L'Ultimo gladiatore di Pompei - ESTRATTO

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Rosa Tiziana Bruno

E R O T A I D A L G O L' ULTIM

DI

POMPEI

L’eruzione del Vesuvio nel 79 D.C.


Per volare con la fantasia

Collana di narrativa storica per ragazzi


Editor: Paola Valente Coordinamento redazione: Emanuele Ramini Approfondimenti e schede didattiche: Paola Valente Impaginazione: AtosCrea, Raffaella De Luca Progetto grafico copertina: Mauro Aquilanti Illustrazioni: Mauro Marchesi Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2019 Ristampa 6 5 4 3 2 1 0

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Rosa Tiziana Bruno

E R O T A I D A L G L' ULTIMO

I E P M O DI P


Resti della città di Pompei antica.


LA VITA AL TEMPO DELL' ANTICA POMPEI Ecco il momento dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. VUOI FARE UN TUFFO NELLA STORIA? LEGGI IL RACCONTO E INIZIA L'AVVENTURA!


Una torta... da sogno

Pompei, anno 79 d.C.

S

– ostenute da lunghe catene d’ottone, le lanterne scendevano a grappoli dal soffitto. Sospese a mezz’aria, illuminavano la sala con le loro fiammelle silenziose. Sembravano vigilare sul banchetto insieme ai Lari, gli spiriti protettori della casa. I servi andavano e venivano incessantemente con vassoi colmi di delizie; la voce melodiosa dei cantori avvolgeva tutti nel suo morbido abbraccio. Sul pavimento, le figure dei mosaici sembravano dialogare in segreto con le ombre degli ospiti. DENTRO LA STORIA... Quella sera, ormai terminata la vendemmia, si Meditrina era anche la dea della guarigione, figlia del dio Apollo. Forfesteggiava Meditrina, la se la parola “medicina” deriva prodea del vino e della saprio dal suo nome. In suo onore si lute. celebravano dei festeggiamenti in autunno, detti Meditrinali.

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L’autunno era agli inizi, perciò l’impianto sotterraneo di riscaldamento non era ancora attivo. Il compito di sprigionare tepore spettava ai bracieri di bronzo, disposti lungo i muri. L’atmosfera era allegra, ma Tito non si lasciava contagiare. In disparte, sul suo sgabello, osservava le movenze eleganti delle sonatrici di nacchere. In realtà si annoiava, detestava quel tipo di serate: cene interminabili, in cui gli adulti non facevano che rimanere sdraiati sul divano per ore, mangiando e bevendo senza sosta, spesso addormentandosi tra una portata e l’altra. Qualcuno addirittura russava, nell’indifferenza generale. Le sole iniziative divertenti all’interno della festa erano gli spettacoli con acrobati e ballerini, ma duravano sempre troppo poco. “Chissà perché i grandi non sono capaci di divertirsi seriamente!” pensò il ragazzo. Tito non apprezzava nemmeno il cibo. Dall’uovo alla frutta, ovvero dall’inizio alla fine del banchetto, non c’era niente di suo gusto. L’arrosto di carne troppo unto d’olio, le focacce troppo dure, le polpette troppo pepate, le uova troppo insipide. Per non parlare dei contorni di verdure che emanavano un puzzo irritante a causa del garum, la salsa di pesce usata per condire. Il ragazzo era al culmine della noia, quando alcuni schiavi giunsero in sala con le loro tuniche colorate.

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Erano i Misurini, gli addetti al servizio delle bevande: biondi, eleganti, giovani e selezionati con cura. Qualcuno, prima della cena, acconciava i loro capelli con boccoli e ricci. Stavolta avevano giare colme di passum, il vino usato per accompagnare i dolci. Tito intuì che era finalmente arrivato il momento più gradevole della serata: quello della torta. Qualche istante dopo, una schiava entrò portando una meravigliosa cassata di mandorle e albicocche. Attraversò la sala con il dolce nel vassoio, a passo solenne, come fosse un prezioso trofeo. Era una delle creazioni più buone dell’Archimagirus, lo schiavo addetto alla cucina. Valeva la pena pazientare così a lungo. La torta adesso era sul tavolo, al centro della sala, colorata e invitante. Piccoli boccioli di rosa la incorniciavano, spargendo un profumo intenso. Provenivano da Paestum, la terra che produceva le rose più prelibate dell’impero. Il cuoco aveva scelto il meglio, senza dubbio. Così decorata, la cassata sembrava davvero la regina della festa. Da gran goloso, Tito ne distingueva gli ingredienti a naso: uva sultanina, prugne secche, farina di mandorle, miele, ricotta, pinoli, albicocche, noci, datteri. Che immensa bontà!

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Non c’era tempo da perdere, bisognava tuffarsi sul dolce! Il ragazzo si avvicinò e allungò la mano, ma non riuscì a prenderla perché in quel preciso istante la torta svanì. Scomparvero anche i commensali, i musici, i ballerini e la sala intera. Ogni cosa fu inghiottita da un buio improvviso. Poi un rumore fastidioso gli attraversò le orecchie e uno squarcio di luce fasciò la sua fronte. Qualcuno aveva spalancato una finestra. – Sveglia, è già l’alba! – l’esclamazione decisa dello schiavo lo fece sobbalzare. – L’alba? – chiese Tito, recuperando un filo di voce. – Certo, alzati o farai tardi a scuola. – Ma dov’è finita la torta? – Niente cibo in camera da letto. – Era qua davanti a me, profumatissima! – Nel buio? – Sì. Cioè no, prima non era affatto buio e c’erano anche i danzatori. Tito si sentì scuotere con decisione, aprì gli occhi e vide la faccia dello schiavo che lo fissava con stupore. – Nessuna torta. Per colazione c’è pane, formaggio e miele. Il ragazzo sollevò piano il capo dal cuscino e si guardò intorno. Le pareti erano quelle della sua cubicola, la stanzetta dove dormiva da sempre, e sul letto c’era il solito

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copriletto damascato. Della cassata di albicocche neanche l’ombra. Tirò un sospiro: era stato solo un sogno, uno di quelli terribilmente reali, da cui si fa fatica a uscire. Sarebbe stato bello proseguire fino al momento dell’assaggio, invece lo schiavo era arrivato puntuale a spalancare la finestra, come ogni mattina all’alba. Non gli restava che scendere dal letto e dimenticare la deliziosa torta mai gustata. Il servo gli passò un catino di bronzo con l’acqua. Con fare assonnato, Tito sciacquò il viso e si asciugò con un telo di lino. Senza nemmeno sedersi, fece colazione all’ombra del colonnato. Adorava mangiare nell’atrio, con lo sguardo rivolto verso la grande apertura nel tetto da cui filtravano le prime luci. Il pane era piuttosto duro e perciò lo immerse nell’olio, prima di accompagnarlo al formaggio e al miele. Solitamente aggiungeva anche olive e fichi, ma quella mattina non ne aveva voglia. Lavò i denti con il bicarbonato di sodio e prese una pastiglia aromatizzata per profumare l’alito. Uno schiavo lo aiutò a indossare la toga e a calzare gli stivaletti di pelle. Era pronto per uscire.

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Una bulla per amica

Tito raggiunse i genitori nei pressi dell’impluvium, la

vasca di acqua piovana, per salutarli. Suo padre, Aulo Umbricio Scauro, uno degli uomini più ricchi di tutta Pompei, era un noto produttore di salsa garum. Il garum, infatti, era molto richiesto e chi lo produceva non poteva che arricchirsi. Indaffarato nei suoi commerci, Aulo non trovava il tempo di occuparsi personalmente dell’istruzione del figlio. Stessa cosa accadeva a sua moglie Drusilla, sempre in giro a discutere di filosofia o di arte, insieme alle altre matrone sue amiche. Entrambi, però, erano orgogliosi di aver scelto per Tito il migliore maestro della città. L’intelligenza umana era una preziosa attitudine e andava coltivata con l’apprendimento. Il ragazzo baciò papà e mamma, come ogni mattina prima di andare a scuola.

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– Hai preso le tavolette di cera? – chiese premurosa mamma Drusilla. – Certo. Nella mia sacca ho anche lo stilo. – Bravo, ragazzo! – si complimentò suo padre, con fare autorevole. Erano molto fieri di lui, dei suoi ottimi risultati scolastici e della gentilezza d’animo che lo distingueva da molti coetanei, facilmente inclini all’arroganza e allo sberleffo gratuito. – Sicuro di non aver dimenticato nulla? – chiese ancora sua madre. – Ho preso tutto, certo. – Proprio tutto? Il ragazzo riaprì la sacca, pronto a controllare per l’ultima volta. – Ma no! – scoppiò a ridere Drusilla. – Non devo controllare? – Certo, ma non è nella sacca che devi frugare. – E dove? – Prova a controllare il collo! – esclamò sua madre divertita. Tito portò la mano destra al mento e poi giù fino alla gola e alla scollatura della tunica. – Ma non ho niente intorno al collo! – Ecco, appunto.

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L’ ul tim R IS o osa BN g T l i 97 ad zian 8- iat a 88 o B -4 re run 72 d o -2 i P 96 o 9- m 3 pe i Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

79 D.C.: L'ERUZIONE DEL VESUVIO Seguendo con il fiato sospeso le avventure di due ragazzini, Tito e Lucilla, entriamo nella vita quotidiana dell’antica Pompei: dentro le case, a scuola, per strada, nelle botteghe. Scopriamo cosa accadde per davvero in quei terribili giorni in cui il Vesuvio allungò la sua lingua di fuoco sulla città. Conosciamo i sentimenti, le gioie, i sogni, la paura e l’orrore che gli abitanti hanno vissuto circa duemila anni fa. Un racconto in cui la Storia, quella vera, si mescola alle emozioni forti, fino a sembrare di essere anche noi lì, insieme ai pompeiani, per fuggire via da un improvviso inferno incandescente.

Rosa Tiziana Bruno è insegnante e sociologa. È autrice di romanzi e racconti pubblicati in Italia e all’estero. Cura la direzione artistica del festival “Scampia Storytelling” per conto dell’Italian Children’s Writers Association e conduce studi sull’uso della fiaba nella didattica. Da diversi anni è anche formatrice di insegnanti.

Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it

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