RECENSIONI rarsi, anche senza medicinali, sentendo, nonostante tutto, la responsabilità degli uomini a lui affidati. Quest’ultima fatica dell’autore costituisce, anche se a distanza di circa sessanta anni dalla conclusione di quegli avvenimenti, un ulteriore contributo alla conoscenza della partecipazione dei militari italiani in Iugoslavia dopo l’8 settembre 1943, spesso – e a torto – ignorata o trascurata dalla storiografia e commemorazioni ufficiali. La lettura del volume consentirà al lettore di partecipare agli stati d’animo di quegli uomini, che hanno vissuto in prima persona e sulla loro pelle quella grande tragedia militare e umana e che ci hanno trasmesso un’autentica testimonianza di vita, aiutandoci a comprendere il profondo conflitto delle loro coscienze, in bilico tra prostrazione e saldezza morale, nel perseguire le finalità del loro immane e consapevole sacrificio. N.S.
Marco Belogi: «Pantelleria 1943 DDay nel Mediterraneo», Liberedizioni, Brescia, 2002, pp. 186, 60,00 euro. Il libro, nato nel 1998 dalla proposta del professor Maurizio Tosi – Docente dell’Università di Bologna e Direttore del progetto della Carta Archeologica di Pantelleria – di studiare gli effetti dei bombardamenti aglo-americani
sull’abitato mediterraneo nell’ambito del progetto della Carta Archeologica di Pantelleria, costituisce un valido ausilio per la lettura di una pagina sicuramente degna di attenzione della nostra storia. Dal 18 maggio all’11 giugno 1943 l’isola di Pantelleria è oggetto di bombardamenti da parte delle Forze aeree alleate, cui segue lo sbarco e, infine, la resa della guarnigione italiana. Con Pantelleria cade il primo lembo di territorio nazionale, ovvero il primo lembo dell’Europa governata dall’Asse. Ecco perché l’operazione militare, in codice «Corkscrew», al di là degli immediati risultati conseguiti, agli occhi dei Comandi alleati rappresenta l’inizio simbolico della vittoria della seconda guerra mondiale, tanto da richiedere una preparazione ad hoc , condotta con minuzia e rigore scientifico, che finisce con il determinare una svolta epocale nella concezione strategica dei conflitti. Durante l’attacco all’isola viene infatti impiegata per la prima volta la forza aerea come elemento principale per debellare la resistenza nemica, annientando ogni possibilità di difesa o di offesa. I bombardamenti, pianificati e monitorati su basi scientifiche, grazie alle direttive del Prof. Solly Zurckeman, esperto di calcolo statistico, colpiscono con relativa precisione obiettivi civili e militari fino a neutralizzare la difesa dell’isola. Il D-Day di Pantelleria, secondo Belogi, costituisce principalmente un esperimento ideato dalle Forze alleate per verificare gli effetti delle nuove tecniche di bombardamento sulle fortificazioni tedesche. Cosicché l’operazione «Corkscrew» può essere definita l’antesignano mediterraneo del più celebre sbarco in Normandia e l’inizio di un nuovo modo di condurre azioni militari, grazie all’impiego del cosiddetto «bombardamento intelligente», destinato a essere utilizzato anche dopo la seconda guerra mondiale, come tecnica militare vincente. Le recenti campagne della guerra del Golfo, della Bosnia, del Kosovo e dell’Afghanistan, ne sono un esempio. Il lavoro, frutto di un’attenta indagine scientifica, ha il pregio di basarsi non solo su fonti italiane, ma anche su quelle americane e inglesi, unendo tra loro i diversi punti di vista al fine di giungere a una ricostruzione storica quanto più chiara ed esaustiva possibile. Splendide foto, raccolte con fatica
dall’autore negli archivi e nei musei, arricchiscono le pagine del libro. Tra le immagini più emblematiche vi è quella che mostra il popolo di Pantelleria accanto ai soldati alleati, un curioso contrasto tra la miseria degli uni e la ricchezza degli altri, segno che prima della guerra – scrive il professor Tosi – avevamo già perso sul fronte della ricchezza e della modernizzazione. Il testo è scritto in italiano e in inglese, con una disposizione sinottica delle due versioni che per nulla appesantisce la lettura ma gli conferisce, al contrario, un respiro più ampio, rendendola appetibile a un pubblico internazionale. P.V.R. Nicola Pignato, Filippo Cappellano «Gli autoveicoli da combattimento dell’Esercito italiano», vol. I dalle origini al 1939, pp. 902, euro 41,31 e vol. II 1940-1945, pp. 914, euro 41,31, entrambi editi dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 2002. Nel 1908, quando la motorizzazione comincia a delinearsi, un giovane maggiore, Giulio Douhet, è il primo a sostenere: oramai occorre un’Armata unica, tutta di volontari e tutta meccanizzata con mezzi di terra (il carro armato – precisa – è il mobilissimo partner terrestre dell’aereo), di mare, dell’aria. Unico, di conseguenza, deve essere il Comando; con un unico Stato Maggiore; un’unica Accademia in veste di Università militare e di Accademia superiore di alti studi e ricerca e una esile e sburocratizzata struttura amministrativa della Difesa. Il Comandante militare supremo, oggi diremo di «vertice», deve, come già sosteneva von Clausevitz, essere parte del consiglio dei ministri. Occorre attendere la fine del secolo XX perché un grande Paese, il Canada accolga le idee di Douhet. Venti anni dopo un giovane Colonnello italiano Efisio Marras vede, come protagonista di terra della guerra futura, un insieme di piccoli gruppi autonomi e autosufficienti (Reggimenti) di blindo, di carri, di fanti, di artiglieria e di elementi del genio e dei servizi. Si tratta di un elemento già delineato, in una conferenza del 1922, dal Generale
134