RIVISTA MILITARE 2015 N.1

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PALMANOVA E IL REGGIMENTO “CAVALLEGGERI DI ALESSANDRIA” (14°) di Massimiliano Fioretti*

I vecchi raccontano, o meglio raccontavano, che i bastioni di Palmanova erano così alti che era impossibile vedere qualche edificio della città stellata far capolino e spuntare da oltre le mura. Palmanova, baluardo difensivo della lontana “Serenissima”, un po’ fortezza “Bastiani” e transito di molti Tenenti Drogo, appare evocatrice della descrizione di Dino Buzzati nel romanzo “Il deserto dei Tartari”. Già monumento nazionale, oggi in predicato di divenire patrimonio dell’UNESCO, è ancora vitale, nonostante le varie ristrutturazioni dell’Esercito (a seguito degli eventi geopolitici del secolo scorso che hanno sconvolto gli scenari di quella che un tempo si chiamava Guerra Fredda), ne abbiano di fatto sminuito l’importanza dal punto di vista strategico. Negli anni ‘70 la componente Esercito a Palmanova contava quasi 5.000 militari, praticamente lo stesso numero di cittadini residenti. La frontiera non c’è più, il nemico vero e proprio è scomparso. L’attesa spasmodica e logorante di chi credeva imminente l’arrivo di forze imponenti e soverchianti da Est appare un lontano ricordo. Palmanova, questo gigante dormiente a forma di stella in mezzo alla pianura friulana, è ancora qui, un po’ più vuota di un tempo, a mostrare i segni tangibili del destino di molti militari che da tutta Italia, in un tempo non troppo lontano, hanno incrociato qui i loro destini. In questo contesto, la storia del recente passato ci regala qualcosa che ai più, entrando a Palmanova da Sud (da quella che anticamente era chiamata porta Marittima, ora porta Aquileia), guardando sul bastione di destra, risulta sconosciuto: è l’arco che si staglia sul bastione imponente, evocatore di qualche tradizione militare in quanto posto all’interno dell’infrastruttura della caserma “Montezemolo”, oggi dismessa, ma solo poco tempo fa sede di reparti che hanno fatto la storia da queste parti. A scanso di equivoci l’arco non è opera dell’antica Serenissima né tanto meno dei Franchi e Teutonici, popoli passati fra le sue mura nei secoli scorsi. Lontano contestualmente da quelli che sono i dettami architettonici della città e delle mura, è stato costruito durante il periodo fascista e più precisamente nel 1936, XVI anno dell’omonima era. All’ingegnere Alcide Vanelli, nato a Palmanova il 9 novembre 1894, fu commissionato il progetto dell’arco che, come da foto del 110

cantiere in opera, ai lati mostrava due colonne che rappresentavano i fasci littori del tempo e che sucessivamente sono state rimosse. L’architetto Valnero Vanelli, uno dei due figli, racconta che al padre, già Tenente di complemento negli alpini della “Julia” nel Primo conflitto e Maggiore nel Secondo, fu comissionato dal reggimento “Cavalleggeri di Alessandria” (14°) il progetto dell’opera, per il quale non volle essere ricompensato. Purtroppo, l’ingegnere Alcide Vanelli fu, come molti in quel tempo, inviato sul fronte balcanico a combattere quella sanguinosa e maledetta guerra da dove non fece più ritorno. L’arco, dedicato ai “Cavalleggeri di Alessandria” che dimorarono presso la caserma “Montezemolo” dal 1930 al 1943, intende commemorare i caduti delle guerre a cui parteciparono i Cavalleggeri. Entrando dall’ingresso carraio della caserma “Montezemolo” si accede al piazzale antistante, dove si celebrava un tempo l’Alzabandiera, e proprio in prossimità del bastione si apre un corridoio, che adduce all’apice del bastione dove si staglia l’arco. Si scorge subito la scritta, motto del reggimento, Rivista Militare


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