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Urban Health

Lancet:l’inquinamento può provocare il diabete

Di Mario Pappagallo

L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio del diabete. Questo anche nei Paesi con livelli di contaminazione dell’aria considerati “sicuri” dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO). Uno nuovo studio condotto dalla Washington University School of Medicine a St. Louis, in collaborazione con il Veterans Affairs (VA), rivela l’impatto sulla salute della “air pollution”. È emersa una stretta relazione tra diabete di tipo 2 e livelli di PM 2,5. Gli autori ritengono che l’inquinamento atmosferico sia responsabile ogni anno di oltre 3 milioni di nuovi casi di diabete. La ricerca è stata pubblicata da Lancet Planetary Health ed è stata condotta da un gruppo di scienziati guidato daZiyad Al-Aly, della Washington University. Sono stati analizzati dati relativi a 1,7 milioni di veterani americani non affetti da diabete, confrontando i livelli di PM 2,5 delle zone in cui vivevano con il rischio di avere una diagnosi di diabete negli otto anni e mezzo successivi. I ricercatori hanno considerato l’effetto indipendente dell’inquinamento prendendo in considerazione altri fattori di rischio legati al diabete come l’obesità. L’esposizione media giornaliera a PM 2,5 andava da 5 a 22,1 microgrammi per metro cubo (mcg/m3) di aria. Un aumento di 10 punti nella concentrazione di PM 2,5 è stato associato a un aumento del 15% del rischio di sviluppare diabete e a un aumento dell’8% del rischio di mortalità. Il rischio, inoltre, ha cominciato ad aumentare quando i livelli di inquinamento superavano i 2,4 mcg/m3, ben al di sotto dello standard attuale fissato dall’EPA, di 12 mcg/m3, e dall’OMS, di 10 mcg/m3. Al-Aly e colleghi hanno poi esaminato i livelli di PM 2,5 in tutto il mondo per stimare il carico di diabete dovuto a inquinamento atmosferico. Una valutazione che ha portato a stimare un aumento di 3,2 milioni di nuovi casi di diabete, 8,2 milioni di anni di vita persi per invalidità e oltre 200 mila morti ogni anno, attribuibili all’aria inquinata respirata. E a rimetterci di più sono i Paesi a basso e medio-basso reddito. Secondo i ricercatori la riduzione dell’inquinamento potrebbe diminuire i casi di diabete sia nei Paesi con un alto tasso di contaminazione atmosferica, come l’India e la Cina, che in quelli dove i livelli sono inferiori, come gli Stati Uniti. Sembrerebbe che nel diabete, l’inquinamento riduca la produzione di insulina e causi infiammazione. Questo impedisce al corpo di convertire il glucosio del sangue in energia, necessaria per mantenere il corpo in salute. I risultati indicano che nel 2016 l’inquinamento atmosferico ha contribuito all’incremento di 3.2 milioni di nuovi casi di diabete nel mondo. Questo rappresenta il 14% di tutti i nuovi casi di diabete in quell’anno. Lo studio ha anche rilevato che il rischio del diabete legato all’inquinamento è più presente nei Paesi in via di sviluppo come l’Afghanistan, la Papua Nuova Guinea e la Guyana. Le economie avanzate come la Francia, la Finlandia e l’Islanda invece hanno un rischio inferiore. Il diabete mellito di tipo secondo è una delle malattie più frequenti al mondo e la sua prevalenza è in continuo aumento: è stato stimato che nel 2011 c’erano in tutto il mondo 366 milioni di diabetici almeno e che il loro numero aumenterà a 566 milioni entro il 2030. L’aumentata incidenza del diabete di tipo 2, almeno in parte, può essere il risultato dell’aumento dell’obesità, ma altri potenziali fattori di rischio sono stati proposti per spiegare questo enorme aumento, fra cui l’inquinamento dell’aria atmosferica. Nelle ultime decadi, numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’inquinamento atmosferico rappresenta ovvia causa di aumento del rischio di malattie cardiovascolari, cancro polmonare e di mortalità da ogni causa naturale. Il diabete mellito e l’inquinamento atmosferico sembrano pertanto collegati così come evidenziato dalla ricerca di Ziyad Al-Aly. Per quanto riguarda l’associazione fra inquinamento e rischio di diabete mellito di tipo 2, i risultati non sono stati sempre concordanti fra gli studi, anche se numerosi ricercatori hanno confermato l’associazione fra esposizione all’inquinamento atmosferico a lungo termine e il rischio di diabete mellito di tipo 2. Per cercare di risolvere il problema, Wang e coll hanno compiuto una revisione della letteratura e una metanalisi, identificando 800 articoli pubblicati nella letteratura medica sull’associazione fra inquinanti dell’aria atmosferica e diabete. Alla fine, ne sono rimasti 10 studi, prospettici, che avevano stimato gli effetti dell’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e avevano considerato in modo specifico il PM 10, il PM 2,5 e il biossido di azoto sul rischio di diabete di tipo 2. La maggior parte degli studi era stata condotta negli Stati Uniti, il resto in Canada o in alcuni Paesi europei. Anche il biossido di azoto risultò associato in modo statisticamente significativo con un aumento del rischio del diabete di tipo 2. In generale, l’inquinamento aumenta il rischio più nelle donne che negli uomini. L’osservazione che il rischio di diabete mellito di tipo 2 era costantemente associato ad elevati livelli di PM 2,5 o PM 10 e biossido di azoto suggerisce che vi siano poche possibilità di errore nelle stime effettuate. I risultati di questo studio potrebbero spiegare l’elevata incidenza di diabete anche nei Paesi un tempo in via di sviluppo, per esempio in Cina, dove c’è stato un raddoppio dell’incidenza dal 5,6% all’11,2% nell’ultima decade, quando l’incidenza media mondiale è del 6,4%. Queste osservazioni rappresentano prove indirette e razionali a sostegno dell’ipotesi dell’associazione tra inquinamento atmosferico e diabete mellito di tipo 2. Data la natura ubiquitaria dell’inquinamento atmosferico, persino una piccola riduzione delle concentrazioni di inquinanti atmosferici potrebbe avere enormi benefici per la salute pubblica, oltre che per le casse dello Stato, qualora venissero effettuate rapide e semplici misure d’ intervento per migliorare la qualità dell’aria. Per quanto riguarda la plausibilità biologica dell’associazione, è noto che l’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di insulina resistenza, che potrebbe rappresentare un ovvio collegamento fra inquinamento atmosferico e diabete mellito. Anche l’infiammazione è un altro potenziale meccanismo in grado di spiegare l’associazione biologica riportata in questa metanalisi. L’infiammazione assieme allo stress ossidativo indotto dal particolato atmosferico è in grado di richiamare cellule infiammatorie attraverso meccanismi che comprendono l’intervento di diverse chemochine. Studi sperimentali hanno dimostrato che il TNF alfa, l’interleuchina-6 e la leptina aumentano dopo esposizione al PM 2.5, suggerendo che l’esposizione al PM 2.5 ambientale può essere causa di un aumento dei biomarcatori proinfiammatori e delle risposte infiammatorie. In conclusione, i risultati di questa metanalisi forniscono prove molto forti e convincenti sugli effetti avversi dell’inquinamento atmosferico e sul rischio di diabete mellito di tipo 2, confermando che l’esposizione a lungo termine ad elevati livelli dei principali atmosferici e associate modo significativo con un aumentato rischio di diabete mellito.

Diabete:

la fotografia delle metropoli italiane anche Milano protagonista della lotta al diabete urbano

In Italia, le persone con diabete sono 3,27 milioni e il 52 per cento risiede nelle 14 Città metropolitane; le città più colpite sono Roma, con oltre 286.000 persone con diabete, e Napoli con più di 208.000; Milano detiene il triste primato del Nord Italia con oltre 144.000 abitanti con diabete

Dopo l’adesione di Roma al progetto internazionale Cities Changing Diabetes, nato per studiare la correlazione tra diabete e vita in città, presentata al 3rd He‐alth City Forum di Roma la candidatura di Milano

Il diabete si sta rivelando la malattia più rilevante e potenzialmente pericolosa del nostro secolo per la crescita continua della sua prevalenza e per la mortalità e le complicanze invalidanti. In Italia, secondo ISTAT, le persone con diabete sono 3,27 milioni e il 52per cento risiedenelle 14 Città metropolitane; studiare il legame fra diabete e città e promuovere iniziative per salvaguardare la salute e prevenire la malattia diventa sempre più importante. Questo è il tema al centro del 3rd Health City Forum svoltosi il 2 di luglio a Roma, promosso da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Health City Institute, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, I-Com - Istituto per la Competitività e Cities Changing Diabetes, con il patrocinio di Roma e il contributo non condizionato di Novo Nordisk. In Italia, secondo le elaborazioni di Health City Institute su dati ISTAT, il 36 per cento della popolazione risiede nelle 14 Città Metropolitane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna, Venezia, Genova, Messina, Reggio Calabria e Cagliari. I dati provenienti dalle metropoli più popolose indicano che la percentuale di cittadini con diabete segue un gradiente decrescente da Sud a Nord: a Napoli ci sono quasi 209 mila persone con diabete, ovvero il 6,7 degli abitanti; a Roma, la situazione migliora di poco, con il 6,6 per cento dei residenti nella città e nell’area metropolitana (oltre 286 mila persone) che dichiarano di avere il diabete. Un po’ meglio la situazione del Nord Italia, dove la città con la più alta percentuale di persone con diabete è Torino con oltre 120 mila persone con diabete, che rappresentano il 5,2 per cento dei residenti. Nel Nord Italia, però, la città con il maggior numero di persone con diabete in termini assoluti è Milano: 144 mila persone, ovvero il 4,5 per cento dei residenti della città e dell’area metropolitana. Questo dato preoccupante ha spinto l’amministrazione comunale a candidare la città e l’area metropolitana al programma internazionale Cities Changing Diabetes, un progetto nato quattro anni fa in Danimarca e promosso dall’University College London (UCL) e il danese Steno Diabetes Center, con il contributo dell’azienda farmaceutica Novo Nordisk, in collaborazione con istituzioni nazionali, amministrazioni locali, mondo accademico e terzo settore. “Nelle città aderenti al programma Cities Changing Diabetes i ricercatori si impegnano a individuare le aree di vulnerabilità, i bisogni insoddisfatti delle persone con diabete e identificare le politiche di prevenzione più adatte e come migliorare la rete di assistenza. Il tutto nella piena collaborazione tra le diverse parti coinvolte”, spiega Andrea Lenzi, Presidente del Comitato di

Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’Health City

Institute, organismo che coordina il progetto in Italia. “L’obiettivo del programma è quello di creare un movimento unitario in grado di stimolare, a livello internazionale e nazionale, i decisori politici a considerare prioritario l’urban diabetes, il fenomeno che vede le città protagoniste del crescente aumento del numero di persone con diabete e quindi in prima linea nella lotta alla malattia”.

“In questi ultimi 50 anni grandi masse di persone si concentrano nelle aree metropolitane, attratte dal miraggio del benessere, dell’occupazione e di una qualità di vita differente, e la popolazione urbana mondiale cresce anno dopo anno”, spiega l’On. Roberto Pella, Presidente dell’Inter-

gruppo Parlamentare sulla qualità della vita nelle città e Vicepresidente vicario

ANCI. “Basti pensare che oggi oltre 3 miliardi di persone nel mondo vivono in città metropolitane e megalopoli: Tokyo ha 37 milioni di abitanti, Nuova Delhi 22 milioni, Città del Messico 20 milioni. 10 anni fa, per la prima volta nella storia dell’Umanità, la popolazione mondiale residente in aree urbane ha superato la soglia del 50 per cento e questa percentuale è in crescita, come indicano le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità. Questo crescente inurbamento rende necessario che le città stesse e il loro modello di sviluppo siano in prima linea nella lotta contro le criticità connesse e, ovviamente, la salute pubblica occupa fra queste un posto di primaria importanza. I sindaci sono interpellati, oggi più di altre figure politico-istituzionali, affinché questa necessaria pianificazione avvenga secondo un parametro di solidarietà e partecipazione”, aggiunge.

Per valorizzare le buone pratiche sull’Urban Health sono stati istituiti gli “Health City Awards”, assegnati durante questa edizione dell’Health City Forum da una giuria composta dai membri del Board of Directors dell’Health City Institute. Il premio è rivolto a Istituzioni, Enti di Ricerca, Università, Imprese e singole persone che si sono distinte nella promozione e studio della salute nelle città e nell’ambito urbano, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita, la salute e il benessere dei cittadini e delle generazioni future.

Tra i premiati: Istituto Superiore di Sanità, Istat, Aifa e i promotori del progetto Cities Changing Diabetes. Un Health City Award è andato anche al Comune di Roma, la prima metropoli italiana ad aver aderito al progetto Cities Changing Diabetes “per aver promosso tre accordi finalizzati all’attuazione del Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC) che Roma dovrà predisporre entro novembre 2019. Un patto a favore dei cittadini con il quale la Capitale si impegna a ridurre del 40 per cento le emissioni inquinanti entro il 2030”

La Redazione

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA VITAINCITTÀ

3,2 milioni di mort all’ anno per inattività fisica i 0,4 per ipertensione,4,4 per obesità, 3,7 per inquinamento:sono i numeri legati all’ urbanizzazione

L’11th Italian Baromert Diabetes &

ObesityForum,favorisceannualmenteil confronto per attivare iniziative volte a migliorare la salute,soprattutto nelle città

2% del Pil

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte; assieme a tumori, diabete e disturbi respiratori cronici costituiscono oggi il principale rischio per la salute e lo sviluppo umano, secondo quanto emerso nel corso dell’11th Italian Diabetes & Obesity Barometer Forum tenutosi a Roma lo scorso 3 Luglio, promosso da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Health City Institute, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, I-Com - Istituto per la Competitività e Cities Changing Diabetes, con il patrocinio di Roma e il contributo non condizionato di Novo Nordisk. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le malattie non trasmissibili sono responsabili di oltre i due terzi delle morti a livello globale, circa 36 milioni di persone. Una buona parte di queste è attribuibile a rischi legati all’urbanizzazione. Le città uccidono principalmente a causa di stili di vita scorretti come l’inattività fisica, responsabile di obesità e diabete, correlate a loro volta al rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e tumori.

“L’ambiente creato dall’urbanizzazione ha un forte impatto sulla salute dei cittadini”, dice Andrea Lenzi, Presidente del Comi-

tato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’He-

alth City Institute. “I dati che abbiamo a disposizione indicano però che solo un terzo del problema sia legato all’inquinamento atmosferico; ben i due terzi è correlato a comportamenti individuali che spesso lo stile di vita cittadino porta ad adottare e che mettono in serio pericolo la salute”.

Due terzi delle malattie e della conseguente mortalità nelle città correlati a stili di vita scorretti

L’inattività fisica, infatti, causa 3,2 milioni di morti ogni anno, l’ipertensione 0,4 milioni, l’obesità è responsabile di 4,4 milioni di morti annui e l’inquinamento di 3,7 milioni. Non solo, da un’analisi dell’impatto sui sistemi sanitari in termini economici è emerso che l’inattività fisica è costata oltre 37 milioni di dollari nel 2013, tra spese sanitarie e perdita di produttività, il diabete è stato responsabile di un aumento della spesa sanitaria da 612 a oltre 1.000 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni e l’inquinamento atmosferico ha avuto un impatto sulla spesa sanitaria di 21 miliardi di dollari nel 2015.

“Malattie come il diabete e l’obesità, responsabili anche di un aumento del rischio cardiovascolare, costituiscono un serio problema per le città”, dice Francesco Pur-

rello, Presidente Società Italiana di Diabe-

tologia (SID). “Basti pensare al fatto che il 65 per cento delle persone con diabete vive in ambiente urbano e ben il 44 per cento di tutti i casi di diabete tipo 2 è attribuibile proprio all’obesità e al sovrappeso, malattie legate soprattutto agli stili di vita scorretti. Questi dati sono ancora più preoccupanti se si considera che il rischio complessivo di morte prematura raddoppia ogni 5 punti di crescita dell’indice di massa corporea: una persona con diabete e sovrappeso ha quindi un rischio raddoppiato di morire entro 10 anni, rispetto a una persona con diabete di peso normale, e una persona con diabete e obesa addirittura un rischio quadruplicato. Per non parlare poi del fatto che quella che viene definita ‘diabesità’ è strettamente legata alla principale causa di morte in assoluto: le malattie cardiovascolari. Infatti, la prevalenza delle malattie cardiovascolari nel diabete, ossia il numero di persone con diabete che vanno incontro nella loro vita ad almeno un evento cardiovascolare, è del 23,2 per cento: in pratica una su 4”.

“Il problema non può più essere sottovalutato, tanto più considerando la crescita costante della popolazione urbana mondiale, che ogni anno aumenta di circa 60 milioni di persone”, dice Domenico Man-

nino, Presidente Associazione Medici Dia-

betologi (AMD). “Secondo l’International Diabetes Federation nei prossimi 25 anni 3 persone con diabete su 4 vivranno nelle città. È tempo quindi sia di pensare diversamente la nostra vita e di cambiare i nostri comportamenti come cittadini ma anche fare in modo che i centri urbani siano più salutari. Gli amministratori della città saranno sempre più in prima linea, nel collaborare con i medici, per contrastare questo fenomeno. Importante può essere quindi la sinergia tra Amministrazione Cittadina, Università, Enti di Ricerca e Imprenditoria privata”.

“Iniziative come l’Italian Barometer Diabetes & Obesity Forum che IBDO Forundation organizza da ben 11 anni, ha un grande merito in questo senso: mette a confronto clinici, accademici, decisori politici e Istituzioni nazionali, amministrazioni locali, società civile e terzo settore e favorisce il dialogo, facilitando la ricerca e l’affinamento di soluzioni condivise alle sfide di salute del terzo millennio”, conclude Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation.

La Redazione

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