RI*VISTA | N*0 | 02*2022

Febbraio*2022

RI* VIS TA

Numero*Zero

* Fotografie e illustrazioni: Isabella Leo, Monica Mammone * Altre referenze fotografiche: Archivio Nicola Giudetti, Archivio Cataldo Portacci, Archivio Francesco Sisto * Composizione tipografica: Alverata (Gerard Unger, 2014) * Stampato su: Carta Favini, 80 gr/mq presso la tipografia Stampiamo srls, Altamura (BA)

Editoriale

C'è una piccola realtà che cerca di ritagliarsi il suo spazio all'interno di un mondo che le punta sempre il dito contro: si tratta della Città Vecchia di Taranto. Ci sono stati diversi autori tarantini che hanno parlato di Tarantinità come identità residuale, quasi come se Taranto non ne avesse una. Invece la convivialità, la maniera di essere solidali, il modo di arrabbiarsi e di arrivare ad una soluzione costituiscono una personalità già esistente: quella della gente di mare.

Forse non tutti sanno che l'isola custodisce una sorta di microcosmo fatto di storie, tradizioni e personaggi curiosi e per svelarli è necessario

RI*VISTA nasce dopo litri di caffeina, scatti rubati

abbandonare ogni forma di pregiudizio e aprirsi

e tramontana fra i capelli e raccoglie le

alla scoperta.

testimonianze di maestri d'ascia, di un rigattiere

Durante i 6 mesi trascorsi in Città Vecchia è stato

e del "Don Bosco" di Via Duomo, con l'intento di

possibile entrare nel vivo del quartiere:

coinvolgere il lettore nella stessa realtà in cui ci

scrutandone gli abitanti e chiacchierandoci a

siamo catapultate. Ad ogni intervista dedichiamo

lungo, addentrandoci nei vicoli più stretti

un approfondimento a fatti accaduti e

cambiando più volte direzione e cogliendo

personaggi passati, utilizzando un linguaggio

particolari che molto spesso sfuggono o sono

fedele all'enfasi con cui sono state raccontate le

stati dimenticati.

storie.

La Città Vecchia di Taranto ha quindi bisogno di

RI*VISTA vuole essere un incentivo a ritrovare

essere riscoperta, ritrovata e ri*vista.

quella vitalità che contraddistingue l'isola.

Scoprirete che Taranto non è solo Ilva, buona lettura.

memorie di un rigattiere “Adesso mi ritrovo a 60 anni e mi dico “ma guarda un po’ come è passato il tempo”, ma ho ricordi bellissimi di questo posto. Taranto vecchia era una bella isola, molto più felice rispetto a oggi, la gente rispettava di più la parola data e c’era un altro modo di affrontare le cose.”

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“Mio padre ha fatto qualsiasi cosa: lavorava al mercato a Porta Napoli, il rigattiere e anche il pescatore di fiumi, ha cercato di fare anche le nasse…era uno che si dava da fare, ci dava da vivere con qualsiasi mezzo.

Qui c’erano tante persone che facevano le nasse, come anche mia zia, questo perché il mare era la nostra base economica. Eravamo pescatori, artigiani del ferro, del legno, venditori ambulanti, le industrie non ce le avevamo e quindi facevamo cose molto tradizionali.

Mio padre coltivava anche le piante selvatiche al fiume che poi a giugno raccoglieva. Era un’insalata particolare con le foglie rotonde e dolce, in tarantino veniva chiamata la sannacciuta. A Taranto eravamo e siamo esclusivamente gente di mare, anche la mia famiglia lo era.

Avevo uno zio che aveva costruito le paranze da solo e riusciva a fare l’olio di pesc sciorge, che in italiano si traduce come olio di pesce topo.

Ne faceva due tipi quello scuro e quello chiaro, quest’ultimo si beveva e curava gastriti e ulcere, quello scuro invece veniva usato per sanare le ferite, anche quelle più gravi. Adesso il figlio prosegue la tradizione del padre ed è pescatore anche lui. Mio zio veniva chiamato u scienziat perché era bravo a costruire, ad aggiustare gli oggetti e a trovare le soluzioni a tutto. Anche io adoro capire se le cose possano avere una seconda vita e aggiungere anche un po’ della mia arte. Passo il tempo a curare questo giardinetto, mi aiuta a dimenticare alcune cose che mi sono capitate.

Prima avevo la mia bottega in Piazza S. Francesco, in cui vendevo di tutto, da oggetti di antiquariato alle pietre di mare. Compro ancora oggetti vintage, proprio ultimamente sono entrato in possesso di un paio di centinaia di occhiali del 900. Quest’ottica storica tarantina, l’Ottica Zingarelli stava fallendo e sono riuscito ad averli a pochi euro.

Aveva conservato montature degli anni ‘60 e anche dei pince-nez, che sarebbero quegli occhiali che si appoggiavano sul naso, un po’ da intellettuale. Ho collezionato anche giochi per bambini come il trenino della Lima, le bambole a corda, una scimmia che batte il tamburo e la giraffa che muove la testa.

Quando eravamo piccoli ci mettevamo il costume, entravamo da questo portone e uscivamo dall’altra parte, in un altro vicolo, un po’ come Napoli. Il bagno lo facevamo sotto la torre del Catello Aragonese, raccoglievamo i ricci e le cozze direttamente dagli scogli, si trovavano addirittura le cozze pelose. Mi ricordo che quando ero piccolo andavo al Mar Piccolo con un pescatore di lenza che aveva il soprannome scuagghia chiumm, in italiano sciogli piombo. Sai qui avevamo questi soprannomi particolari... Riuscivamo a riempire intere barche di pesce, per quanto ne abbondava qui. Figurati nelle mani del mio bisnonno quanto pesce c’era. Noi tarantini potevamo vivere anche solo di mitilicoltura, io credo che se nel Mar Piccolo fosse stato studiato e progettato un grosso allevamento, sarebbe stato quello più grande d’Europa.

Quando avevo 6 anni lavoravo nelle salumerie e portavo le spese dei clienti sulle spalle, sai i miei genitori non volevano che prendessi una cattiva strada e inserivano me e i miei fratelli nelle botteghe di loro conoscenti.

Le salumerie vendevano i prodotti confezionati della Barilla, Invernizzi, i biscotti Doria, ma in realtà si vendeva tutto sfuso: i ceci, la farina, la pasta, le acciughe si compravano in lattine grosse e te ne davano quante ne volevi. Usavamo i cartoni, la carta velina e la carta oleata, non esisteva la plastica. In Via Duomo c’era questo biscottificio che vendeva caffè di diverse nazioni e biscotti di ogni marca, quando passavo di lì sentivo questo profumo di caffè mischiato a quello di zucchero.

Si viveva, già solo per gli odori, un altro fascino.

Compravamo anche dai venditori ambulanti. C’era uno che vendeva ‘a pampanelle, un formaggio fresco all’interno della foglia di fico, un altro il gratta-gratta l’estate, poi c’era il molla forbici con cui scambiavi anche due chiacchiere. Non ci potevamo permettere tutto, mangiavamo pane olio e pomodoro, il pane zucchero e caffè o il pane con la cioccolata… il panino con la mortadella era già un lusso. Ho vissuto l’aria del dopoguerra, qui si respirava un’aria genuina e i prodotti che c’erano erano migliori di quelli che si trovano ora.

Tutto questo ci hanno segnato e ci ha dato dei valori, penso che se dovesse succedere un’apocalisse sul pianeta, noi riusciremmo a sopravvivere. […] Le vie erano scritte sulla latta porcellanata bianca e qualcuna potete vederla ancora, mentre quelle di marmo si trovavano nella zona alta della città, vicino alle chiese o alle abitazioni di borghesi. Nel tempo però la porcellana si è consumata.

Il numero delle case è una questione curiosa qui perché sono un po’ sballottati, ad esempio io non sapevo che numero avessi, non c’era, l’ho dovuto richiedere al catasto. Questo perché durante la guerra si sono persi documenti e sono crollati molti palazzi, il comune si trovò in grosse difficoltà perché cadevano i palazzi e il catasto non veniva aggiornato. Qui per esempio c’erano tre palazzi uno a fianco all’altro e poi man mano sono caduti e non si sono capiti più i numeri civici.

Questo vicolo - Vico Cane 3 - era molto più stretto di come è oggi, i palazzi quasi si toccavano e mi ricordo le donne che si divertivano con il gioco delle noci.

Qui c’era una fontana, una specie di rubinetto da cui la gente prendeva l’acqua perché nelle case non esisteva, la prendevi o da qui o dalla fontana di Piazza San Francesco. Il pavimento era di chianca, sarebbe stato bello se lo avessero mantenuto ovunque così, quando vennero a mettere in regola la fontana, chiesi esplicitamente di lasciare le chianche allo scoperto”.

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ITA // Piangete bambini che la mamma vi compra le ciliege

l'PESCE olio diSCIORGE

Coda lunga e sottile, due grandi occhi, barbiglio sulla mandibola e scarsamente apprezzato in cucina. È l’identikit del pesce sciorge, in italiano pesce topo, in tarantino etichettato anche come puerche e cipodde. Viene catturato con le reti a strascico o con l’utilizzo di palamiti, poi privato del fegato che viene fatto bollire in modo da rilasciare l’olio, definito dagli utilizzatori “miracoloso”. Questo particolare olio è ricco di acido gadoleico, conosciuto per la sua capacità di accelerare notevolmente la moltiplicazione cellulare e quindi di guarire le ferite, ma non solo. Infatti abbiamo due varianti: una è rossiccia ed è usata per velocizzare la cura di escoriazioni e ferite, l’altra è di color giallo e viene assunto oralmente per curare gastriti e ulcere. Il suo odore disgustoso è direttamente proporzionale al suo potere cicatrizzante, odorate per credere. Attualmente l’olio di pesce sciorge non è di facile reperibilità, viene conservato gelosamentein piccole bottigliette di vetro dagli abitanti del posto, di solito è un omaggio Quello che forse non si sa è che oltre al che viene fatto valore rituale e preziosa fonte alimentare, a parenti e amici la noce era uno dei giochi preferiti dei bimbi stretti. romani e greci. Un tempo non tutte le famiglie potevano servire in tavola le noci e per questo, tra le donne del paese, si diffuse l’usanza di riunirsi in strada per prendere parte al gioco che le metteva in palio.

Il gioco consisteva nel disporre le noci in due file distanti

Il gioco delle noci

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Pampanelle & gratta-gratta

Luglio era il mese delle pampanelle e del gratta-gratta per i tarantini.

“Papaneeeeeeeeeeeeeeè” gridava un uomo in bicicletta per i vicoli dell’isola in tempi molto lontani.

Era un venditore ambulante che vendeva la pampanella, latte di pecora cagliato avvolto da una foglia di fico, che ne conferisce il profumo e ne garantisce la freschezza a lunga durata.

Il nome deriva dall’uso iniziale della foglia della vite, il pampino. Seneca descriveva l’uso nell’antica Roma delle “neviere” come immensi sotterranei dove veniva custodita la neve caduta durante l’inverno per farne buon uso. Su quella scia, i tarantini usando il ghiaccio secco inventarono 'u gratta-gratte, il gelato di una volta: ghiaccio tritato con succo di limone e di orzata. Veniva venduto in coppette di ostia e quando il ghiaccio cominciava a sciogliersi, la coppetta si ammorbidiva e si poteva mangiare con lo sciroppo rimasto sul fondo.

un palmo l'una dall'altra e lanciare da una linea precedentemente tracciata, un'altra noce, la più grande, e cercare di colpire quante più noci possibile. Chi vinceva le conservava in un sacchetto apposito o le gustava. Questo gioco era così diffuso tra i più piccoli che il periodo dell’infanzia era chiamato “il tempo delle noci”.

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tra mestieri e soprannomi, il racconto del don bosco di ciTTà vecchia Nicola Giudetti è figlio e cultore della Città Vecchia, delle sue storie, della sua lingua, del suo passato.

Il suo laboratorio è un museo, una reliquia che racchiude la storia della Città Vecchia. Ci mostra tutto ciò che ha riposto sugli scaffali negli anni, tutti oggetti di uso quotidiano, ma di decine di anni fa.

La parete di fondo è occupata da una sorta di presepe, in cui sono rappresentati i personaggi di Taranto di una volta. Nicola ce li indica uno per uno:

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“Quella è la casa di Sant’Egidio e questa è Donna Bernice, quando si vestiva si atteggiava anche se erano tutte robe che comprava al mercato. Qua ci sono gli sposalizi, all’epoca ci si sposava sulle terrazze perché non c'erano le sale.

Lì ci sono anche io, davanti alla porta del mio laboratorio. E quelle sono le due processioni dei misteri, vedi da questa chiesa esce la Madonna a mezzanotte per cercare suo figlio, poi rientra il giorno dopo e il Venerdì Santo escono i Misteri.

Ho dedicato una poesia al crocifero chiamato Cicgnac perché un giorno trovò una pozzanghera e ci mise il piede e allora cic-ciac, per 110 anni tutta la famiglia ha avuto questo soprannome. Volete che ve la reciti in dialetto?

Se non capite qualcosa poi ve lo spiego. >>>>>>>> Poesia "A croce 'nguedde" >>>>>>>>>>>>>>>>>> […] Sono nato qua e sono orgoglioso, ho visto tante di quelle cose…

Pensa che qui avevamo un vigile che lo chiamavamo Fumarola e ci faceva fare la pipì sotto. All’epoca c'era il divieto di stendere i panni, lui faceva le alle persone che trasgredivano, ma in realtà le faceva praticamente per qualsiasi cosa…Quando vedeva una persona sulla bicicletta, si nascondeva nei portoni, e appena passava, lo acchiappava. C’era un segnale di divieto di passo per le bici in Via Duomo.

Portava sempre con sé un peso della bilancia per controllare se i fruttivendoli fossero onesti con i clienti. Noi facevamo il bagno giù alla Marina, direttamente in mutande, ma per non far vedere a Fumarola che le mutande erano bagnate di acqua salata ce lo facevamo nudi. Nascondevamo le mutandine nelle barche, ma lui ci beccava sempre…ci prendeva e ci portava nudi all'ufficio delle guardie.

Tutti avevamo il soprannome qui. Il mio sai qual era? Pezzute.

I soprannomi si ereditano, il mio deriva da mio nonno. Lui, per una scommessa con un signore di Gallipoli, si buttò dal ponte girevole e una volta uscito aveva il naso macchiato di nero e siccome esiste il pesce pezzuto, l’hanno soprannominato così. Io dopo tanti anni l’ho eliminato perché la gente ora mi chiama ‘u pittor, ma c’erano tanti di quei soprannomi…

I vicoli qui vengono chiamati con lo stesso soprannome di chi ci abita. C’era un pescivendolo che veniva chiamato Zecugghine, non aveva mai usato le scarpe nella sua vita, una volta si trovò un chiodo sotto il piede e, per quanto era dura la pianta del piede, il chiodo si piegò. C’era una signora che la chiamavano ‘a bombolona perché faceva un figlio all’anno, un’altra che aveva la salumeria, lei aveva il popò piccoloe veniva chiamata mezzcul, poi ce n'era un'altra che lo aveva grande e allora soprannominata trecul.

Poi abbiamo il mitico Marche Polle, un personaggio di Taranto degli anni ‘50. Quando vedeva le donne diceva “'A vuè mo’ ?” “Che cosa?” “ ‘A bbuste”. Lui vendeva le schede della Sisal, il Totip, già pronte per essere giocate e sfidare la fortuna. Era piccoletto e vestiva con abiti molto grandi perché glieli regalavano. Lui invece ha ereditato il soprannome dal padre perché era imbarcato sulla nave Marco Polo.

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Poesia "La croce addosso" di Antonio Fornaro

ITA//

Non è per vantarti, ma questa è arte che tu caro Nicola ci regali a Taranto, di questa Settimana Santa senti il dolore Taranto per due giorni si è fermata, la Passione di Cristo l'ha bloccata, e ogni peccatore si è pentito.

Il mare e il cielo si sono uniti il passerotto non ha cantato più, e sopra la tela li dipingi con tutto il cuore.

Il Borgo e Taranto Vecchia si sono uniti una marcia ogni banda poi ha suonato per piangere con la Mamma Addolorata.

E tu, fratello dell'Addolorata scalzo cammini nella nottata, con la croce addosso e le spalle curvate e sotto il cappuccio adesso gli occhi ti sei bagnato Ti dondoli e pensi a Quella Mamma, a Cristo in Croce che soffre e non si lamenta ti vedi davanti agli occhi la Mamma affranta che il figlio morto accoglie con un pianto.

Cammina, fratello, non ti fermare, vai, dillo alle altre terre, dappertutto: "a Taranto nostra è vivo il ricorddo della Passione e ci sentiamo fratelli per questa occasione".

[…] Eravamo una famiglia numerosa, io ero il quinto di diciannove figli, anche se non tutti sopravvissero perché sai all’epoca i medicinali non c’erano, i bambini quando prendevano il morbillo morivano. Siamo rimasi in dieci e io sono il più grande.

Mio padre era un grande lavoratore, ma quando stava a casa faceva il muratore, l’idraulico e anche il pittore. Io lo aiutavo quando faceva i lavoretti a casa di altri. Aiutavo anche mio fratello che faceva il pescatore.

Buttavamo le nasse a mare e vendevamo il pesce al mercato in Via Garibaldi. A 16 anni ho fatto il muratore…bisogna saper fare tutto nella vita. Sono stato anche in Marina per 7 anni. In quegli anni lì facevo il pugile, riuscivo ad incassare bene i pugni, poi venni squalificato nel ‘61 perché diedi un pugno all’arbitro. Poi sono tornato a Taranto, ho lavorato fino al ‘72 come muratore per 75 mila lire al mese, chiesi l’aumento e rifiutarono. Decisi di fare domanda per entrare nell’Italsider, mi presero e lavorai lì fino all’ ‘87, poi mi capitò un brutto male, il primo infarto.

Il secondo l’ho avuto una decina di anni fa e da allora indosso il pacemaker. […] Sono un pittore e ho dipinto tutta la città vecchia, che cosa mi resta?

Me stesso ~ ride. Ho iniziato a dipingere più di 40 anni fa. Qui venivano dei pittori, io mi mettevo vicino e osservavo per apprendere. Sono un autodidatta e mi piace dipingere i vicoli e le marine, ma anche le madonne e i personaggi di Taranto.

Dipingo a casa la domenica o quando c’è maltempo. Insegnavo a 30 ragazzi molti anni fa. I quadri ormai sono anni che non si vendono più le persone hanno la possibilità di mangiare come fanno a comprarsi i quadri io vado avanti, continuo a dipingere perché mi piace, è uno sfogo.

Avevo restaurato un quadro della Madonna del Carmine e lo avevo messo nell’edicola votiva in Largo Gennarini, se lo sono rubato e ho dovuto mettere una stampa. C’è una storia dietro questa edicola: Vincenzo Vozza, un pescatore soprannominato Varcanova, si fermava davanti alle abitazioni dei suoi compagni e gridava “A assute 'a dije”, cioè è iniziata la giornata per andare a pescare. Ma prima si metteva vicino questa edicola e pregava “Famm fa ‘na bella pescarij e famm turnà da l’ figghie mie”, perché il ritorno a casa non era sempre garantito, si diceva che 'u mare ne vè acchianne une ‘o giurne - il mare se ne prende uno al giorno”.

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ITA // La vuoi adesso? La busta

ISettimana riti dellaSanta

La Settimana Santa a Taranto inizia la Domenica delle Palme, quando i confratelli penitenti partecipano ad un’asta per aggiudicarsi le diverse poste raffiguranti la passione di Gesù Cristo. È una tradizione pasquale molto sentita dai tarantini.

In questi giorni la città si anima, una grande quantità di gente scende per le strade, si emoziona, piange, prega, uniti in questo momento di grande tradizione religiosa e folklore.

Nonostante il caos generale, il silenzio pervade la città e ciò che rimane è il solo suono caratteristico della troccola.

Non tutti sanno che nel 1703 Don Diego Calò, un nobile tarantino, commissionò ad artigiani napoletani la realizzazione di due statue raffiguranti Cristo Morto e l’Addolorata dei Misteri, diversa dall’Addolorata del Giovedì Santo, e le donò alla Confraternita del Carmine con l’impegno a celebrare ogni anno i riti della Settimana Santa attraverso una processione delle due statue: le stesse che, ancora oggi, sono portate in processione lungo le vie della città il Venerdì Santo. Successivamente la Confraternita aggiunse altre statue alla processione dei misteri fino ad arrivare al numero col quale è arrivata ai nostri giorni.

e s m t i o e c i l'ant re, r e a m l de g enerazio e u d co f ronto ni a n

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mano piena di calli!!!

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“Io mi chiamo Cataldo Portacci, ho dedicato il mio percorso di vita al mestiere di maestro d'ascia. Raccontare la mia vita passata mi aiuta a vivere, a non pensare agli acciacchi! Ho 94 anni, mica stavo a nascere mo'. Ho parecchio materiale di archivio che ho raccolto negli ultimi 20 anni, con la pensione ho avuto più tempo per dedicarmi al racconto della mia vita. Ho pubblicato diversi libri - non credevo che potessero avere così tanto successo - e, finché potrò, darò il mio contributo alla mia città, anche grazie all'aiuto di mio figlio, per valorizzare il nostro patrimonio culturale ereditato dalle generazioni addietro.

Discendo da una famiglia di pescatori della Città Vecchia. Sono orgoglioso di essere un cittadino della Taranto vera, l'Isola Madre Città Vecchia.

Quanti sanno che la Città Vecchia è stata per oltre mille anni la città di Taranto? Bisogna colmare questa lacuna lasciata dall'insegnamento scolastico,si discute in maniera globale e poi non si conoscono le nostre discendenze. Io sono orgoglioso di discendere da una lunga generazione di pescatori tarantini. Mio nonno paterno, Cataldo Antonio Portacci, era capobarca delle cozzarule e per prestigio di famiglia indirizzò mio padre ad imparare il mestiere di maestro d'ascia e lui ugualmente l'ha trasmesso ai noi figli. Sono nato a Vico Vasto numero 11, casa del mio nonno materno, Cataldo Albano, e quando demolirono le case avevo dieci anni.

Ci trasferirono nelle case popolari di Porta Napoli. Non terminai gli studi per via della guerra: per andare a scuola dovevo attraversare il Ponte Girevole, che durante gli anni della guerra era sempre aperto per il passaggio delle navi. Per cui mi misi subito a lavorare già dal 1940-41, facevo il maestro d'ascia con mio padre.

Oltre all'esperienza prezzziosa con il miglior maestro d'ascia, perché mio padre era il migliore tra tutti i maestri, ho anche lavorato nei cantieri di Porta Napoli ed in seguito, dopo il periodo bellico, ho costruito barche nella costa jonica salentina. Quando mio padre si è fatto anziano, io e i miei fratelli abbiamo preso in mano l'attività di costruzione e riparazione delle barche da pesca, così inizia ad alternarmi tra la bottega e i cantieri dell'Arsenale. Avevamo un cantiere-bottega dove io stesso istruivo i miei allievi, successivamente anche i miei fratelli hanno contribuito all'attività una volta fattesi grandicelli.

Costruivamo circa 30-50 barche in legno all'anno, quelle tradizionali tarantine conosciute come 'u schive. Queste barche hanno tutta una loro nomenclatura precisa, costituiscono un pezzo di storia del mare di Taranto. Il Mar Piccolo era il paradiso terrestre e l'attività di maestro d'ascia, appunto, era strettamente collegata alla produttività del suo bacino. Si costruiva sino ad una certa grandezza, sia le imbarcazioni natanti per l'Arsenale sia le imbarcazioni per la pesca, poiché Taranto, non aveva bisogno di pescare nei mari d'altura e quindi non erano necessarie grandi imbarcazioni.

Si chiama "maestro d'ascia" perché è un attrezzo fondamentale antichissimo, che si perde nella notte dei tempi.

Il maneggio dell'ascia non si può acquisire in un mese, occorrono anni. Si possono attaccare dei frammenti al taglio dello strumento, per cui nel momento del colpo è necessario essere precisi. Altrimenti si rischiava di farsi male. Bisognava studiare e conoscere la fibra del legno, ora è tutto più facile perché ci sono gli strumenti elettrici.

Quando ero ragazzo, gli allievi erano addestrati a maneggiare due tipi di asce: 1) ad una mano, sarebbe quella con il manico corto; 2) a due mani, con il manico lungo. Venivano utilizzate in maggior misura, tanto da formarsi delle vesciche che bruciavano tanto.

Mi ricordo la buonanima di mio padre che si metteva a ridere e diceva ce te ste laminte?! Adesso mi son fatto le mani gentili, ma prima avevamo le mani ruvide e piene di calli.

Gli strumenti di una volta sono stati surclassati con la motorizzazione delle piccole imbarcazioni, alla fine degli anni '50. Nuovi attrezzi elettrici, nuovi materiali da impiegare, nuovi metodi di costruzione: ad alcune barche venne modificata la parte "poppiera", un salto di qualità in quanto venne introdotta l'elica stellata, che va a sostituire quella piatta dell'imbarcazione. In questo modo l'elica sfrutta maggiormente la spinta dell'acqua per andare più veloce.

La rivoluzione industriale non ha tuttavia offuscato la capacità creativa dell'artigiano maestro d'ascia, che costruiva imbarcazioni tutte diverse tra loro. Chi si rivolgeva al maestro d'ascia poteva comunicare tutte le modifiche di cui avesse bisogno, era molto importante il dialogo tra committente e costruttore. Le richieste variavano a seconda dei mestieri e l'uso del tipo di pesca, per esempio per la pesca con le reti in fili di cotone ritorto si doveva tenere in considerazione il peso, quindi doveva essere costruita con la poppa più larga in modo che avesse una spinta d'acqua maggiore.

Con l'avvento dell'Italsider una buona parte dei maestri del mare attratti dal boom, perché s' tratte d' nu boom, lasciarono il mare e andarono a lavorare in fabbrica. Distrussero l'azienda demaniale del Mar Piccolo, diminuirono il loro lavoro e si dedicarono alla riparazione e alla costruzione della marina militare.

Rimase una piccola parte di artigiani. C'era una situazione caotica e confusa, erano tutti attaccati all'ITALSIDER che distrusse il mare. Il mostro era lì e noi non ci rendevamo conto di cosa si stava consumando a Taranto.

Non bisogna avere vergogna delle proprie radici, la globalizzazione ha distrutto il nostro passato. Noi siamo figli della nostra tradizione, dobbiamo conservare la nostra identità nel cambiamento. Tutti dobbiamo fare uno sforzo per poter avviare un nuovo processo di libertà per quanto riguarda l'ambiente, anche nelle piccole cose. Bisogna contribuire a creare un grande movimento di massa, che parte dalle piccole cose di ogni giorno, una cultura della vita per tutti”.

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mano gentile <3

Il MAR PiCCOlO

Si tratta di una laguna costiera che si estende per poco più di 20 km², a nord della città di Taranto. È suddiviso in due seni di forma ellittica, il primo in comunicazione con il Mar Grande attraverso due varchi, il canale navigabile e il canale di Porta Napoli, e il secondo poco più grande e più interno. I due si differenziano per la profondità, infatti il primo seno ha una profondità maggiore ma meno di grandezza sferica rispetto al secondo seno, che è più grande di estensione ma meno profondo. Nel bacino sfociano brevi corsi d’acqua costeggiati da preziosi ambienti umidi, come il fiume Galeso decantato da Orazio e Marziale, e rifugio di numerose specie di uccelli acquatici.

Da depressioni imbutiformi dei fondali di entrambi i seni, inoltre, sgorgano sorgenti sottomarine di fredda acqua ipogea, chiamate localmente citri, in greco caldaie ribollenti.

Le sorgenti oltre ad assumere un ruolo fondamentale nel regolare la temperatura delle acque dell’intero bacino, influenzano anche la salinità, che è di poco inferiore a quella del mare aperto. L’abbondanza di sali di azoto e fosforo apportati dai corsi d’acqua, la bassa profondità e

il ridotto idrodinamismo, rappresentano alcune delle peculiarità che rendono il Mar Piccolo un ambiente particolarmente produttivo in grado di sostenere considerevoli masse biologiche, dai microscopici organismi planctonici alla base delle reti alimentari marine, fino ai grandi predatori. Proprio la pescosità delle sue acque rese il piccolo mare il cuore della città di Taranto. Il Mar Piccolo rappresentò anche la sede di fruttuose attività legate all’estrazione del pigmento della porpora dai murici, e alla filatura del bisso, la cosiddetta lanapinna, prelevato dalla grande pinna nobile e utilizzato per tessere stoffe pregiate. In ogni area venivano pescati con un gran numero di attrezzi differenti ideati all’occorrenza, calamari, seppie, gamberetti, cefali, orate, spigole, triglie, anguille, e raccolte molte specie diverse di frutti di mare.

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gli attreZZi PER la PESca

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1. Vrangòne ku a màppe: grossa branca per pescare con rete. Può avere un'asta di 7/8 metri.

2. Rastìdde cu le dìnde: rastrello con i denti, strumento con rete per raccogliere dai bassi fondali vongole e molluschi.

3. Fòscene a sètte dìnde: fiocina a sette denti, attrezzo usato dai pescatori per catturare i pesci.

4. Mìenzemarenare: mezzomarianio o gaffa, attrezzo usato per avvicinare il natante alla costa o al molo durante la manovra di ormeggio.

5. 6. 7. Nàsse: nassa, attrezzo da pesca a campana di varie misure di giunchi intrecciati.

8. Ambaùdde: uncino, raffio che serve a ritirare dal mare qualsiasi attrezzo caduto in esso.

9. Fòsce: attrezzo molto simile alla falce dei contadini, si usa per tagliare i pergolari dei mitili.

10. Rìte baldasciùne: reti di misura grande.

[Attrezzi esposti al Museo del Mare presso l'ex Chiesa S.Maria della Scala]

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Il sugo di pomodoro, con la nota piccante del peperoncino, è il condimento delle cozze alla tarantina, che vengono prima cotte in una pentola a fuoco vivace, insieme a un soffritto d’olio, aglio, prezzemolo e vino bianco

crostino di pane da lasciare a “sponzare” nella zuppa fino al momento della scarpetta

sua maestà: lA COZZA TARANTINA

L'allevamento di molluschi nel bacino del Mar Piccolo è un'attività praticata da molti secoli, infatti le basse acque un tempo erano chiamate sciaje, un termine tarantino che significa ‘giardini di mare’. La peculiarità del gusto delle cozze tarantine si deve alla presenza, sul fondo del Mar Piccolo, di oltre 30 polle d’acqua dolce, i citri, di diversa dimensione e intensità, che attenuano la salinità del mare. Il gusto è intenso, delicatamente salino.

il segreto sono i citri

La cozza tarantina è piccola: diffidate dalle extra large; la forma è tozza e bombata

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Di cosa ti occupi?

Cos’è Officina Maremosso e come è nata?

Officina Maremosso è un’associazione fondata da me e altri tre soci Valerio Trianni, Francesco Liuzzi e Andrea Santese.

Si occupa del recupero degli antichi mestieri del mare, nello specifico proviamo a riportare in auge quelli che erano i mestieri legati al restauro, recupero e costruzione delle imbarcazioni in legno.

Tutto è iniziato circa 5 anni fa quando abbiamo vinto un bando regionale per giovani startup.

Abbiamo investito tutto su questa officina che risiede nel quartiere Porta Napoli. La scelta del luogo non è casuale, in quanto è prospiciente al porto ed è inerente alle nostre idee e quello che secondo noi dovrebbe essere una delle economie preponderanti della nostra città; inoltre occupiamo dei capannoni che anticamente avevano un uso legato al supporto delle attività marinaresche. All’inizio la nostra attività era principalmente il recupero e restauro di imbarcazioni storiche di 50-60 anni fa. Man mano che ci siamo professionalizzati, l’attività si è estesa anche alla costruzione ex-novo di imbarcazioni, infatti stiamo costruendo una barca proprio lì dietro. L’Officina Maremosso nasce proprio come alternativa di tipo sociale, ovvero la formazione ai ragazzi del carcere minorile. Facciamo dei veri e propri tirocini di lavoro annuali. Questi ragazzi partecipano alle nostre attività perché rientra nel programma di rieducazione, ma sono anche retribuiti. Diamo un'impronta di che cos'è il mondo del lavoro al di fuori dei circuiti a delinquere e rilasciamo loro degli attestati che un domani possono spendersi in questo mondo che ormai purtroppo sta scomparendo.

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Come mai sta scomparendo?

Tra gli anni ‘50 e ‘60 con l’avvento della vetroresina non si è creduto più necessario salvaguardare le abilità del maestro d’ascia.

Questa professione si tramandava di padre in figlio, era una professione generazionale, ma i figli del boom economico non volevano fare questo mestiere perché era visto come un mestiere di bottega, parliamo comunque degli anni in cui si stava avendo un'emancipazione sociale, ma anche mentale. Il figlio dell'operaio o dell’artigiano ambiva a qualcosa di più, ambiva a lavorare in fabbrica perché era meno stancante, si lavorava su turni ed era un posto più sicuro economicamente. In quegli anni a Taranto arrivò l’Ilva monopolizzando tutte le maestranze, ma anche nel resto d'Italia ci fu il boom industriale e così si iniziarono ad abbandonare i lavori tradizionali.

Il maestro d’ascia adesso è ammantato da una sorta di aura mistica, come se fosse un mestiere quasi magico, fondamentalmente ha la stessa valenza artigianale di un muratore.

A differenza dei muratori numerosissimi, ormai i maestri d'ascia sono davvero pochi perché manca la generazione dei miei e vostri genitori, ci sono o gli ultraottantenni, ovvero gli ultimi maestri d'ascia, oppure qualcuno che si avvicina adesso alla professione.

Grazie alla scoperta della ecosostenibilità, la globalizzazione e i social network c’è un vero e proprio ritorno al passato.

Qual è stato il fattore scatenante che ti ha spinto a lasciare il certo, ossia la tua professione da architetto, per l’incerto, nonché intraprendere questo “mestiere mistico”?

Non mi sono approcciato a questa materia da completo neofita, anche quando ero più piccolo andavo a vela, facevo lo skipper, ho sempre avuto un certo legame con il mare che poi mi ha portato a chiedermi

“cosa posso fare di originale a Taranto, non volendo fare l’architetto tradizionale?” Questa è stata la scintilla!

Volevo contribuire a dare una nuova chance alla mia città. Non volevo stare dietro ad una scrivania e davanti ad un computer ad alienarmi, anche quando facevo l’architetto tradizionale cercavo sempre di andarmene per i cantieri, di avere un approccio un po’ più pratico alla professione.

Forse ho usato un termine forte dicendo “abbandonare”, perché in realtà non ho mai

abbandonato la mia professione da architetto, mi presento alle persone ancora come tale.

Se non fossi architetto, non avrei potuto ragionare con un certo pensiero laterale tale da mettermi sopra la problematica, affrontarla e decidere di aprire qualcosa dal nulla. Il fatto di essere architetto mi ha permesso di avere una visione prospettica delle cose e di riuscire a risolvere, senza troppe difficoltà, i normali problemi da cantiere.

Riesco a vedere un po’ tutto dall’alto rispetto ad un maestro d'ascia tradizionale o ad uno attuale che discende da generazioni di maestri d’ascia.

Non provengo da una famiglia di maestri d’ascia, ho dovuto fare tutto da solo:

sono rientrato a Taranto solo 5 anni fa, dopo 13 anni fuori per studio e lavoro, e ho aperto Officina Maremosso.

Quindi il mio è un rapporto un po’ più completo perché sono consapevole anche della trasposizione della problematica nella società: come questo mestiere si può rapportare al mondo esterno? Quindi cercare di trovare il modo di renderlo attuale perché diversamente morirebbe, infatti quante persone verrebbero a farsi fare la barca in legno? A meno che non dovessimo vivere in un posto dove c'è una tradizione legata a delle specificità sulle imbarcazioni in legno come può essere il Cilento, Venezia o Genova.

Qual è il vantaggio di un’imbarcazione in vetroresina rispetto a una in legno?

Una barca in legno ha un costo di costruzione 3 volte maggiore di una in vetroresina perché c'è un livello di pregio di materiali e di lavorazione artigianale maggiore, ma ai fini del mantenimento i costi sono più o meno gli stessi. Il problema è manutenere una barca in legno, bisogna trovare qualcuno che sappia fare questo tipo di manutenzione ed è molto difficile.

La formazione e il lavoro di artigiani e operai che sappiano trattare il legno, ad oggi, è fondamentale perché c’è sempre di più questo ritorno all’uso di materiali naturali e sostenibili, si dà più importanza all’ecologia e per fortuna aggiungerei.

Quanto è stata decisiva la figura del maestro d’ascia Cataldo Portacci per avviare la tua officina?

Il maestro Cataldo già lo conoscevo, è un personaggio abbastanza mediatico di Taranto perché è una persona attiva, a cui piace tantissimo spendersi, parlare e trasmettere il suo sapere a 360 °, non soltanto sulla professione.

Quando ho deciso di tornare e di lanciarmi in questo mondo ho fatto un’analisi di ciò che offriva il mio territorio. Ovviamente Portacci è stato il primo risultato di ricerca perché appunto è quello più mediatico, gli altri ci sono ancora ma sono persone riservate. È stato presente nella mia formazione anche se non direttamente, fino a qualche anno fa veniva a trovarmi spesso con il figlio, si metteva lì con la sua sediolina ad osservare. Ormai non ce la fa più perché soffre dei tipici malanni del maestro d’ascia, ovvero le ginocchia che non reggono più e la sordità.

All'epoca non usavano le mascherine, gli occhiali protettivi, le ginocchiere, i guanti e le cuffie.

Io quando faccio lavori in cui c’è particolare rumore metto le cuffie da cartiere, non vorrei arrivare anch’io ad avere quei tipi di problemi.

Nonostante l’età, lui si è sempre distaccato dalla chiusura mentale del mondo artigianale, quel poco che si riesce ancora a trovare, vive ancorato mentalmente a 50 anni fa. Le asce me le ha regalate lui, tra l'altro vorrebbe che gli facessi un quadretto da appendere insieme alla sua fotografia quando non ci sarà più.

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Come inizia una giornata in officina? Quanto tempo impiegate per la ricostruzione di un’imbarcazione?

Una giornata non è mai uguale all’altra.

Normalmente inizia come quelle di tutti: entriamo in officina, ci facciamo il caffè in moka, la chiacchiera e poi in realtà non c’è un foglio di lavoro. Quando ci sono i ragazzi ci si dedica alla loro formazione, quando non ci sono diamo priorità alle commissioni come può essere la costruzione di un timone piuttosto che di un remo. Nel momento in cui tutto questo non c’è, ci dedichiamo alla costruzione di Squalo che è questa barca che abbiamo in restauro da 4 anni.

Questa tipologia di imbarcazione si chiama cutter perché è come una vera e propria lama che taglia l’acqua e questo la rende molto veloce. Squalo è stata costruita a Trieste nel 1958 dai Cantieri Apollonio e l’abbiamo recuperata nel dicembre del 2017, era mezza affondata e quindi l’abbiamo dovuta ricostruire quasi da zero.

Ci piace chiamarla barca-scuola perchè da lei è iniziato tutto, su di essa ci siamo formati noi e si stanno formando gli allievi maestri d’ascia.

Per quanto riguarda le tempistiche di ricostruzione, se Squalo fosse stata una commissione pagata da un privato, avrebbero raggiunto l’anno e mezzo.

Cosa pensi di Città Vecchia?

Credo ci sia attualmente una sorta di misteriosità nei confronti della Città Vecchia.Dovremmo iniziare a considerarla come la parte storica di un'intera città e non idolatrare, come mondo a parte, certe cose folkloristiche, altrimenti la situazione non cambierà mai. La Città Vecchia si sentirà sempre un qualcosa di diverso rispetto al resto e non dovrebbe essere così perché Taranto è una città unica, con le sue specificità come tutte le città del mondo e deve ragionare come un organismo unico.

Per la sua natura insulare, la Città Vecchia è una città nella città ed è rimasta per tanto tempo “isolata”.

Nell’epoca greca la zona abitata era l’attuale Taranto, la parte nuova, mentre la Città Vecchia era l’acropoli, in cui possiamo ancora vedere i resti dei templi. Durante il Medioevo si è contratta come tutte le città d’Europa perché c'è stato lo spopolamento, la peste, le malattie e le invasioni; si è contratta in un posto più difendibile e da lì la Città Vecchia si è sviluppata ed è rimasta così fino alla metà dell'Ottocento.

La città nuova si è sviluppata daccapo con l’apertura dell'Arsenale, ma le due città vivevano comunque in simbiosi.Bisognerebbe integrare l’idea di città al fatto che la Città Vecchia è il centro storico di una città intera.

Tu dici che la Città Vecchia non deve essere trattata come una realtà esclusiva, così uno può pensare a qualcosa di riqualificato anche se secondo noi è un po’ abbandonato a se stesso, non credi che la città nuova dovrebbe integrare la Città Vecchia?

Gli abitanti di Città Vecchia sono completamente chiusi nei confronti dell’esterno, ma anche viceversa. Il problema è che all'interno della stessa città ti senti facente parte di due sistemi completamente diversi. L’essere isola ha favorito questa netta separazione, ma non è una giustificazione perché ora abbiamo capito quali sono le motivazioni e bisognerebbe cambiare, considerarsi un unicum. Ora il nostro centro storico sta iniziando il concetto di centrifugazione: stanno nascendo o solo B&B o locali, è inconcepibile trovare o solo degrado o solo questo tipo di attività. Cade a pezzi perché è stata abbandonata nel corso degli anni; quando è arrivata l’Ilva la gente si è spostata da Città Vecchia a Paolo Sesto per andare a lavorare nell'industria. Poi è stata ripopolata da gente che ha occupato abusivamente le case vuote e nel frattempo si è ghettizzata. La città si presta a essere un ghetto in quanto i punti di accesso sono solamente due e le strade sono strette.

Un posto va vissuto in tutte le sue sfumature, l'abitato non può essere solo degrado, la parte residenziale non può essere soltanto con gente degradata e degradante, ci dovrebbe essere anche una fascia intermedia. È lì che si dovrebbe agire, non so come perché non mi occupo di questo, ma si dovrebbe rendere meno esclusivo questo posto, esclusivo nell'accezione negativa.

Tutto questo è più complicato perché Taranto è a pezzi, ma non è impossibile perché non è l'unica città ad essere particolare dal punto di vista morfologico, ci sono ad esempio Venezia e Siracusa. Le iniziative per fortuna stanno nascendo come il progetto “Case a 1€” per il ripopolamento e valorizzazione del posto o come la riqualificazione di Porta Napoli, zona produttiva della città dalla fine dell’800. Chi non era pescatore era artigiano e aveva le sue botteghe qui, il Maestro Portacci aveva il suo cantiere dall'altra parte di questa strada, dove c'era il ristorante Il Gambero. Porta Napoli è una zona cerniera ecco perché sta avendo negli ultimi anni molto successo, ci sono molte risorse anche dal punta di vista architettonico perché i capannoni hanno circa 150 anni e quindi hanno pregio architettonico notevole.

GIUSEPPE PORTACCI figlio di Cataldo e biologo marino

CATALDO PORTACCI Maestro d'ascia senior

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GIOVANNI CAMMARANo

FRANCESCO SISTO

Maestro d'ascia di Pisciotta

Maestro d'ascia junior

“Ferrare curte e mestre d'asce luènghe” ITA // Fabbro corto e maestro d'ascia lungo, il fabbro se sbaglia le misure del ferro che lavora può sempre rimediare, il maestro d'ascia invece deve tenersi prudenzialmente a misure piuttosto abbondanti nella lavorazione del legname.

Ora gioca con noi !! * Completa il cruciverba per indovinare la parola

Tra i vicoli di Taranto si nasconde un

di meraviglie.

1.

2.

3.

4.

1. Noto quartiere sotto le ciminiere 2. Compositore del ‘700 nato a Taranto 3. Sorgenti d’acqua dolce nel Mar Piccolo 4. Santo nato a Taranto

* Indovinelli

a. O sò 'bbelle o sò bbrutte, voche tuccanne 'u cule a ttutte.

O sono belli o sono bruti, vado toccando il sedere a tutti

b. Pìle cu ppìle s'accòcchiene e 'u frutte jndre sckaffàme.

Peli con peli si uniscono e il frutto dentro introduciamo

1. Tamburi 2. Paisiello 3. Citri 4. Egidio

a. La sedia b. L'occhio

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* Collega i puntini della stessa dimensione

In questo numero:

* Memorie di un rigattiere

6 — 11

L'olio miracoloso 10 Il gioco delle noci 10 Pampanelle & gratta-gratta 10

* Tra mestieri e soprannomi, il racconto del Don Bosco di Città Vecchia I riti della Settimana Santa

* L'antico mestiere del mare, due generazioni a confronto

13 — 19 18

20 — 33

Intervista a Cataldo Portacci 22 Il Mar Piccolo 27 Gli attrezzi della pesca

28

Sua maestà: La cozza tarantina 30 Intervista a Francesco Sisto 32

* Ora gioca con noi !!

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