Numero 1 (15 gennaio 2017)

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Quattrocolonne Periodico della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia

Sgrt Notizie - Anno XXVI n. 1 - 15 gennaio 2017

Quei giorni terribili, le suore di clausura racontano: “Sbalzate in aria dalla scossa”

Quarant’anni passati assieme “Non lasceremo i nostri Sibillini”

Il pronto soccorso delle opere d’arte Esperti a lavoro per recuperarle


La zona rossa di Castelluccio

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Sbalzate in aria dalla scossa Il terremoto raccontato dalle suore benedettine di Norcia, che aprono le porte del monastero crollato

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Quattro Colonne SGRT Notizie

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Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to in Giornalismo Radiotelevisivo Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini

In redazione

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Anno XXVI – numero 1 - 15 gennaio 2017 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del marzo 1993 Segreteria: Villa Orintia Carletti Bonucci - Via G. Puccini, 253 06134 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 – Fax. 075/5911232 e-mail: segreteria@centrogiornalismo.it – http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c – legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia

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Pronto soccorso opere d’arte Salvate dalle macerie e custodite in attesa della restituzione

“Terremo alta la guardia” Dalle “white list” alla struttura di missione, sono molti gli strumenti per prevenire le infiltrazioni mafiose nelle ricostruzioni

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Quanto costa la distruzione Cinquant’anni di terremoti non sono bastati: manca un piano di messa in sicurezza del territorio mentre per la ricostruzione pagheremo (almeno) fino al 2029

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“Il 30 ottobre ha sconfitto la parola prevenzione”

Non smette di tremare La Valnerina fronteggia da secoli le distruzioni del sisma

Un’altra volta ancora Tonino e Isolina si sono innamorati a Castelluccio. Nel 2014 erano tornati a casa, dopo trent’anni trascorsi a Norcia. Adesso dovranno ricominciare da zero. Di nuovo

Pietro Adami, Giulia Bianconi, Francesco Bonaduce, Michele Bonucci, Nicola Campagnani, Nicolò Canonico, Andrea Caruso, Alessandro Catanzaro, Gabriele D’Angelo, Marina de Ghantuz Cubbe, Elena Frasconi, Gabriele Genah, Chiara Jommi Selleri, Beatrice Manca, Cristiana Mastronicola, Valentina Mira, Stefania Moretti, Camilla Orsini, Serena Riformato, Selene Rinaldi, Irene Roberti Vittory, Davide Serusi, Chiara Sivori, Paolo Sparro, Elena Testi

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Viaggio tra le macerie

Quello che resta di Norcia e Castelluccio Gli sfollati raccontano: ecco perché vogliamo restare qui

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Ha dedicato la sua vita allo studio dei terremoti. Padre Martino Siciliani spiega quello che ha chiamato il “mega-sisma”

Elogio della sopravvivenza La terra continua a tremare I terremotati pensano a ricostruire

Il benedettino che misura lo stress della terra

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Un’oca veggente ci salverà dai terremoti? A Gubbio si sta svolgendo una ricerca sulla capacità dei volatili di prevedere le scosse sismiche


Q elogio della sopravvivenza La terra continua a tremare I terremotati pensano a ricostruire

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di

ELENA TESTI

@elenatesti

tavo steso nel letto, quando improvvisamente tutto ha iniziato a tremare”. Il racconto continua. “Credevo non finisse più, poi ho urlato”. Sono le 7.30 di sabato 10 dicembre. La conversazione continua. Protagonista un gruppetto di persone radunate in un bar nel centro di Amelia. “E l’urlo? Hai sentito l’urlo?”, chiede un altro irrompendo, questa volta, con il suo di racconto. Sembra che, quando una tragedia travolge la quotidianità, chi l’ha vissuta riesca a ricordarsi esattamente cosa stesse facendo in quel preciso momento. È stato così per l’11 settembre. È stato così, ancor prima, con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. “Io stavo su”, racconta un altro ancora.“Ho casa vicino Ussita. Ormai non c’è rimasto più niente. La mia è inagibile e chissà quando ci tornerò”. L’Ussita peraltro che diede i natali al cardinal Gasparri, colui che siglò i Patti Lateranensi del 1929. Sono le 7.40 del 30 ottobre, una scossa di magnitudo 6.5, arriva, e questa volta, fortunatamente non senza preavviso. La terra dal 24 agosto non smette di tremare. Si è ingottita nel cuore della notte Amatrice, Arquata del Tronto e Accumuli. Trecento anime sono state schiacciate dalle macerie e strappate alla vita. Una tregua di soli due mesi. Poi il terremoto è tornato con il suo boato apocalittico, quello che si sente prima della scossa, e, questa volta, ha devaQuattrocolonne

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stato le zone dell’Appennino umbro-marchigiano, senza risparmiare Norcia. Nessun morto, ma migliaia di sfollati. Dal 30 ottobre è iniziato non solo il calvario di coloro che non hanno più casa, ma anche l’estenuante guerra di chi (la maggior parte) non ha alcuna intenzione di lasciare i suoi monti. Abbandonare il bestiame incustodito è una di quelle possibilità da non prendere neanche in considerazione. “Non ci arrenderemo”. Lo fanno sapere senza tanti fronzoli. Gente di montagna. Spiccia. Abituata a lottare con la Natura durante i lunghi e gelidi inverni. Non sarà di certo un container a spaventarli. Loro, i terremotati, così vengono chiamati anche se non si sentono tali, hanno iniziato a dar vita a mercatini in tutta Italia così da raccogliere i soldi per ricostruire la propria terra. C’è chi, pur di non abbandonare Norcia, percorre anche un’ora in più di viaggio per andare al lavoro: l’importante è restare. Sarà la storia ad aver forgiato il carattere di questa gente o sarà l’indomabile terra che più volte ha colpito queste zone, ad averli resi così attaccati alle loro montagne. Tra qualche mese il gelo inizierà a sciogliersi e allora sarà tempo di andare dalla Sibilla Cumana a chieder consiglio. L’unica speranza che resta, tra i cumuli di macerie, è infatti che i turisti si rimettano in cammino, ripercorrendo gli antichi sentieri di chi in questi luoghi isolati è riuscito a forgiare la propria identità. Q


VIAGGIO TRA LE MACERIE Quello che resta di Norcia e Castelluccio Gli sfollati raccontano: ecco perché vogliamo restare qui

NORCIA – Entrando nel centro storico da Por-

ta Ascolana, si arriva alle spalle della Basilica di San Benedetto. Un enorme telo nero cerato ne ricopre le macerie, quasi si trattasse di spoglie umane da tutelare con pudore. Da lì, ci si rende conto che la foto simbolo del terremoto del 30 ottobre – la facciata integra della chiesa, vista da una prospettiva frontale – non è sufficiente. Non mostra il vuoto che c’è dietro, per almeno venti metri, lì dove una volta si trovava la navata. Fuori dalle mura, vicino alla tendopoli dove gli sfollati vengono accolti dai volontari dell’Anpas per la mensa e le esigenze sanitarie, c’è un’abitazione di tre piani squartata su un lato come se fosse un’enorme casa delle bambole. Spicca in una zona altrimenti poco abitata. La divisione fra le camere è ancora visibile, l’arredamento intatto e preciso. Sul tavolo nella sala da pranzo di legno scuro c’è un vaso di cristallo, perfettamente centrato: come a evidenziare il contrasto con le macerie di cemento armato ai piedi della struttura. Guardandosi intorno, sembra che il tempo si sia fermato alle 7.40 del 30 ottobre.

Ma un’altra forma di tempo continua a scorrere a Norcia e adesso si chiama attesa. L’attesa di poter rientrare nella “zona rossa”, di tornare alle proprie abitazioni, costruirne di nuove. L’attesa di un intervento statale che i nursini non credono sarà tempestivo. Non abbastanza, almeno. Sandra, 48 anni, due figli, è fra gli scettici: “Prima ci hanno detto che le casette sarebbero arrivate a novembre, poi a Natale. Rinvieranno ancora chissà quanto”. Si è sparsa la voce che si tratterà di “container collettivi” che ospiteranno fino a trenta persone: una prospettiva che non piace a nessuno. Per questo in molti stanno acquistando autonomamente le casette in legno. Ne parlano Marco e Luca, trentenni di Spoleto che lavorano per una banca a Norcia. Sempre più clienti si stanno rivolgendo a loro per attivare finanziamenti per piccole abitazioni provvisorie. Che andranno poi smantellate alla fine dell’emergenza. Costo medio: dai 15.000 ai 20.000 euro. Un investimento che non tutti a Norcia possono permettersi, ma che sempre più famiglie, specialmente con bambini, preferiscono all’incertezza. Quattrocolonne

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di

SERENA RIFORMATO

@serenarifor

MICHELE BONUCCI

@M_Bonucci


La facciata della Basilica di San Benedetto di Norcia che ha resistito al crollo

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Il paese di Castelluccio

Un’incertezza la cui scadenza è rimandata a data da destinarsi. A preoccupare Nunzio, invece, è l’arrivo della primavera. Produttore agricolo di lenticchie, 48 anni vissuti solo a Castelluccio di Norcia. A marzo lo aspetta la semina. E più che una sistemazione, è proprio questo il problema: tutti i suoi attrezzi sono rimasti sotto le macerie a Castelluccio, dove la situazione è molto più critica che a Norcia. Q

CASTELLUCCIO DI NORCIA – La piana ricoperta di mille colori che splende sotto il sole di giugno. A questo pensi quando ti viene in menQuattrocolonne

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te Castelluccio di Norcia. Dallo scorso 30 ottobre è cambiato tutto. Anche solo arrivarci è diventata un’impresa. Impossibile senza la scorta dei vigili del fuoco o del soccorso alpino. Le carovane partono alle prime luci del mattino da Norcia. Oltre che da vigili e volontari sono composte da quelli che erano gli abitanti e i commercianti di Castelluccio. Desiderano entrare per l’ultima volta in ciò che rimane degli edifici in cui si svolgeva la loro vita e recuperare oggetti di cui hanno bisogno, o a cui tengono. Le vie principali sono tutte bloccate. Si passa per strette strade di montagna. Lungo il tragitto il panorama è di totale desolazione e


distruzione. “Per venti giorni ho dormito in una baracchina insieme ai cani. Stavo in mezzo a loro con un materassino”. Emidio ha 70 anni. È di San Pellegrino. Aveva ristrutturato la casa d’infanzia con i risparmi di una vita. Paesi come il suo e Arquata del Tronto non esistono più. Sono stati spazzati via dal terremoto. Finché non arrivi non ci credi. Non riesci a credere veramente che quel paese, che per l’Italia e per il mondo ha rappresentato un’oasi di pace e bellezza, possa essere stato violato. Solo dopo averlo visto con i tuoi occhi ne hai la certezza. Quel Castelluccio non esiste più. La strada che dalla piana conduce al paese è in alcuni tratti spaccata in due. Il campanile e la chiesa di Santa Maria Assunta sono andati completamente perduti. Alcuni edifici rimangono in piedi in equilibrio precario, altri sono rasi al suolo. Nulla è stato risparmiato dal terremoto. Le persone che animavano quotidianamente il borgo, gli abitanti, gli albergatori, hanno il volto di chi non riesce a esprimere quello che si prova.

Gli abitanti di Castelluccio portano fuori dagli edifici semi-crollati quanti più oggetti possibile Quattrocolonne

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In quel luogo avevano investito tutto. Non per il guadagno, ma come scelta di vita. Quando ci parli, però, si percepisce in loro una strana forza. Non c’è spazio per la rassegnazione. Ognuno ha un aneddoto unico e speciale che lo lega alla sua terra. Ad esempio Giuseppe, con la sua passione: quella per il volo. Figlio di allevatori di Castelluccio, negli anni ‘80 decide di aprire una taverna, che poi diventa un albergo: “All’inizio erano 4 stanze di casa mia e un bagno”. Ma non è una struttura ricettiva qualsiasi. È il luogo di ritrovo di chi condivide la sua stessa passione. “In quegli anni questo era il posto più ambito d’Europa per il volo libero. Capitava di trovare attori e artisti californiani a fare deltaplano”. Un insospettabile paese di pastori, immerso nelle montagne, era diventato un ambiente cosmopolita. “L’obiettivo non era fare soldi. Era stare qui. Conoscere persone. Volare”. È così che negli occhi e nelle storie delle persone di Castelluccio rivive la pace e la bellezza del loro paese. Sono persone animate da una straordinaria determinazione. “Lo ricostruiremo”. Q


Castelluccio di Norcia, 23/11/2016 Tonino e Isolina, di fronte a quel che resta del ristorante che avevano aperto nel 2014

UN’ALTRA VOLTA ANCORA Tonino e Isolina si sono innamorati a Castelluccio. Nel 2014 erano tornati a casa, dopo trent’anni trascorsi a Norcia. Adesso dovranno ricominciare da zero. Di nuovo

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onino e Isolina si guardano negli occhi, di fronte a quel che resta de “L’Altopiano”. Il ristobar, che avevano aperto soltanto tre anni fa a Castelluccio, è ormai ridotto a un cumulo di macerie. Eppure hanno uno strano sorriso sul volto: è quello di chi sa di aver perso tutto, tranne l’amore l’uno per l’altra. “Avevo 13 anni quando mi sono fidanzata con Tonino”- racconta Isolina continuando a sorridere - “Ero ancora una bambina, e mamma non voleva farmi uscire. Tutti i nostri coetanei sapevano di noi, e alla fine ci hanno fatto la scritta.” A Castelluccio le scritte sui muri con la calce bianca sono una tradizione. Da oltre cinquant’anni raccontano gli screzi amorosi tra gli abitanti del paese. Quella su Tonino e Isolina è ancora lì, a pochi metri dalle macerie dell’Altopiano. Nessuna crepa è riuscita a scalfirla. La storia che racchiude è più forte di qualsiasi terremoto. A quella scritta Tonino e Isolina rimangono sempre legati. Anche dopo il 1981, anno in cui la coppia si trasferisce a Norcia, per cercare lavoro. Lo trovano entrambi: lui come postino, lei come impiegata di una cooperativa sociale. Ma qui la vita non è quella del paese natio. A fiorire è soprattutto l’asfalto e in cielo le stelle e i deltaplani fanno a gara per non farsi vedere. E allora, qualche volta, bisogna tornare a casa. Come per il matrimonio, nell’83, che si celebrerà proprio nella chiesa di Santa Maria dell’As-

sunta, a Castelluccio. Oggi quella chiesa è rasa al suolo. Ma l’unione tra Tonino e Isolina, sugellata al suo interno, sembra essere ancora più forte. Da quel 1983 passano altri trent’anni. A Norcia nascono Daniele e Serena e la coppia diventa famiglia. Il tempo passa, i bambini crescono, e Tonino e Isolina si fanno una promessa: torneranno a Castelluccio quando i figli si saranno sistemati. E così è: nel 2014 Daniele e Serena sono ormai completamente autonomi. Per i genitori, è finalmente giunto il momento di tornare a casa. Si licenziano, ristrutturano le case di Castelluccio che avevano ereditato dai genitori e le trasformano in ristorante. I clienti arrivano subito, numerosi, attratti dall’entusiasmo dei proprietari. “Avevamo fatto questo passo, avevamo cominciato a lavorare, eravamo veramente contenti,” sospira Isolina. Per un attimo la commozione prende il sopravvento. Ma è soltanto un attimo: “Le lacrime non servono a niente” dice a Tonino, ma soprattutto a se stessa. I suoi occhi, non più lucidi, adesso brillano di un ardore ammirevole. “Forse adesso lo amiamo ancora di più, questo paese.” Fino ad ora Tonino era rimasto ad ascoltare, ma adesso nei suoi occhi si legge la voglia di raccontare. Della tragedia che ha appena vissuto, ma anche e soprattutto di ciò che l’ha preceduta. Partendo da quei mitici anni ‘70, quando Franco Zeffirelli decise di venire a girare a Castelluccio il suo “Fratello sole, sorella luna”. Quattrocolonne

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di

Gabriele D’Angelo

@inkpressione



“Abbiamo tutti partecipato come comparse – spiega Tonino con un pizzico di nostalgia – ci davano 5mila lire e una scodella da mangiare. Con quei soldi qualcuno ha cominciato a mandare i figli a scuola, si è comprato la 500. È da lì che Castelluccio ha cominciato la sua ascesa.” E poi le lenticchie, il ritrovo dei deltaplanisti di tutto il mondo, la fioritura. In pochi decenni questo bucolico paesino di agricoltori e allevatori era diventato l’insospettabile punto di riferimento del turismo umbro. Fino alla scossa. Pochi secondi, interminabili, sufficienti per mandare in fumo tutto il lavoro di

questa piccola grande comunità. Per dare inizio a una nuova era nella storia del paese, quella della ricostruzione. Tonino e Isolina ora si tengono per mano. Quando domando loro di cosa hanno bisogno, rispondono quasi all’unisono: “Chiediamo soltanto quello che chiedono tutti coloro che non hanno più un lavoro: poter ricominciare presto.” Ricominciare da zero, insieme. Con lo stesso amore di sempre e forse qualcosa di più. Mentre parlano sorridono, ancora una volta. Sanno che non è la fine, questa, per la perla dei Sibillini. È soltanto un nuovo inizio. Q

Castelluccio di Norcia - 23/11/2016 La scritta in calce bianca dedicata a Tonino e Isolina, risalente ad oltre quarant’anni fa. “Tutte le sere la madre, con la frasca sotto la parannanza, lu va a retrovà. Ma ala fine sull’isola de lu cantoniere, lu fa approdà” Quattrocolonne

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Vittorio Sgarbi, critico d’arte e noto personaggio televisivo, è stato intervistato dalla nostra redazione Nella foto è impegnato in uno dei suoi numerosi convegni

Sgarbi: “Il 30 ottobre ha sconfitto la parola prevenzione”

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di

Valentina Mira

@V_Mira

rofessor Sgarbi, secondo lei, con interventi di messa in sicurezza adeguati si sarebbe potuta salvare la basilica di s. Benedetto a Norcia? Sicuramente no. Dopo la prima scossa, quella di agosto, il sindaco di Norcia si era detto soddisfatto: la città era a suo dire in grado di resistere perché aveva riportato solo piccoli danni. Era crollato un tetto, e nient’altro. Quando a ottobre il terremoto è arrivato con più determinazione Norcia è stata colpita così violentemente che è rimasta in piedi solo la facciata di s. Benedetto, sulla quale erano ancora in corso i lavori per la messa in sicurezza. Questo prova che nessuna prevenzione su un monumento antico è più forte di un terremoto. La prevenzione esiste soltanto per edifici nuovi costruiti ex novo, dalle radici, con provvedimenti antisismici. Mettere in sicurezza un edificio Quattrocolonne

storico vuol dire tentare di ricostruirlo, cosa improbabile e del tutto impraticabile. Per cui il 30 ottobre ha soprattutto sconfitto la parola “prevenzione”, parola magica usata da tutti quelli che per ragioni politiche hanno cercato di trovare il colpevole del terremoto, non adattandosi a pensare che Dio o, per chi non ci crede, la pessima dinamica degli elementi, quando lo decide fa saltare tutte le messe in sicurezza del mondo. Non ha mai senso prevenire, sempre con riguardo ai beni artistici? In realtà se il terremoto si limita a stare sotto i 5 gradi, un edificio storico che è stato già assestato può anche patire meno il danno. È dal sesto in su che non c’è nessuna prevenzione. Se il sisma è aggressivo distrugge tutto, com’è capitato nella più dolente tra le opere architettoniche

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colpite e cioè la chiesa di s. Salvatore a Campi, in prossimità di Norcia. Per cui diciamo che l’unica parola che si può usare legittimamente, nella speranza che gli uomini possano trovare lo strumento adatto alla necessità, è ricostruzione. L’Italia ha visto una quantità infinita di ricostruzioni post-sisma. Ad esempio, la città di Noto dopo il terremoto del 1693 è stata ricostruita nello stile barocco che conosciamo. Vale lo stesso per Catania, colpita anch’essa dal sisma del 1693. O per Messina, ricostruita dopo il terremoto del 1909. Quando parla di una ricostruzione adeguata, come valuta il modello New Town, quello de L’Aquila? Da evitare. Quello che ha fatto Berlusconi aveva una logica, ma una logica da respingere. È indegno il modello della New Town, per cui il paese abbandonato diventa un paese fantasma e viene costruita una specie di periferia immonda a distanza di poche centinaia di metri, completamente nuova. Con il terremoto dell’Umbria si può sperare in una vera ricostruzione dei borghi. Con un vantaggio da sfruttare. Potrebbe essere una “ricostruzione selettiva”: siccome il danno più grave alle città non è stato inferto dai terremoti ma dalla costruzione edilizia “di rapina” degli ultimi 60 anni, è auspicabile che si ricostruiscano soltanto le case fino agli anni Trenta, cogliendo l’occasione per sanare la ferita architettonica dell’abusivismo. Q


PRONTO SOCCORSO OPERE d’arte Salvate dalle macerie e custodite in attesa della restituzione

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a basilica di San Benedetto non esiste più: non ne è rimasta che la facciata. Tutto il resto è un cumulo di pietre, coperto con teloni di plastica nera, a nascondere ciò che resta del simbolo di Norcia. Accanto alla basilica alcuni vigili del fuoco, appesi al braccio meccanico del camion, tentano con i lacci la messa in sicurezza della torre del municipio. Dalla parte opposta della piazza, oltre la statua di San Benedetto, i tecnici del ministero dei beni culturali (Mibact) e i carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale entrano ed escono dal Museo della Castellina. Recuperano le opere, le poggiano su teli bianchi per terra, fanno i primi

veloci controlli, una foto, qualche misurazione e poi via, verso il deposito di Spoleto. Si tratta di un “pronto soccorso” delle opere d’arte. È stato creato con i finanziamenti post terremoto del ’97: quattro enormi stanze che ospitano le opere della Valnerina. Tiziana Biganti, storico dell’arte che coordina i lavori del deposito, dribbla tele e crocifissi, le “presenze” come le chiama il funzionario del Mibact. Il deposito ospita oltre 3.200 pezzi, tra dipinti, sculture, arredi e frammenti, come quelli del rosone di San Salvatore in Campi. La prima a entrare, il 2 novembre, proveniente da San Benedetto di Norcia, è stata la Madonna con bambino e Santa Lucia. Quattrocolonne

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di

FRANCESCO BONADUCE

frabonaduce


A sinistra: tecnici del Ministero beni culturali e carabinieri mettono in salvo le opere in Piazza San Benedetto a Norcia

LE CHIESE E LE OPERE San Benedetto (Norcia) Madonna con bambino e Santa Lucia La prima opera ad entrare nel deposito il 2 novembre. San Francesco (Norcia) Incoronazione della vergine 1541, Jacopo Siculo Enorme pala estratta dai vigili del fuoco con il braccio meccanico.

Camminando tra le scaffalature è possibile apprezzare la vastità e la qualità del patrimonio artistico dei Sibillini. «Ci si accorge della familiarità e abilità nella lavorazione del legno». La sua opera preferita è proprio un crocifisso in legno del ‘300 che proviene dalla chiesa di Sant’Eutizio di Preci. È custodito in uno degli scaffali, ma è spezzato in mille pezzi: «Un dolore terribile», commenta commossa. Migliaia di opere, ma non si tratta di un museo. L’incoronazione della Vergine, di Jacopo Siculo è stata estratta dalle rovine della chiesa di San Francesco di Norcia il 5 novembre. L’opera del 1541 è divisa in due parti: l’incoronazione della Vergine in alto e una sequela di santi nella parte inferiore. La pala è praticamente intatta: era sostenuta da una struttura metallica e non è caduta col resto della volta. L’ottica è quella della restituzione. Sono opere salvate dalla distruzione, sottratte alle comunità, che in alcuni casi hanno vissuto questa sottrazione come una doppia sconfitta. Le popolazioni della Valnerina sono storicamente legate all’arte religiosa. In quelle zone sono state create e tutelate tante opere d’arte. Ma c’è una spiegazione, forse legata al sisma. «Ogni secolo Norcia ha avuto un terremoto disastroso. La durezza della natura ha avvicinato la popolazione alla preghiera e questo ne ha fatto una terra devota e ricca di arte sacra». La Valnerina è un territorio costellato di luoghi spirituali.

Santa Maria Argentea (Norcia) Crocifisso di Giovanni Tedesco Tardo ’400. Sant’Eutizio (Preci) Croce in legno ora in frammenti Autore del ’300. San Salvatore (Campi di Norcia) La chiesa crollata in diretta tv Alcuni frammenti del rosone sono nel deposito. Quattrocolonne

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«Una terra al tempo stesso bellissima e temibile». Del crocifisso di legno di Santa Maria Argentea, a Norcia, sono stati recuperati tutti i pezzi. L’opera del tardo ‘400 era caratteristica per il volto nordico e per la lingua, costituita da un pezzo di legno a sé, mobile ed estraibile. Veniva usata per le rappresentazioni del venerdì Santo. Anche per questo rapporto tra arte e popolazione non si fanno distinzioni nel recupero dei beni. L’attività è infatti finalizzata non solo alla tutela del patrimonio storico-artistico, ma anche e soprattutto al rispetto della storia e dell’identità delle comunità locali. «Si recupera tutto, dalla scultura del ‘200 all’ex voto dell’altro ieri». Questo legame intrinseco tra le comunità e le opere d’arte è il motivo di alcune proteste contro i primi prelievi fatti dal ministero, soprattutto prima della grande scossa del 30 ottobre. «Ma è proprio grazie a quelle tempestive operazioni che gli arredi delle chiese di San Pellegrino e Castelluccio sono quasi intatti mentre gli edifici sono poi crollati». Dopo la grande scossa anche l’atteggiamento delle persone è cambiato. Ora sono gli stessi abitanti a chiamare per segnalare le opere da salvare. La speranza di tutti è che quella nel deposito sia una permanenza breve. Quando gli edifici della Valnerina saranno di nuovo agibili, le opere d’arte verranno riportate nei luoghi di provenienza, così a restituire alle comunità la loro identità. Q


SBALZATE IN ARIA DALLA SCOSSA Il terremoto raccontato dalle suore benedettine di Norcia, che aprono le porte del monastero crollato

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l telefono di madre Caterina squilla sempre. “Sono venuta a vedere il mio monastero”, risponde, fissando il tetto sventrato che sbuca dalle mura di Norcia. Dopo il terremoto del 30 ottobre, i dormitori del monastero di Sant’Antonio sono un ammasso di tegole e mattoni. “Che nessuna sorella sia rimasta intrappolata è una grazia del Signore. Siamo potute scappare subito perché eravamo tutte nella stessa stanzetta a recitare le lodi. Se ci ripenso, sento la scossa che ci ha sbalzate in aria e rivedo le sorelle sballottate da ogni parte”. Madre Caterina è la superiora del monastero di Sant’Antonio di Norcia: rigore claustrale, tenerezza materna e serenità. Da quando ha preso i voti a vent’anni, più di cinquant’anni fa, il monastero è la sua casa. Vederlo martoriato le fa un male che le si legge negli occhi. “La struttura è del 1600. Ha subìto tanti crolli nella sua storia, ma io

e le mie otto sorelle benedettine, finora, non ci eravamo mai dovute allontanare. Il terremoto del 1979 aveva fatto danni, ma contenuti. Forse ci fidiamo troppo di queste vecchie mura monumentali. Pensiamo resistano a tutto e invece…”. Invece il centro storico di Norcia si è lasciato cadere. I lavori di ristrutturazione del monastero, finiti nel 2000, non sono bastati. Il terremoto ha spezzato travi, abbattuto tramezzi e costretto le suore a farsi ospitare da un’altra comunità di benedettine a Trevi. Casco in testa, madre Caterina ci mostra l’interno del monastero crollato, insieme a una squadra di vigili del fuoco del Vaticano, a suor Lucia, suor Illuminata e suor Maria Annalisa. Della mattina del 30 ottobre ricordano tutto. La paura. L’adrenalina. La polvere. Hanno pregato prima, durante e dopo la scossa: “Temevamo che qualche cittadino di Norcia fosse rimasto sotto le macerie. Siamo scappate nell’orto senza Quattrocolonne

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STEFANIA MORETTI

@Stefanietty


A sinistra: una delle suore di Norcia svuota un magazzino del monastero con l’aiuto di un vigile del fuoco

NORCIA

Quel che resta dei dormitori

Dopo la scossa del 30 ottobre, il monastero di Sant’Antonio è inagibile. Le suore benedettine possono accedere solo per recuperare il necessario, accompagnate dai vigili del fuoco. Oltre ai dormitori, il terremoto ha lesionato le volte, abbattuto i tramezzi delle stanze, parte del tetto della chiesa e dello studio. Le suore sono state ospitate da una comunità di benedettine di Trevi. Al momento nessuno è in grado di pronunciarsi sui tempi dei lavori. Nessuno è in grado di dire quando le suore potranno fare ritorno al monastero. Quattrocolonne

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prendere niente. Pensavamo: siamo salve, ma non possiamo dirlo a nessuno. Poco dopo sono venuti a prenderci i vigili del fuoco”. Il video dei soccorsi ha fatto il giro del mondo, ma suor Lucia non si abitua ancora agli occhi invadenti delle telecamere nei suoi luoghi di preghiera. Inevitabilmente, il terremoto ha violato anche la loro clausura. Tra calcinacci, crepe e soffitti pericolanti bisogna camminare a passo svelto in quei corridoi. Al loro terzo sopralluogo, le suore sono bravissime nel trasloco forzato: svuotano un magazzino in cinque minuti e sanno perfettamente come muoversi. Mai girare da sole. Mai avvicinarsi alle pareti rovinate. Prendere solo lo stretto necessario. Ma

quando madre Caterina avanza la richiesta “non necessarissima” di “dare acqua alle piante” è impossibile dirle di no, soprattutto dopo averla vista guardare mortificata le sue rose appassite. Gli angeli della polvere le accompagnano in ogni stanza. Un vigile del fuoco recupera la statua del Sacro Cuore, gliela chiede suor Illuminata: “Ho pensato che se avesse potuto parlare mi avrebbe detto: portami con te”. È uno sporco lavoro fatto di polvere e malinconia, ma le suore sorridono e offrono biscotti fatti da loro. Dal monastero hanno portato via anche le statuine del presepe. Le stesse di ogni anno. Per sentirsi a casa, nonostante il Natale da sfollate. Q

Madre Caterina, superiora del monastero di Sant’Antonio di Norcia, dà da mangiare a due cagnolini sfollati Quattrocolonne

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Padre Martino Siciliani: dal 1971 è il direttore dell’Osservatorio Sismico “Andrea Bina”. Tra i più antichi d’Italia, l’osservatorio è all’interno della millenaria Abbazia Benedettina di S. Pietro, a Perugia

IL BENEDETTINO CHE MISURA LO STRESS DELLA TERRA Ha dedicato la sua vita allo studio dei terremoti. Padre Martino Siciliani spiega quello che ha chiamato il “mega-sisma”

È

di

Nicola Campagnani

@N_Campagnani

una linea benedettina quella che dal terremoto delle terre native di S. Benedetto da Norcia porta all’Osservatorio sismico “Andrea Bina” di Perugia. Qui, in una cantina sotto il complesso della Basilica di S. Pietro, oscilla ancora il sismografo a pendolo inventato nel 1751 da Padre Andrea Bina, l’autore della prima pubblicazione scientifica sul terremoto. “I Benedettini hanno due scopi nella vita e il primo è lavorare” racconta Padre Martino Siciliani, direttore dell’osservatorio dal 1971, e cita in latino S. Benedetto. In questo strano museo sotterraneo (un vero e proprio bunker antisismico Quattrocolonne

intatto dal 966), tra aghi che registrano scosse dall’altra parte del globo e sembrano tracciare l’elettrocardiogramma della terra, Padre Martino spiega con pazienza il terremoto a chi glielo chiede. “Semplice – è il suo intercalare – il terremoto non è che uno stress della roccia. Le placche tettoniche non sono del tutto rigide ma si frantumano, si spezzano, si accavallano l’una all’altra”. Su uno dei lunghi fogli, accanto al punto dello spartito in cui pare veder suonare i tamburi, c’è scritto: 30/10/2016, 6:40 GMT, long. 13.11, lat. 42.84, Norcia. Magnitudo: 6.5. “Nella lunghissima struttura

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appenninica c’è un complesso sistema di faglie che tracciano il confine tra due grandi zolle: quella adriatica e quella tirrenica. Per un fenomeno di compressione della parte adriatica su questa struttura sismo-tettonica è come se la parte tirrenica scivolasse verso il Tirreno”. La spaccatura che si è prodotta sul monte Vettore mostra esattamente questo fenomeno. Padre Martino cita una lunga serie di eventi sismici, dal terremoto di Norcia del 1879 a quello dell’Aquila del 2009, per arrivare a concludere che mancava proprio il pezzo che va da Amatrice a Tolentino. “Questo tratto di Appennino non era ancora stato interessato da forti terremoti. C’è stata Amatrice e sembrava finisse lì, ma poi si è attivato anche l’ultimo settore di questa fascia, a nord di Norcia”. E pur sapendo che non è possibile fare previsioni, vuole rassicurare: “Come dissi nel 1997 potremo star tranquilli per altri vent’anni. Ora è il momento di ricostruire e ricostruire bene”. Q


NON SMETTE DI TREMARE La Valnerina fronteggia da secoli le distruzioni del sisma

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e ferite della terra non sono poi tanto diverse da quelle umane. Più sono superficiali e più provocano dolore. Lo sanno gli abitanti dell’Appennino umbro-marchigiano e del Lazio settentrionale, vittime loro malgrado di una sequenza sismica iniziata lo scorso 24 agosto con una scossa di 6.0 della scala Richter a 8 chilometri di profondità nel sottosuolo che ha causato 299 morti e la devastazione di interi centri abitati. Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto: questa la

triste cantilena ripetuta per settimane. In un primo momento l’Umbria, e in particolare la zona della Valnerina con Norcia in testa, è rimasta ai margini delle cronache: danni sì, ma niente di irreparabile. La terra però ha continuato a tremare e il 26 ottobre due sismi di magnitudo 5.4 e 5.9 hanno scosso i Monti Sibillini: l’epicentro a Castelsantangelo sul Nera, nelle Marche, a una manciata di chilometri dal confine con la nostra regione. Un “avvertimento”, potente e distruttivo, al quale è seguita la scossa Quattrocolonne

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di

GIULIA BIANCONI

@bianconi_giulia

NICOLÒ CANONICO

@nikcanonico


LA PERLA DEGLI APPENNINI IN FRANTUMI A sinistra: le macerie di Castelluccio di Norcia. Sullo sfondo il Monte Vettore

più forte degli ultimi 35 anni in Italia: la mattina del 30 ottobre, alle 7:41, un terremoto di 6.5 gradi sulla scala Richter ha squassato Norcia, facendo crollare i simboli della città, a partire dalla Basilica di San Benedetto, e ha distrutto Preci e Castelluccio, la perla degli Appennini. “La struttura che si è attivata il 30 ottobre – spiega Massimiliano Barchi, direttore del dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia – non è la stessa del sisma del 24 agosto, ma è la prosecuzione del medesimo sistema di faglie”. Buona parte delle case di Norcia è lesionata in maniera grave, ma a differenza di Amatrice non ci sono state vittime. Merito dell’accortezza dei nursini, molti dei quali dormivano già da tempo in roulotte per paura di nuovi terremoti, ma anche della prevenzione. “I danni – conferma lo stesso Barchi – sono molto significativi, ma sicuramente attenuati dai lavori di ricostruzione, miglioramento e adeguamento sismico eseguiti dopo i terremoti del ’79 e del ’97”. Migliaia gli sfollati: secondo i dati della Protezione civile aggiornati al 12 dicembre e in continua evoluzione, 1.300 sono gli assistiti nelle aree di accoglienza mentre 1.628 alloggiano presso le strutture ricettive, per un totale di 2.928 persone senza

casa. Un numero sceso già di circa mille unità rispetto a novembre, ma che non tiene conto di chi ha trovato una sistemazione autonoma. L’Umbria non è nuova a questi eventi. I sismologi hanno evidenziato quello del 30 aprile 1279, quando fu coinvolto l’Appennino umbro-marchigiano, quello del 1° dicembre 1328 in cui morirono migliaia di persone nell’area di Norcia. Proprio nella città di San Benedetto, il 14 gennaio 1703, si verificò un terremoto che gli esperti hanno stimato di un’intensità superiore a quello del 30 ottobre scorso e che provocò tra le 6 e le 9 mila

“I danni sono stati attenuati dai lavori di ricostruzione dopo i terremoti del ’79 e del ’97”

VICINO CASA La tendopoli di Norcia [in foto] sarà presto sostituita dalle prime casette in legno, richieste da molti nursini per rimanere vicini alle proprie abitazioni inagibili

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vittime. Esattamente dove si trova la faglia dell’ultimo sisma, i geologi dell’Ingv avevano scavato delle trincee negli anni 2000 scoprendo evidenze di terremoti passati, di cui l’ultimo risalente a circa 3-4mila anni fa. Non stupisce quindi che gli edifici più antichi caratteristici di questi territori presentino strutture regolari, non troppo alte e con muri importanti: le popolazioni sapevano che era necessario


costruire con determinati accorgimenti. Il terremoto non porta solo distruzione. Nei giorni successivi al sisma, lungo la strada che collega Norcia a Forca Canapine, è tornato alla luce il Torbidone, un torrente che era letteralmente scomparso alla fine degli anni Sessanta. Un fatto curioso, ma ben conosciuto dagli esperti. “La dislocazione delle rocce nel sottosuolo – conferma il geologo – modifica anche la circolazione dei fluidi, un fenomeno documentato in numerosi terremoti in tutto il mondo. Molto

spesso però la ricomparsa delle sorgenti è un evento temporaneo e di frequente si torna alla situazione precedente”. Nel corso degli anni “è sicuro che ci saranno altri terremoti in queste zone – conclude Barchi – il lato positivo è che siamo avvertiti e possiamo perciò adattare i nostri comportamenti al rischio che corriamo”. La struttura che si è attivata tra il 24 agosto e il 26 ottobre sembra averlo fatto completamente, ma è necessario essere cauti. Q

Totale assistiti in Umbria a dicembre

2928 Campello sul Clitunno Cannara

10 1

Cascia

714

Foligno

11

Monteleone di Spoleto

31

Norcia Preci Scheggino

6

Spoleto Trevi Vallo di Nera

A lato i dati forniti dalla Protezione Civile Umbria sulle persone assistite dopo il sisma

169 4

Spello

Particolare della facciata della basilica di San Benedetto (Norcia) [in foto]

1523

Sant’Anatolia di Narco Sellano

LA CITTÀ FERITA

306 6 118 2 27 Quattrocolonne

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Castelluccio di Norcia, novembre 2016. Per prevenire le infiltrazioni mafiose è stato istituito un gruppo interforze, il Gigeric, con il compito di presidiare e monitorare i territori

“TERREMO ALTA LA GUARDIA” Dalle “white list” alla struttura di missione, sono molti gli strumenti per prevenire le infiltrazioni mafiose nelle ricostruzioni

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di

Pietro Adami

@pietroadami1

l 26 settembre del 1997 l’Umbria e le Marche furono sconvolte da un terremoto di magnitudo 6.0 che, con epicentro a Colfiorito, causò undici vittime e 20.000 sfollati. Bastarono 45 giorni per dare un tetto provvisorio a oltre 3400 terremotati. Ci fu chi sostenne che quello umbro fu un modello, anche in termini di prevenzione dalle infiltrazioni delle organizzazioni criminali. Eppure sono molte le fonti autorevoli che sostengono che le mafie abbiano iniziato un processo di penetrazione capillare sul territorio umbro proprio nel periodo successivo al sisma del ‘97. Approfittando dei fiumi di risorse e denaro che arrivarono, camorra, ‘ndranQuattrocolonne

gheta e Cosa nostra iniziarono a interessarsi alla regione, come sottolinea un dossier redatto da Confesercenti e Sos Impresa: “La ricostruzione per qualcuno è stata una ghiotta occasione; ancora oggi risulta difficile districarsi nei tanti appalti e subappalti che hanno coinvolto decine di imprese, molte delle quali difficilmente identificabili”. Diciannove anni dopo alcune inchieste giudiziarie nella regione, come quella denominata “Quarto Passo”, certificano che le mafie sono ancora presenti. Ne è consapevole il commissario straordinario alla ricostruzione, Vasco Errani, nominato a settembre per gestire i difficili mesi post sisma: “A fronte dei

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molti lavori e delle molte risorse presenti per la ricostruzione, ci saranno certamente tentativi di infiltrazioni mafiose. Per questo abbiamo istituito un gruppo interforze, il Gigeric, che presidierà e monitorerà i territori”. All’interno del gruppo vi è una struttura di missione guidata dal prefetto Francesco Paolo Tronca, con il compito di sovraintendere, in collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione, all’esecuzione dei contratti pubblici e privati nel quadro della ricostruzione. Nessun’impresa potrà lavorare senza l’iscrizione alla “white list”, che certifica l’assenza di interdittive antimafia. L’attenzione da parte delle forze dell’ordine e del tessuto sociale deve rimanere comunque alta, secondo il procuratore generale di Perugia Fausto Cardella: “Nelle regioni apparentemente più sane, il rischio di infiltrazioni mafiose è maggiore. Anche se non è emerso un vero e proprio radicamento delle mafie in Umbria, bisogna tenere alta la guardia”. Cardella, che è stato procuratore a L’Aquila dopo il terremoto del 2009, sostiene la necessità di interventi più strutturali e meno emergenziali: “Servirebbe una legge quadro che disciplini la materia delle ricostruzioni. Non basta indagare a posteriori”. Q


Quanto costa la distruzione Cinquant’anni di terremoti non sono bastati: manca un piano di messa in sicurezza del territorio mentre per la ricostruzione pagheremo (almeno) fino al 2029

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ate presto. Così titolava il principale quotidiano del Sud d’Italia, Il Mattino, il 23 novembre 1980. Il terremoto che ha distrutto l’Irpinia è stato, negli ultimi cinquanta anni, il più devastante. La magnitudo arrivò a 6.9 gradi Richter (il terremoto dell’Aquila fu di 5.9); morirono 2.735 persone, 9.000 rimasero ferite e gli sfollati arrivarono a 394 mila. Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, disse che “il modo migliore per ricordare i morti è pensare ai vivi”. Da quando vennero stanziati i soldi per la ricostruzione, 33 leggi hanno assicurato la continuità dei lavori: i cittadini italiani continueranno a pa-

gare fino al 2023 un totale di 52 miliardi di euro. A partire dal 1968, quando ad essere distrutta fu la Valle del Belice in Sicilia, fino ad arrivare ai recenti eventi sisimici che hanno colpito il Centro Italia, il paese ha subìto un terremoto ogni cinque anni. Al costo inestimabile della perdita delle vite umane vanno sommate le spese immediatamente necessarie per far fronte all’emergenza; quelle da stanziare per la ricostruzione degli edifici privati e pubblici; delle infrastrutture. Un ulteriore parametro per calcolare i costi del post-terremoto, riguarda la cifra da investire per sostenere le attività economiche, fondaSandro Pertini in Irpinia il 25 novembre 1980. Il giorno successivo, con un discorso in televisione, denunciò il ritardo dei soccorsi con queste parole: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”

di

Marina de Ghantuz Cubbe @MarideGhantuz

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Cinquanta anni di terremoti MAGNITUDO 1968 Valle del Belice 6,1 1976 Friuli Venezia Giulia 6,4 1980 Irpinia 6,9 1997 Marche-Umbria 5,9 2002 Puglia-Molise 5,8 2009 Abruzzo 5,9 2012 Emilia Romagna 6,0 2016 Centro Italia 6 e 6,5

VITTIME 400 990 2.735 12 30 309 27 299

COSTO TOTALE COSTO MESSA IN SICUREzzA

SFOLLATI 70 mila 45 mila 394 mila 32 mila nessuno 60 mila 19 mila 30 mila

MILIARDI DI EURO 9,2 18,5 52,0 13,5 1,43 13,7 13,3 7,4

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mentali a mantenere vivo il tessuto sociale del territorio colpito. In cinquant’anni, il costo della ricostruzione ha superato i 123 miliardi di euro, i cittadini stanno spendendo 2 miliardi ogni anno e lo faranno almeno fino al 2029. Una cifra destinata ad aumentare. Per i danni causati dal terremoto tra agosto ed ottobre 2016 sono stati stanziati fondi fino al 2021, ma probabilmente 5 anni non basteranno per completare la ricostruzione. Inoltre, secondo il centro studi della CGIA di Mestre, gli italiani hanno pagato il doppio del dovuto: dal 1970 al 2012 sono stati introdotti 5 incrementi delle accise sui carburanti e il costo per ricostruire le sette aree colpite dai terremoti è pari a 121,6 miliardi. La cifra incassata, invece, sarebbe di 261 miliardi. L’Italia ha però un altro, grande problema: non è mai stato avviato un piano nazionale per mettere in sicurezza il paese. Se da oggi si decidesse di avviare i lavori, secondo il Consiglio Nazionale Ingegneri sarebbero necessari 93 miliardi di euro. In questa direzione prova a muoversi il recente progetto Casa Italia, guidato dal rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone e inaugurato dall’ex Presidente del consiglio Matteo Renzi dopo il terremoto che ha colpito il Centro Italia. Il piano ha lo scopo di monitorare il territorio, individuare le aree più a rischio e metterle in sicurezza. L’ultima legge di bilancio approvata, prevede che alla messa in sicurezza vadano 3 miliardi da spendere in 3 anni per finanziare le ristrutturazioni edilizie, per il contrasto al dissesto idrogeologico e

per l’edilizia scolastica. Inoltre, è stato introdotto il sismabonus: fino ad oggi gli italiani hanno speso solo 300 milioni per fare lavori di rinforzo in casa. Dal 2017, invece, per chi decide di ristrutturare l’intero edificio ci sarà un rimborso entro 5 anni. Il piano Casa Italia dovrebbe essere portato avanti per almeno 10 anni, ma è necessaria la volontà politica di continuare a finanziare la messa in sicurezza. Per il geologo del centro Nazionale delle Ricerche Mario Tozzi, la questione è strettamente legata a scelte politiche più che a questioni economiche: “La cifra necessaria per migliorare il

“Se si spende in prevenzione si risparmia Fino a 10 volte. Ma in Italia È mancata sempre la volontÀ politica”

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livello attuale di sicurezza in Italia è da 5 a 10 volte inferiore a quella necessaria per ricostruire. Lo abbiamo visto in tutto il mondo: se si spende in prevenzione si risparmia. Il problema però è politico: intervenire in prevenzione significa fare delle opere che spesso i cittadini nemmeno vedono. Avviare una grande opera di ricostruzione impegna manodopera, energie, sostanze e anche il PIL cresce. Invece, la scelta politica che è stata fatta fino ad ora è stata quella di investire in opere pubbliche che garantissero un buon risultato elettorale”. Q


Un gruppo di ricercatori umbri sta indagando sulla capacità di alcuni animali di percepire i terremoti prima delle strumentazioni. Nella foto, due potenziali sismografi piumati

Un’oca veggente ci salverà dai terremoti? A Gubbio si sta svolgendo una ricerca sulla capacità dei volatili di prevedere le scosse sismiche

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che, tacchini e galline possono percepire i terremoti prima dei sismografi? È quello che si sono chiesti i ricercatori dell’Osservatorio Meteo Sismico di Perugia e dell’associazione Blue Planet Heart, che dal 2014 monitorano il comportamento degli animali da cortile durante le scosse sismiche. Il progetto M.A.P.E.S. (Monitoraggio psicofisico negli animali alla ricerca di precursori sismici) è nato per studiare il prolungato sciame sismico che ha coinvolto la zona di Gubbio qualche anno fa. Per verificare se le leggende metropolitane sulla capacità di alcuni animali di “prevedere” i terremoti hanno qualche

fondamento scientifico, i ricercatori hanno installato telecamere a infrarossi e rilevatori di campi elettrici in un pollaio vicino a Gubbio, in prossimità della faglia che si è attivata nel 2014. I risultati sono abbastanza incoraggianti: gli animali si irrigidiscono e smettono di mangiare tre o quattro minuti prima del sisma, per poi rilassarsi a scossa finita. Dai dati raccolti sembrerebbe che i volatili siano in grado di percepire terremoti anche di lievissima entità, ma solo se si verificano vicino a loro, al massimo a cinque o sei chilometri di distanza. La ricerca non si fermerà all’Umbria: i responsabili del progetto hanno intenzione di Quattrocolonne

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estendere l’esperimento in tutta Italia per raccogliere dati più completi e dare risposte più certe sulle capacità “oracolari” dei volatili domestici. L’idea di installare un pollaio ufficiale per la previsione dei terremoti in tutte le zone a rischio sismico ha però scarse applicazioni pratiche sul piano della prevenzione: troppi pochi quattro minuti di preavviso per permettere un’evacuazione generale, anche ammettendo la possibilità di conoscere tanto bene i comportamenti degli animali da distinguere l’agitazione causata da un terremoto da una semplice manifestazione di stress. Per il momento dobbiamo rassegnarci: anche se gli animali avessero davvero la capacità di vedere e sentire cose che noi umani non possiamo percepire, questa conoscenza non ci può ancora essere trasmessa in modo utile ed efficace. Nonostante le grandi scoperte scientifiche degli ultimi anni, il terremoto rimane quello che è sempre stato: un fenomeno naturale che sconvolge l’esistenza sfuggendo a qualsiasi previsione. È per questo che fa tanta paura. Q 15 gennaio 2017

di

Chiara Sivori

@aravi25


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