Numero 14 (15-30 dicembre 2015)

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Quattro colonne

La ripresa potrebbe già essere sotto l’albero I numeri, i dubbi e le speranze del 2015

70% regime libero Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo

L’ultimo Natale di crisi

– ANNO XXIV n° 14 31 dicembre 2015 –

AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

SGRT Notizie

Cantiere Monteluce Il quartiere cambia volto pagg. 2-3

Perugia alla prova Islam Tra integrazione e diffidenza pagg. 4-5

Se il figlio è in panchina il genitore diventa ultras pagg. 14-15


Foto di Marco Frongia

Attualità

Monteluce: si può fare di più Lo scorso 19 marzo veniva inaugurata piazza Cecilia Coppoli. Nove mesi dopo è ancora un cantiere a cielo aperto di Ruben Kahlun

P

iazza Cecilia Coppoli è il cuore della nuova Monteluce. Inaugurata lo scorso 19 marzo, nove mesi dopo è ancora un cantiere a cielo aperto dove i grandi spazi non sono granché popolati. Si trova accanto alla chiesa di Santa Maria Assunta. Si entra dal vecchio ingresso dell’ospedale e difatti fanno ancora bella mostra le insegne del vecchio policlinico. Qui al momento non si cura più nessuno. Hanno già aperto un supermercato, un bar, una palestra e alcuni uffici del Comune di Perugia mentre le vetrine annunciano le prossime inaugurazioni di un negozio di accessori per donna e di un ristorante. Lì negli spazi che per molti secoli hanno ospitato prima un monastero e poi per quasi 100 anni un ospedale, svettano ora le gru e un ufficio vendite. È forte l’eco dei lavori in corso. Cittadini e commercianti attendono pazientemente la rinascita della zona. Massimo Duranti, critico d’arte, è tra gli avventori di uno dei bar più visitati della zona che si trova tra la via Eugubina e la via dei Giochetto: «Vivo a Monteluce da quando mi sono sposato, nel 1973, e qui c’è ancora molta attesa, pare un paesaggio metafisico per rimanere nel campo dell’arte, la piazza è un po’ vuota e vive solo da poco, di mattina, con l’apertura degli uffici del Comune».

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L’intervento di riqualificazione dell’area è arrivato a quasi dieci anni dalla firma dell’accordo di programma che ha dato il via all’operazione, a circa sei dalla chiusura dell’ospedale e a meno di tre dall’avvio della ricostruzione con la posa della prima pietra. È stato promosso da Regione Umbria, Comune di Perugia, Università degli Studi e ASL mediante Fondo Umbria-Comparto Monteluce, il fondo immobiliare ad apporto pubblico cui è stata assegnata l’area. A gestire l’intera

«Manca un centro di aggregazione culturale, un luogo per ospitare incontri, presentazioni di libri, eventi» operazione c’è la società di gestione del fondo immobiliare Bnp Paribas Reim Sgr. «I lavori – prosegue Duranti – vanno avanti ma non si vede ancora molto. La crisi ha rallentato tutto. E pensare che il progetto doveva essere finito entro il 2016. Qui tocca riempire la zona e occorre fare qualcosa di grosso, fino a che c’era l’ospedale, c’era tanto passaggio, migliaia di persone: medici, pazienti, parenti dei pazienti. Ora è diverso: una trattoria storica ha resistito per oltre settanta

anni ma nell’ultimo periodo ha cambiato gestione ben tre volte. Una proposta per ripopolare la zona era quella dal rettore dell’Università per Stranieri, Giovanni Paciullo: voleva realizzare uno studentato che ospitasse gli universitari provenienti da ogni parte del mondo ma dopo aver visto i prezzi di vendita piuttosto alti, ha preferito desistere. Peccato. Nonostante tutto resto fiducioso. La location è interessante e si trova in un punto panoramico della città anche se devo ammettere che nonostante ci sia stato un concorso europeo, la resa architettonica mi ha un po’ deluso. Servono insediamenti importanti e più di tutto – sottolinea Duranti – manca un centro di aggregazione culturale, un luogo che ospiti incontri, presentazioni di libri, eventi. Inizialmente si era pensato a un auditorium da 4/500 posti ma poi il progetto è naufragato e tutto ciò è assurdo. Non sono contro l’apertura di supermercati e palestre ma serve anche altro». E su questo fronte arrivano buone notizie. È dello scorso 16 novembre l’atto preliminare di compravendita dell’immobile destinato ad accogliere la Casa della salute, nel nuovo polo di Monteluce. L’unico padiglione ospedaliero rimasto in piedi in seguito alla ristrutturazione dell’area dell’ex policlinico, in quanto dichiarato di interesse culturale dal mini-


Attualità stero per i Beni e le Attività culturali, sarà consegnato entro due anni. Ospiterà, su una superficie di 2.405 metri quadrati, oltre ai servizi attualmente collocati nel Centro di Salute di via XIV Settembre, ambulatori e altri servizi. La dottoressa Francesca, che lavora nella farmacia che si trova all’incrocio della via Eugubina, ammette che in vista di ciò da un mese hanno allungato l’orario di apertura: «La zona deve popolarsi ed è forte, soprattutto per noi, l’attesa per l’apertura del distretto che ospiterà la Casa della Salute e anche lo spostamento della clinica di Porta Sole dovrebbe avvenire entro i prossimi due anni. C’è comunque da apprezzare coloro che si danno da fare per rendere sempre più viva la zona come l’associazione Monteluce che promuove tante iniziative». Tornando all’interno della nuova piazza Coppoli, notiamo per due mattine di seguito come non sia particolarmente affollata anche se la giovane barista del locale che si trova accanto al supermercato si affretta a dire: «Abbiamo aperto lo scorso 27 marzo e il caffè pian piano comincia a essere frequentato». E si lascia andare agli auspici anche Lucio, il gommista che si trova sulla via Eugubina: «C’è ancora da aspettare, qui è ancora deserto, però speriamo bene». La signora Franca, 71 anni, intanto sta acquistando un filone di pane nel solito negozio all’angolo. È nata qui e nonostante affermi che «i negozi sono morti poiché manca la gente» ammette: «Mi fanno comodo il nuovo supermercato

e gli uffici del Comune a due passi da casa». Nel frattempo, seduto sulla panchina di una delle fermate dell’autobus più importanti della città (passano di qui almeno sei linee urbane) c’è un pensionato in attesa del pullman. È in tenuta sportiva: tuta blu e sgargianti scarpe da ginnastica color argento. Nostalgico, ricorda i tempi andati: «Le persone si vedono solo qui o all’incrocio dove sono presenti le varie corrispondenze stradali. Si è passati dal bene al male, questa zona non vale più niente. Prima avevamo un quartiere ma da quando ha chiuso l’ospedale è tutto finito. Ricorda con affetto «i medici in camice pronti a curarti» e a suo modo di vedere l’inizio della fine della zona va fatto risalire «alla prima chiusura del corpo infermieristico». Gli ricordiamo che qui a breve torneranno importanti poli sanitari ma non si mostra ottimista: «Finché non vedo non credo». Torna a rimpiangere i tempi andati: «Durante le festività natalizie, nei negozi c’era la fila, il quartiere era più caratterizzato e rispecchiava la vera Perugia. Ora, quando va bene, c’è qualche festicciola in chiesa dove incontri le solite signore che portano quattro fiori». Si continua però a costruire. Lo scorso 12 novembre la giunta comunale di Perugia ha approvato la conversione dell’immobile dell’ex convento di Monteluce a uffici comunali oltre a due ulteriori ampi locali, sempre di proprietà comunale, sotto l’edificio adiacente. Monteluce adesso è pronta a illuminarsi di nuovo.

Storia di Monteluce

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’area si caratterizza per la presenza del convento delle Clarisse di S. Maria di Monteluce che ha origine nel 1218, poco al di fuori delle mura etrusche della città, su un’altura da cui domina buona parte del territorio umbro. Agli inizi del Novecento la struttura viene profondamente mutata: la nascita dello stato unitario italiano e la conseguente soppressione di molti ordini religiosi presenti in città determina il problema del riutilizzo delle strutture. Con un decreto della fine del XIX secolo i beni religiosi vengono incamerati dal demanio e la loro gestione viene affidata in larga parte all’amministrazione pubblica. Nel 1911 il convento delle Clarisse diventa la sede dell’ospedale perugino. Cento anni fa (1915), l’istituzione della Parrocchia del quartiere di Monteluce, anche se la chiesa intitolata alla Madonna dell’Assunta risale a ben otto secoli prima (XIII secolo), facente parte dell’antico complesso monastico delle Clarisse poi divenuto sede (fino ad alcuni anni fa) del policlinico di Santa Maria della Misericordia. Tra le badesse più importanti nella storia del convento delle Clarisse, Cecilia Coppoli (1426-1500): a lei è dedicata la piazza della nuova Monteluce.

Immagine storica - ospedale di Monteluce (foto tratta da www.nuovamonteluce.com)

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Attualità

Perugia

La comunità islamica

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e non fosse per le scritte in arabo appese ai muri qua e là e per il pavimento ricoperto da tappeti scuri, il Centro Culturale Islamico di Perugia non sembrerebbe poi così diverso da un oratorio. Appese alle pareti ci sono le foto dei giovani che frequentano la moschea: e anche qui, se le donne non indossassero l’hijab, sarebbe difficile notare le differenze con un qualsiasi gruppo di ragazzi cattolici. Accanto a calendari di incontri e inviti alla riflessione collettiva, un cartellone occupa un’intera parete: al centro campeggia la parola Islam e tutto intorno i valori in cui si riconosce la religione di Allah: fede, speranza, carità, amore. «Non vogliamo che i giovani siano vittime di una propaganda falsa o di una ideologia sbagliata», spiega l’imam di Perugia, Abdel Qader. Seduto ad un tavolo, nella grande stanza deserta del Centro Islamico in via Carattoli, zona Settevalli, è ansioso di spiegare che l’Islam non ha niente a che vedere con stragi e terrorismo. «L’ideologia di uccidere, di eliminare l’altro purtroppo esiste – dice con il tono di uno che ha dovuto ripetere troppe volte le stesse frasi – ma non solo nel campo islamico. Questi atti terroristici ci mettono a disagio, perché noi musulmani finiamo sempre per essere accusati. Questi delinquenti, questi assassini non hanno niente a che fare con l’Islam. Ci mettono in difficoltà». Ma pare che a Perugia, almeno per il momento, nessuno abbia cambiato atteggiamento nei confronti della comunità musulmana: «Nella mia zona – dice l’imam – tra la gente che conosco non c’è astio, ma di sicuro dal punto di vista psicologico io so che non sono tranquilli. Anche se non c’è stato nessun episodio di discriminazione. Per questo noi cerchiamo sempre di tranquillizzare i perugini che vivono qui vicino, dimostrando la nostra disponibilità. Nessuno di noi deve arrendersi all’incubo del terrorismo: il rischio è sentirsi in pericolo e reagire». La comunità islamica si è stabilita nel capoluogo umbro all’inizio degli anni

Sono a Perugia da più di 40 anni e si dicono integrati. Ma i pregiudizi ancora resistono

Il Centro d’ascolto, l’emporio, il consultorio, le residenze: il mondo di chi aiuta gli altri di Nicoletta Soave Perugia, la moschea all’interno del centro culturale di via Carattoli

Settanta. Abdel Qader fa parte della prima generazione di immigrati: è arrivato dalla Palestina 43 anni fa. Ha studiato Medicina a Roma, ma ha sempre vissuto a Perugia. Ora ha cinque figli e dieci nipoti. Per questo si preoccupa per il futuro e per l’integrazione dei giovani musulmani: «Credo che si possa parlare di integrazione solo quando ci si inserisce nel campo del lavoro. Si cominciano a pagare i contributi, si diventa membri attivi della società». Ma su questo fronte la situazione non è semplice neanche per gli italiani: «Io non vorrei parlare dei ‘nostri giovani’ e dei ‘vostri giovani’. Sono tutti come dei figli. La disoccupazione giovanile c’è ed è tanta. Credo sia salita al 40-45%. È difficile assicurarsi un futuro». Ma i giovani islamici devono affrontare più ostacoli dei loro coetanei italiani. «Prima di ogni altro problema bisogna considerare la cittadinanza – racconta Zineb Moujoud, responsabile della sezione di Perugia dei Giovani Musulmani – ad esempio io mi sono laureata in infermieristica ad aprile e alcuni miei amici mi hanno suggerito un lavoretto.

«Tra la gente non c’è astio nei nostri confronti. Ma io so che non sono tranquilli»

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Vado per iscrivermi e il primo requisito era la cittadinanza italiana. Io ho fatto tutto il percorso formativo qui in Italia. Alla maturità sono uscita con il massimo dei voti, all’università pure e mi trovo davanti ad un ostacolo burocratico che non mi permette di esercitare le mie competenze e farmi valere nel tessuto sociale dove opero. E quindi sono un po’ limitata». Sembra un controsenso uno Stato che investe su di te come studentessa e poi non vuole vedere i frutti del suo investimento. E per le donne è ancora più difficile perché portare il velo non aiuta nella ricerca di un lavoro. Nelle scuole, secondo quanto raccontano i ragazzi, non ci sono episodi di discriminazione. «Alcuni di noi non si rendono neanche conto di essere stranieri – dicono – almeno fino a quando non si trovano davanti a problemi specifici. Siamo stufi di essere sempre costretti a giustificarci e di ripetere ai nostri compagni che l’Islam non è quello che raccontano i media». I ragazzi hanno proposto ai rappresentanti d’istituto di organizzare assemblee sui temi del terrorismo e della religione islamica nelle loro scuole. E, nonostante il clima di tensione, sembra si sia aperto un dialogo.

nicolEtta soavE


Attualità

e l’Islam I perugini sono spesso diffidenti Oltre razzismo e indifferenza, però, nascono belle amicizie

Barbara, Nadia e Suad prendono il tè Sotto, bambini giocano nel piazzale della scuola di Ponte Felcino

Visti con gli occhi degli italiani

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lle 13 il piazzale della scuola di Ponte Felcino è pieno di genitori che tra una chiacchiera e l’altra aspettano il suono della campanella. Tra loro, spuntano delle macchie di colore: sono i veli delle mamme musulmane. Ponte Felcino è una delle zone del comune di Perugia dove la presenza straniera è più forte, seconda solo al quartiere Porta San Pietro del centro storico: sono 2.290 i residenti non italiani, il 15% del totale. A scuola, quest’anno, il 22% degli alunni non ha la cittadinanza italiana, ma sono moltissimi i figli di stranieri che l’hanno già ottenuta. A prima vista, però, sembra che l’integrazione non sia semplice. Quando il fiume di bambini si riversa fuori dal portone della scuola, si crea una certa separazione. La maggior parte degli italiani, in tutta fretta, scappa via con i figli, mentre i ritmi degli stranieri sono più lenti. Le donne con il velo, insieme ad altri genitori di varie etnie, si intrattengono nel parco mentre i bambini giocano. Pochi gli italiani. La maggior parte sfugge alle domande sull’integrazione con i musulmani: «No comment» è quello che si limitano a rispondere. «Alla scuola di calcio mio figlio ha compagni stranieri, ma non si frequentano al di

fuori», dice una signora. E a casa loro vanno poco: «No – ammettono – non è mai capitato». Poi c’è chi in quei nuovi abitanti del quartiere, dalle usanze diverse, vede un nemico: «I bambini non hanno colpe – dice una madre – ma la mentalità è “quella”, non voglio che i miei figli facciano amicizia con loro». Un nonno sentenzia: «Rubano». Viene da chiedere se conosca qualcuno che ha rubato. «No, ma si sente dire in giro, i miei nipoti devono frequentare solo italiani». Una chiusura che trova conferma nelle parole di una madre marocchina. «Quando invitiamo a casa i compagni di scuola per i compleanni, non viene mai nessuno – racconta la donna – i miei vicini di casa non mi salutano e ora ho smesso anch’io di farlo». Oltre al pregiudizio, il vero scoglio da superare è l’indifferenza: la scarsa conoscenza è terreno fertile per la paura. Lo sa bene Barbara, che vive proprio a Ponte Felcino e che quell’indifferenza di tanti suoi compaesani la combatte nella quotidianità. La sua amicizia con Nadia e Suad, tunisine, è la prova che il mondo occidentale e quello islamico sanno comunicare benissimo. A casa di Barbara, le tre donne chiacchierano bevendo tè e mangiando maqrudh (bi-

scotti tunisini). Si parla di lavoro, mariti, religione, ricette… ma soprattutto di figli. È accompagnandoli a scuola, anni fa, che si sono conosciute. Ricordano musical per i bambini, compleanni, gite, pranzi in cui ognuno portava un piatto tipico della sua cucina: «Siamo state fortunate a creare un bel gruppo con le altre mamme». Ma è ancora un caso abbastanza isolato, il paese è piccolo e «c’è molta ignoranza», tanto che molti genitori si vantano di mandare i bambini a scuola fuori da Ponte Felcino per evitare di farli crescere accanto a ragazzi stranieri. «Così non vengono educati alla diversità e la scuola non se ne occupa abbastanza»: Barbara si infervora, Nadia e Suad invece non sembrano arrabbiate, quasi fossero superiori a quel clima di odio che a volte le circonda. Piuttosto ci ridono su: «La polemica sui simboli religiosi nelle scuole è inutile, a noi non importa se c’è il crocefisso in aula». Non capiscono neanche quella sulla libertà delle donne: Nadia si veste come più le piace, esce con le amiche, ha iniziato a portare il velo solo quando se l’è sentita. «All’inizio coprirmi non è stato facile – ride – ma è stata una scelta mia». Precarie e casalinghe, con mariti muratori, parlano inevitabilmente anche di crisi economica: «I soldi scarseggiano, ma si fanno tanti sacrifici e si pensa ai figli». Tutte sulla stessa barca, insomma, con la differenza che Barbara può contare sull’aiuto dei suoceri mentre Nadia e Suad, alle loro famiglie in Tunisia, mandano soldi. Perché lì «si sta molto peggio». Dopo un’ora di racconti e sorrisi si salutano, ma prima spazio a complimenti per il presepe e l’albero di Natale di Barbara. «Mio figlio non crede più a Babbo Natale – dice ridendo Nadia – ma i regali sotto l’albero quest’anno ce li metteremo lo stesso».

Elisa Marioni

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Primo piano Att ualità

Defunti senza pace Addetti agli obitori a libro paga di imprese funebri, “caro estinto” e funerali sociali per i poveri di Alessia Benelli e Dario Tomassini

«È

un Varenne questo?». «No, è un Varennone». In questi termini il titolare di un’agenzia funebre perugina e un addetto all’obitorio dell’ex ospedale di Monteluce parlavano di una persona appena deceduta. I morti erano come cavalli da piazzare alla svelta ad agenzie funebri disposte a pagare le segnalazioni. I “purosangue”, come Varenne, erano i defunti che garantivano i funerali più costosi. Alcuni impresari funebri pagavano gli addetti agli obitori dai 300 ai 400 euro per ogni servizio che riuscivano ad accaparrarsi. Un sistema diffuso in diverse città umbre, che è stato scoperto da un’indagine delle forze dell’ordine. L’inchiesta è partita dalla segnalazione di un operatore del settore che aveva notato una strana dinamica: erano sempre le stesse agenzie ad aggiudicarsi le salme di chi moriva in ospedale. Mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali hanno portato a galla una prassi consolidata. Il Tribunale di Perugia, nel 2009, ha condannato in primo grado tre addetti agli obitori di Perugia e Foligno e tre impresari funebri per i reati di associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio (il nome delle persone decedute in ospedale).

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Prima che il morto arrivasse all’obitorio gli operatori chiamavano gli impresari funebri che facevano parte del giro, affinché arrivassero sul posto prima dei concorrenti. Le salme che rendevano di più erano quelle di persone residenti fuori regione: per sbrigare rapidamente le pratiche necessarie al trasporto e mettere in contatto le ditte di fuori con quelle del territorio pretendevano qualcosa in più, come cellulari e scarpe firmate. Ad oggi la vicenda è in attesa del secondo grado di giudizio.

«Oggi c’è meno cultura del ricordo, i cimiteri sono poco frequentati» «È un rapporto incestuoso quello tra camere mortuarie e imprese funebri», spiega Giovanni Caciolli, presidente nazionale della Federcofit (la Federazione del comparto funerario italiano). «Fino a qualche decennio fa si moriva molto meno in ospedale. Oggi invece è il luogo deputato alla morte, perché è lì che si cerca di sconfiggerla. Intanto la famiglie italiane sono cambiate e le imprese funebri hanno aumentato l’offerta di ser-

vizi. Un tempo i parenti si occupavano della cura del defunto e le imprese solamente del trasporto. Adesso facciamo tutto noi» continua Caciolli. Il ruolo degli ospedali e delle agenzie è cresciuto in un totale vuoto legislativo, favorendo così sodalizi illeciti. «Nel 2007 l’Antitrust ha formulato un parere che introduceva un criterio di incompatibilità tra imprese e gestione degli obitori e dei cimiteri. Parere che non è mai stato trasformato in legge, ma recepito soltanto da alcune regioni, come l’Umbria» come dice Caciolli. Questo non basta per impedire che si crei un sistema corruttivo. Il presidente della Federcofit ha le idee chiare su come si potrebbe contrastare il fenomeno: dare più strumenti agli ospedali per il controllo e la penalizzazione dei dipendenti; distribuire le pompe funebri in rapporto al numero di abitanti; introdurre più controlli fiscali annuali sulle attività delle agenzie. Misure contenute in un disegno di legge presentato alla Camera pochi mesi fa. «Oggi c’è meno cultura del ricordo. I cittadini danno importanza al momento del lutto, ma vanno meno al cimitero» afferma Caciolli. Molti cimiteri sono poco frequentati, le tombe vengono


Primo Attualità piano trascurate e i comuni sono costretti a spendere di più per la manutenzione. Di conseguenza alcune amministrazioni pubbliche hanno alzato le tariffe dei servizi cimiteriali, come è successo in alcune città umbre. A febbraio, ad Assisi, il consiglio comunale ha ridotto il periodo di concessione dei loculi da 70 a 50 anni, lasciando invariate le tariffe. A Narni, invece, il comune ha incrementato le tariffe cimiteriali del 18 per cento. La tumulazione a terra ad Amelia, dopo l’affidamento a ditte esterne dei servizi, è molto più cara rispetto ai comuni limitrofi: la riesumazione, ad esempio, costa 490 euro a fronte dei 120 chiesti dal comune di Perugia. Nel capoluogo umbro è stato da poco approvato il nuovo tariffario dei servizi cimiteriali che tiene conto delle condizioni economiche del defunto. Dopo la morte i familiari devono presentare il modello Isee agli uffici comunali. La sepoltura, ad esempio, può costare dai 178 ai 160 euro (106 per gli ordini monastici). Il comune di Perugia ha dato particolare attenzione alla cremazione stabilendo, anche in questo caso, le tariffe in base al reddito. Sempre più persone scelgono di essere cremate: nel 2014 il forno crematorio di San Bevignate ne ha registrate 772, ben 393 in più rispetto al 2007 (un aumento del 103,7%). «Una scelta dettata da un nuovo approccio alla

Perugia vista dal cimitero di San Bevignate

morte, ma anche da esigenze pratiche ed economiche» spiega Nazareno Morarelli, presidente dell’Associazione per la cremazione di Perugia che conta quasi duemila iscritti. L’associazione dal 1989 cerca di far conoscere questa pratica. Oggi a Perugia, per i residenti, la cremazione costa 221 euro, per i non residenti 441. «A ciascuno forniamo un modello di testamento già vidimato dal notaio che attesta la volontà di essere cremati dopo la morte. Ad ogni

Spoleto: un’app per trovare i defunti Si chiama Lux la app per Smartphone che permette di trovare la tomba dei propri cari che si trovano in uno dei 25 cimiteri di Spoleto. È una sezione dell’applicazione “Spoleto Servizi”, che dà ai cittadini informazioni in tempo reale sulle attività del comune. Un’applicazione per cellulari scaricabile gratuitamente su Android, Apple e Windows. Lux è nata da un’idea di Angelo Musco, l’amministratore della azienda municipalizzata A.Se. che gestisce diversi servizi a Spoleto, tra i quali i cimiteriali. L’app è stata sviluppata nell’ambito del progetto “’A livella”, che prende il nome dalla famosa poesia di Totò. Un intervento finalizzato a mantenere in buono stato i cimiteri della città. Il comune ha avviato una serie di controlli per accertare quali tombe e cappelle fossero abbandonate. Ha poi sollecitato i legittimi proprietari a prender-

sene cura; se entro una certa data non fossero intervenuti il comune avrebbe revocato la concessione cimiteriale. In conclusione il demanio cimiteriale ha riacquisito 160 tombe e l’amministrazione comunale ha incassato circa 300mila euro grazie alla riassegnazione dei manufatti funebri. Per realizzare il progetto è stata digitalizzata l’intera anagrafe cimiteriale, il database è stato poi condiviso con tutti i cittadini con la app Lux. Basta digitare nome e cognome del defunto che si vuole trovare e la applicazione indica data di nascita, di morte, posizione nel cimitero e tipo di sepoltura. L’ubicazione precisa della tomba viene indicata su Google Maps. La app è a prova di errore: nel caso di omonimia vengono visualizzati altri dati relativi al defunto in modo da poter identificare la tomba che si cerca.

associato offriamo un’urna cineraria in omaggio e per gli indigenti mettiamo a disposizione fino a 1500 euro per il funerale» afferma Morarelli. Ed è anche compito dei comuni provvedere alle esequie delle persone più povere. Quello di Foligno, ad esempio, eroga un contributo di 250 euro a chi non può sostenere le spese della cerimonia funebre. «Negli ultimi anni le richieste di aiuto sono aumentate. Abbiamo circa un caso al mese, di solito sono italiani anziani che vivono soli. Spesso sono già in carico ai nostri servizi e li seguiamo fino alla morte» spiega Katia Sposini, responsabile dei servizi sociali del comune di Foligno. Ma le pubbliche amministrazioni non possono contribuire nel caso di persone non residenti. Le cose sono ancora più complesse se il defunto non è cittadino italiano. «In questo caso l’ospedale ci chiama e, anche se non possiamo erogare il sussidio, cerchiamo di attivare una rete di solidarietà: Caritas, associazioni di connazionali e alcune agenzie funebri sono disposte ad aiutare» dice Katia Sposini. Capita anche che i defunti rimangano nelle celle frigorifere degli ospedali per mesi. Come racconta Sposini: «Solo due settimane fa siamo riusciti a seppellire uno straniero che era morto a giugno. Abbiamo subito comunicato la morte al consolato per sapere se la famiglia voleva rimpatriare la salma. I parenti, però, non si sono pronunciati e il nulla osta dell’ambasciata per la tumulazione è arrivato dopo 4 mesi».

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Economia

L’economia

L’ottavo Natale di crisi dovrebbe essere l’ultimo. Questo, perlomeno, è l’augurio con cui vogliamo chiudere un anno pieno di saracinesche abbassate e lavoratori in bilico, ma che ha visto anche qualche piccolo segnale di speranza, soprattutto nel settore turistico. Abbiamo scelto gli ultimi dati disponibili per raccontare il 2015. La calza, simbolo dell’Epifania, vuole essere di buon auspicio: magari il 6 gennaio, oltre alle proverbiali feste, riuscirà a portarsi via anche questa recessione. Torna a crescere il turismo in Umbria. Gli italiani riscoprono il Cuore verde, aumentando le proprie visite del 2,6% rispetto al 2013. Stabile, come sempre, anche il contributo degli stranieri. Ma per la prima volta dopo due anni sono proprio i turisti nostrani a sostenere la ripresa umbra. Un dato che regala un +3,7% alle strutture alberghiere e +0,6 alle altre tipologie di alloggio. (fonte: Report Bankitalia 2014)

Sono 123 le procedure di fallimento dichiarate dal Tribunale di Perugia dall’inizio dell’anno; da quello di Terni ne arrivano invece 46 (fonte: Portale dei fallimenti)

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a cura di

Rallenta l’inflazione Secondo le ultime stime dell’Istat, a novembre i prezzi al consumo (escludendo i tabacchi) sono scesi dello 0,4% rispetto a ottobre

Marco Frongia

La spesa media per abitazione in Umbria è di 320 euro al mese, più bassa di quella del Centro Italia (350 euro) (fonte: dati Istat 2013)

Ex Merloni: cassa integrazione prolungata di due anni per i 700 lavoratori. E a fine novembre la Cassazione ha ribaltato le due sentenze in favore delle banche creditrici: l’offerta della Jp Industries è stata ritenuta congrua; l’azienda di elettrodomestici verrà dunque acquistata da Giovanni Porcarelli


Economia

in una calza i: Acciai speciali Tern con de iu ch si il bilancio 2015 oni di un passivo di 8 mili petto al ris euro; 120 in meno l 2014. rosso registrato ne to «Sono risultati mol menta promettenti», com l’ad Lucia Morselli

Il 42,8% delle famiglie umbre non riesce a far fronte a spese impreviste o a mettere da parte qualche risparmio (fonte: dati Istat 2013)

Tanti i locali storici a chiudere nel 2015. Tra questi, il pub Joyce e la cappelleria Truppa, aperta a Perugia oltre mezzo secolo fa

ccupati In aumento i diso prattutto so ), (11,3% nel 2014 -34 anni: nella fascia tra i 15 ,2% del 19 nel 2013 erano il 21,9%. totale; oggi sono il studiano I giovani che non no invece e non lavorano so il 23% del totale italia 2014)

(fonte: Report Bank

Pil (II trimestre 20 15) stimato un +0,5% rispetto allo stesso periodo del 2014 (fonte: dati Istat)

Narni: dalle ceneri della Sgl Carbon nasce la Elettrocarbonium. La startup ne ha comprato macchinari e impianti e a luglio ha ripreso la produzione di elettrodi di grafite per acciaierie. Tra i suoi clienti, anche l’Ast. Ad oggi, la Elettrocarbonium ha assunto circa il 65% dei lavoratori della vecchia azienda. «Stiamo gettando le basi per una nuova affermazione della società», ha annunciato il direttore, Luigi Nigrelli

«Sarà più sostenibile di quello vecchio e conterrà una nuova piattaforma logistica». Giampiero Mariottini, responsabile marketing della Isa Italy, ci spiega così le funzioni del nuovo impianto dell’azienda. Sorgerà su un’area di 170mila metri quadri, di cui 85mila coperti. Un investimento da 20 milioni di euro. La società di Bastia Umbra, leader nella produzione di refrigeratori professionali, ha chiuso il proprio anno fiscale il 31 agosto con un fatturato di 100 milioni di euro, +5% rispetto al 2014

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Economia

L’artigianato ai tempi della crisi A Corso Cavour le botteghe continuano a produrre opere d’arte. Ma le vendite non soddisfano

Dentro al negozio della restauratrice Christine Noel

I

l 2015 è l’anno della ripresa. Dopo un lungo periodo di stallo, il Pil comincia a salire e – lo dice l’Istat – l’ottimismo cresce: secondo i sondaggi, la percentuale di chi guarda al futuro con fiducia passa dal 24 al 27%, mentre quella dei pessimisti diminuisce. Per il Natale che viene, dunque, gli indicatori economici fanno ben sperare: se i consumi saliranno, assecondando le previsioni dei tecnici, ne trarranno beneficio anche le attività commerciali che più hanno sofferto la crisi. L’artigianato, ad esempio, che è da sempre un vanto per gli umbri. A Perugia le botteghe costellano il centro storico, ma la vera casa degli artigiani è Corso Cavour: lì, tra negozi alla moda e locali per studenti, capita spesso di farsi attrarre dai suoni ruvidi dei mestieri antichi. Christine Noel, belga di nascita e perugina d’adozione, ha un piccolo negozio dove restaura mobili e dipinge quadri: tutte opere d’arte, nate dal legno vecchio o realizzate ex novo con oro, argento e materiali preziosi. «Rispetto agli anni scorsi qualche cliente in più c’è: alcuni hanno persino accettato preventivi che avevo fatto per loro anni

fa». A comprare i lavori di Christine sono soprattutto liberi professionisti, medici e avvocati che già conoscono la bottega: «Noi artigiani abbiamo perso tutti gli acquirenti del ceto medio – spiega – già prima dell’ultima crisi. Quando è arrivato l’Euro i lavoratori dipendenti non hanno più avuto un surplus di denaro da spendere come volevano». La crisi degli ultimi anni, però, ha messo in difficoltà anche i clienti fissi, frenati dalla paura che la situazione economica peggiorasse ulteriormente, più che da un’effettiva mancanza di risorse. «Ora gli habitué cominciano a tornare, ma il ceto medio non lo rivedrò più». E poi scherza: «A meno che lo Stato non decida di aumentare gli stipendi a tutti». Così anche i prezzi scendono di molto: la piccola raffigurazione di un musicista appesa all’entrata del negozio, che fino a qualche tempo fa Christine avrebbe messo in vendita a 130 euro, adesso ne costa 90. «Ho usato oro e argento. Ma non è quello a renderla unica. È il lavoro che c’è dietro, il tempo che ho impiegato».

«La crisi ha stroncato il ceto medio. I clienti di prima non torneranno più»

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Una soluzione alla crisi, per alcuni, è stata spostarsi da Perugia: Stefano Ajello, 60 anni, lascia spesso la bottega di Corso Cavour per partecipare alle fiere italiane ed europee. I suoi lavori sono unici e, soprattutto, sostenibili: vecchi scuri, che altrimenti finirebbero nella spazzatura, diventano cornici per stampe antiche che Stefano ravviva con la pittura. «Se in Italia si vende poco è anche per una mentalità diffusa: le persone preferiscono andare in periferia a spendere soldi nei centri commerciali, dove tutto è patinato e non c’è il problema del parcheggio». Così il corniciaio si sposta all’estero, in Francia e in Germania, dove «la gente vive davvero la città e passa il tempo nel centro storico». Con quello che guadagna riesce a ripagare le spese e a tornare con un incasso che va dai mille ai duemila euro. Quando gli capita di lavorare nelle grandi città italiane, invece, spende 250 euro tra il viaggio e la postazione nel mercato. «Peccato, però, che al massimo io ne guadagni 500». Secondo Stefano la crisi dell’artigianato dipende, più che dalla situazione economica, da un generale decadimento culturale: le persone hanno difficoltà a spendere per quelli che ritengono beni superflui. «Se ha ragione Dostoevskij, secondo il quale sarà la bellezza a salvare il mondo, l’Italia non è messa molto bene: era il Paese della cultura, ma adesso sembra quello del cattivo gusto», ironizza con un po’ di amarezza.

Giulia Presutti

La Madonna con Sant’Anna di Leonardo nella riproduzione di Stefano Ajello


Economia

Ripresa in bicicletta In sella con fiducia

Quaranta e Sessanta, ha fatto concorrenza alla mitica Bianchi. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale, la ditta superò la dimensione regionale fino a diventare “la più importante dell’Italia centrale”. Così recitava una locandina esposta ancora oggi nel negozio che Il percorso accidentato della Cicli Preziosi: un giro sorge nella via del passeggio e degli lungo cento anni tra volate, cadute e false partenze acquisti: «Le nostre vendite crescevano costantemente – conferma Robersi è rimboccato le maniche e ha deci- to – e a Foligno nove persone su dieci a passione per la bicicletta l’ha ereditata da nonno Primo quando so di riprovarci. Ha cambiato fornitori, hanno avuto una Preziosi come prima era piccolo. Roberto era affasciha aperto un sito web, ha puntato sulla bicicletta: una bella soddisfazione». pubblicità ed è ripartito da venti bicicletnato dall’atmosfera domestica che si Molto è cambiato negli oltre vent’anrespirava nel negozio di famiglia, dove te, perché il passato gli ha insegnato ni di chiusura: i fornitori, il mercato, la i clienti uscivano con il sorriso sulle laba essere prudente. Il fallimento fu un stessa concezione della bici. Un tempo brutto colpo, il ricordo è ancora nitido: mezzo da lavoro e oggi oggetto di tenbra pedalando una Cicli Preziosi. «Non uscii di casa per Per questo motivo, a settembre, ha denza. Immutata, però, tre mesi: era estate e, rispolverato lo storico marchio dopo il è la cura per i particoLa modella con le finestre aperte, fallimento del 1991. Sembrava la fine, lari: il telaio è in acciaio, sentivo le persone per nessuno credeva che la Preziosi poMarta Cecchetto le selle e le manopole strada parlare della tesse tornare in pista. Invece, dopo in pelle. I modelli sono è la testimonial nostra bancarotta. Era oltre vent’anni, Roberto ha deciso di quelli tradizionali, rivisidavvero terribile». riprovarci, di «tornare a far battere il tati in chiave moderna. della rinascita Oggi i suoi concitcuore di mio nonno, soprattutto sotto Le biciclette sono ricerl’aspetto commerciale», come ama ritadini sono felici di poter sfoggiare di cate, realizzate per la gran parte da arnuovo una delle firme che hanno reso tigiani italiani su commissione: «L’obietpetere. Ha sfidato il rischio dell’oblio, celebre Foligno: «Sotto l’aspetto emoti- tivo è soddisfare, per quanto possibile, la crisi economica, la produzione seriale che abbatte i costi e la qualità. vo c’è stato un ottimo riscontro da parte ogni richiesta. Personalizzando la bici – E ha rialzato la saracinesca in corso delle persone. Molti mi chiedono di ri- assicura Roberto – possiamo eseguire Cavour a Foligno, laddove tutto era mettere a posto vecchie bici, altri si fer- pezzi unici». cominciato nel 1915. mano semplicemente per incoraggiarTutto è bene quel che finisce bene, Ha avuto coraggio, dopo il tentativo mi». Un’opportunità per riappropriarsi quindi? Non proprio. Le istituzioni locaandato a vuoto del 2013, quando aveva delle origini dopo alcuni anni trascorsi li non gli hanno riservato l’attenzione riaperto la Cicli Preziosi ripartendo da fuori dall’Umbria: «Tutti conoscevano che si sarebbe aspettato: «Ho dovuto cento biciclette. Dopo quasi un anno, mio nonno e mi parlano di lui. È una fare tutto da solo, con la sensazione però, era stato costretto a chiudere a bella iniezione di fiducia che mi motiva di essere muto in un paese di sordi – causa delle cattive condizioni di salua continuare». commenta amaro – Mi dispiace dover A tre mesi dalla riapertura, Roberto ammettere che non c’è stata alcuna rite della mamma e la cessata attività ha capito che è difficile ripartire da zero conoscenza verso la mia famiglia». di un fornitore. Ma chi la dura la vince, anche per un nome che, tra gli anni così – ancora una volta – a settembre Nicola Tupputi

L

Roberto Preziosi con due modelli della nuova collezione

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Sport e tempo libero Tra audiolibri e volontariato in corsia, permettono a tanti il piacere della lettura. Alla scoperta dei donatori di voce di Valerio Penna

A voce alta M

ichele trascina i suoi ascoltatori lungo le vie di una Parigi anni Sessanta, grazie a un buon accento francese. Sta leggendo a dieci persone, riunite in cerchio attorno a lui, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano: un libretto snello con molti passaggi divertenti, che sottolinea utilizzando i gesti. Ma, soprattutto, la sua voce. Michele Volpi è il coordinatore del circolo Letture ad alta voce (LaAV) di Perugia, composto da un gruppo di 25 «donatori di voce»: volontari che dedicano almeno due giornate al mese alla lettura a voce alta per gli altri. Un dono speciale, rivolto a un pubblico esclusivo. «Leggiamo – spiega Michele, mentre attende gli altri alla biblioteca Rodari di Corciano per la riunione serale – ai ricoverati dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, nei reparti di Oncologia pediatrica, Pediatria, Psichiatria e Neonatologia; ai pazienti psichiatrici dell’Unità di convivenza “Il Lago” di Castel del Piano; agli anziani della casa di quartiere Sant’Anna e della residenza di Fontenuovo; o ai bambini in biblioteca che, all’ora di merenda, ascoltano le nostre favole». Il circolo di Perugia fa parte di una rete nazionale di volontari-lettori, attiva dal 2009 e organizzata in circoli locali. Ma non chiamatelo circolo letterario, né circolo di promotori della lettura

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tout court. La variabile «alta voce» ha sempre fatto la differenza, fin dal 2010, anno della sua fondazione. «Durante un festival teatrale ad Arezzo – ricorda Michele – ho preso parte a una giornata di lettura per le strade della città. Il libro scelto era L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono. Ricordo che sentire la mia voce amplificata da altre centinaia di voci intorno a me è stata un’esperienza emotivamente così forte che sono tornato a Perugia con l’idea di avviare in qualche modo un circolo LaAV». Tra le letture in programma, i volontari privilegiano spesso le storie brevi. Sia perché in alcuni reparti (come Pedia-

«Leggere un libro a un altro essere umano è un atto rivoluzionario» tria) i pazienti cambiano di continuo, sia perché la memoria e la concentrazione degli uditori potrebbero essere messe a dura prova da letture lunghe e a cadenza quindicinale. Alla casa di quartiere Sant’Anna si legge agli anziani. Sono tutti autonomi e lucidi, a dispetto dell’età compresa tra gli 87 e i 92 anni. «Qui lavoriamo soprattutto sulla memoria – dice Anna Maria Tomassini, una volontaria che si

Due Volontarie dell’associazione LaAV

occupa di questo progetto – scegliendo ciò che susciti il loro interesse: per esempio, letture sulle trasformazioni della città oppure sulla civiltà contadina, come le opere di Rina Gatti, che alcuni conoscevano personalmente». E quasi sempre i ricordi generano un mutuo scambio: «Quando mi raccontano le loro esperienze passate mi sento arricchita: mi restituiscono un’immagine della città che non ho vissuto». Manuela Ferretti, invece, ha iniziato l’anno scorso a fare volontariato in LaAV, spinta dal desiderio di stare in corsia tra i bambini del reparto oncologico. Per ora legge a Psichiatria, dove i testi molto brevi sono d’obbligo, date le difficoltà di concentrazione dei pazienti. «L’ultima volta – confida nel suo tono rassicurante – leggevo dei racconti africani in reparto. Erano molto interessati, finché improvvisamente mi hanno ringraziato e sono scappati tutti. Mi sono chiesta se avessi fatto qualcosa di sbagliato. No, era semplicemente il momento della sigaretta ». Una delle sfide più interessanti è senza dubbio il servizio che i volontari presteranno da quest’anno a Neonatologia, un reparto dove ci sono bimbi nati prematuri con gravi disabilità. «Spesso nei genitori scatta una dinamica di non accettazione – chiarisce Michele – specie da parte della madri stesse. Quello che


Sport e tempo libero vogliamo fare è accendere una scintilla in loro, spingendole a leggere ai propri figli: cosa che non è così scontata, se pensi che non è scontato neanche il legame fisico con il bambino». Leggere una favola come Pollicino, per esempio, potrebbe portare la mamma a un processo di immedesimazione tale da farle rivivere, attraverso la storia, il proprio bambino.

Leggere senza vedere

«Nelle librerie ci sono soprattutto volumi di narrativa “condensati”, che contengono solamente estratti: è difficile trovare la registrazione di un’opera completa». Enrica Tosti parla in maniera vivace. Fa parte dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti di Perugia, dove è responsabile della biblioteca. O Michele Volpi, coordinatore del circolo Laav di Perugia per meglio dire, nastroteca: una biblioteca formata di soli audiolibri, che rappre- blioteca San Matteo degli Armeni di Pe- anche Fausto Minciarelli, un ex insesentano spesso una valida alternativa al rugia al progetto «Leggi per me», in cui gnante di francese e italiano, con una donatori di voce registrano audiolibri da voce che a tratti somiglia a quella di Vitbraille per almeno due motivi. Un libro stampato con la scrittura a aggiungere alla nastroteca dell’Unione torio Gassman. Ricorda ancora il primo rilievo, innanzitutto, è molto voluminoso italiana ciechi e ipovedenti. «Le persone libro letto, quasi tre anni fa, come il più (un foglio A4 corrisponde a tre pagine interessate – spiega Sandra Fuccelli, la difficile di tutti. «Era un libro di poesie e bibliotecaria della San piccoli racconti che un’anziana non vescritte in braille), oppure, se letto al computer, «Registrare il primo Matteo che cura il pro- dente desiderava da tempo ascoltare, getto – fanno una pro- scritto in dialetto castellano – dice ridennecessita di un’apposita audiolibro è stato va di lettura in una sala do – Un dialetto diverso dal perugino: le barra braille, una riga di registrazione qui in vocali sono aperte dove noi le chiudiatattile che riproduce il come buttarsi in mo e viceversa». Grazie alle indicazioni testo sullo schermo in acqua sapendo solo biblioteca». L’ultima parola spet- della moglie di Umbertide, che si trova caratteri braille. muovere le mani» ta però a una com- a metà strada tra Perugia e Città di CaIn secondo luogo, da missione dell’Unione, stello, e ricordandosi della parlata di un adulti si fa fatica a impache valuta le prove inviate. Enrica è un suo ex commilitone castellano dei tempi rare a leggere con l’alfabeto a puntini. «Se ci si avvicina al braille da piccoli, membro: «Valutiamo soprattutto la com- della leva, alla fine Fausto ha concluso come me – dice Enrica – si riesce a rag- prensione del testo e l’espressività usa- la registrazione. «Ma è stato come butgiungere una velocità di lettura pari a un ta nel leggerlo, tenendo presente che tarsi in acqua, sapendo appena muoveterzo di quella di una persona vedente. sarà ascoltato anche da persone che re le mani». Meglio gli è andata con il libro sucMa l’approccio al braille è pressoché hanno perso la vista da poco, quindi non abituate alla lettura fatta da altri». cessivo, una raccolta di racconti scritti impossibile per persone che perdono Al momento, sono 20 le persone che da AntonioTabucchi. «In quell’occasiola vista da grandi, perché il tatto non è hanno superato l’audizione (su un totale ne mi sono permesso di chiedere alla sviluppato». Dal 2013 Enrica collabora con la bi- di 40 candidature arrivate). Tra loro c’è dottoressa Sandra di portare la figlia di un mio amico di 17 anni perché i protagonisti di un dialogo del libro sono un adulto e una ragazzina. Eravamo proprio nei panni esatti di quello che l’autore richiedeva». Ad oggi, Fausto ha registrato sei audiolibri, alcune volte potendo scegliere tra due-tre proposte, altre, invece, assecondando le esigenze dell’Unione, che indica i suoi desiderata sulla base di eventuali carenze della nastroteca. Nessun tempo limite per la consegna, però. Il che gli permette un accurato lavoro di preparazione. «Di solito do una caratterizzazione personale per faciliFausto Minciarelli tare la comprensione immediatamente; nella sala di registrazione della biblioteca magari un personaggio parla veloce, San Matteo degli Armeni uno più lento, lei è più frizzante...».

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Sport e tempo libero

Genitori ultras?

S

tadio Renato Curi: all’ombra di una struttura che ha ospitato giocatori del calibro di Marco Materazzi, Fabrizio Ravanelli e del giapponese Hidetoshi Nakata, si allenano una trentina di bambini poco più alti del pallone. Divisi in piccoli gruppi seguiti da giovani allenatori, si esercitano tra gli ostacoli aspettando in fila il loro turno. Sono vestiti di rosso, con le stesse divise dei giocatori del Perugia Calcio. A bordo campo ci sono i genitori. Osservano attentamente i figli che ogni tanto li salutano entusiasti. «Sono i “Piccoli Amici”, hanno dai 4 ai 7 anni» spiega nonno Piero. «Ogni sabato giocano una partitella, e un po’ mi emoziono a veder segnare mio nipote. Dicono che tra i genitori dei più grandi capiti qualche brutto episodio, qui invece c’è un bel clima». A fine allenamento un gruppo di mamme e papà aspetta i figli di fronte al bar. Tra una chiacchiera e l’altra, ci si organizza con le macchine per la trasferta. Gli allenatori, intanto, cercano di recu-

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perare pargoletti che scappano qua e là, per riconsegnarli alle famiglie. «È bello lavorare con bambini che ancora non sentono il peso della competizione – racconta Christian, uno degli allenatori – A quell’età pensano solo a divertirsi e noi cerchiamo di aiutarli ad apprezzare questo sport. Non ci sono ruoli precisi e non si gioca per vincere. Certo, le cose si complicano con il passaggio ai Pulcini, quando si viene divisi in quattro gruppi a seconda delle proprie qualità. Se si parla di selezioni i genitori si scaldano: alcuni vengono a lamentarsi se il figlio non viene scelto tra

«Nello sport vanno avanti quelli bravi, ma alcuni genitori non lo accettano» i migliori. E più si cresce, più il rapporto diventa delicato». Qualche metro più in là ci sono ragaz-

zini appena più grandi. L’atmosfera, effettivamente, è diversa. I pochi genitori presenti sembrano tesi. In campo si fa sul serio: i portieri si riscaldano separatamente, si provano schemi e nel gruppo spicca già qualche giovane talento. «Veniamo da Roma, abbiamo accompagnato i nostri figli che stanno facendo uno stage in squadra – dicono alcuni papà – Speriamo riescano a migliorare». Due bambini, intanto, si scontrano violentemente in un’azione di gioco. Uno si sfoga contro l’altro urlando una parolaccia; ma i genitori continuano a chiacchierare come se nulla fosse. «Verso i 10-12 anni, più o meno in tutti gli sport, iniziano le vere selezioni» spiega Rosaria, che allena una squadra femminile di pallavolo under 14. «L’agonismo non ammette storie, vanno avanti solo quelli bravi. Da mamma, capisco che non sia piacevole vedere un figlio relegato in panchina. Molti genitori vengono a darci consigli sulle formazioni, criticando la ragazzina che ha fatto un


Sport e tempo libero errore o chiedendo perché quella giocatrice è stata scelto al posto della figlia che “è più brava”. È un atteggiamento deleterio, anche per il gruppo. Ho un buon rapporto con le famiglie, ma cerco di mantenere le distanze: deve essere chiaro che ognuno ha il suo ruolo e che le decisioni dell’allenatore vanno accettate». «Perché Matteo non gioca? È così forte!» commentano le mamme sugli spalti del campetto di Palazzolo, frazione di Assisi, dove in un freddo giovedì pomeriggio si gioca un’amichevole tra i giovanissimi del Perugia Calcio e quelli del Petrignano. Due signori sembrano particolarmente interessati ai giocatori e scambiandosi pareri tecnici, parlano di calciomercato. Poi una telefonata: «L’anno scorso non abbiamo venduto nessuno, la rosa è al completo. Sì, ho provato a parlare col padre, ma quello pensa solo alla caccia, non gli importa del cartellino del figlio». È una partitella tra dodicenni, ma a quell’età ogni occasione può diventare un trampolino di lancio. Le mamme dei calciatori del Perugia schedano i compagni dei figli. «Il sei non ha paura di nulla, sembra un professionista», «È bravo anche quello sulla fascia, guarda come corre». Quelli del Petrignano, invece, sono delusi, nonostante la squadra non sfiguri. «Sbagliano tutto, io me ne vado» «Tuo figlio gioca nel Perugia?» chiede un anziano del paese a uno dei genitori «Ma che… magari!» sospira il papà diturno. C’è un goal, qualche malumore: sarà che è un’amichevole, ma i toni restano tranquilli. «Durante i campionati ho sentito tanti

genitori incitare i figli a far male agli avversari» racconta invece Giulia, che per anni ha arbitrato partite giovanili in giro per l’Umbria. «Succedeva anche con i bambini più piccoli: nonni e papà non perdevano occasione per criticare le mie scelte tecniche, urlando dagli spalti. Salendo di categoria, gli insulti si fanno più coloriti: devo dire che in realtà i giocatori erano molto corretti e cercavano sempre di tranquillizzarmi. Una volta, al termine di una partita un po’ tesa, alcuni genitori si arrampicarono sulla rete del tunnel che portava agli spogliatoi mentre passavo, piegandola fino a cadermi quasi addosso». A Terni, il 2 novembre 2013, si è andato decisamente oltre: i papà se lo sono date di santa ragione, usando persino un cric. Giocavano bambini di otto anni. E non è un fenomeno relegato al mondo del calcio. Allenatori di diverse discipline confermano che qualche volta «si è quasi venuti alle mani», che ci sono state invasioni di campo, che si sono sentiti

insulti contro il bambino che aveva sbagliato. Qualche settimana fa, a Borgomanero, durante il derby Juventus-Torino categoria Pulcini, un papà se l’è presa con un bimbo cubano prima per il colore della maglia, poi per quello della pelle. Da lì alla rissa il passo è breve e due genitori sono finiti in ospedale. La punta dell’iceberg di un atteggiamento purtroppo comune, spesso legato alle eccessive aspettative di alcuni genitori. Un papà trevigiano ha perso la patria potestà perché dopava il figlio, giovane promessa del nuoto. Si tratta di un caso limite, ovviamente. Ma chiunque abbia un trascorso sportivo, ricorda quel genitore che vedeva già il figlio alle Olimpiadi o quello che esagerava sugli spalti. «Da noi ci sono tifosissimi del Perugia che farebbero qualunque cosa pur di vedere il loro bimbo con la tutina del Grifo», spiega Christian. «Poco importa se durante l’allenamento lancia la palla nel canestro a bordo campo invece di calciarla in rete»

Come diventare un perfetto genitore tifoso Le urla dei genitori rovinano il clima delle partite? Le società sportive attivano corsi di tifo. Succede all’estero come in Italia. A Rovereto una scuola calcio invita da anni uno psicologo per colloqui con le famiglie che caricano i bimbi di eccessive aspettative. Qui in Umbria, il Centro Sportivo Italiano ha organizzato un convegno sul tema. In Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, c’è un progetto per i genitori dei giovani cestisti, che coinvolge anche i bambini con una serie di lezioni sul tifo corretto. L’idea è piaciuta così tanto alla Federazione Basket che ora quasi tutte le società pubblicano sul proprio sito un “decalogo del genitore tifoso”: la regola aurea è lasciar giocare gli atleti nella massima serenità. Evitare di fare gli allenatori, godersi la partita, incitare tutta la squadra,

non imporre la propria presenza negli spogliatoi, rispettare l’arbitro. Sul web spopola un vadevecum per i genitori a bordo campo realizzato dai papà di due rugbisti. «L’allenatore allena, l’arbitro arbitra, tu divertiti» scrivono. Un consiglio che non tutti seguono. In Inghilterra, lo scorso anno, più di 4.000 adulti sono stati segnalati per infrazioni durante gare giovanili. La Lancashire Football Association ha lanciato l’iniziativa “Silent Weekend”: i genitori firmano un impegno scritto a non insultare nessuno, limitandosi ad applaudire. Hanno aderito più di 200 società. Chi non riesce a tacere, viene squalificato dai campi giovanili: per ottenere uno sconto di pena bisogna passare dalla Football Association, con i suoi corsi nazionali di “tifo rispettoso”. 31 dicembre 2015 | 15


Banane made in Italy

Il riscaldamento globale sta cambiando la geografia dell’agricoltura nel nostro Paese Oggi in Sicilia crescono persino gli avocado. Almeno finché non saremo tutti sommersi

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l WWF stima che il 40 per cento dei ghiacciai alpini si è sciolto nell’ultimo mezzo secolo. E a Pechino in questi giorni si gira con le mascherine antigas, come in guerra. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: in Italia gli effetti collaterali del riscaldamento globale aprono possibilità di guadagno rimaste inesplorate per millenni. Un’azienda siciliana ha cominciato a produrre un frutto che, con la sua pelle verde, dura e rugosa, così simile a quella di un coccodrillo, aveva suscitato lo stupore di Cristoforo Colombo. Fino all’altro ieri l’avocado era cresciuto solo in zone tropicali. Oggi millecinquecento piante hanno attecchito anche a Giarre, in provincia di Catania, sui terreni dell’azienda agri-

Quattro colonne SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni

cola di Andrea Passanisi. Per adesso si estendono su una decina di ettari: «Ci vogliono sguardo lungo e piedi per terra» dice l’intraprendente trentenne, che esporta persino in Europa e ha tanta voglia di crescere. E ci vuole, naturalmente, anche una temperatura al di sopra dei quaranta gradi nei periodi di maturazione. Letizia Marcenò, conterranea e coetanea di Andrea, coltiva banane nella sua azienda in provincia di Palermo. Con ottimi risultati: «Fino a qualche anno fa producevamo una quarantina di caschi all’anno, oggi ne coltiviamo cento». E meno male, perché in questi tempi di vacche magre e concorrenza estera spietata se non si differenzia non si sopravvive. Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi

Gli ulivi sui costoni della Valtellina e le viti sulle montagne della Val d’Aosta arricchiscono il quadro della nuova geografia agricola italiana. Alcuni imprenditori sorridono pensando alle inaspettate possibilità di guadagnarsi da vivere nei territori in cui sono nati. Altri, invece, sono costretti a sloggiare: le paradisiache isole Cook, nella Polinesia francese, rischiano di essere cancellate dall’oceano Pacifico, tanto che il primo ministro Henry Puna ha supplicato i grandi della Terra riuniti al summit di Parigi: «La migrazione forzata dei 20mila abitanti dell’arcipelago avvenga con dignità». Quasi desse per scontato che prima o poi saranno tutti sommersi. Davide Denina Anno XXIV numero 14 – 31 dicembre 2015 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993 Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: segreteria@centrogiornalismo.it http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia


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