AL 8/9, 2008

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il Consiglio dell’Ordine di Monza e Brianza ha elaborato un documento fatto proprio dalla Consulta Regionale nel quale si sottolinea come la qualità architettonica sia la risultante di più componenti presenti nel progetto architettonico e non solo di quelle relative al “suo armonico inserimento nel paesaggio e nell’ambiente circostante” e come essa sia il risultato dell’azione di più attori. Troppo spesso, infatti, le questioni ambientali e paesaggistiche, sostenute dall’attuale cultura ecologista, sono state l’unica finalità espressa nel perseguire l’obiettivo della “qualità”; oltre all’importanza degli elementi del comfort abitativo e dell’utilizzo intelligente delle fonti di energia va sostenuto il fatto che la qualità dell’architettura e dell’abitare debba comprendere anche gli aspetti tipologici, di integrazione, di convivenza, di innovazione, e, soprattutto, quelli estetici. L’architetto non è mai il solo responsabile del prodotto finale, sovente risultato di pazienti compromessi (in primo luogo proprio con la committenza), ma non dimentichiamo che non tutti gli architetti possiedono una uguale sensibilità e non tutti i committenti possono essere annoverati tra quelli “illuminati”. Inoltre la qualità dipende in minima parte dai percorsi formativi e non può essere la risultante di “specifici programmi e percorsi di formazione” i cui contenuti finirebbero per essere un’elencazione di “buoni propositi” visto che la qualità non può dipendere da tabelle prestazionali. Solo quando l’idea o la necessità di “più qualità” diventerà una richiesta del mercato potrà essere innescato un processo, lungo alcuni anni, ma di sicuro risultato. E per ottenere questo occorre coinvolgere il più vasto pubblico affinché la qualità, intesa nel senso più ampio del termine, possa diventare patrimonio comune (una “cultura o una mentalità diffusa” potremmo definirla) e possa essere riconosciuto l’interesse pubblico e, in quanto tale, il diritto alla qualità. Si tratta senza dubbio di comunicare una realtà astratta e personale (parte idea astratta, parte materia, parte cultura) attraverso una serie di iniziative in grado di superare anche un’immagine poco qualificata dell’architetto e dell’architettura nella contemporaneità, coinvolgendo l’opinione pubblica. A fronte di tali premesse occorre dunque domandarsi quale possa essere il ruolo attivo e il contributo operativo degli Ordini provinciali per la promozione e la diffusione di una nuova cultura della qualità. Per superare gli ostacoli molto forti a questo processo, oltre alla promozione di iniziative “culturali”, una sollecitazione deve avvenire in primo luogo nei riguardi dei nostri colleghi (spesso nel doppio ruolo di tecnici comunali), nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei committenti privati. Se l’obiettivo comune è quello di creare una cultura diffusa relativa a questa pratica occorre in primo luogo convincere i molti assessori architetti e i moltissimi tecnici comunali architetti delle nostre amministrazioni che la più importante politica, pubblica e privata, per la qualità dell’architettura sia oggi in primo luogo quella dei concorsi, unico strumento in grado di garantire una reale concorrenza, fondata sulla qualità del prodotto, a vantaggio della committenza, ma anche dell’intera collettività che ha il diritto, riconosciuto, di esigere un ambiente urbano vivibile. Il

“concorso”, come metodo di scelta dei progetti da parte dell’ente banditore pubblico o privato, appare in tutta evidenza il metodo migliore per individuare la qualità di un intervento: confronti e giudizi critici consentono di valutare alternative e scegliere la migliore soluzione progettuale. Ancora di recente, nel confuso Manuale di buona pratica relativo alle opere pubbliche è stato ricordato come “nella recente storia europea il Concorso si è andato via via radicando sino ad arrivare ad essere non solo una procedura di legge, ma soprattutto una scelta culturale di civiltà” e uno degli strumenti in grado di favorire e garantire una migliore qualità architettonica. “Tuttavia questo strumento non è utilizzato sovente perché non appartiene ancora in modo compiuto alla nostra cultura amministrativa e perché non si è soliti applicare la relativa procedura, ritenuta, erroneamente, più complicata e costosa di quella tradizionalmente in uso di una selezione di professionisti, attraverso un bando di gara per l’affidamento di servizi di progettazione”. Infine, esistono, oppure vanno inventate, anche altre occasioni per solleticare una riflessione sulla qualità, anche dal riconoscimento pubblico, sappiamo difficile, di esempi chiamati ad essere testimoni di questo valore. Perché allora non adoperarsi anche, “gestendo le molteplici forme disponibili della comunicazione”, con azioni concrete per una sua “diffusione”: da targhe assegnate ad edifici riconosciuti tali (già in atto per altre qualità), ad incentivi tecnici, ad albi di qualità, a classi di merito per gli edifici, “pubblicizzando” questo aspetto. F. Repishti

Pavia a cura di Vittorio Prina

LʼOrdine e la Fondazione Frate Sole La Fondazione Frate Sole è stata costituita con lo scopo di svolgere un’azione di sensibilizzazione e di promozione nel campo della “chiesa costruita” affinché, come si legge nello Statuto, vengano attuate le qualità artistiche e mistiche tese a fare dello spazio sacro un luogo di esaltazione spirituale. Con questo intento la Fondazione Frate Sole ha iniziato nel 1996 a svolgere il suo ruolo attivo con la promozione del premio internazionale quadriennale da assegnare al progettista o all’artista che abbia realizzato la miglior opera sacra nell’ultimo decennio nell’ambito delle confessioni cristiane, con un intendimento di apertura ad un dialogo eminentemente ecumenico, non volendo privilegiare le sole opere realizzate in ambito cattolico, ma riconoscendo il contributo apportato dalle altre confessioni cristiane. Sin dalle prime edizioni l’Ordine degli Architetti PPC di Pavia


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