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Il successo inizia dall’estero

Il successo

inizia dall’estero

Evoluzione e ragioni degli ottimi risultati di un’esperienza italiana nata nell’ex Unione Sovietica

a cura della Redazione

Negli anni ’90, Marco Cecconi (mancato improvvisamente nel 2016) intuisce il potenziale derivato dalla disgregazione dell’Unione Sovietica e fonda, a Mosca, una piccola società di telecomunicazioni, insieme a giovani imprenditori russi. Quella prima realtà è, oggi, un Gruppo consolidato con 36 stabilimenti in 8 nazioni, di cui 10 in Italia, con 3.700 dipendenti nel mondo, un fatturato di 384 milioni di euro, 75 milioni di euro di EBITDA e investimenti nel 2019 per oltre 30 milioni di euro. Questo dopo aver conquistato, nell’anno precedente e come DKC Europe (società operativa del Gruppo), un posto di prestigio nelle top 100 Eccellenze italiane nel settore manufatturiero*.

Ne parliamo con Sandro Bergamo, Amministratore Delegato del Gruppo DKC, per approfondire le ragioni di un successo del tutto particolare.

Dove e quando nasce DKC?

«Siamo alla fine degli anni ’90, a Tver, una piccola realtà a 160 km da Mosca. Qui, Marco Cecconi ed io, insieme a Dmitry Kolpash-

Sandro Bergamo, Amministratore Delegato del Gruppo DKC nikov, fondiamo la DKC (DKS pronunciato in cirillico) che, all’epoca, era una piccola società di telecomunicazioni».

Perché proprio Tver, perché proprio la Russia?

«Erano anni di transizione, l’Unione Sovietica non esisteva più, per questo motivo molte grandi aziende entrarono in questo mercato e incominciarono a lavorare fino al 1998, quando iniziò un periodo di grande crisi che durò circa due anni. Durante questo periodo, molte aziende abbandonarono per timore di perdite ingenti. Noi, invece, ne abbiamo visto il potenziale: tutto da (ri)costruire, da organizzare, elettrificare, digitalizzare. Certo, nulla si improvvisa. Dmitry ci ha permesso di avere un socio che conosceva alla perfezione il mercato e che sapeva rapportarsi con le regole del territorio, individuando sempre il momento giusto per agire».

Dopo questo periodo, quali decisioni avete preso?

«Abbiamo pensato alla nostra Italia. Un Paese sicuramente avanzato e organizzato, ma che, nel 2007, mostrava ancora margini di crescita e sviluppo».

Qual è stata la vostra strategia?

«Ci siamo fatti guidare da due principi: opportunità e rilancio. Di fatto abbiamo

studiato il mercato e abbiamo individuato quelle aziende che assicuravano know how, esperienza, network, tradizione e conoscenza del territorio e che, però, mostravano sofferenza, e le abbiamo acquisite, rilanciandole verso il successo. È stato così per Cepi (2007), Costel (2008), Cosmec, Conchiglia, Enercov (2014), completando successivamente con Steeltecnica (2015) e RGM (2019)».

Sembra facile.

«Sembra, infatti. Ma il lavoro d’integrazione delle diverse culture aziendali ci ha fortemente coinvolti. Impegno, passione, visione e determinazione ci hanno permesso di superare ogni difficoltà e diventare la DKC che oggi conosciamo, permettendoci, in più, di sanare le aziende acquisite».

Il futuro dove vede DKC?

«Il mercato elettrotecnico tradizionale non mostra elevate potenzialità di crescita, a meno che queste non siano fortemente improntate alla sostenibilità, tema sentito come prioritario per il futuro a livello globale. Per questo motivo, nei nostri progetti vediamo l’elettronica di potenza e la capacità di gestire l’accumulo di energia, soprattutto quella prodotta da fonti sostenibili, industriale e domestica, come la strada che ci farà costantemente crescere».