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L’INFINITO DENTRO

di Carlo Ezechieli

INTERVISTA A ZHANG KE DELLO STUDIO ZAO/STANDARDARCHITECTURE IN OCCASIONE DELLA SUA PRESENZA ALLA BIENNALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA. UN DIALOGO SUL TEMA DI ARCHITETTURA, PAESAGGIO E CONTEMPORANEITA’

Quali sono le cose che ti interessano di più? Penso non sia possibile fare architettura senza guardare al mondo che ci circonda. Circa vent’anni fa da quando l’internet ha incominciato a prendere piede, tutto é diventato immagine, e ormai produrre immagini è diventato facilissimo, per non dire cheap. Con l’Intelligenza Artificiale, l’andirivieni di una serie di immagini alla moda, già impressionante, sta diventando ancora più istantaneo. Questa condizione fa diventare l’architettura tanto più interessante quanto più é coinvolta con il luogo. Questo perché, naturalmente, ogni architettura si confronta con il luogo, è costruita secondo tecniche che sono riferite al luogo ed è capace di innescare una for- ma di connessione emotiva con le persone. Al contrario di questa frenesia di immagini, spazi e luoghi non andranno mai fuori moda e questa è l’essenza dell’architettura. Anche se è ormai un dato di fatto che l’Intelligenza Artificiale può creare architetture, anche di buon livello, il discorso non si esaurisce qui. Paradossalmente l’identità, la personalità e la dimensione umana delle cose diventano ancora più importanti.

Ho trovato l’esposizione del tuo lavoro alla Biennale una coerente e affascinante combinazione tra paesaggio e tradizione costruttiva, rivelata soprattutto nell’uso dei materiali. Qual è il fulcro della tua ricerca?

Credo sia interessante il tuo riferimento al paesaggio. Nell’architettura tradizionale cinese, e in particolare nei giardini, esiste un vero e proprio intreccio tra architettura edificata e paesaggio, al punto che è molto difficile distinguere l’una dall’altra. Credo sia importante riunificare questi termini trasformandoli in una sola cosa. Ho aperto il mio studio nel 2001 dopo aver vinto un concorso per il Ming City Wall Park a Pechino. Fondamentalmente si trattava della conservazione di un segmento di circa 1,5 chilometri delle antiche mura della città che risaliva alla dinastia Ming, scoperto accidentalmente dopo il periodo delle grandi demolizioni degli anni Cinquanta e Sessanta. Era un progetto di architettura del paesaggio, di progettazione urbana e di architettura, dove ci siamo trovati a confrontarci con temi come le preesistenze storiche, con la tradizione e con la città. Prima di allora non avevo le idee particolarmente chiare circa la mia ricerca, ma quella è stata un’occasione fondamentale per confrontarmi con il passato secondo un approccio contemporaneo, e questo mi accompagna ancora oggi.

Credo ci sia un’ondata emergente di architetti cinesi che guarda molto più ai luoghi e alla cultura storica del costruire che non alla spettacolarizzazione puramente formale che negli ultimi anni ha imperversato in Cina come in tutto il mondo.

Non sono contrario a questa architettura spettacolare, ma alla fine è qualcosa di importato. Non l’abbiamo inventata noi, e limitarsi a delle imitazioni è veramente noioso. Per un certo periodo in Cina tutto è stato veloce e folle, invitando i grandi nomi dell’architettura internazionale per costruire cose ancora più grandi. Questo ha dato origine a tutta una serie di imitatori di profilo mediocre, in poche parole dei ‘copioni’, che in cinese chiamiamo “chāo xí zhě ”. Finalmente ci si sta rendendo conto che per produrre qualcosa di veramente originale è necessario rallentare, calarsi veramente nel luogo, comprendere in profondità le comunità locali, il clima, la capacità delle maestranze e le tecnologie disponibili.

Niyang River Visitor Centre

La forma esterna dell’edificio è una risposta alle condizioni del sito. Lo spazio pubblico interno è scavato nel volume di forma irregolare. Il cortile centrale collega quattro aperture, che rispondono all’orientamento e alla circolazione. La realizzazione dell’edificio ha adottato e sviluppato le tec niche di costruzione locale. Sulle fondamenta in calcestruzzo si erge un muro di pietra portante di 60 cm di spessore. La maggior parte delle aperture presenta profonde rientranze. I muri di 40 cm di profondità, su entrambi i lati delle aperture, fungono da contrafforti, aumentando la stabilità struttura le complessiva. Le travi per le campate più grandi sono realizzate con diversi tronchi di piccole dimensioni incollati tra loro. Uno strato di argilla Aga di 15 cm, un materiale impermeabilizzante utilizzato nell’architettura vernacolare, costituisce la membrana impermeabile del tetto (Foto ©Chen Su ZAO/standardarchitecture).

Cosa credi stia influenzando questa conversione verso una nuova identità dell’architettura cinese?

Tutto sommato non è un male che l’economia stia rallentando. Gli architetti hanno più tempo per riflettere su ciò che stanno facendo come pure è cambiata l’attitudine dei clienti nei confronti degli interventi. Ci sono più operatori privati, un po’ meno interventi di matrice governativa e architetti giovani, tutti formatisi all’estero, con una formazione e una prospettiva internazionale. Spesso intervengono su villaggi o centri storici con un approccio rivolto a rivalutare il sito più che a stravolgerlo. E tutto questo produrrà molta buona architettura.

Mi ha affascinato il tuo progetto Micro Hutong, con uno spazio minimo, completamente rivolto all’interno e con stanze sovrapposte che si guardano l’una con l’altra. Qual è l’idea di questo progetto?

E’ un progetto del 2013 che deve molto ad un altro progetto l’Hangzhou Xiaofeng Art Museum, che non siamo ancora riusciti a costruire. Credo che entrambi possano essere ricondotti ad un concetto molto presente in Cina, soprattutto in molti antichi dipinti cinesi che risalgono alla dinastia Song, che è quello di cercare l’infinito guardando all’interno, che è un concetto che si presenta di rado nella cultura occidentale. Sono solo 40 metri quadrati, sui quali abbiamo provato un’infinità di schemi, cercando di realizzare molte stanze in uno spazio limitato. Anche le finestre delle cinque stanze guardano verso l’interno, mentre la stanza sul fronte, verso la strada, è semi-privata e può essere aperta al pubblico.

Quali pensi siano le qualità di un grande lavoro di architettura?

Credo che la qualità fondamentale sia un certo tocco emotivo. Ci possono essere edifici molto belli, o sofisticati, ma tutto può restare tremendamente in superficie. Mentre al contrario, ci può essere un’opera molto umile ma che può far risuonare qualcosa, il tutto senza alcuna mediazione intellettuale, che ovviamente conta, ma interviene in un secondo tempo.

Quali pensi siano oggi le sfide principali per l’architettura?

E’ un dato di fatto che l’architettura, nonostante tutto, stia attraversando un momento di crisi. Negli ultimi anni sempre meno giovani sono attratti dall’architettura, anche nelle università più prestigiose, perché percepiscono un minore interesse da parte della società rispetto ad altri campi disciplinari più redditizi. Dovremmo invece avere opere tanto entusiasmanti quanto la Cupola di Mi- chelangelo a San Pietro, che è uno spazio unitario di quasi cento metri di altezza: una cosa impressionante per quei tempi e che, ancora oggi, risulta istantaneamente incredibile per chiunque. Dobbiamo far diventare l’architettura più accessibile più appartenente al vissuto comune.

Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane architetto?

Gli direi che il solo pensiero di voler andare lontano porta lontano. Perfino tra compagni di corso, quelli che hanno ottenuto i migliori risultati non sono stati i più intelligenti o i più bravi, ma quelli che hanno preso l’architettura come uno stile di vita, come una specie di religione, nel senso buono. E l’altro consiglio è di non aspettare ad avviare il proprio studio. C’è una tale infinità di problemi legati ad ogni progetto che è inutile aspettare di essere pronti per risolverli: inutile aspettare: quel giorno, non arriverà mai ■

Da sinistra in senso orario, il plastico dell’intervento; l’inserimento nel paesaggio; l’idea di progetto; un dettaglio dei parapetti; la vista verso il fiume.

Committente Tibet Tourism Holdings

Progetto ZAO/standardarchitecture + Embaixada

Area di progetto 35.000 mq

Area edificata 3.300 mq

Periodo 2007-2013

Foto Wang Ziling

Niang’ou Boat Terminal Tibet (2007-2014)

Il Niangou Boat Terminal si trova alla confluenza del fiume Niyang con il fiume Yarlung, un luogo ancora intatto e di straordinaria bellezza. Il molo di attracco richiedeva un intervento di modernizzazione e di espansione che avrebbe portato a un significativo impatto sul paesaggio.

Il nuovo edificio si basa invece su un’idea di dialogo con il contesto, capace di operare alla scala del paesaggio.

Le nuove esigenze di spazi e di attrezzature sono state pertanto convertite in una passeggiata a zig-zag diretta verso il molo.

La passeggiata segue il pendio naturale per trenta metri fino a raggiungere il livello più basso del fiume.

Una forma di continuità è in grado di strutturare tutte le funzioni secondo un’unità, organizzata gerarchicamente, in grado di definire tutte le relazioni interspaziali.

In questo modo ogni spazio può trovare il proprio rapporto con il paesaggio e mediare la connessione con la scala umana.

Il design di questo progetto è stato sviluppato in collaborazione con gli architetti Embaixada di Lisbona.