Rete dellla Conoscenza

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Intervista

Rete della Conoscenza

P

rofessor Gallino, in queste settimane abbiamo fondato la Rete della Conoscenza, un progetto che ha l’ambizione di connettere studenti medi, accademici, dottorandi, studenti universitari. Qual è, secondo lei, il meccanismo che lega i soggetti in formazione al sistema della precarietà? La Precarietà è il frutto delle politiche del lavoro globali degli ultimi trent’anni. La Precarietà nasce del conflitto tra i lavoratori a basso salario e scarsi diritti del sud del mondo e i lavoratori a salari e diritti elevati del nord; conflitto creato appositamente dalle corporation per avvicinare verso il basso il salario e i diritti dei secondi a quello dei primi. È un fenomeno complesso, dettato anche dall’importanza che hanno assunto nel governo dell’impresa le valutazioni finanziarie a confronto di quel che si produce. Negli ultimi anni si è parlato molto di società della conoscenza, ma in questa idea c’è molta più vernice che sostanza. Di fatto la società della conoscenza, per quel poco che esiste, è comunque costituita in gran parte da forme di lavoro precario. La Germania, ad esempio, investe 2-3 volte più di quello che investiamo noi in termini di Pil destinato a ricerca , sviluppo e formazione professionale; inoltre è un paese con salari reali assai più alti dei nostri. Nondimeno esiste anche in quel paese una quota elevata di lavoratori poveri e di lavoratori precari nella quale rientra, come altrove, un numero notevole di lavoratori impiegati nei settori della conoscenza. Esiste allora un lavoro immateriale? Esiste effettivamente questa knowledge economy, come ci raccontano da 20 anni? Forme di lavoro immateriale esistono, ma è altrettanto precario che nell’industria o in altri settori dei servizi, e nella maggioranza dei casi i salari sono più bassi. La precarietà è diffusa soprattutto nel settore dell’informatica e della comunicazione, ma non è vero nemmeno che i knowledge workers siano i più ricercati. Nel nostro Paese i posti di lavoro offerti in maggior misura dalle aziende sono commessi, addetti alla ristorazione, addetti alle pulizie, facchinaggio, sorveglianza; lavori ben lontani da quelli previsti dalla società della conoscenza. La nostra è la prima generazione che si confronta con la precarità esistenziale come dato strutturale del sistema. A cosa è dovuto questo fenomeno? La vostra non è la prima generazione a vivere processi di subordinazione al mercato del lavoro. Ma è sicuramente la prima dopo due o tre generazioni a non poter più contare sul fatto che il lavoro stabile fosse diventato una norma. Fino al 1950 e oltre c’erano in Italia centinaia di migliaia di braccianti i quali lavoravano a chiamata, senza nessuna speranza di assunzione stabile. Ogni giorno si presentavano da un caporale o dal padrone a chiedere la possibilità di essere occupati. Le conquiste degli anni ’60 hanno portato ad una mutazione radicale di questi rapporti tra impresa e lavoratore, per cui si sono ampliati i diritti, i salari sono cresciuti e l’assunzione a tempo indeterminato è diventata la regola. Invece negli ultimi 30 anni c’è stato un radicale salto all’indietro, non casuale, cioè una rivincita dell’impresa, del capitale, della finanza. L’attacco ultimo ai contratti a tempo indetermi-

V

Welfare Pomigliano, Melfi, Castellammare ma anche il licenziamento di massa dei precari della scuola. Il sociologo torinese rilancia la necessità di nuove politiche di welfare per rispondere all’attacco generalizzato ai diritti

Sganciare il welfare dall’occupazione produce autonomia e libertà

Iovino dalla prima

nato, condotto da Federmeccanica, rappresenta un po’ l’emblema di questa reazione. Il balzo all’indietro, però, non è soltanto diretto al lavoro, ma anche allo stato sociale. Previdenza, sanità, scuola pubblica sono sempre più povere di risorse, privatizzate, o rese accessibili a seconda del livello di reddito. Questa privatizzazione a oltranza delle pensioni, insieme con l’attacco all’istruzione, al sistema sanitario, rientra nella finanziarizzazione del mondo che è uno degli aspetti più preoccupanti del sistema economico attuale. Pensa che Pomigliano sia il frutto di questa politica? In quale scenario internazionale si inserisce l’attacco generalizzato ai lavoratori sferrato dal mercato neoliberista in crisi? Il piano imposto dalla Fiat a Pomigliano, perché non si tratta né di un accordo né di un contratto, non è altro che questo: si vuole estrarre maggior valore dal tempo di lavoro di ogni singolo operaio sopprimendo qualsiasi interruzione della prestazione oraria per ogni turno. La drastica riduzione delle pause, l’intensificazione del lavoro, fino a calcolare in centesimi di secondo le operazioni da compiere, occupano i tre quarti delle trentasei pagine del piano in questione. Il caso di Pomigliano rappresenta un fatto generalizzato, che è l’attacco ai diritti del lavoro. Ciò viene poi presentato, anche nelle scuole e all’università, come l’essenza della modernizzazione. E’ invece l’essenza di una reazione. In Italia i precari per legge sono oltre 4 milioni: cococo, Lap, interinali, stagisti, ricercatori e docenti a contratto, dottorandi, borsisti, lavoratori socialmente utili, tempi determinati, occasionali, stagionali, lavoratori in affitto (o in somministrazione, come si dice adesso), mezzi disoccupati, cassintegrati. Il tasso di disoccupazione inoltre sta ulteriormente aumentando. I contratti a termine di pochi mesi, talora di settimane o di giorni, così come i contratti a chiamata, sono il modello preferito dalle imprese: per mandare uno a casa non c’è bisogno di andare dal giudice, di rischiare una causa per licenziamento senza giusta causa. L’impresa non ha nulla da fare per tagliare posti di lavoro: basta non rinnovare i contratti in scadenza. Negli ultimi anni ciò è avvenuto su larga scala: tre quarti delle assunzioni avvengono con contratti a termine. Questa tipologia annulla di fatto la stabilità della vita, la possibilità di fare progetti per il futuro, di trovare tempo per spazi di socializzazione di istanze e bisogni. L’attacco al contratto a tempo indeterminato, ai contratti collettivi nazionali, e il parallelo aumento della contrattazione individuale frantuma ulteriormente il mondo dei lavoratori. Nel suo libro “Il lavoro non è una merce” fa un duro attacco alla flessicurezza e ad un modello aziendale che incentiva l’attacco ai salari e ai diritti... Bisogna fare delle distinzioni quando si parla di flessicurezza. La base della flexsecurity è la riduzione della garanzia contro il licenziamento. Si riducono le tutele contro il licenziamento senza giusta causa. Le politiche di

©AlessandroParis/Lapresse

Mariano di Palma

Venerdì 8 ottobre 2010

flessicurezza, da questo punto di vista, hanno aspetti negativi anche in Danimarca, Olanda, nei paesi scandinavi. La flexsecurity rappresenta pur sempre un modo di facilitare i licenziamenti: è questo il principale elemento sul piatto negativo di tale politica del lavoro. Dall’altro lato nei paesi citati, cosa che non succede in Italia, si incentiva nei periodi di disoccupazione la formazione dei lavoratori, e si erogano sussidi al lavoratore molto elevati per lunghi periodi. Questo in Italia non esiste. Va detto che in detti paesi esiste un prelievo fiscale molto più elevato. In Danimarca siamo sopra il 50% e le maggiori entrate vanno in politiche sociali. Infatti, i lavoratori possono contare su indennità di disoccupazione molto elevate in confronto alle nostre. Si può arrivare all’80% del salario e può durare a quel livello per anni. In Italia dura pochi mesi, parte dal’80% ma scende ogni due mesi (a 60, poi 50, poi 40, ecc). Quanto alla formazione del lavoratore disoccupato, da noi in realtà non esiste. Chi parla di flessicurezza, paradossalmente, guarda con favore solo all’aspetto negativo di essa, ignorando il fatto che nei paesi in cui è stata introdotta si investono capitali molto elevati per contrastare la povertà da disoccupazione e la mancanza di una formazione adeguata per trovare un nuovo lavoro. Qual secondo lei può essere il modello di welfare per uscire della crisi sociale ed economica?

Bisogna pensare a forme nuove di welfare. In primo luogo bisognerebbe sganciare il sostegno al reddito dall’occupazione. Non si può più solo contare sulla Cig o su un assegno di disoccupazione. Per questo è necessario pensare a forme di Reddito garantito. In Francia hanno già forme di reddito garantito, chiamato dal 2009 Reddito di solidarietà attiva. Un paese che tra l’altro da tempo non è governato dalla sinistra fa già una cosa del genere; permette cioè a giovani fino a 26 anni di percepire un reddito che consente sia di continuare il proprio percorso formativo, sia di inserirsi nel mondo del lavoro che prevede all’inizio forme contrattuali, come quella del contratto part-time, a basso reddito, senza dover con ciò cadere sotto la soglia di povertà. Da anni rivendichiamo un reddito per i soggetti in formazione. Ritiene che la nostra battaglia valga la pena di essere portata avanti? La battaglia che state portando avanti mi pare vada nella giusta direzione, quella di sganciare le politiche di welfare dall’occupazione al fine di garantire una maggior possibilità di autonomia e di scegliersi un lavoro senza essere costretti dall’indigenza ad accettare un lavoro qualsiasi. La vostra battaglia è una battaglia che dovrebbe condurre anche qualche partito di sinistra. Il vostro movimento mi sembra interessante. Mi auguro possiate crescere sempre di più.

Sono i costi di un paese che solo negli ultimi anni taglia otto miliardi di Euro alle scuole, circa il 30% dell’intero bilancio, condannando presidi e docenti alla finanza creativa, cioè all’aumento delle tasse. Sono i costi di un paese che si può permettere di avere un’economia sommersa di circa centotrenta miliardi di euro e di non riuscire però a coprire un investimento, irrisorio per un bilancio di uno stato, di cento milioni necessari per coprire le borse di studio di chi ha partecipato al bando, è risultato idoneo ma non assegnatario. In questi giorni c’è fermento, scuole e università stanno diventando di nuovo luoghi di discussione, confronto e proposta. Le assemblee si stanno susseguendo a ritmo frenetico, l’agenda delle lotte è già fitta: il 16 saremo in piazza con la Fiom perchè gli attacchi ai diritti dei lavoratori di Pomigliano, Melfi e Castellammare sono attacchi che ci riguardano da vicino. Riguardano il nostro presente e il nostro futuro, è la stessa strategia di attacco ai beni comuni a tutti i livelli: saperi, sanità, acqua, ecc.. Noi risponderemo attaccando, siamo stufi di fare battaglie di retroguardia. Per questo nelle scuole e nelle università è partita una discussione serrata sulla necessità di costruire dal basso l’AltraRiforma, per questo abbiamo lanciato un manifesto contro la crisi con dieci proposte per un nuovo modello di società basata sui saperi liberi come nuovo paradigma di uguaglianza e giustizia sociale. Siamo convinti che la nostra Rete serva a questo, costruire un nuovo spazio di partecipazione, unitario e plurale, che si ponga il problema di una rappresentanza sociale ampia e partecipata che sia capace di lanciare una vera e propria “Vertenza sul Futuro” rivolta non solo all’attuale governo ma alla politica nel suo complesso, da anni impegnata nell’autosussistenza di sé stessa, a difendere rendite di posizione in una democrazia malata e infetta. La nostra vertenza comincia oggi quando lo studente diciassettenne e il dottorando ventiseienne si ritroveranno negli ottanta cortei di oggi, con l’intento di bloccare questo paese lanciando un grido d’allarme: Cambiare Ora! P.S: e da oggi insieme anche a Terra. Quotidiano ecologista che ha deciso di investire non nel racconto della rete della conoscenza, ma nella possibilità che la rete si racconti da sola, offrendoci la possibilità di realizzare il “nostro” giornale, e di arrivare in tutte le edicole

Chi è Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. È considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale; le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia; gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione da wikipedia.org


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