchino, cecchino e mezzo”. E incominciammo a cecchinare anche noi. Cecchinare vuol dire mettersi alla posta dietro un sasso, uno scudo, un riparo qualunque, attendere che uno di quelli là passi, o metta fuori la testa, o s’affacci tranquillo: sparargli a freddo, senza necessità immediata di guerra, senza bisogno immediato di difesa, come si tira alla beccaccia, come si tira al barilotto. Crudele, non è vero? Ma dopo una settimana che noi facevamo così, loro cominciarono a smetterla. E l’altro giorno càpito in trincea alle spalle della vedetta appiccicata al parapetto di neve all’agguato. “Cosa fai?” “Go copà un much”. “Bravo. E adesso?”. “Aspeto che i lo vegna a tor, per tirarghe in coste anca a lori”. Perdonatemi, signori della Croce Rossa che sedete attorno ai tiepidi tavolini verdi e stilate le regole della guerra umanitaria. Io non ho saputo dargli torto al soldato: anzi ho trovato buona l’idea e mi sono portato vicino a lui, col moschetto, e ho atteso anch’io - alla posta della selvaggina”. Un’altra testimonianza viene dall’allora Tenente Michele Campana, della Brigata “Liguria”, che ebbe in dotazione il ’91 con il cannocchiale “Scheibler”, con cui combattè come cecchino sul Pasubio. Così narra nel suo libro “Perché ho ucciso”: “Ho per un anno fatto il “cecchino”- che sarebbe a dire il “tiratore spietato”- fra le rocce del Pasubio. Avevo un fucile a cannocchiale “Scheibler”: lo pulivo, lo oliavo da me, per paura che me lo sciupassero: nessuna cosa ebbe mai tante cure meticolose quanto quell’arma che mi procurava delle ore di passione: gli parlavo persino come ad essere animato ed intelligente: “Ieri caccia grossa!”. “Bravo perdinci! Mi facesti un bel colpo!”. Ne ero così sicuro, conoscendone per tante prove, i lievi difetti di puntamento e di alzo, che difficilmente sbagliavo colpo: fino a cinquecento metri di distanza scommettevo per la morte di chi mi presentasse anche solo il capo davanti alle lenti del cannocchiale. Stavo appostato di solito nelle caverne del dente del Pasubio, ora a destra ora a sinistra, grandi finestre slabbrate nella roccia che dominavano da cento metri più in alto, da una parte i posti avanzati nemici “il cocuzzolo dei Morti”, “il cocuzzolo del Carabiniere”, “il cocuzzolo della vedetta” e tutta la rete dei camminamenti fino a Sogli Bianchi, dall’altra le trincee

n. 5/2014

Sopra Sergente del 17° rgt.f., Brigata “Acqui”, armato di fucile Mod.’91 con ottica Filotecnica Salmoiraghi (Tavola di Pietro Compagni) Sotto Fucile Mod. ’91/38 con Ottica Prismatica Salmoiraghi (Catalogo della Mostra sul Centenario del Fucile Mod.’91- Roma, Castel S. Angelo 1991)

della casermetta difensiva e lo scoperto passaggio del “Naso”. Non baluginavano le orecchie di un berretto di austriaco ch’io non le vedessi (...). Stava lì accanto a me il fedele attendente, Costamagna. (...) Un fortissimo colono del Piemonte che parlava poco e menava le mani con l’esperienza di cinque o sei anni di guerra in Libia, a Rodi, qui: gridavamo ad un tempo: “Eccolo!”. “Stai attento se casca”. Ed avevo già fissato le lenti contro il nemico: si ingrandiva e si avvicinava così che ne scorgessi anche le fattezze; la lancetta dello “Scheibler” lo rigava nel mezzo del corpo: già il rimbombo della botta riempiva la caverna. Non potevo discernerne l’effetto, che il rinculo dello scoppio mi faceva sbatter gli occhi e spostare le lenti del cannocchiale. Ma Co77


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