rallela alla fronte designata per l'attacco che si sviluppò inizialmente con le macchine da gitto e con il crollo di una torre e delle cortine adiacenti. Ma dalla muraglia interna una pioggia di proietti infiammati cadde sulle macchine; l'incendio sull'elepoli fu a fatica contrastato con l'acqua predisposta ai vari piani e la macchina venne, a stento, sottratta all'offesa. Durante l'assedio, Demetrio tentò altre strade; egli intraprese anche lavori da mina a cunicoli senonché, quando le gallerie erano in prossimità dell'interno del recinto, i difensori - avvertiti - scavavano un fosso parallelo al muro minacciato procedendo, nel contempo, a scavare cunicoli per arrestare il lavoro degli assalitori. Era, in sostanza, la tattica della «contromina» che tanto a lungo e con tanta importanza doveva restare nell'arte fortificat oria. Vegezio (Flavio Renato, scrittore latino della seconda metà del IV sec . d.C.) trattando dell'assedio di Rodi nella sua <<Rei militaris», parla di una galleria scavata dai difensori fin sotto l'elepoli che, con .iJ suo peso, avrebbe provocato il cedimento del terreno impedendone ogni movimento. Vitruvio, invece, nana di un canale aperto dall'architetto Diognete attraverso le mura, che gettava sul terreno di appoggio dell'elepoli tutte le acque luride della città provocandone il rammollimento ed il blocco della macchina . Nessuna menzione è fatta a proposito dell'elepoli da Diodoro Siculo che tuttavia, nella sua particolare descrizione dell'assedio, cita il ricorso alla guerra sotterranea o di mina. Mentre Demetrio riparava i guasti, i difensori costruivano, sempre in corrispondenza del tratto di cinta danneggiato, un profondo fossato. Il nuovo attacco riusciva a far cadere due metapirgi benché validamente contrastato dai contìnui rinforzi deHa difesa. L'assalto notturno con 1.500 uomini scelti tra i più forti venne effettuato su tutti i lati della piazza. Un distaccamento riuscì a penetrare nel recinto, ma il contrattacco della difesa lo costrinse al ritiro con gravi perdite. Mentre Demetrio riprendeva i preparativi per un nuovo attacco, le trattative di pace cl~e riconoscevano l'indipendenza di Cipro posero fine all'assedio. Veniva così confermat a la validità della fortificazione basata, oltreché sulla solidità e razionalità delle sue opere, sulla intelligente manovra della difesa contro cui un attacco - finché le forze assediate non fossero ridotte allo stremo - era fatalmente destinato a fallire. I Romani, eredi della cultura bellica greca, portarono nell'arte ossidionale tutta la forza dell'esperienza, dell'organizzazione, della flessibilità delle loro truppe. Al momento del bisogno esse si convertivano in pionieri, terrazzieri, muratori, minatori che, diretti da manipoli di specialisti (le attuali unità del genio) e sotto la guida del <<prefectus fabrorum», del cui titolo Cesare si vantava, riuscivano a condurre a termine giganteschi lavori in tempi relativamente brevi. La mole e la varietà delle elepoli impiegate da Cesare ad Avaricum e ad Alesia superarono per potenza e proporzioni quelle usate da Demetrio I a Rodi e quelle di ogni altro popolo della terra. Il terrazzo o «agger» era u~o dei lavori più frequenti e di maggior mole. Creato per riempire fossati, per poter disporre di una base elevata per l'avvicinamento delle elepoli o per dominare i rampari, era costituito da tronchi incrociati e terra compressa. Memorabile è quello costruito da Giulio Cesare sotto Avaricum. Nell'unico tratto attaccabile del recinto, ampio circa 100 metri (tutto il rimanente perimetro era paludoso) fu necessario erigere un terrazzo alto 24 metri, tanto da superare la depressione e l'altezza delle mura di circa 10 metri. Elevare elepoli (dette anche «bastiglie>> o <<torri d'assedio») di fronte alle torri della difesa era
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.Mante/letti medievali.
Mantelletti romani.