zione, mettendo a profitto di Garibaldi quegli stessi fattori di forza, dei quali dianzi il nemico si avvantaggiava. Dopo Palermo Garibaldi ha in mano uno strumento di lotta, se non completo, se non perfetto, almeno sufficiente, specie per un capitano par suo: ed allora la campagna si svolge meglio intonata a concetti di pura strategia e più conforme alle esigenze militari. Tutto l’esame del primo periodo della campagna siciliana, per altro, non può mettere in evidenza violazione di principi e di leggi della guerra: bensì Garibaldi, di essi fissando una manifestazione conforme alle esigenze del momento ed alla situazione, offre esempio di applicazione, fondamentalmente, eminentemente, squisitamente artistica. Se, tuttavia, qualche volta accade che gli obiettivi della manovra garibaldina assumono nome di località, la territorialità dell’obiettivo è solo nell’apparenza, perché in questi casi non è la materialità della zona che interessa, ma il fatto che al nome si accoppia un significato di simbolo: quel nome, cioè, diventa una locuzione, una espressione sintetica per indicare e definire uno scopo che non consiste nell’occupazione del territorio. Così, quando, nella campagna 1859, fallita l’impresa di Laveno, sfila di fianco all’Urban e si porta a Como, non è Como territorio che lo interessa, ma è Como centro delle comunicazioni per la Valtellina, per il Bergamasco, per Milano: da Como si va a Bergamo; e di qui allora passava la ferrovia Milano-Venezia, l’arteria alimentatrice di Gyulai, che Garibaldi è incaricato di minacciare. In conclusione, adunque, non si può negare che l’apprezzamento di Garibaldi del primo principio sia perfettamente nell’ordine delle idee napoleoniche; anzi bisogna riconoscere nella valutazione garibaldina una identità che rende quanto mai evidente ed indiscutibile la corrispondenza di parallelismo. E passiamo al secondo principio. Nessun dubbio che l’offensiva sia essenza prima e pura dello spirito garibaldino tanto è vero che nel parlar comune si suol dire spirito garibaldino per significare speciale, spiccata tendenza all’offensiva. Ma a noi interessa definire una valutazione più profonda, più perfetta di questo spirito, che, peraltro, non vuol mai essere irruenza, avventatezza, temerarietà. Il procedimento offensivo costituì la regola garibaldina, come fu quella napoleonica. Sotto un certo punto di vista, un dogma: però l’offensiva, prima di essere materiale rapidità e sequenza di movimenti, è nella volontà del capo, ma ancor più che nella volonta è nella coscienza del comandante, perché non è dottrina ad oltranza, né applicazione ad ogni costo di regola preconcetta. L’offensiva è scatenata soltanto a ragion veduta, quando si sono assicurate e verificate tutte le circostanze necessarie e sufficienti a valorizzarla: essa, cioè, scaturendo dalle condizioni della lotta, non dà un imperativo categorico, e risulta, già per questo, una manifestazione, una applicazione di carattere artistico.
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