Numero 5 (1-15 marzo 2016)

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Quattro colonne

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70% regime libero

– ANNO XXV n° 5 15 marzo 2016 –

AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo

Un mondo di tesori nascosti La Primavera del FAI da Terni a Perugia In migliaia alla scoperta del patrimonio meno conosciuto dell’Umbria

Quei beni che la Provincia non riesce a sostenere pagg. 2-5

Dall’estero per sposarsi nel cuore verde d’Italia pagg. 6-7

Stefano: dalla carrozzina alle acrobazie in volo pag. 8


Primo piano Piano

Il grande spreco Ville, isole e bagni pubblici: lo sfarzo passato non risplende più Cresce la polvere sul patrimonio della Provincia di Perugia di Paolo Andreatta

A

lienazioni, aste, bandi per la gestione o per la vendita, riqualificazioni, piani di sviluppo. Il patrimonio pubblico della Provincia di Perugia ne ha viste tante. Un paziente sottoposto alle cure più svariate che, alla fine, non hanno sortito alcun effetto. 411 proprietà sparse su quasi 50 comuni: ville, castelli, parchi, scuole, palestre, grandi e piccole strutture, ristoranti, terme, un impianto sciistico e persino dei bagni pubblici. Un patrimonio di cui è difficile stimare il valore ma che, qualunque esso sia, giace in larga parte inutilizzato. E la polvere continua a depositarcisi sopra. Al primo piano di Palazzo Arienti, sede della Provincia perugina, Roberto Bertini ci fa sedere nel suo ufficio. Il vicepresidente con delega al patrimonio ci spiega la difficile situazione che si trascina ormai da anni. «Questa situazione noi la stiamo subendo», spiega Bertini. «Siamo in grande sofferezza e questo non solo ci impedisce di fare anche i più piccoli investimenti ma non ci permette di garantire neppure la semplice manutenzione dei nostri beni». Delle 411 proprietà possedute dall’ente provinciale, 81 sono scuole: asili,

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scuole materne e istituti che sorgono prevalentemente nei centri storici. Palazzi con alle spalle una storicità importante che rischia, però, di trasformarsi in un fardello insostenibile. «Arrivo proprio da una commissione sull’edilizia scolastica», ci racconta corrucciato il vicepresidente. «Per farvi capire la situazione, chiarisco subito un dato: se quest’anno ci fosse stato un inverno molto freddo, io non sono convinto che avremmo avuto le risorse necessarie per garantire il riscaldamento. Per fortuna quest’anno

«La Provincia non ha soldi, manutenzione non ce n’è. E vendere è molto difficile» è stato un inverno mite, i riscaldamenti si sono accesi poco e questo ci ha permesso di risparmiare qualcosa». Risparmio: è questa la voce principale che guida, oggi, la strategia patrimoniale degli enti pubblici delle province. Un’inversione di rotta dopo i molti anni trascorsi ad acquistare e investire su

larga scala. «Un tempo si comprava e lo si faceva senza badare a spese», racconta Bertini. Politiche che portarono all’acquisto, per fare alcuni esempi, di Villa Fidelia a Spello, stimata oggi circa 10 milioni di euro; degli impianti sciistici di Forca Canapine, al confine con le Marche e attualmente in stato di totale abbandono; o di Villa Redenta, a Spoleto, il cui valore si aggira intorno ai 14 milioni di euro. I tagli si sono acuiti con il noto decreto Delrio, a cui si deve – nascita delle Città Metropolitane a parte – la trasformazione delle province in enti di secondo livello: entità, più che enti, dalle funzioni ancora poco chiare e dal futuro incerto. Certe sono invece le cifre di un bilancio in costante contrazione. I fondi stanziati per la manutenzione del patrimonio pubblico si riducono drammaticamente negli ultimi anni: da 1 milione nel 2013 a 256 mila euro nel 2015. «Questi beni – confessa Bertini – finiscono per rappresentare un fardello. La manutenzione è un costo che non ci si può permettere. Le scuole avrebbero bisogno di un lifting, ma anche la semplice sostituzione di un vetro è un problema».


Primo piano Piano La soluzione più logica, perseguita già da alcuni anni, sarebbe la vendita di questo enorme patrimonio. Edilizia scolastica a parte, bandi e aste di vendita sono la prima strategia per «sbarazzarsi» di beni ormai troppo onerosi. Il rischio, però, è quello di svendere, rimettendoci ulteriormente. L’Isola Polvese è stata data in gestione per soli 10 mila euro. «Un appalto – precisa il vicepresidente Bertini – che ci permetterà di risparmiare fino a 50 mila euro in un anno». Vendere, però, non è così facile. Il Piano di Alienazione del biennio 20122014, con il quale la Provincia sperava di lasciare andare proprietà per un valore complessivo di 50 milioni di euro, non ha riscosso il successo sperato: a Gubbio, il ristorante “Parco Coppo”, valore 250 mila euro, non è mai stato venduto. Villa Fidelia resta ancora oggi uno dei principali problemi. Torre Certalda, base d’asta 184 mila euro, è andata deserta. Villa Redenta, a Spoleto, una delle più quotate (14 milioni), figura ancora di proprietà della Provincia. Un fallimento; e la lista potrebbe continuare. «Non si trovano acquirenti, tranne rarissimi casi – spiega Bertini – l’edilizia è in crisi, il mercato immobiliare non si muove. Vendere è difficile». Quasi un paradosso, se si pensa a come il pubblico sia stato spesso fonte di grandi affari e ripetute speculazioni. «Bisogna pensare a delle strategie, ragionare sulle singole proprietà caso per caso e capire come gestirle». Sensibilizzare i privati. Incentivare donazioni. Usare i siti internet per coinvolgere i cittadini. Stimolare eventi, incontri e matrimoni in villa. Definire una strategia di «do ut des», spiega Bertini, per coinvolgere sponsor nella manutenzione dei beni in cambio di visibilità. «Penso a

411 proprietà 81 scuole-asili 14 impianti sportivi 5 ville e parchi 1 impianto sciistico 1 bagno pubblico Fonte: Area edilizia - servizio patrimoniale, Prov. di Perugia

giar­dinieri e vivaisti. Loro potrebbero curare i giardini, ricoprendo un ruolo simile a quello di sponsor. A Villa Fidelia, per esempio, credo potrebbe funzionare». Per gli impianti di Forca Canapine, invece, di gestori all’orizzonte non se ne vedono; e la polvere continua indisturbata a ricoprire piste e seggiovie. «Una cosa positiva c’è», dice Bertini. Gli affitti. «Quest’anno per la prima volta abbiamo chiuso in attivo». Il bilancio a favore della Provincia è in attivo di 400 mila euro. La casa dove risiede oggi il prefetto frutta da sola oltre 500 mila euro

in un anno: una delle maggiori entrate della Provincia. Anche qui, però, la confusione non aiuta. Con il decreto Delrio parte delle competenze provinciali sono passate alla Regione; ma non è chiaro chi, svolgendo determinate attività, debba pagare l’affitto e chi sia legittimato a riscuoterlo. «Il laboratorio e gli uffici sismici – spiega Bertini – sono adesso di competenza della Regione, ma stanno all’interno di locali che, fino ad ora, figurano come nostri. E allora, chi deve pagare?» Nessuno lo sa.

Provincia di Perugia: dati a confronto Patrimonio immobiliare manutenzione fondi di terzi Istituti scolastici manutenzione fondi di terzi

1,1 mln 590 mila

655mila 10mila

315mila 0

Totale fondi propri Totale generale

2,1 mln 6 mln

938mila 1,9 mln

583mila 1,2 mln

2013 2014 2015

970mila 283mila 268mila 1,2 mln 0 0

Dati Ufficio Bilancio Provincia di Perugia – A fianco Roberto Bertini, vicepresidente Provincia di Perugia

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Primo piano Piano

Villa Fidelia Bella e addormentata C’

era una volta in quel dell’Umbria una Provincia talmente florida da potersi permettere di comperare una villa dalla nobile e antica memoria. Correvano gli anni Settanta del Novecento, i soldi si contavano in lire. Mettendone insieme fino a farne un gruzzoletto alto qualche decina di milioni (poco più che 170) quella che allora si faceva chiamare Amministrazione della Provincia di Perugia s’accaparrò il complesso monumentale di Spello che deve il nome al Santo Fedele celebrato nella chiesa che vi sorge. C’era una volta, e adesso non c’è più. Non si trattasse che d’una amara realtà, è così che si potrebbe far cominciare la favola su un Ente, quello perugino, il cui splendore si consumò in un tempo ormai lontano. Tra quel passato e l’età che verrà, giorni di sempre più smilze vacche. Spesi ad inventare nuovi modi d’amministrare ciò che resta a testimonianza dei suoi fasti. Con un unico obiettivo: tentare di salvarlo dall’abbandono. A volerla raccontare, la novella della Provincia di Perugia proprietaria dal 1975 della splendida Villa Fidelia, conviene partire dalla fine. Dal dibattito di queste ore sul futuro del sito storico e archeologico decretato di interesse culturale in cui la villa sonnecchia stesa nel bel mezzo di sei ettari di terreno dal verde variopinto, sfacciato simbolo d’un luogo d’incanto per antonomasia. «Stiamo ragionando su come gestirla»

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fa sapere il vicepresidente della Provincia di Perugia, Roberto Bertini. Il futuro dell’Ente è incerto, le risorse sono specie in via d’estinzione. Dar lustro a un patrimonio pubblico stimato di recente attorno ai dieci milioni di euro richiederebbe sforzi al momento inimmaginabili considerate le disponibilità economiche a disposizione, insufficienti anche per l’indispensabile. Coprire le spese di ordinaria amministrazione si fa sempre più faticoso. Tutt’altro che scontata può diventare anche l’imprescindibile presenza nella Villa della figura del giardiniere al quale affidare il compito di tenere in ordine l’erba del parco, siepi di bosso, lecci, antichi ulivi e cipressi secolari,

Secondo una recente stima, il valore di Villa Fidelia si aggira attorno ai 10 milioni di euro un giardino all’italiana e quasi sessanta limoni. «La Provincia non ha soldi, quindi non fa manutenzione» chiosa Bertini laconico riferendo dell’attuale «impossibilità» dell’Ente di occuparsi della Villa come meriterebbe. Da qui, la ricerca di una via di fuga: un’organizzazione sistematica, e non più casuale, di appuntamenti con gettoni da destinare agli interventi necessari. «L’idea è quella di gestirla direttamente, cercando – spiega – di costruirci degli eventi in cui

gli introiti vadano per la manutenzione dell’immobile». E pensare che nei quattro decenni a conduzione pubblica non sono mancati momenti felici. Occasioni per valorizzarla nati da progetti ambiziosi, a volte realizzati, altre rimasti nel cassetto. Dalla kermesse cinematografica legata alla figura del regista Michelangelo Antonioni alle sei edizioni della mostra sugli artisti umbri. Convegni e spettacoli teatrali, manifestazioni per appassionati di botanica, varietà, opera, letteratura, fotografia. Poi la grande musica di artisti in arrivo da tutto il mondo. Occasioni offerte perlopiù dalla cultura e che, a sentire un fine conoscitore del complesso della Villa come il professor Luigi Sensi, proprio a quel mondo dovrebbero ispirarsi per far sì che possa ancora risplendere della luce riflessa dalla sua lunga e meravigliosa storia: dai secoli precedenti la nascita di Cristo passando per la poetessa d’Arcadia Donna Teresa Grillo in Panfili, la principessa che nel Settecento scegliendola come dimora diede a Villa Fidelia la sua impronta, alla figlia del re d’Italia Vittorio Emanuele III, Giovanna di Savoia, il cui ricevimento di nozze con Boris III di Bulgaria si tenne nella Villa nel 1930. Ripartire da ciò che è stata, suggerisce Sensi. E trattarla per quello che è: «Un monumento di se stessa. Un bene che frutta per il solo fatto di esistere».

valentina rUsso


Primo piano Piano

Polvese L’isola che non c’era C

on buona pace di Peter Pan, stavolta non c’è bisogno di volare fino alla seconda stella a destra e poi proseguire dritti fino al mattino. Per raggiungere l’Isola Polvese, piccolo gioiello incastonato nel Lago Trasimeno, sono sufficienti pochi minuti in barca dal molo di San Feliciano, che è sicuramente molto meno romantico di spiccare il volo, ma in questo caso sicuramente più efficace. Peccato però che fino a poco fa non si conosceva il futuro di questo “grande patrimonio” (parole del vicepresidente della provincia di Perugia con delega al patrimonio Roberto Bertini) né si poteva sapere se sarebbe stata abbandonata a sé stessa o se ci si sarebbe investito. Ma andiamo avanti con ordine: nel 1973, in tempi sicuramente ben diversi da questi per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, la provincia di Perugia acquista l’Isola Polvese dal conte Citterio, che ne aveva fatto la propria riserva di caccia personale. L’idea è quella di rendere l’Isola parte del patrimonio artistico e paesaggistico della provincia, e quindi di aprirla a perugini e turisti. Nel 1995 poi, diventa un parco scientifico-didattico, a testimonianza degli investimenti fatti fino a quel momento. Arriviamo a oggi, e alle difficoltà economiche e politiche delle amministrazioni pubbliche che tutti conosciamo: che fare allora dell’Isola Polvese, e dei suoi 50mila euro di manutenzione annua? Ovvio che la provincia non ha né l’intenzione né la disponibilità di stanziare una cifra simile per l’isola. Quindi, come si fa sempre più spesso in questi casi, si corre a chiedere l’aiuto del privato. Ma

dei tanti tentativi che si sono rivelati dei buchi nell’acqua (vedi il caso Villa Fidelia o quello di Forca Canapine), il bando pubblico per l’affido della Polvese ha almeno il merito di aprire uno spiraglio per un futuro roseo sull’isola. Anche in questo caso, si è arrivati alla soluzione per gradi: la prima proposta, ad opera dell’ex presidente della provincia Marco Vinicio Guasticchi, prevedeva la trasformazione

Dopo anni di tentativi andati a vuoto, si intravede un futuro dell’isola in un parco di lusso con tanto di campi da golf. Fallimento annunciato. Poi un altro bando simile all’attuale che però non era stato giudicato appetibile ed è andato deserto. Da poche settimane, finalmente, l’Isola Polvese ha un gestore con un nome e un cognome e che dovrà attenersi fedelmente ad un capitolato, pena la revoca della concessione. Nello specifico, la Società Cooperativa

Officina Sociale Umbra (la migliore tra sette offerte), si occuperà di gestire per i prossimi sei anni i 4200 olivi dell’isola, insieme alla villa, la Piscina Porcinai, il ristorante, il castello e la Chiesa di San Giuliano. Insomma, la provincia risparmierà un bel po’ di soldi, rimettendo a disposizione della collettività un patrimonio di primo livello, grazie ad un privato che otterrà un ritorno certo a fronte di una spesa minima, viste le proporzioni del bene in palio: si parla di una spesa di 10mila euro l’anno, ma considerando che nei mesi estivi sono attesi oltre duemila turisti ogni fine settimana, parrebbe un investimento sicuro. Tutti contenti? Non proprio. Secondo gli attivisti di Legambiente, l’operazione avrebbe un grande limite: la provincia si limiterebbe a preoccuparsi della mera gestione dei servizi, senza avere una visione di sistema. Come dire, dopo questi sei anni che si fa? Difficile dirlo ora, ma intanto sull’Isola Polvese qualcosa si sta muovendo.

Francesco MariUcci

I tesori della Polvese • Chiesa di San Giuliano (XI secolo): piccola chiesa con una sola navata; • Monastero di San Secondo (X-XIV secolo): posto sulla sommità dell’isola. Sono visibili solo le mura esterne di questo complesso romanico a tre navate, con cripta e abside, originariamente occupato dai monaci olivetani; • Castello medievale (XIV secolo): rimane la cinta muraria di forma pentagonale. Più che una residenza, una vera e propria fortezza difensiva, usata soprattutto come struttura di rifugio per gli isolani; •Piscina Porcinai (1960): originariamente era una vecchia cava di arenaria, oggi recuperata. L’architetto Pietro Porcinai, incaricato dai proprietari, la famiglia Biagiotti. Il suo progetto si concretizzò in una piscina contornata da un giardino composto da piccole vasche, dette ninfei, in cui cresceva una ampia varietà di piante acquatiche. 15 marzo 2016 | 5


Storie e personaggi

In Umbria per dire «yes»

Dagli Stati Uniti alla Cina, sempre più stranieri scelgono l’Italia per il loro matrimonio di Simona Peluso

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obert e Jemma si sono sposati nella chiesetta di un borgo medievale. Valerie e Richard, per convolare a nozze, hanno scelto la sala comunale di Todi. Luisa e Amit si sono giurati amore eterno in una villa immersa nel verde. Dimitri e Nastya sono diventati marito e moglie sulle sponde del Lago Trasimeno. Dai forum, dai blog, raccontano scene dei loro matrimoni. Ai toni entusiasti alternano foto in cui si abbracciano, sorridendo, su uno sfondo di colline, muretti in pietra e campi di girasole. In primo piano ci sono loro, coppie di americani, canadesi o russi che hanno scelto di sposarsi in Umbria. «È un fenomeno di cui si inizia a parlare ora, ma che in realtà esiste da mol-

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Foto concessa dall’agenzia “sì Weddings in italy”

to tempo» precisa Julie, che i matrimoni per stranieri li organizza dal 2001. Lavora come wedding planner per i proprietari di un castello vicino Passignano. «Le sale del palazzo – spiega – si affittano solo nel periodo estivo: in quelle settimane, ogni anno, arrivano almeno una decina di coppie dall’estero. Si mettono in contatto con me e mi occupo di tutto, dalle pratiche burocratiche alla scelta dei fiori. Sono principalmente americani, che optano per l’Umbria con l’idea di fare anche una vacanza». «Il nostro lavoro, in fondo, è mirato proprio a questo tipo di nicchia» sorride Francesca Marinacci, anche lei wedding planner. «Le persone, in genere, si rivolgono a noi perché non conoscono il

Matrimonio all’italiana

el 2014 sono state 6.724 le coppie straniere che hanno scelto di sposarsi in Italia. Il numero, da allora, ha continuato a salire e il fenomeno ha cominciato ad interessare nuove zone del nostro Paese. Se il Lago di Como, la Toscana e le città d’arte restano ancora le mete favorite, nuove concorrenti si stanno facendo spazio più agguerrite che mai. Tra le new entry spiccano Puglia e Sicilia, sempre più richieste. Il numero degli ospiti, a parte rari casi, non è mai eccessivo, ma il budget a disposizione è generalmente molto alto: la spesa media è di 51mila euro per un matrimonio con 30 invitati. Il giro d’affari, a livello nazionale, sfiora i 350 milioni di euro. In Umbria ogni anno si celebrano circa 700 matrimoni di stranieri.

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territorio e hanno bisogno di un contatto. Direi che i miei clienti sono per il 40 per cento stranieri, e per un buon 50 per cento italiani di altre regioni, soprattutto del Nord, che vengono qui perché si sentono legati al territorio. Magari hanno un nonno umbro, o ci passavano le vacanze da bambini. Di sicuro amano la natura: sposarsi in Umbria, per molti, è sinonimo di sposarsi in campagna». Gli stranieri, invece, «ci confondono con la Toscana, ma alla fine si innamorano dei paesaggi – continua Francesca – Hanno le idee molto chiare su quello che cercano: piatti tipici, un casolare con giardino panoramico, lunghe tavolate all’aperto. Le mete più gettonate sono Assisi e il Lago Trasimeno: la cerimonia civile

Il mercato è altamente variabile ed è molto legato all’andamento dell’economia internazionale: gli americani continuano a guidare la classifica degli arrivi mentre i russi, un tempo molto presenti, hanno iniziato a latitare dopo la crisi del rublo. Cominciano a vedersi, invece, gli asiatici: cinesi, giapponesi, indiani, e anche qualche coppia di sudafricani e neozelandesi. Molto spesso, a scegliere questo tipo di soluzione sono sposi che vengono da due Paesi diversi. Se possono permetterselo, puntano su un «territorio neutro», magari a metà strada, per riunire i parenti. E l’Italia è sempre un’ottima soluzione per concedersi anche qualche giorno fuori.


Storie e personaggi per il viaggio di nozze. È difficile, però, che il cliente faccia questa scelta di sua spontanea volontà. Il fascino maggiore lo esercitano luoghi più famosi come Firenze, il Lago di Como, la Costiera Amalfitana. L’evento classico si svolge su tre giorni: cena di benvenuto, matrimonio, brunch di commiato». Lo scoglio maggiore? La burocrazia. Per evitarla, spiega Silvia, molte persone si sposano nel loro Paese, e vengono qui «per una cerimonia simbolica, con lo scopo di portarsi a casa splendide foto».

«Molte coppie si sono già sposate nel loro Paese, vengono per le foto e la cerimonia simbolica» «Anche quello è un mercato fiorente, con le sue nicchie e le sue mode», conferma Andrea Cittadini, fotografo di Spoleto. «I russi, ad esempio, chiedono servizi più stravaganti, con scatti in posa e set particolari. Gli americani, che seguo più spesso, vogliono il racconto, il reportage. Girando per l’Italia ho visto tanti tipi di nozze: in Umbria l’atmosfera è sempre tranquilla, romantica; a Venezia si nota subito che si ha a che fare con ricevimenti più lussuosi. Un trend in crescita è quello dei matrimoni omosessuali, con unioni simboliche e feste sfarzose. Personalmente, però, non ho mai visto cose particolarmente fuori le righe: ci sono tradizioni curiose, quello sì. Gli svedesi, ad esempio, non sono affatto ingessati come si potrebbe credere: quando lo sposo si alza per andare in bagno, tutti gli invitati uomini si precipitano a baciare

la sposa, tra le risate generali». Quel che colpisce, continua Andrea, è il fatto che alcuni stranieri riescano a portarsi dietro più di 500 invitati: «Un ricevimento del genere non potrebbe mai svolgersi in Umbria, perché mancano posti che possano fisicamente ospitare così tante persone. La regione, però, ha del potenziale e dovrebbe investire di più, per scrollarsi di dosso la fama di sorellina minore della Toscana». Le risorse su cui puntare non mancano: ogni anno, da tutta Italia, decine di sposi arrivano ad Assisi per celebrare «matrimoni francescani» all’insegna della semplicità e della spiritualità. I più romantici, invece, puntano su Terni, per scambiarsi promesse davanti a san Valentino, il patrono degi innamorati. C’è chi viene per san Benedetto, chi per santa Rita. E poiché anche l’occhio vuole la sua parte, la scelta della chiesa è influenzata spesso anche da fattori estetici. La pianta rotonda del Tempietto di san Michele Arcangelo, e le mura affrescate della Basilica di san Pietro, a Perugia, attirano sposi anche dalle regioni limitrofe. Le liste d’attesa, spesso, diventano infinite, al punto che il parroco del duomo di san Costanzo ha scelto di chiudere le porte ai forestieri. Niente fiori d’arancio nella sua chiesa per chi non è della parrocchia. Di alternative, in fondo, ce ne sono tante. E anche per chi non è cattolico l’Umbria può rivelarsi una scenografia ideale: nel 2014 la figlia di un magnate indiano si è sposata, con rito indù, nel castello di Solfagnano. Tre giorni di festeggiamenti sfrenati in puro stile Bollywood, la mecca del cinema di Bombay, accompagnati da danze e musiche. Il matrimonio francescano, evidentemente, non fa per tutti.

Foto concessa dall’agenzia “Sì Weddings in Italy”

sul pontile dell’Isola Maggiore sembra un sogno per molti sposi stranieri». Le aspettative possono essere altissime: «Una ragazza libica ci chiese di fare un sopralluogo in 35 posti. Una coppia pretendeva un menù tipico, ma totalmente vegano». «Spesso, infatti, l’interesse per un territorio specifico si combina a una scarsa conoscenza delle nostre tradizioni», commenta Irene Recupero. Dal 2011 collabora con un’agenzia che dall’Emilia Romagna organizza matrimoni per stranieri (soprattutto americani) in tutta Italia. «A volte ci ritroviamo a fare un po’ da interpreti tra due culture diverse. Per gli anglosassoni, ad esempio, festeggiare significa bere, per gli italiani mangiare. È difficile spiegare questa differenza e far capire che per noi un’insalata non è una portata da pranzo di nozze. Gli sposi vogliono vivere un’esperienza all’italiana e la sfida sta nel coniugare le loro usanze e la nostra cultura». Molte coppie, infatti, fanno una scelta del genere solo per imitare le star: «C’è chi afferma senza problemi che vuole sposarsi in Italia perché lo ha fatto Geor­ge Clooney – racconta Irene – alcuni scelgono dalle foto il luogo del ricevimento, e ci mettono piede per la prima volta il giorno delle nozze». La lista dei desideri è sempre la stessa: «Vogliono un posto con una bella vista dove far soggiornare tutti gli ospiti. Un tempo anche la classe media poteva permettersi un evento del genere: anni fa – racconta Irene – organizzavamo i matrimoni di interi studi di avvocati irlandesi. Il passaparola, mai come in questi casi, è fondamentale, i nostri paesaggi fanno il resto. Oggi quel tipo di clientela è praticamente sparita e il mercato si è molto polarizzato: da una parte ci sono coppie con budget altissimi, dall’altra giovani sposi che puntano a risparmiare. A loro, spesso, proponiamo l’Umbria, come alternativa più economica e meno conosciuta alla Toscana. Alla fine, ne restano tutti incantati». «Con una strategia simile riusciamo a intercettare anche coppie che inizialmente vorrebbero optare per Roma», aggiunge Silvia Todin, titolare di un’agenzia di Marsciano. «Una cerimonia civile di mezz’ora, in Campidoglio, costa 1500 euro. Gli spostamenti nella capitale, poi, sono complicati. I palazzi comunali in Umbria sono decisamente più abbordabili, oltre che splendidi. E chi vuole può spostarsi facilmente a Roma

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Storie e personaggi

Nonostante tutto, io volo

L

un normodotato. Dopo poco ho effettuaa struttura alare del calabrone, in to anche il primo volo con passeggero: relazione al suo peso, non è adatta grande responsabilità e immensa emoal volo, ma lui non lo sa e vola lo zione». stesso. Stefano Zuccarini è un calabroMa per Stefano non era ancora abbane. Anzi no. È un uomo, un avvocato, stanza: nel sangue il gene dell’agonismo, un ex-arrampicatore e anche un disabiche lo faceva correre in moto e scalare le le (dal 1991 in seguito ad un incidente montagne prima dell’incidente, portava motociclistico che gli ha compromesso il suo desiderio ancora più in alto. Il sol’uso delle gambe). Quando, nel 1993, gno erano le acrobazie in aria: discese si presentò all’aeronautica militare per ardite in picchiata e risalite alla massima fare la visita di idoneità psico-fisica che velocità, cioè serviva per ottenere il «Quando decollo, le figure artistibrevetto di volo, i medici che che disestrabuzzarono gli occhi: continuo a vedere la gnano in cielo non avevano mai avuto carrozzina sulla pista, forme perfette. a che fare con un disaInsomma, fare bile prima. Ma dopo 12 poi me ne distacco come le Frecore di consulto decreanche con la mente. ce Tricolori, ma tarono il “sì”: «Erano con un mezzo abituati ad escludere i E allora sono libero» sportivo molto candidati per un capello più piccolo: «Nel 2008, alla Giornata azfuori posto. Alla fine però hanno capito zura di Pratica di mare, ci sono riuscito: e abbiamo formulato il giudizio insieme». dopo il rombo dei caccia ho fatto il mio Così il cinquantaduenne folignate è intermezzo acrobatico davanti a migliaia stato il primo disabile italiano ad avere di persone in silenzio. Lì mi sono sentito il permesso di manovrare un aliante, nel un pilota vero». 1996, dopo tre anni di addestramento: Ma che cosa significa sentirsi un pilo«Abbiamo dovuto modificare un aliante ta vero? Concentrazione, dominio della per renderlo adatto ad essere guidato paura e delle pulsioni «perché lassù l’acsenza pedali, e ho accumulato le ore di celerazione sballota e fa perdere i punti esercitazione necessarie. Poi c’è stata di riferimento». Tutto sta nell’allenamenla fase di omologazione per verificare se to e nel controllare l’aereo guardandolo l’uomo e la macchina insieme funzionacome se si fosse all’esterno: una sensavano». E la realtà ha dimostrato che il zione difficile da spiegare anche perché connubio era perfetto: «Alla guida di un «nessuna emozione sulla terra si avviciaereo non c’è alcuna differenza tra me e

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È l’unico disabile al mondo abilitato a fare acrobazie con un aliante La storia di Stefano di Maria Teresa Santaguida na nemmeno lontanamente a quelle che si provano a 250 chilometri orari in cielo» e Stefano è pronto a giurarlo. In questa storia eccezionale c’è più di un paradosso. Il primo è che Zuccarini, l’avvocato, le barriere le ha abbattute in aria ma non sulla terra, perché i tribunali dove lavora ne hanno ancora ad ogni angolo. Poi c’è l’attuale assenza in Italia di un velivolo con le modifiche adatte, dopo che l’ultimo si è distrutto in un incidente. E così Stefano, il pilota, non può gareggiare da due anni. Infine l’impossibilità di partecipare alle competizioni di categoria massima, la Unlimited, dopo aver già vinto molto in quelle inferiori (secondo posto ai campionati italiani Promozione nel 1998, dietro l’amico e maestro «imbattibile» Pietro Filippini). Ci vogliono settantamila euro e una casa produttrice che fabbrichi adattamenti per aerei più potenti: «Una cifra fuori dalla mia portata. Sarei pronto a tutto pur di prenderne uno in mano». Ma c’è anche un paradosso positivo: da disabile Stefano ha raggiunto vette che da normodotato non immaginava nemmeno: «Non mi sono arreso a guardare le cose “ad altezza carrozzina” e volare mi ha dato una fiducia in me stesso che prima non avevo». Proprio come il paradosso del calabrone: in realtà per spiegare il suo volo c’è solo bisogno di modelli matematici più complessi. Di adattamenti. Questo Stefano lo sa. E infatti vola lo stesso.


Storie e personaggi

I ragazzi di Osaka Suguru Kawamura arrivò a Perugia inseguendo Nakata: con una società fa vivere il nostro calcio a giovani talenti

I giovani dell’Osaka Sport Network a San Siro per Milan-Udinese

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igatoni alla norcina: Suguru per vivere un’esperienza calcistica tutKawamura, quando era “un ta italiana. Solo in questa stagione ne giapponese a Perugia”, ne era sono atterrate otto. «In linea di massima – spiega Pozzo ghiottissimo. Ogni domenica partiva per Roma, destinazione stadio Olimpico, – diciamo che stanno qui una settimaper studiare – indifferentemente – i gial- na, disputando ogni giorno allenamenti lorossi o la Lazio. Nel thermos da aprire e partite. Nel weekend si va a vedere sui gradoni, senza alternative, l’intingo- una sfida di serie A: di solito quelle di lo made in Umbria a base di panna e Milan e Inter, le loro squadre preferite grazie a Honda e Nagatomo. Giriamo salsiccia. Sono gli anni di Hide Nakata: il secon- l’Italia e ci appoggiamo nei centri sportido giapponese del nostro calcio, forse vi delle società più importanti: se siamo ancora il più famoso. Kawamura, inse- al Nord spesso a Novara, ma quando guendo le sue tracce, il resto della set- è possibile facciamo scoprir loro anche la nostra Umbria. Ma timana allena i giova«In questa stagione non solo: il prossimo ni del Montemorcino (dove anche il presisono atterrate otto stage sarà a Venezia». dente è suo connaziosquadre: vengono Kawamura è il col­ nale). Rimarrà in Italia per tre anni: il primo da noi per scoprire lettore nippo-umbro che ha messo insienipponico a consela nostra cultura, me questi due mondi. guire il patentino da non solo calcistica» «Ero all’ultimo anno allenatore di base nel di liceo, fisicamente nostro paese. Michele Pozzo ha 23 anni, è perugi- sui banchi di scuola. La settimana dopo no di via dei Priori e studia Giurispru- – ricorda Pozzo – sono stato chiamato denza. Nel 2003 era uno dei “ragazzi” per accompagnare 52 ragazze giappodi Kawamura. Insieme a lui, e con altri nesi che avevano poco meno della mia otto soci di Perugia, ha aperto il filone età, e venivano in Italia per capire la nod’oro giapponese del turismo pallo- stra realtà dal punto di vista calcistico, naro: squadre del posto, da Osaka a culturale, culinario». «Ho conosciuto Suguru a undici anni. Kyoto (giovanili e professionistiche, maschili e femminili), si affidano a loro Venne in Italia con tre o quattro suoi

amici, e per noi ragazzi fu sorprendente. Avevamo modo – continua Pozzo – di confrontarci con quattro trentenni, giocatori di medio livello, persone di calcio. Tra loro e le famiglie, sia la mia che quelle dei miei compagni, si è instaurato subito un bel gruppo». Mister Kawamura torna in Giappone ma resta nell’ambiente calcistico. Coltiva nuovi contatti, aggiunge quelli che ha già in Italia. L’idea: proporre ad altre persone di vivere, proprio come lui, un’esperienza nel calcio italiano. Torna a Perugia come semplice accompagnatore dei vari gruppi. Ma l’attività cresce e nasce una società vera e propria. Anzi due: la sua, in Giappone, e la “filiale” perugina. Ancora Pozzo: «Abbiamo creato una società di capitali vera e propria, la “Sports Events Society”. Siamo in nove, tra cui il mio professore di Diritto Costituzionale. Amici che a vario titolo avevano già avuto contatti con il Giappone, o gli stessi miei o altri». Dopo qualche anno il bilancio è positivo, non solo in termini economici. A Perugia la società ha organizzato una raccolta fondi per la città di Sendai dopo il sisma del 2011, con una partita di calcio tra vecchie glorie e la firma di un patto d’amicizia tra le due città. E gli orizzonti si allargano: dal calciomercato allo sbarco di allenatori italiani in Giappone, aprendo il mercato anche a Emirati Arabi e Cina. Ma senza dimenticare la promozione dell’Umbria. «I giapponesi – dice Pozzo – sono colpiti dalla nostra regione. Apprezzano il lago Trasimeno, i monumenti, le città che hanno avuto il modo di visitare. Soprattutto i più grandi ricordano con interesse Perugia data la presenza di Nakata. Inoltre Suguru è una sicurezza anche per il cibo... L’ultima volta che eravamo a Perugia ha “costretto” tutti a mangiare la Norcina!». Michele Pozzo, da ragazzo, aveva un allenatore giapponese. È stata la svolta della sua vita. «La mia è un’esperienza da studente-lavoratore, per forza diversa da quella dei miei coetanei. Ai loro occhi è strano, nelle foto mi vedono sempre in giro, circondato da giapponesi... Il lavoro mi ha responsabilizzato, mi ha fatto crescere fin da subito, ha aperto la mia mente a nuove culture. Vorrei continuare in questo campo. Nel frattempo... mi impegno per finire l’università».

Alessandro Salveti

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Storie e personaggi

L’avamposto di Perugia

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Fratticiola Selvatica è l’ultima frazione del capoluogo umbro Una storia plurimillenaria e un presente fatto di giovani di Alice Bellincioni

hi vive a Fratticiola Selvatica e non ha la macchina, deve alzarsi presto per raggiungere Perugia: i due autobus diretti sono alle 6.50 e alle 7.10 del mattino. Chi guida, invece, deve affrontare una strada impervia. Esentati solo i pochissimi che ancora lavorano in paese, dove a risiedere sono però oltre cinquecento. «Il paese è diventato più che altro un dormitorio», scherzano al bar, dove però assicurano che d’estate il borgo si ripopola: i pellegrini di passaggio, i turisti stranieri ospiti degli agriturismi circostanti e gli ex fratticiolesi legati alla terra natale, tra cui Franco Moriconi, il rettore dell’Università di Perugia. L’orgoglio degli abitanti è palpabile e giustificato da un passato plurimillenario, che da solo racconta tanto della storia dell’Umbria. Un fermaglio in bronzo ne fa risalire l’origine al VI secolo a.C. Un tempo chiamato Fratta, cioè zona di rovi e di sterpi, il borgo venne ribattezzato Fratticiola Codicesca dai Longobardi, per poi assumere l’aggettivo Selvatica, a indicare i boschi che lo circondano. A 700 metri di altitudine, dal paese si vedono Assisi, Perugia e Gubbio. Una visuale privilegiata, che l’ha reso un luogo strategico. Ancora oggi linea di confine tra il capoluogo umbro e il comune di Gubbio, nel Medioevo divenne un castello fortificato, grazie a cui Perugia poteva difendersi dal potente vicino. Quando poi nel ‘400, durante la guerra con il Papato, l’avamposto venne distrutto, la città offrì esenzioni dalle tasse per le persone che lo ripopolavano.

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Oggi il Comune, nell’amministrazione della sua ultima frazione, delega molto alla Pro Loco locale: l’associazione cura l’area verde e quella sportiva, organizza tutti gli eventi di promozione del territorio e gestisce il Centro di vita associativa (CVA), vale a dire l’edificio dell’amministrazione locale decentrata. Insomma, chi presiede la Pro Loco è una sorta di sindaco della frazione. E a Fratticiola il primo cittadino è più giovane di quello di Perugia: si tratta di Giacomo Passeri, classe 1986. È stato eletto poco più di un anno fa, quando all’associazione c’è stato un vero e proprio ricambio generazionale: dei 15 membri del comitato direttivo, 12 sono nuovi, con un’età media di 30 anni. La stessa di don Francesco, dall’anno scorso sacerdote di Fraticciola e di altri tre paesi a cui è unificata in una macro-parrocchia. Il grande timore tra gli abitanti è che possa succedere lo stesso alla scuola elementare. A frequentarla sono rimasti 20 bambini, divisi in due pluriclassi. Quando il tetto dell’istituto è stato rifatto, dovevano essere trasferiti alla scuola di Piccione. «Io non mi fiderei a mandare mia nipotina sola con il pullmino», racconta una nonna del paese. Un sentimento condiviso, tanto che – anche se il trasferimento doveva durare solo il tempo dei lavori – nel borgo hanno preferito essere prudenti: hanno attrezzato il CVA e spostato lì le lezioni. Il futuro è incerto, anche perché di bambini ne nascono sempre meno: l’ultimo poche settimane fa, dopo più di un anno senza fiocchi.

Chissà che spetti proprio a lui raccogliere l’eredità di Gino Ambrogi: a quasi 80 anni è rimasto l’unico a saper fare la cotta del carbone, il momento più significativo della sagra del paese, dedicata alle tradizioni montanare. Insieme al taglio e al commercio della legna, la produzione del carbone era, fino a qualche decennio fa, la principale attività. Per il signor Ambrogi non è mai stato un lavoro: ha imparato a fare la cotta da un vecchio carbonaio della zona e da 20 anni si offre per tenere viva la tradizione in occasione della festa. Lavora alla cotta giorno e notte, per un’intera settimana. Non chiude occhio: sonnecchia in macchina al massimo per mezzora, perché «la fiamma non deve scappa’ fuori». Figlio e nipoti gli danno una mano di tanto in tanto, ma non potrebbero essere autonomi. «Me comincio a stanca’», confessa Gino Ambrogi. I giovani di Fraticciola Selvatica sono avvisati.

La “cotta del carbone” alla sagra di Fratticiola


Storie e personaggi

Professione ventriloquo A lanciarlo è stato lo show televisivo “Italia’s got Talent”. Oggi Nicola Pesaresi ha trasformato il suo hobby in lavoro e gira l’Italia con i suoi spettacoli

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ono ormai quasi cinque anni che fa il ventriloquo di professione e gira per le piazze italiane con i suoi spettacoli, intrattenendo adulti e bambini. Nicola Pesaresi, classe 1979, è nato a Foligno e continua a vivere in Umbria, nonostante il suo lavoro lo costringa a spostarsi continuamente. Il suo esordio come ventriloquo, da quel che dice, è stato del tutto casuale: «Mio padre faceva l’attore, quindi è stato quasi naturale che mi avvicinassi al teatro. Ho iniziato a 18 anni e sono diventato insegnante. Facevo dei laboratori scolastici, anche per i bambini. E ho cominciato a introdurre il pupazzo nella didattica: a fine lezione organizzavo uno spettacolino anche di soli dieci minuti, per divertire i bambini. E ho visto una reazione spaventosa. Quello che facevo li divertiva davvero. Da lì ho cominciato a studiare l’utilizzo del pupazzo e le tecniche di ventriloquia, per arrivare poi a registrare un video che ho messo online». È stato quel video che lo ha lanciato. «Mi hanno chiamato da Mediaset per chiedermi se volevo registrare una puntata di Italia’s got Talent e lì è iniziato tutto». Nello show, all’epoca su Canale 5, Pesaresi è arrivato in semifinale. E tanto è bastato per cambiare vita: «Da quel momento ho cominciato a fare il ventriloquo di professione. Sono passato dal teatro di prosa al cabaret». Ma si può diventare ventriloqui per caso? Non è necessaria un’attitudine alla tecnica che sembra impossibile da apprendere? «Io dico sempre che è un po’ come cantare – spiega Pesaresi – tutti abbiamo un apparato che ci permette di emettere suoni con la bocca socchiusa (mai del tutto chiusa!). Però c’è chi ci riesce bene ed ha consapevolezza del suono, e c’è chi fatica di più. È un po’ come il canto: tutti possiamo cantare, ma c’è quello che con duemila lezioni non becca una nota e c’è quello che sotto la doccia è un fenomeno».

Quello che è fondamentale è dunque la tecnica: «Con le riprese televisive non è più come ai tempi di Rockfeller (un pupazzo animato da José Luis Moreno, molto popolare negli anni Ottanta, ndr ndr), quando venivano inquadrati a turno il pupazzo e il ventriloquo. Oggi è abbastanza difficile ingannare il pubblico sulla tecnica. O ce l’hai o non ce l’hai. Al di là di questo è necessaria una capacità totale di interazione con il pubblico. Perché nell’avanspettacolo, nel cabaret

«Oggi è difficile ingannare il pubblico sulla tecnica O ce l’hai o non ce l’hai»

specialmente, quello che fa la differenza è proprio l’abilità nell’improvvisare e nel creare situazioni nuove ogni volta». In questo modo lo spettacolo di ventriloquia non solo conquista i bambini, ma appassiona anche gli adulti. «Nello show esistono più livelli – spiega Pesaresi – e io mi adatto al pubblico che mi trovo davanti. Negli spettacoli in piazza cerco di utilizzare sempre un linguaggio pulito, perché in questo modo gli adulti vedono un discorso tecnico e cabarettistico che piace. I bambini chiaramente sono magnetizzati dal pupazzo. Poiché so che il mio show con i più piccoli funziona alla grande, lavoro sul pubblico che devo ancora conquistare, quello dei grandi». Al momento Nicola Pesaresi ha in cantiere diversi progetti per l’estate. Parteciperà ad un festival in Sardegna e a uno nelle Marche. Ma la sua casa resta in Umbria, nonostante tutto: «Vivere qui un po’ mi limita, nel senso che spesso mi trovo fuori per i miei spettacoli, e lì mi sento dire che se vivessi in una grande città mi farebbero lavorare anche cinque giorni a settimana. Però dipende da quello che uno vuole fare. In ogni caso, quando si tratta di andare fuori sono sempre pronto, trovo chi mi ospita e faccio la trasferta senza problemi».

nicoletta soave

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Cultura

Fatti Amare Italia

Le giornate di Primavera del FAI Dal Bosco di San Francesco a Palazzo Baldeschi, passando per Villa del Colle del Cardinale Ecco i tesori nascosti dell’Umbria di Davide Giuliani, Maria Giovanna La Porta e Lorenza Sbroma

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romuovere la cultura rispettando la natura, l’arte e la storia d’Italia per preservare il patrimonio in cui affondano le nostre radici e la nostra identità. È questa la missione del FAI (Fondo Ambiente Italiano), associazione senza scopo di lucro che dal 1975 salva, restaura e apre al pubblico decine di siti artistici e naturali presenti sul territorio italiano. Da diversi anni il FAI organizza alcune campagne rispettando la propria missione. Come le Giornate FAI di primavera, manifestazioni che dal 1992 offrono la possibilità di visitare beni italiani di interesse culturale e naturalistico normalmente chiusi al pubblico. Quest’anno, il 19 e 20 marzo, l’associazione ha riproposto questo evento. Chiese, ville, borghi, palazzi, aree archeologiche, castelli, giardini, archivi storici: sono oltre 900 i luoghi aperti con visite a contributo libero in tutta Italia; di questi 46 solo in Umbria. «Il bilancio delle Giornate di primavera di quest’anno è certamente positivo, grazie anche al caldo e ai tanti visitatori» ha affermato l’avvocato Ines Coaccioli, presidente della delegazione Umbria del FAI. «I dati sono ancora parziali, ma per ora l’Umbria ha avuto 23.550 visitatori; un vero successo se confrontato ai 19.000 dell’anno scorso. I luoghi più visti? Villa Colle del Cardinale con 5.500 ingressi registrati; Villa Morandi di Giuseppe a Terni, vicino alla cascata delle Marmore, con 2.000 visitatori; Palazzo Pongelli a Todi con 3.000 visitatori». A sorprendere è stata soprattutto la partecipazione dei giovani agli eventi, grazie anche alla costante collaborazione del FAI con scuole e università. Un ragazzo di un liceo di Orvieto ha composto una melodia al pianoforte dedicata alle giornate di primavera. Una sensibilità per l’ambiente e i beni culturali italiani che la presidente della delegazione umbra vede positivamente: «Il successo di questi eventi è dato dal fatto che le persone possono finalmente entrare in luoghi che durante l’anno sono sempre chiusi. Posti che raccontano la nostra storia, scrigni di bellezze. Il pubblico è stato magnifico: è stata una festa per tutti, perché tutti potevano apprezzare e scoprire dei beni della collettività».


Cultura

Fratello bosco

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essantaquattro ettari, oltre ottocento anni di storia, quattro chilometri di sentieri immersi nel verde; il tutto nel cuore di Assisi. È il Bosco di San Francesco, area che si estende ai piedi della Basilica e che, nelle intenzioni dei responsabili, costituisce «un vero e proprio cammino interiore» con un obiettivo preciso: «Scoprire il messaggio di perfetta armonia tra uomo e creato che il Poverello insegnò al mondo proprio a partire dai colli assisani». Aperto per la prima volta cinque anni fa, il Bosco venne donato da Intesa Sanpaolo al Fondo Ambiente Italiano nel 2008. E proprio il FAI è stato in prima linea negli interventi di restauro, che proseguono anche oggi: «Finora ci siamo occupati dei punti più importanti», spiega Luca Chiarini, Property manager del sito. «Per ultimare i lavori, però, occorreranno altri quindici anni». Tempi legati da un lato alla vastità dell’area e dall’altro alla tipologia dell’intervento. «Il restauro paesaggistico che stiamo eseguendo – prosegue Chiarini – necessita l’integrazione tra la parte più naturalistica e tutti gli insediamenti umani che nei secoli la hanno modificata, come nel nostro caso è successo con i sentieri». Il FAI, però, non è l’unico proprietario del parco; il primo tratto infatti, che si estende fino alle antiche mura medievali della città, appartiene ai frati del Sacro Convento. Una divisione che ricalca quella medievale esistita per anni tra i terreni dei francescani e quelli dei benedettini, che proprio a fondovalle

avevano il proprio monastero di Santa Croce. «Il rapporto tra i due diversi ordini è importante per comprendere la natura del Bosco», spiega Chiarini. I seguaci di Benedetto, fedeli alla regola ora et labora, coltivavano il terreno e lo sfruttavano per ottenerne legna da vendere; i francescani invece, in quanto ordine mendicante, vivevano di elemosina e non avevano questo approccio produttivo nei confronti della natura. «Essa aveva per loro un aspetto esclusivamente meditativo; permetteva di entrare in rapporto con Dio. Così, se i primi trasformavano il paesaggio con un’attività di taglio e di piantumazione, i secondi si lasciavano alle spalle un ambiente forestale molto vicino alla sua forma originaria e ricco di varietà arboree».

Oggi come allora, spiegano i volontari, la coltivazione del bosco ceduo si ha solo nella zona di diretta proprietà del FAI: «Abbiamo ricominciato la ciclicità dei tagli, così da avere un bosco abbastanza giovane, ma soprattutto molto curato. Allo stesso modo abbiamo oltre settecento piante di ulivo, grazie alle quali produciamo l’olio di San Francesco». Il Bosco, però, non si limita solo ai carpini, agli aceri e alle querce roverelle. Arrivati al monastero di Santa Croce, infatti, si scoprono la piccola chiesa originaria del XIII secolo, un mulino e i resti di un ospedale. Da qui, poi, si può intraprendere un secondo percorso a piedi che conduce al “Terzo Paradiso”,

«Il nostro obiettivo? Un cammino interiore verso l’armonia tra uomo e creato cara a Francesco» l’opera di Land Art firmata da Michelangelo Pistoletto: un’area percorribile di 3.000 metri quadrati con 160 ulivi che formano tre cerchi consecutivi. A spiegarne il significato è stato più volte lo stesso artista biellese: «Qui si ritrova l’armonia originaria tra uomo e natura, nata nel paradiso terrestre, il primo, e cancellata nel secondo – finto – paradiso fatto da piaceri artificiali, che caratterizza la società attuale». Una chiusura perfetta, quindi, per il messaggio che gli ideatori del Bosco vogliono trasmettere al pubblico.

Il Bosco di San Francesco, 64 ettari di natura ai piedi della Basilica di Assisi

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Cultura

La villa delle delizie

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na collina baciata dal sole che domina la campagna perugina ai piedi del monte Tezio. Qui sorge villa Colle del Cardinale, una delle dimore storiche aperta al pubblico durante le Giornate di primavera organizzate dal FAI. Sono passati più di 430 anni da quando Fulvio della Corgna, nipote di papa Giulio III, commissionò all’architetto Galeazzo Alessi la costruzione della villa. Voluta in quel posto perché ventilato e quindi ideale per la villeggiatura estiva, lo scopo del cardinale era quello di creare un luogo di delizie, ossia un convivio per intellettuali e mecenati dove la mente potesse trovare riposo e ispirazione. La direttrice della villa Tiziana Biganti ci racconta che «i lavori terminarono nel 1575. Tuttavia nel 1582 Fulvio morì godendo poco di quella dimora tanto desiderata». La villa così vide susseguirsi altri proprietari: Fulvio, nipote del cardinale che nel 1631 la vendette ai Degli Oddi; nel 1893 fu acquistata da Ferdinando Cesaroni, figlio dello storico giardiniere che, dopo aver fatto fortuna con la costruzione delle ferrovie, tornò a Perugia e volle comprare la villa che gli ricordava l’infanzia. Negli anni Venti fu acquistata dall’avvocato Luigi Parodi il quale trasformò la sua dimora in un luogo di ritrovo per studiosi e uomini di cultura. Al Colle del Cardinale cominciarono a soggiornare intellettuali come Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli, oltre ad artisti come Amerigo Bartoli. È qui che, dopo la prima guerra

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mondiale, ebbero l’idea di fondare un voluti sei anni – dice la direttrice – per giornale letterario che portò alla realizriportare allo splendore di prima il sofzazione de “La Ronda”. È qui che Barfitto della sala la cui unicità è data da toli ebbe l’ispirazione per uno dei suoi un effetto ottico: i cassettoni sembrano dipinti più famosi “Gli amici del caffè”: scavati, in realtà sono dipinti con maeun’opera che ritrae quel gruppo di colti stria». In quel labirinto di stanze, anche e artisti in un bar di Roma, ma che erala camera da letto del cardinale e altre no soliti trovarsi alla villa del Cardinale. sale da ricevimento. Si scende poi nella Per successione la casa divenne poi dei cantina, dove l’umidità e il passare del Monaco Di Lapio i quali, non potendo tempo hanno rovinato le pareti. Pareti a sostenere più i costi di manutenzione, parte, la cucina è intatta: un tavolone al la misero in vendita. Dal 1996 è di procentro della stanza e al muro ancora le prietà dello Stato e, come dice Tiziana piastrelle con fiorellini azzurri. Biganti, «dal dicembre del 2014 è stata “Il futuro ha un cuore antico” diceva inserita tra i musei nazionali». Carlo Levi e chi meglio delle nuove geDal 1997 i lavonerazioni può avere ri di restauro sono a cuore il patrimonio continui, ma i soldi storico-culturale. pochi. Ecco perché Maria Elena «il contributo del Santagati è laureaFAI è indispensabita in Economia del le – spiega la diretturismo e, tornata in trice – se non fosse Italia dopo un dotper i suoi volontari, torato di ricerca in gestire questo paFrancia, nel 2013 trimonio sarebbe ha fondato FAI Gioimpensabile». vani. «Quando vivi Un parco di 13 all’estero – racconettari e una costruta – quello che hai zione di tre piani lasciato a casa lo di cui si possono apprezzi ancora di visitare solo il piapiù. L’Umbria ha Il soffitto restaurato della sala d’onore no nobile e la candelle ricchezze che tina. Durante la prima giornata del FAI è non tutti i suoi abitanti conoscono». stata riaperta la sala d’onore: sfarzoso L’obiettivo è quello di arrivare ad una salone principale della villa che, sopra maggiore consapevolezza di quello che la porta d’ingresso, ha un ritratto del rischiamo di perdere se non si fa qualcardinale Fulvio della Corgna. «Ci sono cosa per salvarlo.


Cultura

Il Seicento in pieno centro

Un interno di Palazzo Baldeschi

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ituato in un angolo di Piazza Cavallotti e oscurato dall’imponenza del Palazzo Vescovile di Perugia, Palazzo Baldeschi potrebbe apparire come un edificio qualunque. Ma ciò che questo grigio edificio storico nasconde, va ben oltre l’immaginazione di chiunque. Affreschi seicenteschi, lampadari di vetro di Murano, arredi di pregio perfettamente conservati e una quadreria che farebbe invidia a qualsiasi collezionista d’arte. Visitare il primo piano del Palazzo è come tornare indietro nel tempo per poi ripercorrere la storia di alcune delle più ricche famiglie perugine. La camera da letto, con una vista che

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affaccia sul ponte dell’acquedotto, conserva ancora un letto a baldacchino. Le porte nascoste e i passaggi segreti ci portano negli anni delle lotte fratricide e delle insurrezioni popolari, in cui tutte le case nobiliari avevano una via di fuga conosciuta solo da pochi membri della famiglia. La porta a muro più avvincente del palazzo è quella che si trova nella piccola cappella della famiglia: collegava la casa ad una torre che portava a una stradina secondaria della città. Ottima per far perdere in poco tempo le proprie tracce. Ora la porta è stata murata, ma le tracce di quella strana via di fuga sono ancora ben visibili nelle mura del palazzo.

Apprendisti Ciceroni

cuole elementari e medie, licei, istituti tecnici e università: le giornate di Primavera del FAI hanno coinvolto studenti e universitari di tutta Italia. Centinaia di ragazzi hanno accompagnato i visitatori dei beni culturali protetti dal FAI. «È bello sperimentare qualcosa che va oltre l’andare in giro per corso Vannucci perché ci sono dei posti bellissimi che ci rendono fieri di essere nati qui» dicono Sara ed Enrico (nella foto), due studenti del liceo scientifico

Galileo Galilei di Perugia. Insieme a una sessantina di compagni, senza alcuna imposizione da parte dei docenti, si sono trasformati in “Apprendisti Ciceroni”: guide turistiche per un giorno.

Le porte di questo piccolo museo, di norma, sono chiuse al pubblico, ma in occasione delle giornate di primavera del FAI, il Palazzo è stato visitato per la prima volta dagli iscritti del Fondo che tutela i beni artistici ed ambientali italiani. «Avremmo voluto estendere le visite a tutti, ma per accogliere un pubblico più vasto avremmo dovuto togliere le suppellettili e gli oggetti più delicati e sarebbe venuta meno l’essenza e la preziosità di questo appartamento» spiega Daniele Lupattelli, consigliere della fondazione Orintia Carletti Bonucci, che dal 1980 gestisce e si occupa della manutenzione di Palazzo Baldeschi. Il palazzo porta il nome della famiglia di giureconsulti che nel 1563 commissionò la costruzione dell’edificio. Con il passare degli anni però, è stato venduto a diverse casate nobiliari dell’epoca, fin quando, nel 1832, fu acquistato dalla famiglia Bonucci. Gli industriali e proprietari terrieri perugini ne sono stati proprietari fino alla morte di Mario, ultimo erede diretto. Fu egli stesso a destinare tutte le sue proprietà e i terreni ad una fondazione culturale intestata alla madre Orintia Carletti. «In moltissimi casi – spiega Lupattelli – le divisioni ereditarie hanno portato a dividere e sparpagliare il patrimonio di molte famiglie nobiliari. In questo caso invece l’appartamento è rimasto com’era una volta: con gli stessi quadri, gli stessi affreschi e gli stessi mobili che c’erano anche più di duecento anni fa».

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Nomi di fantasia per le corse di cani (a sinistra) e anche per le squadre di calcio (qui sopra, Magica-Zebre è Roma-Juventus): con gli sport virtuali, frutto di simulazioni al computer, le agenzie di scommesse hanno incrementato il volume di giocate da parte degli utenti

Scommesse virtuali, soldi reali Calcio e corse di cani simulati al computer: un evento ogni 60’’, da mattina a notte È l’ultima novità per permettere di giocare senza sosta. Con giri d’affari miliardari

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n tempo era la schedina del Totocalcio, con il sogno romantico di un «13» che ti poteva cambiare la vita. Oggi, assai meno romantico ma di certo più assuefacente, ci sono le agenzie di scommesse. Ogni partita o evento sportivo ha le sue “quote”, che pagano di più a seconda di quanto l’evento sia ritenuto difficile da realizzarsi. E, naturalmente, si può scommettere non solo su chi vincerà la partita (l’1, l’X, o il 2, come al Totocalcio), ma praticamente su qualsiasi tipo di evento (il numero di gol, il risultato esatto, persino il numero di calci d’angolo). Fin qui tutto normale, ma già probabilmente sufficiente a spiegare il declino del Totocalcio (che negli ultimi anni, per non chiudere i battenti, ha mandato in pensione il «13» e aumentato a 14 il numero di partite da indovinare). L’ultima novità, importata dai paesi

anglosassoni, si chiama «sport virtuali». Si tratta di eventi sportivi – partite di calcio ma anche corse di cani e di cavalli – del tutto inventati e ricostruiti virtualmente da un computer (come alla Playstation, per intendersi). Si gioca nelle agenzie di scommesse o, ancor più comodamente, dal computer di casa: il «vantaggio» è che questi eventi durano pochi secondi e, soprattutto, che ce ne sono di continuo. A introdurli in Italia, nel 2013, un decreto dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (che dall’anno prima aveva incorporato l’AAMS, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di stato). Adesso, dallo scorso 1° marzo, su spinta delle agenzie di scommesse, il numero massimo di eventi giornalieri per ciascuna agenzia è stato aumentato fino a duemila, dalle 7 di mattina alle 3 di notte. Significa che ogni minuto, praticamente a ogni ora, sul sito in-

ternet di Snai o di altre agenzie, c’è un evento (virtuale) sul quale è possibile scommettere soldi (reali, naturalmente): la puntata minima è di 1 euro (la metà rispetto agli sport reali sui quali non è possibile scommettere meno di 2 euro). E come si vince? L’esito della scommessa, assicurano, è puramente casuale (le quote «vengono assegnate da un sistema certificato e sono create in modo che i concorrenti con una più alta probabilità di essere estratti abbiano quote più basse e viceversa»). In pratica, quindi, la corsa dei cani virtuali è solo «una rappresentazione visuale dell’estrazione di un numero pseudo casuale». Ma che riesce ad appassionare gli utenti con un giro d’affari, del tutto legale e legalizzato, già miliardario. Poi c’è l’avviso: «Il gioco può causare dipendenza patologica». Già. Iacopo Barlotti

Quattro colonne

Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini

Anno XXV numero 5 – 15 marzo 2016 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993

SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni

In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi

Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: segreteria@centrogiornalismo.it http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia


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