IL SILENZIO DI NINO
Dalla Cappella Folgore a Castro Marina, 7 settembre 1973 Molti superstiti dell'ottobre 1942 ad Alamein ricordano una specie di robot prussiano, ufficiale della Feldpolizei (la polizia tedesca di guerra) che "regolava il traffico" sotto il ciglione di Sollum tra il 5 c il 7 novembre. Egli smistava i docili italiani, isolati o inquadrati, in uno spazio senza uscita, sgombrando al ripiegamento dell'Afrika Korps la strada litoranea. La manovra era assicurata da alcune mitragliatrici piazzate con criterio, e a quell'uomo centinaia di italiani, forse migliaia, dovettero quattro anni di prigjonia talvolta mortale. Ma improvvisamente costui si trovò davanti al petto una pistola puntata in silenzio, con mano implacabile: una mano che ne valeva due, perché l'altra mancava, con tutto il braccio e un pezzo dì spalla. Il tedesco era impietrito davanti al sottotenente paracadutista Nino Starace della Folgore, atletico leccese di ventun'anni: viso bruno e splendido, tratti da condottiero, occhi lampeggianti; evidentemente un grande mutilato di guerra che era tornato spontaneamente al fuoco, uno con cui non conveniva scherzare. Il tedesco capi che al primo movimento sarebbe stato fulminato e Nino passò con i suoi pochi paracadutisti e qualche altro ufficiale, tutti avviati verso un nuovo destino, perché la Folgore non era ancora abbastanza morta. Infatti, proprio quel giorno, i 304 superstiti delta linea (su 5000 sbarcati in Africa quattro mesi prima) venivano catturati per esaurimento di munizioni, e si erano salvati ·soltanto quelli della base, diretti all'annientamento finale in Tunisia. Ma Nino, ferito, poco dopo al petto e al viso, sfuggì a tale sorte. Decorato con medaglia d'oro per il suo comportamento in ogni circostanza, si laureò, divenne funzionario di stato e creò una bella famigl ia. Fu subito una fiaccola per coloro che praticano, in parole semplici, la dignità, schiera sempre più esigua, perché così vuole la ruota del tempo. Un suo antico sogno si concretò nel 1967, quando creò, sopra uno sperone costiero di sua proprietà, l'opera che ci ospita in questo momento, dedicata alla Folgore e a tutti i Caduti d'Africa, in posizione incantevole. Più che cappella è portico a pianta triangolare, con la punta diretta a scirocco, cioè al Sacrario di Alamcin ove riposano quasi tutti i morti della divisione. Questa pace è assai cara ai nostri commilitoni, spesso riuniti attorno a Nino in appassionato ricordo. Ma poi si concludeva in lieta tavolata, altrove, e squillava la v.oce di Nino nel suo brindisi preferito: "Anni, fortuna e salute". Ma non voleva mai essere il corifeo, sempre modesto e generoso. L'alto premio al valore non gli aveva fatto perdere la testa. Quando sorse la cappella, gli dicevano: "Non sei abbastanza ricco, e poi non tocca a te semplice privato, ma al governo". Lui rideva: se i vivi volevano meritare anni, fortuna e salute dovevano anzitutto onorare i Morti, e quelli nostri di Alamein, diceva, erano stati dei giganti. Per le spese del lavoro aveva accettato a malincuore il modesto concorso di tre amici. Nino è morto stamattina, a cinquantadue anni, senza accorgersene: il suo cuore ha mollato, forse era troppo grosso, per lo spazio ora disponibile. Siamo certi di qualche confusione, oggi, all'ingresso del paradiso, dove i guardiani del turno regolare ricevono gli spintoni d'una folla di seicento anime folgorine che stanno schierandosi nei ranghi di allora, dietro ai capi rimasti sul campo:. i due Ruspoli, Visconti di Modrone, Bechi Luserna, Bergonzi, Macchiato, Patella, Vagliasindi, Carugno, Pescuma, Rugiadi, Simoni, Gola e Aurelio Rossi. Sono tutti festosi: è arrivato Nino Starace, quello che s'è fatto precedere in paradiso dal primo olocausto della Folgore, il suo braccio. Bello, ma noi non abbandoniamo il nostro angolo dimesso nella routine, terrena. Per noi valgono i silenzi di Nino, nelle serate invernali di scirocco furioso, quando soli con lui sedevamo a cavalcioni dei parapetti, qui, sotto le arcate di tufo biondo, per meditare. E per guardare il mare striato di schiuma, le nuvole grevi con gli ultimi guizzi di luce, la costa buia senza vacanzieri balneari, nei sibili del vento che viene dritto, come s'è detto, da Alamein. Nino, con la destrezza dell'unica mano, accendeva la sigaretta al primo colpo nonostante le raffiche e taceva, assorto nel suo parco segreto, privilegio negato ai non invitati. Non c'era, davvero, nessun bisogno di parlare. Paolo Caccia Dominioni (articolo destinato a "La Gazzetta del Mezzogiorno", e rifiutato perché troppo poetico ).
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