recognitiones da laura silvestri

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Gli ho dato la chiave della cinque e dalla porta li ho guardati andare lungo il muro e poi svoltare, lui davanti, magro e quasi sghembo sulle gambe, quel modo inconfondibile di buttare il passo da artista o pseudointellettuale giovane e già molto arrogante, e dietro la ragazza, ma sembrava veramente una bambina, col nastro tra i capelli e un grande mantello che le arrivava fino ai piedi. E nel parcheggio han piazzato la Buick sgangherata color verdemare - guarda un po’ - e una vecchia roulotte. Ma stanotte si dorme nel motel... Lei camminava davvero come una bambina un po’ impacciata, come avesse ciabattine leggere, orientali, o forse era solo il pastrano che le ingombrava le caviglie. Li vedo svoltare e sparire dietro l’angolo e me ne torno dentro e non capisco bene, ma quel gusto di ultima fermata e capolinea stasera riempie la gola e fa male più del solito. Me ne vado diritto a dormire. Ma la mattina arriva prima del previsto come una burrasca livida, qualcosa che ti buca lo stomaco e la testa e si fa strada sbattendo e scantonando nella luce che fatica a sollevarsi, a ripulirsi. Era un grido sottile e continuo, che a tratti si spezzava col respiro, ma poi risaliva, secco, sdegnato ma forse solo per un dolore ormai stanco. Esco fuori e non c’è proprio ragione eppure le gambe mi portano alla cinque. Non c’è nessuno ma tutto è a posto, perfino più pulito e ordinato, mi sembra, di come gli avevo lasciato la stanza. Non si spegne però quell’onda acuta di voce e questa volta so, come sentissi l’aria smuoversi incrinata. Nel parcheggio, bloccata sull’asfalto e goffa, è rimasta la roulotte, come una navicella appesantita e derubata delle acque. La porta è spalancata, tutta piena del respiro incrinato. Ma la prima cosa che vedo non è voce o carne... solo una strana luce, come di membrane eccitate, una gialla vibrazione che arriva dal fondo, da quell’orrenda cella frigorifera che nasconde la parete, dal funebre acquario che subito, chissà perché, mi ricorda il passo sghembo dell’artista, l’insolenza di questi giovani che credono di aver capito e uno come me lo guardano appena. E poi ti lasciano davanti al motel un tale funereo ingombro, che chiamano arte... c’era un giardino tropicale, dietro il vetro trasparente, un

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