RIVISTA MILITARE 2005 N.5

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• le carte topografiche, le più aggiornate, erano edite dall’ex Armata Rossa e non sempre risultavano sufficientemente precise. Tali errori, che potremmo definire «grafici», venivano ancor più amplificati dalla strumentazione analogica di dotazione; • il nuovo munizionamento «scoppiante ed illuminante» richiedeva l’utilizzo di «tavole di tiro» che necessitavano di un’ulteriore interpolazione per un pratico utilizzo. Da ciò discendeva l’esigenza di utilizzare un ausilio informatico, un software, in grado di supportare il sistema standard di calcolo. L’elaborazione dei dati poteva così tener conto: di un angolo di tiro minimo e massimo; della latitudine della località dello schieramento (la rotazione della terra influenza le traiettorie); della temperatura delle cariche nella

Un UH-60 «Black Hawk» trasporta un mortaio da 120 mm RT-F1.

zona di schieramento; della densità dell’aria (che nel contesto operativo di cui si tratta risultava di notevole incidenza: Khowst è sita a circa 1 200 s.l.m.). Un secondo programma permetteva di visualizzare su una carta topografica, digitalizzata, sia gli elementi di interesse per l’osservazione (limiti del settore di osservazione, posizione dell’osservatore, punti di riferimento) sia l’obiettivo e i suoi spostamenti. Con tale ausilio era pertanto possibile verificare, con immediatezza e precisione, i dati elaborati con sistemi tradizionali rendendoli, di fatto, più affidabili. CONCLUSIONI «Più protezione e sofisticazione, meno mobilità», questo è stato il passato e sarà la tendenza futura nello sviluppo delle fire base. Già nel corso della Guerra in Vietnam, le «basi di fuoco» si estesero a tal punto da divenire un ostacolo per la manovra. Le

sempre più vaste dimensioni, necessarie a contenere intere piste di atterraggio, le elaborate e protette fortificazioni, vitali per garantire la sicurezza del personale e dei materiali, hanno finito per radicate le strutture al terreno in modo pressoché irreversibile. Così, in modo progressivo alcuni hanno sviluppato una sorta di «psicosi da fire base» che si manifesta con la riluttanza ad abbandonare i luoghi sicuri e confortevoli e a richiedere, in ogni situazione, standard pressoché identici a quelli delle sedi stanziali. C’è da domandarsi quale possa essere la «massa critica», il livello di sicurezza e comfort da imporre-accettare, e le conseguenze che ciò comporta sulla «pesantezza» delle fortificazioni e la mobilità dei reparti. In effetti, non esistono soluzioni preconfezionate e tutto varia in funzione di particolari situazioni operative e del profilo della missione assegnata. Certo è che, rispetto al passato, in quel 13 maggio 1969 in «A Shau Valley», le operazioni in Afghanistan sono evolute in maniera decisamente diversa. Le attività di controllo del territorio e contrasto al terrorismo sono divenute, praticamente, di esclusivo appannaggio delle Forze speciali, mentre i regolari vengono impegnati nel presidio delle «basi» e nelle operazioni volte a saturare e interdire, con una elevata concentrazione di forze, aree pericolose per periodi limitati di tempo. Ad alcune di queste operazioni ha partecipato anche il Contingente italiano. Rimane un fatto: il modello adottato, concepito per operazioni che dovevano distinguersi per la «volatilità» dei dispositivi, diviene ora il simbolo stesso della presenza stabile. È un ritorno al castello? Ž

* Colonnello, Capo Ufficio Pubblica Informazione dello Stato Maggiore dell’Esercito 55


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