Quattro colonne
SGRT Notizie
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P.
70% regime libero
– ANNO XXV n° 6 31 marzo 2016 –
AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07
Sai cosa mangi?
Dalla terra al banco Cambia la vita del nostro cibo Successi e rischi per l’agroalimentare umbro
Il ballo, elisir di lunga vita per gli anziani di Ellera pagg. 12-13
Scherma storica a Perugia dai libri al duello pag. 15
Il treno: quel non-luogo dove corrono i pensieri pag. 16
L’inchiesta
Dove nasce il made in Umbria
Una costellazione di piccoli produttori e il loro asso nella manica: il marchio di qualità. La risposta alla frammentazione? Fare rete
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uello che ci salva? il mar dica a quegli alimenti le cui particolari registrati e le 528 specialità di vini. In chio. Siamo una piccola caratteristiche qualitative dipendono es Umbria sono nove: a partire dal Pros azienda a conduzione fa senzialmente o esclusivamente dal ter ciutto di Norcia e dall’olio extravergine di oliva, fino ad arrivare alla lenticchia miliare e se non puntiamo sulla qualità ritorio in cui sono stati prodotti. Insomma, la certificazione di qua di Castelluccio e alla patata rossa di siamo finiti». Nella sua azienda agricola Giuseppina Dolci coltiva gli antichi semi lità ci dice che i frutti della terra non Colfiorito. «Perché l’Umbria è piccolissima del farro di Monteleone. Quella di Spo sono tutti uguali: l’ambiente e il clima, leto è la prima e unica varietà di farro in insieme alle tecniche di produzione ma estremamente varia», sottolinea Europa ad aver avuto il riconoscimen tramandate nel tempo, consentono di Palomba. «Pensiamo invece a regioni to del marchio DOP, che ne certifica la ottenere prodotti inimitabili al di fuori grandi come all’Emilia Romagna o alla specificità e l’unicità. Senza il “bollino” di una determinata zona geografica. «I Lombardia. La nostra, sì, è minuscola sarebbe quasi impossibile per i coltiva marchi comunitari servono per tutelare ma ogni angolo ha le sue particolarità, tori locali riuscire a portare i propri pro i produttori e i consumatori, l’unicità del la sua coltivazione». Per avere il bol lino Umbria DOP cibo umbro – spiega dotti fuori dai confini (Denominazione di Andrea Palomba del dell’Umbria. origine protetta) è la sedere regionale Qui i produttori necessario che tut Cia (Confederazione agricoli sono più di i piccoli produttori italiana agricoltori) – i prodotti ta la fase produtti dodicimila: una cos tellazione di piccole dell’agroalimentare innanzitutto perché “registrati” in Italia va avvenga entro i sono uno strumento In Umbria sono 9 confini del territorio: aziende che da sole in Umbria dalla coltivazione al forte nelle mani dei raccolgono quasi il 35 per cento del Pil regionale. Un bu coltivatori per evitare le frodi alimen confezionamento. Per ottenere invece siness da circa 6 miliardi di euro quello tari». Un’arma contro l’agropirateria un certificato IGP (Indicazione geo dell’agroalimentare in Umbria: cereali, quindi, che con un giro di affari da mi grafica protetta) basta che sia “umbro” olio e vino, ma anche salumi, formaggi lioni e milioni di euro rischia di avere un anche solo un particolare passaggio e tartufo. I colossi industriali però sono grosso impatto sull’agricoltura locale. della filiera. Per il prosciutto di Norcia pochi, e questo esercito di agricoltori e «Ma è pure una garanzia di qualità per ad esempio solo la stagionatura deve allevatori farebbe fatica a presentarsi in il consumatore che così ha la certezza essere effettuata sull’Altopiano di Santa formazione compatta sul mercato, sen di cosa mangia, grazie ai controlli di enti Scolastica, e questo basta a decretarne la sua specificità. za un sigillo che ne certifichi le peculia terzi su tutta la filiera». Ma ottenere la certificazione ha un L’Italia è prima al mondo per nu rità agli occhi di tutto il mondo. I marchi dell’Unione Europea nascono proprio mero di tipicità alimentari con le sue prezzo. E non di poco conto. «I costi per questo: per fornire una tutela giuri cinquemila eccellenze, i 265 prodotti a volte sono eccessivi – confessa Yuri
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L’inchiesta Amantini del frantoio di Spello – e la bu rocrazia è lentissima». Tra la richiesta in Regione e l’approvazione in Commis sione Ue, la quota annuale e i control li chimico-fisici condotti dagli esperti, mantenere alto lo standard qualitativo costa caro anche in termini di tempo. E una bottiglia con marchio rosso e giallo non potrà certo costare sei-sette euro al litro. Così c’è anche chi, dopo un po’, ci rinuncia e stacca il “bollino” per rius cire a rientrare nelle spese. Solo il sei per cento di tutto l’olio d’oliva prodotto in Umbria infatti è venduto come DOP, i più (per abbassare i prezzi) si acconten tano di presentarsi con l’etichetta “ex travergine”. La soluzione spesso è quella di mettersi in rete, per attutire il peso eco nomico della certificazione comunita ria. «Unirsi è fondamentale – racconta Amantini – perché da soli saremmo solo piccoli produttori con qualche centinaio di olivi. Una cooperativa di 450 coltiva Palomba della Cia. Numeri che appunto tori invece ha tutto un altro potenziale». i “piccoli” non hanno, a meno che non Alla frammentazione si risponde con riescano a creare tra loro una rete forte. consorzi, cooperative, associazioni di Una rete che però non può fermarsi categoria. Il consorzio dei produttori di solo ai produttori. Deve inglobare anche Vitellone IGP ad esem negozianti e ristora pio è uno di quelli che ha tori. Perché, per pro «Il mercato chiede muovere la qualità, è saputo meglio concen trare le risorse del ter necessario che a sa grandi numeri ritorio ponendosi come perla raccontare siano altrimenti interfaccia tra le piccole in primis coloro che aziende e la grande avranno un rapporto ti schiaccia» distribuzione. «Da sole diretto con il consuma queste sono come pal tore. A partire proprio line impazzite e ora invece il mercato dall’ultimo anello della filiera: alimentari, chiede massa critica, chiede grandi nu supermercati, ristoranti. «La narrazione meri altrimenti ti schiaccia», sottolinea del cibo è fondamentale per dare il giusto
valore alle cose. Raccontarne l’arte, la fatica, il mestiere che ci sta dietro, serve a spiegarne le difficoltà e a giustificarne il prezzo», spiega Lucio Tabarrini, proprie tario di un supermercato a San Marco (Pg) che aderisce al progetto “Good” di Confcommercio. L’obiettivo è quello di sensibilizzare il consumatore all’acquisto dei prodotti del territorio, attraverso de gustazioni e spiegazioni accurate. «In somma, noi non vendiamo solo olio – racconta ancora Amantini del frantoio di Spello – vendiamo anche la sua storia, la tradizione, una diversa cultura del cibo». Ed è questo valore aggiunto, marchio o no, a fare la differenza.
Giulia Paltrinieri
Una regione per mastri birrai? L’Umbria non è più soltanto la patria del vino. O almeno così pare. Nell’ultima edizione di “Birra dell’Anno”, il premio assegnato da Unionbirrai ai migliori birrifici dello stivale, l’Umbria è stata eletta regina nel campo delle birre artigianali: 7 medaglie, di cui 5 d’oro, e il riconoscimento per il miglior birrificio dell’anno consegnato a Fabbrica della Birra Perugia. Certo, il centro Italia non eccelle per la coltivazione di luppolo, né può vantare una tradizione come quella dei frati trappisti del Belgio. Ma una cosa è certa: nella nuova geografia birraria italiana l’Umbria, con i suoi 26 microbirrifici, cerca di puntare non ai grandi numeri ma alla qualità. Il CERB, centro di eccellenza dell’Università di Perugia, è l’unico istituto italiano di ricer-
ca sulla birra e sulle sue materie prime. Sempre qui è stato istituito anche il primo corso di laurea in Italia per diventare tecnici birrai. Ma l’arte brassicola perugina era nota già dal lontano 1875, anno della fondazione della Fabbrica della Birra: uno dei primi birrifici sorti in Italia, insieme alla Forst di Merano e alla Peroni di Roma. Il marchio, fatto rinascere da alcuni ragazzi all’inizio degli anni Duemila, è lo stesso che oggi è salito sul gradino più alto del podio di Unionbirrai. Tra i birrifici più conosciuti: Mastri birrai umbri, la birra dell’Eremo di Assisi e la Flea di Gualdo Tadino. Ma la storia più bella è quella di Nursia, prodotta niente poco di meno che dai monaci benedettini di Norcia. “Ut laetificet cor” è il loro motto: la birra fa bene allo spirito, e al cuore. 31 marzo 2016 | 3
L’inchiesta
La rivincita dei piccoli
Dal chilometro zero ai Presidi Slow Food: la filiera corta è il segreto di tante micro aziende per non essere schiacciate dal mercato di Elisa Marioni
il produttore flavio orsini raccoglie la fagiolina del trasimeno
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i sono insegnanti in pensione che amano la natura e anziane signore paffute che hanno trascorso una vita con il grembiule da cucina addosso. Ci sono ragazzi che hanno riscoperto la terra con le mani segnate dal lavoro nei campi e intere famiglie che dedica no tutto l’anno alle proprie coltivazioni. Sono loro i volti dell’altra faccia dell’a groalimentare umbro, quella che sfug ge a dati e bollini. Perché al di là del le grandi aziende e dei consorzi, c’è un mondo poco conosciuto di piccoli produttori e di aziende a conduzione familiare che utilizzano ancora i me todi di una volta e che cercano di ri tagliarsi uno spazio nel commercio monopolizzato dalla grande distribu zione. Questo spazio si chiama “eco nomia locale”. O anche “filiera corta”. Per incontrarli basta fare un salto di sabato mattina nella piazza principale di Umbertide, dove da sei anni si tiene il Mercato della Terra – l’unico in Umbria – organizzato dall’associazione no pro fit Slow Food con la collaborazione del Comune e della Cia (Confederazione italiana agricoltori). Ne esistono una cin quantina in tutto il mondo, dall’India agli Stati Uniti, ma sono diffusi soprattutto in Italia e si definiscono “luoghi d’incontro tra il produttore e il consumatore”. Dagli altri mercati, infatti, si differenziano per una caratteristica: tutti i prodotti espo sti provengono da un’azienda locale, perché vendere qualcosa di acquistato fuori regione è vietato dal disciplinare. Camminando tra i circa venti banchi di Umbertide, quindi, si sente parlare solo umbro con spiccato accento dell’Alta Valle del Tevere, in una sorta di “fiera del km zero”. Qui si trovano contadini, alle vatori e casari titolari di piccole o picco lissime aziende che si dedicano, per ne cessità o per scelta, alla vendita diretta. Fernando Palombi è uno dei veterani del Mercato della Terra. Gestisce insie me alla moglie una piccola azienda api stica con un centinaio di alveari e, se la stagione va bene, produce una ventina di quintali di miele all’anno. Una quanti tà troppo piccola per poter ambire alla grande distribuzione, ma abbastanza grande per mandare avanti la famiglia. Nella vendita diretta in azienda e nei mercati locali ha trovato la formula per fetta: saltando i vari passaggi previsti dalla filiera tradizionale è possibile ven dere un buon prodotto ad un costo giu sto sia per il produttore che per il consu matore. «Conviene a entrambi – spiega – noi stabiliamo il prezzo senza dover passare per intermediari e riusciamo a vendere un miele buono e genuino
L’inchiesta Food e oggi è conosciuta anche all’e stero». La producono solo sei aziende in Umbria ma il suo nome è ormai si nonimo di eccellenza. Da quando viene gettato il seme a quando si raccoglie, richiede cure costanti ed esclusivamen te manuali, senza prodotti chimici, tanto che tra maggio e ottobre la vita di Flavio e della sua famiglia ruota intorno a lei. «Le vacanze? Non esistono, ma questa è una beauty farm al naturale in cui si fa ginnastica in mezzo alla terra e si pren de il sole zappando». È facile immagi nare che senza usare pratiche di ma turazione forzata, come prevede Slow Food, non si possano ricavare grandi quantità, ma non è questo l’obiettivo: Il Mercato della Terra di Umbertide «Si produce poco, si selezionano le ri al Mercato, che non ha sentito la crisi, chieste e ci si accontenta di quello che si meno caro di quello dei supermercati». ma anzi si è allargato. «Se ci metti la guadagna». D’altronde, anche secondo La gente se ne accorge, si affeziona, faccia il cliente inizia a fidarsi e torna, Consigli, bisognerebbe imparare a con stabilisce un rapporto con il “venditore impara a fare spesa in modo diverso sumare poco e bene: «Siamo malati di di fiducia” e continua a comprare per e a tener conto della stagionalità». La sovraconsumo, non scordiamo che uno anni. «È un modello di commercio al gente è «stufa della verdura insipida dei mali del nostro tempo è l’obesità». ternativo in cui tutto avviene grazie al del discount». E sempre più spesso è Quello di Flavio e della sua famiglia, passaparola. Se sei serio e vendi cose disposta a spendere sorridenti nei loro abiti da sane, la gente se ne accorge e torna». quel poco in più per lavoro e con le mani spor Grazie alla filiera corta qualcuno si è «È un modello mangiare qualcosa che di terra, è un modello addirittura arricchito ed è riuscito ad in di “buono, pulito e alternativo – quasi rivolu grandire la piccola impresa di famiglia. di commercio giusto”: tre parole zionario – in un campo in Vanessa Guelfi è giovane ma gestisce alternativo che, non a caso, ri cui si va alla ricerca del un’azienda ortofrutticola che negli anni assumono la filo profitto ad ogni costo. Ma è arrivata a contare 23 ettari di terra, 15 basato sul sofia di Slow Food. “accontentarsi” è per lui dipendenti e una grande serra per colti passaparola» L’ a s s o c i a z i o n e anche una strategia im vare i pomodori, di cui va fiera: «Siamo internazionale, che prenditoriale: curare tutte tra i pochissimi in Umbria ad averla». punta a “ridare valore al cibo nel rispet le fasi della filiera dalla semina alla ven Eppure, ha scelto di non tradire i suoi to dell’ambiente e di chi lo produce”, si dita finale sembra essere l’unico modo ideali fatti di rispetto per la natura e per occupa anche della tutela di altre picco per guadagnare senza che nessuno ne chi lavora. Inizialmente lei e i suoi ge le produzioni in Umbria, tanto importanti faccia le spese, né i lavoratori né l’am nitori hanno provato a vendere ai su per la storia del territorio quanto poco biente, «che se lo tratti male poi ti pre permercati per capire, dopo pochi mesi, conosciute. Sono i cosiddetti “Presidi senta il conto». che non faceva al caso loro. La concor Slow Food”: «Progetti che si occupano renza con i prodotti a basso costo pro della conservazione di prodotti tradizio venienti dal Sud e le pratiche delle gran I Presidi Slow Food nali che rischiano di scomparire» spie di catene sono contrarie alla loro idea di In Umbria sono sette: fagiolina del Trasiga il presidente umbro Sergio Consigli. agricoltura. «Non potevamo competere meno, mazzafegato dell’Alta Valle del TeUno di loro è la fagiolina del Trasimeno, con le zucchine che vengono dal sud e vere, sedano nero di Trevi, fava cottora un legume che nasce nei campi attor costano 1 euro al chilo anche in inver dell’Amerino, roveja di Civita di Cascia, no al lago che racchiude secoli di storia no – racconta – i nostri dipendenti sono e che, con i suoi tanti cicotto di Grutti e vino santo affumicato tutti in regola e non usia colori, è anche simbolo mo prodotti chimici per dell’Alta Valle del Tevere. Sono tutti prodi una biodiversità a ri forzare le colture, quindi dotti tipici storici che hanno uno stretto schio estinzione. Fino il prezzo è necessaria rapporto con la cultura di quella zona. a 50 anni fa era il “cibo mente più alto». I super Perché è importante tuelarli? «Rapdei poveri”, usato come mercati, infatti, stabili presentano la nostra storia – spiega il fonte di sostentamento scono il prezzo finale e presidente di Slow Food Umbria Sergio e considerato tutt’altro scartano gli ortaggi con Consigli – sono buoni e sani, senza di che prelibato. L’intuizio qualche difetto, ma quel loro saremmo più poveri». I Presidi sono ne di rilanciarla è arriva la dei Guelfi «è roba sempre un’integrazione di altre produta solo nel 1998 a Fla dell’orto e si mangia così zioni aziendali ma hanno grande valore: vio Orsini, imprenditore com’è, la perfezione non «Partono dal consumo familiare e si afagricolo di Passignano: serve». Una filosofia facciano sul mercato, li aiutiamo a farsi «All’inizio mi prendeva sposata anche dai tan conoscere e spesso escono dal progetto no per pazzo, poi la fa ti clienti affezionati che fagiolina del trasimeno per prendere la loro strada». giolina è entrata in Slow continuano a servirsi
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L’inchiesta
Caro e amaro
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a signora Flavia, 69enne in pensione della frazione San Marco, si agita tra i banchi dell’ortofrutta di un noto supermercato del centro perugino. «Non tro vo il peperone friggitello, quello dolce: piace tanto a mio marito» ci dice senza mai staccare gli occhi dalle casse di verdura. Le facciamo notare un po’ timidamente che «il peperone è un prodotto estivo, è più facile trovarlo da maggio a settembre». Flavia, questa volta guardandoci con occhi semi sbarrati, mi risponde «Suv via, non scherzi: quello succedeva pri ma, oggi si trova sempre tutto». Già, ci siamo abituati ad avere ogni tipo di frutta e verdu ra in qualsiasi perio do dell’anno e le parole della pensionata perugina conferma no che a questo lus so non sappiamo né vogliamo rinunciare. E se Flavia sapesse che dietro que sta disponibilità di prodotti c’è talvolta lo sfruttamento di oltre 400mila braccianti in tutta Italia, come si comporterebbe? Riempirebbe in modo diverso il suo car rello della spesa? Ovviamente una singola scelta indivi duale non può incidere profondamente sul ciclo produttivo, occorrono controlli e regole più severe in materia di agroa limentare. Uno sforzo che alcune grandi
catene stanno cominciando a fare sulla scia del progetto “Rete del lavoro agricolo di qualità”, lanciato l’anno scorso dal Ministero per le politiche agricole: per ricevere il bollino di azienda virtuo sa, tutti i marchi dovranno superare rigi di controlli che dimostrino la regolarità di contratti e condizioni di lavoro. Nonostante alcuni tentativi di resti tuire dignità a chi la terra la coltiva, le scelte dei consumatori, nel corso del tempo, hanno fornito un alibi alla gran de distribuzione, responsabile di circa la metà delle vendite di ortofrutta in Ita lia: per accontentare il cliente, i super mercati hanno forzato i ritmi produttivi imponendo nuove regole al mondo del commercio. Uno sti le di consumo che però paghiamo a caro prezzo: quando finalmente la signora Flavia riesce a trova re la confezione di peperoni friggitelli, scopriamo che oggi sono a 5,20 euro al chilo. Un rapido controllo sul sito della mer curiale agricola del mercato di Vittoria (Ragusa), da dove i friggitelli provengo no, permette di scoprire che il 15 marzo, data di confezionamento dell’ortaggio indicata sull’etichetta, i produttori locali li hanno venduti ad un euro al chilo. Un aumento superiore al 400%, un salasso
«Non esiste più la verdura di stagione: trovo tutto in qualsiasi periodo»
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per le nostre tasche. E quello dei friggi telli non è un esempio isolato. I pomodori, ciliegini, oblunghi o datte rini che siano, sono gli ortaggi più comu ni sulle nostre tavole, nonché l’esempio più lampante della filiera sbilanciata alla base di un’ampia percentuale della produzione ortofrutticola nostrana. «I pomodori, fino a qualche anno fa, erano una verdura estiva – ricorda Flavia – oggi è più strano non averli in casa. E poi sono così buoni tutto l’anno, non mi accorgo mica della differenza». Tra i banconi, la signora prende una va schetta di datterini: 1,30€ per 250 gram mi. Allo stesso prezzo, ma al chilo, il 5 marzo i produttori li hanno venduti agli intermediari del mercato di Vittoria. La frutta e la verdura fuori stagione dei banchi dei supermercati fanno un lungo viaggio prima di passare sotto lo sguardo attento delle massaie perugi ne. «Una volta che i prodotti arrivano dal le serre e sono venduti nei nostri box – spiega Gino Puccia, presidente dei concessionari ortofrutticoli del mercato di Vittoria – noi li rivendiamo agli inter mediari, che poi li smistano ai grossi sti». Una galassia composita ricca di passaggi intermedi, durante i quali le spese di commissione richieste dalle figure della filiera si sommano al prezzo di partenza. Senza contare i trasporti, un peso commerciale molto importante
L’inchiesta per il prezzo finale a cui acquistiamo gli purtroppo spesso i sindacati sono impo tenti. Ci vogliono testimoni per provare ortaggi nei supermercati. che un bracciante non è stato pagato, e Tra Perugia e Vittoria, città in cui sor ge il più grande mercato ortofrutticolo per paura di perdere il lavoro i compa gni non denunciano. Chi si accontenta della Sicilia, ci sono oltre mille chilometri. di retribuzioni sempre più basse riesce In questo angolo di Sicilia sud–orientale a sopravvivere. E dire che il contrat vengono commercializzati ogni anno tre to stagionale prevederebbe una paga milioni di quintali di frutta e verdura che giornaliera superiore ai 50 euro In que finiscono sulle tavole italiane ed euro pee. L’80% sono pomodori. Nelle oltre sti territori un bracciante ne prende la 4mila aziende agricole della provincia di metà. I datori di lavoro si giustificano Ragusa lavorano circa 20mila braccian dicendo che i prezzi dei prodotti venduti ti, in maggioranza tunisini e romeni. Gli al mercato sono sempre più bassi. Ma stranieri sono la spina dorsale di un set l’alibi non regge. Non è ammissibile che tore che, secondo l’associazione italia la soluzione ai problemi dei produttori na delle industrie e dei prodotti alimentari, supera il miliardo di euro. Ma sono anche l’anello più debole della filiera. Ionut è un trentenne romeno che ha lavorato per anni nelle serre, raccogliendo peperoni, pomodori e melanzane. Rima sto senza lavoro, sta per pren dere un autobus che lo ripor terà in Romania. Prima, però, ha deciso di aprire una verten Una vaschetta di ciliegini di vittoria za alla CGIL. «L’agricoltore per cui lavoravo mi ha sia il peggioramento delle condizioni di fregato. Mi deve più di 3mila euro: pren lavoro. Bisogna sforzarsi di cambiare il devo 25 euro per nove ore di lavoro. modello produttivo». All’inizio mi pagava regolarmente, poi ha Secondo un rapporto CGIL, nel 2015 cominciato a darmi 50 euro a settimana l’illegalità in agricoltura ha sottratto allo promettendomi di saldare tutto entro la Stato 600 milioni di euro. Il controllo isti tuzionale spesso è mancato. A ispezioni fine del mese. Ma non è mai successo. più mirate nelle aziende dovrà aggiun Vivevo tutto il giorno in campagna, in una gersi un modello di consumo legato alle casa che il principale affittava a me e ai disponibilità del territorio: a marzo si può miei compagni di lavoro, tutti romeni». scegliere tra 21 verdure di stagione, tra «In queste zone gli abusi sono gene cui asparagi e carciofi. I pomodori pos ralizzati – dice Giuseppe Scifo, respon siamo mangiarli anche a maggio. sabile CGIL del Comune di Vittoria – e
Bella ma finta, come la mela di Biancaneve La mela di Biancaneve era bella e lucente. Eppure al primo morso l’ ingenua protagonista del film Disney cade morta. La perfezione della frutta e della verdura che si trovano sui banchi dei supermercati è il risultato di una preparazione accurata, simile a quella con cui la strega matrigna prepara il suo veleno. Solo che al posto del calderone ci sono le calibratrici. Sono macchine automatiche supertecnologiche che costano svariati milioni di euro e che solo i grossi commercianti possono permettersi. Lavano e selezionano i prodotti sulla base della dimensione, dei difetti e del colore. Alcune sono dotate di telecamere che fanno centinaia di foto al minuto. Niente di naturale, insomma.
Di Origine Controversa “Italiano DOC” così è stato chiamato un vino liofilizzato prodotto in California. Le immagini della confezione evocano le colline toscane ma quel vino di toscano non ha niente. E poi “Salametto Salami” che cerca di ricordare il salamino “cacciatore” umbro ma viene preparato in Canada. Fa effetto vedere in bella mostra nel Palazzo dei Priori di Perugia i prodotti che si travestono da italiani. Involucri con il tricolore in bella vista o nomi che evocano l’italianità senza che vi abbiano niente a che fare. È una vera e propria vetrina degli orrori quella allestita da Coldiretti Umbria in occasione della conferenza “Made in Italy agroalimentare: la giusta informazione contro le frodi”. Qualcosa che suona come italiano ma non lo è, particolarmente appetitoso agli occhi degli statunitensi o dei tedeschi. Di fatto i “falsi stranieri” non entrano nel nostro mercato interno ma determinano comunque un danno all’export del “Made in Italy”. Non è necessario andare oltreconfine per trovare delle tipicità agroalimentari della nostra penisola imitate in malo modo. E a volte sono coloro che dovrebbero preservarle che le mettono a rischio. È successo nel dicembre 2011 quando i Nas dei Carabinieri di Perugia hanno sequestrato 160 tonnellate di legumi tra il capoluogo e Nocera Umbra perché con false denominazioni di origine e potenzialmente pericolose per la salute. I Nas iniziarono le indagini sugli agricoltori locali durante le festività natalizie perché la quantità di lenticchie IGP messe in vendita sembrava superiore all’effettiva mole di produzione. I legumi dichiarati come umbri in realtà provenivano dal nord Italia. In conclusione: due aziende agricole sequestrate e cinque persone indagate. Alessia Benelli 31 marzo 2016 | 7
L’inchiesta
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Quel cibo rifiutato
La catena dello spreco: il viaggio andata e ritorno degli alimenti che gettiamo via di Valerio Penna e Giacomo Priaoreschi 8 | 31 marzo 2016
orse era pane, una mela o un avanzo di carne. Passeggiando tra le montagne di compost dell’impianto di Pietramelina, è inevitabile chie dersi da dove tragga origine tutto quel terriccio fertilizzante, nato dai rifiuti organici raccolti dalla Gesenu e destinato ai campi di piccoli e grandi agricoltori. Un processo lungo 90 giorni, suddiviso in fasi, che genera ogni anno 200 tonnel late di prodotto. «In realtà noi acceleriamo solo il pro cesso che avviene in natura – spiega l’ingegner Daniele Cecili, responsabile del polo di Pietramelina – a lavorare ve ramente sono i batteri». Ovviamente non tutto l’organico è spreco. Ma l’occhio, in questo Zabriskie point dei rifiuti, non può non cadere sulle buste di plastica ancora intatte che at tendono di entrare nel bacino di compo staggio. Lì mezza pagnotta, qui un ce spo di insalata. «Ogni tre mesi facciamo le analisi merceologiche sull’organico – racconta Cecili – apriamo il sacchetto e dividiamo tra materiali compostabili e non compostabili come vetro o plastica. E nella parte compostabile vedi che a volte ci sono ad esempio fette di pane intere, tanto che ti chiedi ‘Ma perché ha buttato via questa roba?’». La stessa domanda che ti fai dopo un tour a Perugia tra i suoi bidoni dell’immondizia. “G” verde sulla pettorina – che richiama l’inconfondibile logo del riciclaggio –, Fabio Burzigotti, la tua guida tra i rifiuti della città, lavora alla Gesenu da 33 anni. Da 15 si occupa della rac colta dell’umido (in sigla FOU, frazione organica umida). Sul camioncino, nel quartiere di Elce, ci si ferma davanti a ogni secchio. «Da quando ho iniziato – ricorda l’operatore ecologico – l’immondizia è cambiata completamente. Una volta trovavi tanto pane: chi faceva la selezione dei rifiuti, lo recuperava con un bastone uncinato, separandolo dal resto per darlo alle galline. Oggi vedi molta frutta sprecata: forse perché sba gli le quantità o magari perché la qualità è scadente e ti va a male subito. D’estate, soprattutto, è pieno di pesche e albicocche. Un giorno c’era persino un cocomero intero». I numeri sembrano confermare: se condo un sondaggio realizzato da Last Minute Market, società bolognese che si dedica al recupero dei beni invenduti, al primo posto tra i prodotti che finiscono con più facilità nel cestino ci sarebbero proprio frutta e verdura. Ma basta scen
L’inchiesta dere dal furgoncino di Burzigotti e aprire un sacchetto qualsiasi per veder sboc ciare immediatamente, tra i pannolini usati, carciofi e spicchi di arance. «C’è anche chi butta via yogurt sani e buste del latte, ma in questo caso sono soprattutto supermercati». Già, perché nella conta degli sprechi alimentari man ca ancora la grande distribuzione. «Oggi, paradossalmente, è quasi più conveniente distruggere un prodotto anziché donarlo. E questa è una cosa gravissima». Michele Simonetti, addetto stampa del centro di distribuzione PA C2000A di Ponte Felcino, non usa giri di parole. Sarà che ha lavorato nel terzo settore, ma sembra molto sensibile al tema. I primi responsabili degli sprechi, a suo dire, sono i consumatori. «Se una persona entra alle sette e mezza di sera nel nostro ipermercato, vuole il pane fre sco. Ma gran parte di quell’ultima infor nata non sarà consumata perché il gior no dopo non la puoi certo vendere, pur essendo perfettamente commestibile». La buona notizia è che quel pane non andrà buttato: finirà infatti a un’associa zione di Corciano che si occupa di ridi stribuire l’invenduto alle Caritas locali. La cattiva notizia, per Simonetti, riguar da l’eccessiva burocrazia che grava sul le donazioni di cibo. «Un punto vendita non dovrebbe essere terrorizzato da eventuali contestazioni della Finanza se dimentica di firmare un foglio o se su pera una certa quantità di denaro nelle donazioni». Chissà se la nuova legge antispreco, che si propone di semplifica re le procedure per le donazioni di cibo agli indigenti, sarà in grado di alleggerire un tale carico burocratico. Secondo l’ultima indagine dell’Osser vatorio nazionale Waste Watcher (Last Minute Market/Swg), promossa con l’I stituto Italiano Imballaggio, quasi nove consumatori italiani su dieci prediligono fare la spesa negli ipermercati, a scapito
Lavorazione del compost a Pietramelina
Nella foto Fabio Burzigotti e Stefano Rossi, addetti alla raccolta dell’organico
delle piccole botteghe, dei mercati riona li e delle salumerie (solo il 9%). E infatti anche all’ora di pranzo, l’Emi di Monteluce, è abbastanza affollato. Al frigo della carne c’è Donatella, stu dentessa di farmacia all’università di Perugia; si definisce una consumatrice attenta: «Io non butto niente, è raro, al massimo qualche verdura a fine setti mana. Ad esempio gli yogurt li mangio lo stesso anche se scaduti. Mentre seguo alla lettera la data di scadenza per quan to riguarda panna, creme o le uova». Sempre secondo Donatella «la principa le causa dello spreco è la disattenzione: non ti accorgi che alcune cose rimango no nel frigo. E comunque sprecano di più le persone che fanno grandi spese, io ne faccio più di una a settimana, a se conda delle necessità». Aurica guarda con attenzione i prezzi dei vari prodotti, in questo momento non lavora, e cerca di risparmiare dove può. «Spreco il meno possibile perché sono disoccupata, prima quando lavoravo sprecavo di più. A volte butto della car ne, il latte, uova. Se una cosa è scaduta, prima controllo se è buona e poi semmai la butto». Eppure l’indagine – che avrà la vali dazione scientifica dell’Università di Bo logna – sulla base dei primi pilot test av viati nel 2015, permette già di affermare che lo spreco di cibo domestico reale è circa il 50% superiore a quello percepito e dichiarato nei sondaggi. Altro dato interessante è quello sul packaging: l’85% dei consumatori è consapevole dell’importanza dell’imbal laggio rispetto alla conservazione o deperibilità del prodotto, per il 64% il
packaging è addirittura “indispensabile” e il 93% dichiara di scegliere il pack sulla base della sua funzionalità, oppure della possibilità di riutilizzo (90%). «Su que sto noi spesso sbagliamo». Marcello sta scegliendo la pasta sugli scaffali, con Elena, la sua compagna. «Siamo pigri, non facciamo caso alle confezioni, per noi cambia poco, basta che sia pratica, anche se sappiamo che è un ragiona mento sbagliato».
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L’inchiesta
Le mafie dell’agroalimentare tra frodi e botteghe virtuose Il rapporto Eurispes sulle associazioni mafiose evidenzia infiltrazioni nel territorio umbro. E il settore agroalimentare non è immune alla criminalità organizzata
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reati sono quelli tradizionali: usura, minaccia, estorsione, ma anche furto e abusivismo edilizio. La criminalità organizzata si insinua nell’agroalimen tare e lo fa con gli strumenti a lei propri: il lavoro nero pervade le campagne, il pizzo dei caporali affligge i braccianti, le ecomafie devastano l’ambiente. A farne le spese è la concorrenza, il libero mer cato fatto di imprenditoria onesta. Con effetti negativi sull’immagine stessa dei prodotti italiani e sulla credibilità del marchio Made in Italy. Secondo il rapporto elaborato da Eu rispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura, il business delle agromafie nel 2015 ha superato i 16 miliardi di euro. Le forze dell’ordi ne l’hanno contrastato con la chiusura di oltre mille strutture e con sequestri fino a 430 milioni. Ma secondo il pro curatore Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico dell’Osserva torio, bisognerebbe adeguare la legge ad un contesto ormai caratterizzato da «forme diffuse di criminalità organizzata che alterano la concorrenza tra le im prese ed espongono a continui pericoli la salute delle persone». Sulle etichette, ad esempio, la normativa comunitaria non è univoca: la provenienza dei pro dotti è indicata obbligatoriamente sulle uova, ma non sui formaggi e sul latte,
La lenticchia di Colfiorito
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Banco di formaggi umbri in centro a Perugia
sull’ortofrutta fresca, ma non su quella trasformata, sulla carne bovina, ma non sui prosciutti. Bisogna «tenere alta l’attenzione», dunque, anche se il rapporto Eurispes evidenzia come in Italia le notizie sulle frodi e sulla criminalità agroalimenta re vengono alla luce proprio in quanto «esiste un controllo severissimo, anche perché i consumatori possono contare sull’impegno di diversi comparti spe cializzati delle forze dell’ordine». Come il comando dei Carabinieri per la tute la della salute, che nell’ultimo anno ha condotto quasi 40 mila operazioni e ha rilevato irregolarità nel 30 per cento dei casi, tra prodotti adulterati e strutture che non rispettavano gli standard qua litativi e sanitari. Proprio da interventi mirati delle for ze di sicurezza trae origine il dato sul centro Italia: il grado di penetrazione della criminalità organizzata è partico larmente elevato in Abruzzo e in Um bria, dove Perugia raggiunge uno Ioc (Indice di organizzazione criminale) di 55,9 su 100 (Terni è a quota 30 punti). E se è vero che il calcolo si basa su di versi indicatori, tra i quali la presenza di omicidi, sequestri ed estorsioni, anche la contraffazione dei marchi ha un peso. Nella regione dell’olio e della norcineria lo spettro della frode minaccia una tradi zione secolare. «La mafia per fare affari
utilizza tutto ciò che ha grande valore economico. Quindi anche i prodotti agri coli di qualità», dice Angelo Frascarelli, docente di Economia e politica agraria all’Università di Perugia e direttore del Centro per lo sviluppo agricolo e rurale. Il meccanismo è banale: si prende un prodotto qualunque e lo si fa passare per tipico. «La normativa italiana per la produzione e il commercio alimentare è la più rigorosa al mondo. Proprio per questo, però, chi opera illegalmente ab batte la concorrenza». Così può capitare che imprenditori poco onesti prendano un olio scaden te e lo impreziosiscano con un marchio dop umbro. Lo stesso accade per il for maggio di Norcia e per la lenticchia di Colfiorito, i più contraffatti tra i prodotti. E i commercianti come fanno a difen dersi dalle frodi, proteggendo così an che i clienti? «Io vado direttamente alla fonte del prodotto – spiega Mario dal bancone della sua bottega di formag gi e salumi tipici nel centro di Perugia – senza passare per i grossisti». Per farlo bisogna conoscere i produttori, le aziende agricole eccellenti che operano sul territorio. «L’Umbria è piccola, non è impossibile farlo. Però anche chi com pra deve stare attento: a Norcia alcuni venditori girano i formaggi per non far vedere le etichette».
Giulia Presutti
L’inchiesta
Alimenti sotto sequestro Così i Nas svelano le frodi alimentari e salvano la nostra tavola
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e lo dite negli Stati Uniti potrebbe ro pensare che parlate di un can tante di musica rap, nero, musco loso e ricoperto di tatuaggi dalla testa ai piedi. In Italia però, Nas è un’altra cosa. Si tratta dei Nuclei Antisofisticazione e Sanità, un reparto molto particolare dei carabinieri. Istituiti nel 1962 hanno una caratteristica che li rende diversi da tutti gli altri uomini dell’Arma: il reparto è alla dipendenza funzionale del ministero del la Sanità. Per questa ragione gli uomini dei Nas non sono semplici carabinieri, ma veri e propri ispettori sanitari che in quanto tali possono intervenire per fare controlli di giorno e di notte in ogni risto rante, bar, o comunque in qualunque luogo vi sia produzione, consumo, de posito o vendita di alimenti. Incubo dei ristoratori meno onesti (o meno puliti) sta anche a loro controllare il rispetto delle norme igieniche previste dal sistema HACCP (quello che vedete citato su dei foglietti esposti nelle vetri ne di bar e ristoranti), sempre a loro il compito di scoprire e sventare le frodi alimentari (per i vari tipi di frode vedi il box nella pagina). Olio di semi al posto del più buono e più caro extravergine di oliva, pesci luccicanti, ma dentro pieni d’istamina pronta a causare allergie o al peggio shock anafilattici a qualche ignaro consumatore allergopatico: a impedi re tutto questo dovrebbero essere loro, i Nas. Per farlo ogni mese elaborano a livello nazionale un piano di controlli e, d’intesa con il Ministero, individuano degli obiettivi da monitorare. Poi inizia la difficile attività investigativa. Le indagini possono partire d’iniziativa propria, su segnalazione dei cittadini,
su richiesta del Ministero o dei reparti dell’Arma territoriale. «La collaborazione del cittadino è fondamentale – spiega il capitano Marco Vetrulli, comandante dei Nas di Perugia – le indagini sono molto complicate, ci sono molti documenti e bi sogna capire il meccanismo della frode, ma è ovvio che se qualcuno la segnala a quel punto basterà verificarne la veridicità». “Guardo sempre le etichette” racconta Rita, insegnante di 56 anni. Come lei, sono tanti gli italiani che hanno a cuore il problema delle contraffazioni alimentari, anche se «l’Italia non è il paese dove ci sono più irregolarità, è soltanto il paese dove i controlli sono più numerosi ed efficaci», spiega il comandate Vetrulli. «I cittadini possono dormire sonni tranquilli». I numeri in parte gli danno ragione. Il 65% dell’attività dei Nas – in un recente rapporto di Eurispes e Coldiretti – riguarda la sicurezza alimentare. Gli uomini dell’antisofisticazione, infatti, si occupano anche d’altro: dal controllo su medicinali e cosmetici alla produzio ne e distribuzione legale delle sostanze stupefacenti. Dal rapporto però è chiaro come la battaglia alle frodi alimentari sia il principale nemico: nel 2014 i controlli sono stati 37.581 con 12.430 esiti non conformi che hanno portato al sequestro di quasi diecimila tonnellate di prodotti e alla chiusura (temporanea o meno) di più di mille esercenti. Tradotto in piccioli, tra il 2014 e il 2015 sono stati fatti se questri per poco meno di 34 milioni di euro. Ma cosa significa non conformità? Nel 33% dei casi si tratta di «carenze igenicosanitarie e mancata predisposi zione delle procedure di controllo HAC
CP», solo per il 6 si tratta di «alimenti in cattivo stato di conservazione». Se si guarda ai numeri del rapporto Eurispes ci si spaventa: un controllo su tre da l’esito di non conformità. Non bisogna la sciarsi ingannare: i numeri sono gonfiati dal fatto che le indagini sono mirate, ali mentate dall’attività informativa e da una scelta selettiva degli obiettivi. «L’Umbria per quanto riguarda le irregolarità è sotto la media nazionale – dice il comandate Vetrulli – l’attenzione però rimane altissima». Negli ultimi anni i Nas di Perugia hanno sequestrato parecchi alimenti tipici del territorio della regione: dalle lenticchie di Colfiorito ricoperte da escrementi di topo, a vari capi di falsa chianina, passando per prosciutti Igp mal conservati in un salumificio d’Umbertide.
GianluCa De rOsa
Il glossario delle frodi Le frodi alimentari possono essere di due tipi: sanitarie e commerciali. Le prime possono danneggiare la salute del consumatore, le seconde invece gli arrecano solo un danno economico. Vediamo quali sono i principali casi. Contraffazione: la sostituzione totale di un alimento con un altro il cui pregio è nettamente minore. Esempio: la vendita di olio di semi spacciato per olio di oliva, oppure la vendita di margarina al posto del burro. Può accadere, inoltre, che a sostanze sane si vadano a sostituire sostanze pericolose per la salute. Adulterazione: la modificazione di componenti di un alimento per ricavarne un maggiore rientro economico, come ad esempio la vendita del latte parzialmente scremato spacciato per latte intero; in questo caso non si arrecano danni alla salute. Sofisticazione: l’aggiunta di sostanze estranee per coprire eventuali difetti e migliorare l’aspetto estetico di alimenti in realtà deteriorati; in questo caso si può arrecare danno alla salute. Alterazione: la variazione non provocata dall’uomo in modo voluto, spesso dovuta ad un’inadeguata conservazione del prodotto alimentare, tale da intaccare le su caratteristiche nutrizionali e/o organolettiche. Ovviamente tutte le frodi sono riconducibili a dei reati penali. 31 marzo 2016 | 11
Sport e tempo libero
Balla che ti passa La domenica pomeriggio trascorsa in un centro sociale per anziani. Quando la danza è più di un semplice svago di Nicola Tupputi
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olte delle sedie che circondano la pista sono vuote. Le signore non fanno in tempo a conge darsi da un cavaliere che se ne avvicina un altro. Qualche parola, a volte basta un solo cenno del capo per invitare le dame. Poco distante un tavolino con bottiglie che raccontano sapori di una volta e fanno tornare alla mente vecchi film. I racconti si somigliano, storie comuni nella loro eccezionalità. Anziani che non si accontentano di trascorrere la domenica pomeriggio sul divano a guardare la tv e che combattono solitu dine e malanni. «Ha voluto che ballassi con lui» si giustifica Giovanna, 97 anni, dopo un giro di valzer con un altro socio del centro “Antonio Cardinali” di Ellera. È con sua figlia Graziella, 62 anni: «Se non la porto qui è un guaio. Oggi non sono in forma e avrei preferito non venire. Sa cosa mi ha risposto? ‘Se non stai bene, rimani seduta’». Adelmo, 79 anni, invece non ha voluto mancare malgrado l’assenza della moglie: «Ha male alla gamba così ballo un po’ con tutte. Certo se ci fosse stata sarebbe stato meglio...». Come loro un altro centinaio di perso ne che ogni domenica pomeriggio pren dono l’autobus o si mettono alla guida
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per curare il corpo e l’anima in quattro ore. «Ballare fa bene alla circolazione e alla muscolatura, poi aiuta a conoscere nuove persone» dice Fernando, 90 anni e 130 alberi di ulivo da coltivare. Torna oggi, a un mese dalla perdita della so rella, a braccetto di sua moglie Iolanda, classe ‘37. Sono venuti in automobile perché Fernando – a dispetto dell’età – guida ancora: la patente scadrà a otto bre ma ha tutta l’intenzione di chiederne il rinnovo, l’ennesimo. I risultati delle partite di serie A sono l’unica distrazione ammessa. Qualcuno, tra un tango e un cha cha cha, ne approfitta per fare un salto nella stanza provvista di televiso re. La Juventus sta vincendo, il Napoli non ha ancora gio cato. Tra di loro c’è Giuliano, che oggi compie 66 anni e of fre spumante e dolci, squisiti. Non sa ballare perché «musica e gambe non vanno dalla stessa par te», ma a bordo pista ha conosciuto la donna che due anni fa è diventata la sua compagna: Graziella, 58 anni. La più corteggiata del centro «solo perché sono più giovane», si schermisce lei.
«Siamo entrambi vedovi. Giuliano non è geloso quando ballo con gli altri uomini, è una brava persona e di questi tempi è difficile». Graziella frequenta anche il corso di ballo del venerdì sera. Non le pesa conciliare gli impegni del centro con il lavoro, ma pensa già a quando sarà in pensione e avrà più tempo per ballare. È felice e non ha paura di dirlo: «Qui sono rinata perché ho trovato una nuova famiglia. Dopo la morte di mio marito ho passato due anni terribili. Ero depressa, tornavo a casa dopo il lavoro e trascorrevo le serate da sola». Ha avuto il coraggio di affrontare il dolore. La serenità non le è piovuta dal cielo, l’ha inseguita. «Oggi esistono spazi di socializzazione limita ti – spiega la psicologa Martina Pigliautile – e l’altro non si incontra più semplicemente andando in piazza, va cercato at tivamente uscendo e proponendosi». E mettendo a disposizione degli altri il proprio talento, come accade da 31 anni al “Cardinali”. La struttura di via Quattro giornate di Napoli è ceduta in comodato d’uso dal Comune di Corciano. Vi lavorano volontari come Marcel
«Ho trovato una nuova famiglia e sono rinata»
Sport e tempo libero la, che qui ha conosciuto il “suo” Bru no. È fiera di mostrare i lavori delle 15 donne che partecipano al laboratorio di arti manuali. Fiore all’occhiello sono i presepi, che ogni anno da Ellera arri vano in Francia, Germania e Polonia. Il centro si autofinanzia attraverso que ste e altre iniziative, come la lotteria a offerta libera. Premi in palio: uova di Pasqua e barattoli di miele. «Nessuno scopo di lucro – assi cura il presidente Giu seppe Bulletta – con i proventi della riffa, per esempio, paghiamo i musicisti. E fatturia mo ogni spesa». I soci sono esigenti in fatto di musica: «Sono diventati furbi, quando si esibisce un’orchestra che a loro non piace, non vengono. Così ci spronano a fare sempre del nostro meglio». Gli uomini indossano giacca e cra vatta. Dopo qualche ballo, però, devo no arrendersi al caldo che si fa oppri mente. Rimangono in camicia e, senza tradire insofferenza, tornano in pista. È il primo giorno di primavera. Il tempo è bello e ha convinto le donne a osare gonne e vestiti leggeri su tacchi anche alti. Capelli ben acconciati, accenno di trucco e gioielli non ostentati. L’effetto è di un’eleganza non affettata. Quando si presentano, tutti fanno precedere il cognome al nome. Tieri Adriana, sposata Ricci, è ancora più precisa. È vedova e da 25 anni balla con Armando, sposato e padre di due figlie. Lei ha 86 anni, lui è più giovane di due anni. Pochi mesi fa i carabinieri gli hanno ritirato la patente dopo che aveva urtato il cancello di casa dopo aver bevuto un bicchiere di troppo. Con alcune coppe nel palmarès, non hanno
mai frequentato corsi di danza. Sono i beniamini del centro: tutti li guardano con stupore, ammirati per quella fedel tà consumata in pista. I piedi si muo vono leggeri, si guardano a malapena. Non serve, perché l’uno sa ciò che farà l’altra. Ballano ininterrottamente per due ore. Alle 17,25 devono arrendersi alla musica che si spegne. Stefania, moglie di Bulletta e volontaria, distri buisce macedonia di frutta e gelato al limone, anch’essi squisiti. Le porzioni non sono abbon danti, qualcuno spiega al telefono (probabilmente ai figli) che non ha esagerato a causa del diabete. I signori riparano nel guarda roba e si asciugano il sudore di nasco sto. Quindici minuti esatti di pausa e poi si ricomincia. Graziella trascina al centro della pista Giuliano, ballano un lento come se intorno a loro non ci fos se nessuno. Lei è emozionata, lui pure. Ma anche molto imbarazzato. Sicuramente più estroversa è la si gnora Gina (nella foto a sinistra), 88 anni di vitalità e aneddoti. Innamorata di Nicola Di Bari («Le sue canzoni mi fanno commuovere») è sposata da 68 anni: «Purtroppo ho il marito ma non lo porto», sospira. Ogni domenica è suo figlio ad accompagnarla a Ellera e, fini te le danze, a riportarla nella sua casa di Ferro di Cavallo. Ha un profilo su Fa cebook e per 34 anni ha seguito il Pe rugia sugli spalti del “Renato Curi”, una dedizione premiata con una targa. Ora frequenta lo stadio di rado, «un paio di volte all’anno». Non c’è soltanto il ballo nella loro vita. Seguono pilates, giocano a bocce,
«Il ballo riduce il rischio di Alzheimer»
preparano pranzi sociali per 150 per sone, fanno gite (la prossima, a luglio, in Russia), partecipano a tornei di bur raco, hanno formato un coro di canto con il quale girano l’Umbria. Sono tante le passioni coltivate da questi arzilli si gnori. Interessi che li impegnano non solo fisicamente, ma anche mental mente. «Fattori protettivi rispetto alla demenza che – chiarisce ancora Pi gliautile – possono contribuire ad avere una mente più resistente agli effetti di patologie di cui l’Alzheimer è la forma più diffusa». Secondo la medicina, le persone malate che ballano una vol ta alla settimana possono ritardare la comparsa dei sintomi rispetto a chi ha una vita sociale limitata e trascorre le giornate compiendo azioni ripetitive e poco stimolanti. Questi nomi – belli perché tradizio nali e ormai rari – sono l’esempio più concreto del concetto psicologico di re silienza, oggi tanto in voga. Hanno su perato eventi traumatici riorganizzando la propria vita. Non hanno annientato la propria identità in seguito a lutti, ma lattie e depressione. Quando tutto era avverso non si sono lasciati andare e non hanno considerato l’amore un tabù, un’esclusiva dei giovani. Hanno scoperto che ballare aiuta a superare il dolore.
Protagonisti in TV Anche “Ballando con le stelle”, lo show del sabato sera di Rai1 condotto da Milly Carlucci, si è accorto che la danza non ha età. Il concorrente più in là con gli anni è Lando Buzzanca con i suoi 81 anni. La partecipazione, forse, non rimarrà nella storia della televisione: eliminato dopo la seconda puntata, ha incassato per due volte zero punti dal giudice Guillermo Mariotto. Rita Pavone, 70 anni e tanta grinta,
è la rivelazione della trasmissione. Apprezzata per umiltà e impegno, è sempre tra i migliori. Balla in coppia con Simone Di Pasquale, che nelle coreografie inserisce anche prese tecniche non semplici. Platinette (vero nome Mauro Coruzzi) è la più giovane del gruppo degli “over”. Ha 60 anni e partecipa alla trasmissione dopo aver perso 30 chili. Ha detto di voler seguire uno stile di vita più sano, anche grazie al ballo. 31 marzo 2016 | 13
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In sella alla tradizione Petrucci c’è A tu per tu col pilota della Pramac Racing «Mi ispiro ai campioni ternani del passato. A Silverstone ho realizzato un sogno» di Dario Tomassini
Danilo Petrucci, 5ª stagione in MotoGP
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ai saliscendi sulle montagne in Valnerina in sella al minicross fino al podio di Silverstone, in Inghilterra, bagnato di pioggia, lacrime e champagne di rito. È la storia di Danilo Petrucci, funambolo ternano delle due ruote, nato a Terni 25 anni fa. «Il primo ricordo che ho scolpito nella memoria è una moto. Dal giorno in cui ho capito cosa fosse ho provato a salirci sopra. A tre anni, finalmente, ci sono riuscito e ho iniziato a sfrecciare col gas sempre aperto sulla mini moto». Ora Danilo, o meglio Petrux come lo chiamano i meccanici della Pramac, fa saltare sul divano tifosi di tutto il mondo. La passione per le pieghe gliel’ha messa in testa il papà. «A casa ero circonda to da moto di ogni tipo. Il sogno di mio padre è sempre stato quello di correre, ma mia nonna era contraria. Quando ha iniziato a lavorare ha comprato il primo bolide». Petrux inizia a consumare le ginocchiere sull’asfalto a quattro anni, sulla pista per mini moto di Spoleto. L’anno dopo inizia ad arare le montagne intorno a Terni con il minicross. «In Umbria non ci sono molte strutture per questo sport. Io ho fatto scuola sui sentieri dissestati della Valnerina. Ancora oggi mi piace da pazzi il turismo e il percorso che preferi sco è quello che arriva a Polino, paese natale di mio padre». A tredici anni, Danilo salta su una moto da strada e si innamora della velocità. In Umbria, però, c’è solo un circuito per allenarsi. «A Magione ho passato tante giornate, anche se il tracciato non mi
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piace. La prima gara è stata proprio lì, anche se non mi hanno fatto correre no nostante avessi fatto la pole position al primo tentativo. L’organizzatore pretendeva che avessi comprato le gomme da lui, ma io le avevo portate da casa. Così mi ha squalificato ingiustamente». A Terni, nonostante la mancanza di strutture, c’è una grande tradizione motociclistica: è la sola città al mondo ad aver dato i natali a due campioni del mondo. Libero Liberati, nel 1957, vinse il campionato 500 con Gilera. Lo chiama vano “il cavaliere d’acciaio” perché lavorava in acciaieria. Quando non aveva i soldi per comprare la moto, i compagni di fonderia si tassarono per regalargliela e farlo correre. Il secondo è Paolo Pileri, campione del mondo 125 con Morbidelli nel 1975. «Ho avuto l’onore di conoscerlo, per me è stato un maestro. Grazie a lui mio padre ha iniziato a lavorare nel Moto mondiale». Oggi Terni si gode Danilo, il nuovo beniamino. «È bello sentire l’affetto della città, andare al bar e ascol tare la gente che dice di aver iniziato a seguire le corse per me». L’approdo al campionato più importante, la MotoGP, av viene grazie ad un team della città. È Giampiero Sacchi, ma nager di campioni de calibro di Capirossi e Biaggi, a credere in lui nel 2012. «Avevo vinto il Campionato Italiano l’anno prima e la Iodaracing mi ha voluto
come pilota per il Motomondiale. I primi tre anni ce l’ho messa tutta per rimanere a galla e finalmente è arrivato il contratto con la Pramac». Ad agosto 2015, a Silverstone, il pri mo podio, in bagarre fino all’ultima curva con l’idolo Valentino. Ma in un ambiente così competitivo creare rapporti profondi non è facile. «Vado d’accordo con tutti, ma nel paddock non si creano legami solidi. Facciamo tutti una vita particolare, con ritmi frenetici. Non abbiamo molto tempo per stare insieme e socializzare». Gli amici veri, allora, restano quelli di sempre, quelli con cui Petrux è cresciuto a Terni. «Giro il mondo e vedo posti bellissimi, ma il tempo libero lo passo a casa, con i miei familiari e i compagni di adolescenza».
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Ritorno sul campo di battaglia Le antiche tecniche di scherma riprendono vita direttamente dai volumi in cui hanno riposato per secoli
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econda metà del XVI secolo. Gli spalti sono gremiti. Uno dei duel lanti arriva (in forte di ritardo) e comincia a salutare il proprio pubblico con calore. Il suo avversario inizia a spazientirsi: ormai lo attende da parec chio. L’altro non lo degna di uno sguar do. Poi, finalmente, sembra accorgersi di lui. Lo squadra, come a dire: «Ma sei ancora qui?». Poi, si comincia. Al primo squillo di tromba, il ritardatario fa qual cosa di insolito: si lecca platealmente il guanto destro. Al secondo squillo sguai na la spada. Al terzo, carica. Per l’av versario, sorpreso e deconcentrato, non c’è scampo. Ma che vantaggio può dare leccarsi un guanto prima di combattere? «Nes suno!», esclama Leonardo Gobbini, istruttore della sede perugina della “Achille Marozzo”, la più importante associazione di scherma storica del mondo. «Nessuno, a parte spiazzare l’avversario. E funziona davvero: lo so perché lo abbiamo provato». Perché lo scopo della Marozzo è proprio questo: testare sul campo quanto appreso dagli antichi manuali dei più grandi maestri d’arme europei. Oltre all’Opera nova di Achille Ma rozzo – il precettore bolognese che dà il nome all’associazione – si studiano opere come il Flos Duellatorum (“Fiore
Un allenamento della Achille Marozzo
di battaglia”) scritto da Fiore dei Liberi, datato 1409; oppure il Manoscritto I.33, redatto alla fine del XIII secolo e noto come il più antico trattato di scherma europeo. I marozziani svolgono i loro studi su questi volumi, in qualche caso trovandoli persino in prima persona: è il caso dell’Anonimo bolognese, rin venuto per caso in una biblioteca da un iscritto in cerca di materiale per la propria tesi di medicina. «È un trattato importantissimo – sottolinea Gobbini – una sorta di anello di congiunzione tra la scuola medievale e la scherma rina scimentale. Non è di sicuro l’ultima tes sera del puzzle, d’accordo: però è una tessera bella grande». Lo studio e il raffronto delle tecniche di scherma può essere complicato: spesso i maestri scrivono in dialetto, oppure danno per scontate molte cose: ovvie per un lettore della loro epoca, molto meno per uno del XXI secolo.
Il duello del secolo Quel 26 maggio 1546 c’erano quasi tremila persone ad assistere allo scontro di Pitigliano tra il marchese del Trasimeno, Ascanio della Corgna, e Giannetto Taddei, accusato di insubordinazione. Non durò molto: Ascanio uccise il suo avversario con solo due stoccate. Taddei fu prima ferito a un braccio e poi trapassato dalla spada del marchese. Maestro d’armi, ingegnere militare e capitano di ventura, Ascanio della Corgna fu sicuramente il più forte guerriero del suo tempo: neppure aver perso l’occhio destro a 22 anni fu mai un serio ostacolo alla sua abilità in singolar tenzone. Nessuno infatti riuscì mai a batterlo in duello.
Così, provarle sul campo diventa una necessità. Le armi, di plastica o legno con manico in metallo, vengono ripro dotte fedelmente per peso e dimensioni e maneggiate come impone la tradizio ne. Una ricerca della perfezione tecnica ma anche di quella filosofica, con il per seguimento delle quattro virtù del com battente: fortitudo, celeritas, audacia e prudentia. Ossia equilibrio, rapidità, coraggio e senso della misura. Non si indossano invece armature da cavalie ri, rimpiazzate con più economiche (e più efficaci) protezioni da hockey. Sono fondamentali, perché i colpi non vanno semplicemente mimati: vanno portati con tutta la potenza necessaria. Inoltre, sembrano funzionare bene: in vent’an ni, aggiunge Leonardo Gobbini, «con siderando tutte le sedi italiane avremo chiamato le assicurazioni per un infor tunio giusto una decina di volte. Quasi meno di un circolo di scacchi». La scherma storica è lavoro mentale e fisico su se stessi unito alla riscoperta del passato; che, oltretutto, ci permette di capire quanto alcune cose, nei seco li, non siano mai cambiate. Per esem pio: nel 1500 non tutti sceglievano di duellare con la classica spada. Molti viravano su un abbinamento diverso: con una mano reggevano un lanciotto (una sorta di giavellotto); con l’altra, due lanciotti di riserva, proteggendo il brac cio con una rotella, ovvero uno scudo rotondo. In pratica, lo stile di combatti mento degli spartani.«Era un secolo di riscoperta dei classici», sorride Gobbini. «Insomma, lo si faceva solo per moda».
Marco Frongia
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La vecchia ferrovia Spoleto-norcia in un’immagine d’epoca
Il treno tra il silenzio e la lentezza Sulle rotaie i ricordi si mescolano alle immagini. Progresso permettendo
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mbria, terra di regionali veloci e di qualche intercity. Qui dove l’alta velocità non è (ancora) di casa, i lunghi viaggi non rimandano più a cronache dal sapore letterario ma a una solitudine che corre sul filo. Occhi e polpastrelli fissati su smartphone e tablet lasciano da parte i paesaggi di un tempo che scorrono imperturbabili sui finestrini carichi di colori e dettagli. A interessarsene resta una sparuta minoranza di viaggiatori. Gli altri, ca ricatore in mano e spina ben piantata nella presa elettrica, si godono, si fa per dire, il villaggio globale. Eppure il treno resta un luogo prin cipe per il pensiero, la lettura e la ri flessione. Viaggiare da soli accompa gnati dal suono delle rotaie resta una delle prime esperienze di formazione
di un giovane che lascia, anche solo per qualche ora, il tetto di casa. «Il viaggio in treno rimane un’esperienza della modernità. Qui scorrevano le im magini in movimento, prima del cine ma». A dirlo è Enrico Menduni, scritto re e documentarista, autore di Andare per treni e stazioni (Il Mulino), viaggio alla riscoperta di percorsi dimenticati. Menduni nel libro si occupa dell’i tinerario che collega Roma a Napoli ma ammette: «Avrei voluto parlare di una ferrovia che non c’è più: la Spo leto-Norcia. Essa si arrampicava con degli arditissimi tornanti fino in cima alla Valnerina e poi accanto al fiume Nera, arrivando infine a Norcia. Fu progettata da un grande ingegnere svizzero, Edwin Thomann, lo stesso che progettò la ferrovia del Gottardo.
La Spoleto-Norcia era un vero capo lavoro di ingegneria ferroviaria che fu purtroppo dismessa nel 1968. Un vero peccato. Era una di quelle tante ferro vie secondarie che furono considerate rami secchi e scioccamente buttate via. Con le sue opere d’arte e le sue fungaie sarebbe stata una risorsa turi stica, gli svizzeri hanno fatto meglio». Peccato. Il treno, intanto, vive una se conda giovinezza vincendo sui lunghi percorsi le battaglie della velocità con aereo e automobile anticipando così le previsioni di Filippo Tommaso Marinet ti che nel Manifesto del futurismo del 1909 narrava di «locomotive dall’am pio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbri gliati di tubi». Ruben Kahlun
Quattro colonne
Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini
Anno XXV numero 6 – 31 marzo 2016 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993
SGRT Notizie
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo
Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni
In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi
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