Numero 12 (15-30 novembre 2015)

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Quattro colonne

I guardiani del focolare

70% regime libero Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo

A San Vetturino da quindici anni i cittadini si tassano per difendersi dai numerosi furti

– ANNO XXIV n° 12 30 novembre 2015 –

AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

SGRT Notizie

Droga e violenza su donne: Storie: un uomo perde tutto Quidditch: lo sport di Harry viaggio nella realtà umbra dopo la separazione Potter arriva a Perugia pagg. 4-7

pagg. 8-9

pagg. 12-13


Attualità

«Ci autotassiamo per difenderci» A San Vetturino lo fanno dal 2000 e a Montebello pensano di imitarli di Ruben Kahlun

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an Vetturino, periferia nord-est di Perugia. Una delle zone più pregiate della città, tra la via Settevalli e la via Marscianese. Il centro è a pochi passi e l’affaccio verde guarda verso Assisi. Entrare qui tra strade strette e villette a schiera adornate da grandi spazi alberati dà una sensazione strana. Da una parte, il paradiso deserto del paesaggio bucolico, dall’altra il silenzio sordo della calma. Una tranquillità che attira da tempo i topi d’appartamento. Tanti i raid in questa zona, fino a 23 furti in 20 giorni come nello scorso mese di luglio. Fino alla fine degli anni Novanta, questa era una zona di case isolate ma dal 2000, con la prima lottizzazione, cominciò ad essere abitata. Nacque inizialmente come un piccolo complesso con cinquanta villette. Già allora, i primi furti di cantiere fecero capire ai malintenzionati che la zona poteva essere un ottimo terreno di caccia per le loro scorribande notturne. Scelsero di abitare qui professionisti in attività o in pensione: persone abbienti che dopo una vita di lavoro avevano deciso di investire i propri guadagni su una nuova abitazione di lusso. Gerardo Canzio, direttore di banca in pensione, è il responsabile del servizio di vigilanza. Abita qui dal 2000 e da allora è riuscito a coinvolgere 139 delle

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250 famiglie residenti ad iscriversi all’Associazione per la vigilanza dell’area S. Vetturino. Ogni famiglia si autotassa, (400 euro la spesa annuale, 50mila euro il costo complessivo del servizio) per un servizio di vigilanza privata che assicuri la protezione delle guardie giurate a orari concordati. Un’idea di sicurezza partecipata che racconta Canzio – «ci ha fatto diventare un punto di riferimento per le associazioni di quartiere delle altre zone. In molti ci

50mila euro all’anno (400 a famiglia). Questo il costo complessivo del servizio di vigilanza privata hanno chiesto lo statuto poiché è migliorata la percezione della sicurezza data da questo servizio, anche se, purtroppo, è peggiorata e di molto la situazione del quartiere. Ora che si avvicina il Natale, pensiamo a rinforzare i turni di sorveglianza negli orari diurni. Un’aggiunta che costerà alle famiglie tra i 1.200 e i 1.300 euro». «Tutto ciò – prosegue Canzio – spesso non basta. Nella notte del 28 luglio ho subito anche io un tentativo di furto, me ne

sono accorto e il mattino seguente con le telecamere ho rivissuto quei momenti». Canzio ammette infatti di aver speso «oltre 7mila euro tra telecamere di videosorveglianza, cancelli e sistemi di allarme di ultima generazione. Ho sostituito l’impianto di illuminazione esterno con uno al led e verso le 7 di sera accendo tutto per sentirmi più al sicuro. Controllo, infine, che le guardie giurate stiano sul posto di lavoro attraverso apparecchiature satellitari. Col senno di poi, mi sono pentito di aver scelto di abitare qui». «Qui la sera non si dorme più, il suono degli allarmi è una musica che conosciamo fin troppo bene». Così Nello, grandi baffi bianchi. Arriva poi Mario, sessantenne, si ferma con la macchina per parlare con Canzio. Già caporeparto alla Fiat, ha deciso come altri di autotassarsi e si sfoga: «Qui non mi sento più tranquillo». Ancora Canzio: «In questa zona, diverse persone praticano la caccia per sport. Alcuni di loro hanno le armi in teche blindate e ammettono che le adopererebbero se notassero presenze strane in casa, anche se solo per allontanare con degli spari in aria i ladri». Luca Magrini è una guardia giurata. Lavora per l’istituto di vigilanza che da cinque anni si occupa di garantire il servizio in zona. Ricorda i caldissimi mesi


Attualità Così a Perugia

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Sopra, un cancello di una villa all’inizio della strada comunale San Vetturino Nella pagina accanto, guardie giurate con Gerardo Canzio, responsabile del servizio di vigilanza

estivi con decine di furti in pochi giorni. «Durante i servizi di pattugliamento percepivamo chiaramente il terrore degli abitanti». Lo incalza Maria Cristina che lavora nella centrale operativa dell’istituto: «I cittadini chiamavano con la voce tremante». C’è chi si sente insicuro come Simona, una bella signora che vive qui da dodici anni. Racconta di vivere «una situazione di angoscia, non ci sentiamo più liberi in casa e aspetto ogni sera che la guardia giurata mi accompagni fin sotto casa. Sono madre di due figli e sono tante le raccomandazioni che faccio a loro ogni giorno prima di uscire». Da mesi i residenti di San Vetturino scrivono al sindaco di Perugia, Andrea Romizi, ed al questore, Carmelo Gugliotta, chiedendo di intensificare i servizi di controllo in questo territorio e sono riusciti all’inizio di novembre ad avere un incontro con il sottosegretario agli Interni, Gianpiero Bocci. Ci allontaniamo di un paio di chilometri verso est, verso la frazione di Montebello. Qui i villoni lasciano il posto a case bifamiliari ma la situazione non cambia; anzi, se possibile, si esaspera e c’è chi pensa di copiare la situazione di San

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Furti contro ignoti e reati contro il patrimonio denunciati nella Provincia di Perugia nel 2013 (fonte Corte di Appello di Perugia)

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Furti in casa nella Provincia di Perugia nel 2013 (fonte Istat)

Vetturino e assicurarsi un servizio di vigilanza privata. La signora Gilda aspetta l’autobus con due grandi buste della spesa in mano e si dice preoccupata: «Abbiamo tutti paura, i ladri entrano in casa e se non si sta attenti, magari ti rompono qualcosa in testa». Diego è il barista del borgo ed è pessimista: «Ho già subito due furti nel locale e a casa sto investendo per un sistema di allarme nuovo». Intanto entra nel locale un avventore fin troppo vivace e spavaldo, che fa uscire una cartuccia da caccia dalla tasca della giacca ed esclama: «Una notte mi sono svegliato con il rumore di 5 pattuglie di carabinieri e polizia. Devono provare ad entrare in casa mia che li butto giù».

iù furti e meno denunce. I dati relativi alla provincia di Perugia della Corte di Appello e dell’Istat parlano chiaro. Nel periodo tra il primo luglio 2013 e il 30 giugno 2014 sono state ben 11.368 le denunce per furti contro ignoti mentre ammontano a 2.237 i reati contro il patrimonio iscritti nel registro delle notizie di reato. Nello stesso periodo dell’anno precedente vi erano state più denunce: 12.297 nei confronti di ignoti per furti e 2.542 per i reati contro il patrimonio. Un dato che contrasta con i dati Istat sui furti in abitazione. Se in Umbria tra il 2010 e il 2013 ne sono stati commessi 14.959, nella provincia di Perugia nel 2013, l’ultimo anno analizzato, ha visto un picco di furti in casa: 3.672. Un dato in forte aumento rispetto al 2012 quando erano stati calcolati 2.714 episodi, al 2011 (2.497) e al 2010 (2.117). Da questi dati emergerebbe dunque una questione. Si denuncia meno perché la cittadinanza perugina crede che i colpevoli non vengano assicurati alla giustizia?

Così in Italia

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econdo il rapporto “Noi Italia 2015” dell’Istat, i furti in abitazione sono raddoppiati in quattro anni; gli scippi non crescono ulteriormente, ma sono il 40 per cento in più rispetto al 2010. Ancora più evidente l’aumento dei furti in abitazione, cresciuti del 5,9 per cento rispetto al 2012 e del 48,6 per cento rispetto al 2010. Nel corso del 2013 sono stati denunciati dalle Forze di polizia all’Autorità giudiziaria 1.554.777 furti, pari a 2.581,2 eventi per 100 mila abitanti. L’evoluzione storica dei furti ha un trend crescente fra il 1985 e il 1991, anno in cui si registrano 2.998,8 furti per 100 mila abitanti, a cui seguono più inversioni di tendenza. Anche tra il 2012 e il 2013 continua la crescita di questo delitto, (+2,2 per cento calcolato sui valori assoluti), che è di gran lunga il più comune: costituisce infatti nel 2013 il 53,8 per cento del totale dei delitti. Negli ultimi quattro anni i furti denunciati hanno fatto registrare un incremento del 17,3 per cento. Alcune tipologie di furto, tra quelle rilevate in dettaglio, sono cresciute ancora più rapidamente: è il caso dei furti con strappo (scippi), che erano fortemente diminuiti nell’arco di circa un ventennio e la cui crescita si è interrotta nel 2013, ma che sono aumentati del 40,5 per cento rispetto al 2010. In Italia nel 2012 sono stati denunciati 398,6 furti in abitazione per 100 mila abitanti, dato che pone il nostro Paese al sesto posto nella graduatoria dei Paesi europei, nettamente al di sopra della media calcolata sulla totalità dei 28 Stati membri (286,3 per 100 mila abitanti), mentre due anni prima vi era solo una lieve differenza a sfavore dell’Italia. Il gruppo di cinque Paesi che precede l’Italia, con livelli compresi tra i 792,5 e i 606,9 furti per 100 mila abitanti, comprende in ordine decrescente: Grecia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi e Irlanda. 30 novembre 2015 | 3


Attualità

La lunga notte di Viola La lotta contro i demoni della dipendenza e il lavoro dei servizi per contrastare il fenomeno di Alessia Benelli e Dario Tomassini

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a droga è servita a nascondermi. Ho cominciato perché ero curiosa. Poi ho continuato per non sentire le sofferenze». Viola ha 30 anni. Addosso ha i segni di 15 anni di tossicodipendenza: il viso scavato, ma con lo sguardo vivo di chi non si è arreso. Così magra da chiedersi come faccia a stare in piedi. A 13 anni i primi spinelli con gli amici. Nel giro di pochi mesi ha iniziato ad assumere cocaina ed ecstasy. «Ho conosciuto un ragazzo poco più grande di me che spacciava queste sostanze. Gli tenevo polvere e pasticche a casa dei miei genitori. Così ho iniziato a prenderle». Poi la prima esperienza con l’eroina. «Era il giorno del mio quindicesimo compleanno. Con il mio ragazzo e i suoi amici siamo andati a “tirare” su un monte. Ero molto ubriaca e non avevo voglia di farlo. Dopo un po’ ho cambiato idea. Mi preparano una striscia, molto più piccola del solito. Ho capito subito che non era cocaina: per un’ora sono stata malissimo, poi mi è piaciuto». Viola viene da una famiglia normale. Le tossicodipendenze, infatti, non riguardano soltanto le persone ai margini della società. «È diventato un fenomeno trasversale ai gruppi sociali, anche se il contesto in cui si vive e le fragilità individuali incidono sulla trasformazione

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del consumo in dipendenza», afferma Luigina Nicolussi, coordinatrice dell’area dipendenze della cooperativa BorgoRete che si occupa della riduzione dei rischi legati alla tossicodipendenza a Perugia. Per Viola il passaggio dal divertimento al bisogno è stato breve: dalla prima volta, nel giro di 4 mesi, doveva bucarsi tutti i giorni. «Mi svegliavo alle 5 di mattina per “farmi” prima di andare a scuola. Una notte mi sono addormentata con la siringa nel braccio. Mio padre, come tutte le mattine, è entrato in camera mia per spegnere il televisore. Senza

«Mi svegliavo alle 5 di mattina per “farmi” prima di andare a scuola» svegliarmi me l’ha tolta e l’ha gettata nel cestino. Da quel giorno il nostro rapporto è cambiato». Qualche mese prima, la madre aveva trovato una siringa nella borsa di Viola e l’aveva accompagnata al Sert. «Un tempo arrivavano al nostro servizio persone che avevano già compiuto 18 anni. Oggi molti minori si rivolgono a noi accompagnati dai genitori o costretti dal Tribunale dei minori», dice Claudia Covino, responsabile del Sert di Perugia. Un dato confermato dall’ultimo

report della Regione sulle dipendenze, secondo il quale gli studenti umbri consumano più droga rispetto alla media nazionale. «I ragazzi non si drogano più per trasgredire ma si chiedono semplicemente: perché non dovrei farlo?» afferma la dottoressa Covino. Grazie al Subutex e al sostegno psicologico, Viola è riuscita a non bucarsi per 7 mesi. Poi ci è ricascata. «Prendevo i farmaci sostitutivi e l’eroina allo stesso tempo. Ero distrutta, non volevo più fare questa vita. Così ho deciso di andare in comunità». A San Patrignano, però, le regole erano ferree. «Durante l’affidamento ho provato a suicidarmi tre volte. Dopo due anni e mezzo sono riuscita a farmi cacciare». Appena fuori dalla comunità è andata in una pensione di Rimini a bucarsi. Il suo corpo però non era più abituato all’eroina. «Ho sentito che stavo per collassare. Con le ultime forze sono riuscita ad arrivare alla porta e accasciarmi nel corridoio. Il giorno dopo mi sono svegliata all’ospedale. Sono sopravvissuta a 6 overdose in vita mia». Ma non tutti sono così fortunati da poterlo raccontare. Cinque suoi amici non ce l’hanno fatta. «Ogni volta che qualcuno moriva correvo a “farmi” per non sentire il dolore. Ma il dispiacere di aver perso una persona cara non ha mai interagito con quello


Attualità che volevo fare della mia dipendenza. L’eroina ti cambia, diventi menefreghista, infido: per una dose venderesti anche tua madre». Sono rare le morti per overdose di persone seguite dai servizi. Accade più spesso a chi è appena uscito dal carcere o dalla comunità. Perugia, fino al 2013, deteneva il primato italiano di morti per uso di sostanze stupefacenti in rapporto alla popolazione residente: tra i 2 e i 3 decessi al mese. Grazie al lavoro dei servizi socio-sanitari e delle forze dell’ordine, secondo il rapporto sulle attività antidroga della Questura, nel 2015 ci sono stati soltanto due morti nel capoluogo. Fino a due anni fa Perugia era la principale piazza di spaccio del centro Italia: rispetto alle altre città la droga costava meno e quindi attirava consumatori dalle regioni circostanti. Alcuni “pendolari della droga” arrivavano da soli e a volte qui perdevano la vita. «Di solito chiamavo spacciatori magrebini quando volevo comprare “la roba”, – racconta Viola – ma bastava scendere a Fontivegge o andare in centro per trovarla». Adesso nell’acropoli lo spaccio si è ridotto sensibilmente grazie all’apertura di un posto fisso di Polizia e all’attività degli uomini della Prevenzione crimine, il reparto di strada che interviene nelle città con un alto tasso di criminalità. «I contesti del consumo un tempo erano ben visibili, mentre oggi il problema è tornato nel sommerso. L’attività delle forze dell’ordine ha ridotto il fenomeno che però rimane e si è spostato nelle periferie», dice Luigina Nicolussi. Nonostante gli sforzi trasversali per farla tornare ad una situazione di

Controlli della Polizia nella zona di Fontivegge

normalità, la zona della stazione è ancora un centro di spaccio a cielo aperto. Viola è venuta qui sette mesi fa, quando ha avuto l’ultima ricaduta. «Da qualche mese ero al Ceis di Spoleto per curare l’anoressia e scalare il metadone. Ero stanca e ho deciso di interrompere la terapia. Quando l’ho detto ai miei genitori, mi hanno risposto che non mi avrebbero fatto tornare a casa. Ho preso il primo treno per Perugia e, appena scesa, mi sono bucata. Poco dopo mi sono resa conto di aver buttato via due anni di lavoro. Da qualche mese, però, non penso più all’eroina: sto troppo male e sono disgustata da tutto quello che ho visto». Viola ha vissuto per strada a lungo: «Dormivo in casolari abban-

donati e appartamenti occupati da tossici e spacciatori. Vivevo di espedienti per riuscire a comprare una dose». Tutti i giorni gli operatori dell’Unità di strada fanno tappa nelle zone più disagiate della città per ridurre i rischi derivanti dal consumo di sostanze: distribuiscono il Narcan, farmaco salvavita in caso di overdose, e scambiano le siringhe usate con quelle nuove. Nel Centro a bassa soglia, invece, i tossicodipendenti che ne hanno bisogno possono farsi una doccia, mangiare un pasto e dormire in un letto al caldo. Gli operatori socio-sanitari lavorano tutti i giorni nella speranza che le persone come Viola possano uscire dalla dipendenza. Ed un giorno riescano a vedere l’alba.

Passi avanti contro lo spaccio di droga

«C

i sono tre grandi gruppi che gestiscono lo spaccio a Perugia: sono i Nigeriani a portare l’eroina dal loro Paese, acquistandola dai cartelli colombiani e pakistani. I magrebini, invece, si occupano dello spaccio al dettaglio, spesso su strada. Mentre gli albanesi controllano il traffico della cocaina, che proviene dal Nord Italia», ci spiega la Questura del capoluogo umbro. Il fenomeno, rispetto a tre anni fa, è diminuito grazie all’attività delle forze dell’ordine: operazioni sotto copertura, controllo capillare del territorio, rimpatri e fogli di via. Una maggior presenza degli agenti, soprattutto nel centro storico

grazie all’apertura di un presidio della Polizia, ha reso meno conveniente lo spaccio di droga: per i pusher è cresciuto il rischio di sequestro della merce e così il prezzo degli stupefacenti è aumentato. «Fino al 2013, di 100 spacci ipotetici l’80% avveniva in centro. Oggi si sono ridotti del 60% e, nella metà dei casi, si verifica nelle periferie», ci dice la Polizia. «Le organizzazioni criminali italiane hanno altri interessi nella nostra regione, come il riciclaggio e l’usura. Il mercato della droga non è così allettante per le mafie italiane». Dal primo maggio 2014 al 30 aprile 2015 la Questura di Perugia ha arresta-

to 192 persone tra corrieri e spacciatori, il 73% dei quali stranieri. Sono stati sequestrati oltre 13 chili di sostanze stupefacenti. Sono 296 le persone allontanate e rimpatriate nel comune di residenza con il foglio di via. Secondo la relazione annuale della Polizia al Parlamento nel 2013 le denunce per spaccio di droga sono aumentate del 68% in Umbria. Nel 2014 la Polizia ha condotto 340 operazioni antidroga nella regione, un incremento del 16,44% rispetto all’anno precedente. “Turn Over”, una delle idagini più importanti, ha portato a scoprire un’organizzazione internazionale di trafficanti nigeriani.

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Primo piano Attualità

La marcia rossa che rompe il silenzio Scarpe in strada, simbolo della lotta alla violenza di genere. Storie di inferni quotidiani e di coraggio: le donne che hanno denunciato

Nella vignetta le scarpe rosse simbolo della lotta al femminicidio (lucia baldassarri, 2015)

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I

L 25 novembre 1960 le tre sorelle Mirabal, attiviste per i diritti femminili, venivano assassinate in Repubblica Dominicana dopo una lunga lotta contro la tirannia di Rafael Leònidas Trujillo. Nello stesso giorno, ogni anno dal 1999, le città di tutto il mondo si colorano di rosso, il colore delle scarpe che invadono piazze e strade, come simbolo della lotta agli abusi di genere in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Per 24 ore il problema è all’attenzione di tutti, poi per lunghi mesi leggeremo cronache di femminicidi: quando ormai sarà troppo tardi per fare qualcosa, anche solo per parlarne. Controllate e pedinate: lo stalking Sara (nome di fantasia) è esasperata e impaurita. Per lei l’inferno è l’ufficio, da quando uno dei soci dell’azienda per cui lavora la corteggia in modo insistente. Continui complimenti, bigliettini, fiori sulla scrivania. Bei gesti, ma se non sono graditi e diventano sempre più frequenti “suonano come una minaccia”. Più Sara si tira indietro, più ottiene l’effetto contrario: l’orgoglio ferito del suo corteggiatore respinto si trasforma in ossessione e i fiori prendono la forma di bambole nude lasciate sulla scrivania in posizioni oscene, insieme a frasi sempre più offensive. L’avvertimento, non troppo velato, è quello di uno stupro. È in quel momento che Sara si rivolge allo sportello anti-stalking Adoc-Uil dell’Umbria, dove i volontari la spronano a trovare il coraggio per passare al “contrattacco”. Gli psicologi la aiutano a recuperare fiducia in se stessa, mentre gli avvocati la seguono nello sporgere denuncia. Un percorso che dà i suoi frutti: l’uomo la smette, Sara chiede il trasferimento ad un altro ufficio e la sua vita si avvia a tornare alla normalità. Da gennaio allo sportello Adoc, l’unico in tutta l’Umbria, sono arrivate 103 chiamate, quasi tutte da parte di donne. Un dato in aumento rispetto alle 92 del 2014 e alle 81 del 2013, come spiega il presidente dell’associazione Angelo Garofalo. Ma non tutte riescono a uscire da quel tunnel di abusi psicologici costruito da uomini malati di possesso. Di Martina (altro nome di fantasia) i volontari dell’Adoc hanno del tutto perso le tracce. Lei, casalinga, era sposata a un uomo-padrone che non la lasciava uscire da sola. Logorata dai controlli continui del marito, dalle telefonate ad ogni ora del giorno, Martina decide di incontrare gli operatori in un bar, per


Primo Attualità piano non dare nell’occhio. «Aveva sempre paura di essere vista», racconta Garofalo. Lo psicologo cerca di convincerla della necessità di andarsene di casa, ma dopo solo qualche seduta lei sparisce e si nega al telefono. «Siamo molto preoccupati – dice il presidente dell’Adoc– il marito ha il porto d’armi». Il problema è che spesso le donne chiedono aiuto troppo tardi, quando sono già depresse e in pericolo: «bisogna puntare sulla prevenzione». Il sesso come ricatto Non portava il velo quando abitava in Marocco, Amal (nome fittizio). Nel suo piccolo villaggio alle porte del deserto era più libera di quanto sarebbe stata in Italia. Promessa sposa ad un uomo molto più grande di lei, costretta a trasferirsi in Umbria, o meglio in pochi metri quadri di una casa che diventerà una prigione. Serrande abbassate tutto il giorno e nemmeno un soldo in tasca. In quel buio è costretta dal marito a rapporti sessuali continui, più volte al giorno, anche nelle pause in cui lui torna dal lavoro apposta per tormentarla. Ad un primo rifiuto, uno schiaffo. Poi un calcio: quello è il suo dovere di moglie le fa credere lui - e lei non vede la fine, soffoca il dolore, prova a convincersi che sia giusto così. Sono i due figli che ha avuto da quell’uomo violento a darle una via d’uscita. Prima di andare a prendere i bambini a scuola chiama il centro antiviolenza di Perugia Ponte Pattoli: “Venitemi a prendere”, dice solo questo. «L’abbiamo raggiunta dai carabinieri, dove ha denunciato: fin da subito si è resa conto di aver fatto la cosa giusta» ricorda Sara

Dalla porta d’ingresso del luogo dove Pasquino, responsabile del centro. E aggiunge: «Solo l’1% delle violenze ses- avvengono i colloqui con gli psicologi suali è agito da sconosciuti, nella mag- passano uomini di ogni età, operai, progior parte dei casi è una forma di ricatto fessionisti, studenti. «L’iniziativa deve partire da loro con da parte del familiare violento». Ancora convinto che la moglie fosse una telefonata. La molla scatta perché hanno paura di perdere “qualcosa” di sua «Da donne a donne, lei o di finire in galera, proprietà, lui non quasi mai perché si rensi sarebbe fermanoi della Polizia dono conto della gravità to: «Si è presenpiangiamo assieme dei loro gesti» spiega tato anche sotto il Lucia Magionami, psipalazzo dove aba loro ascoltando coterapeuta dell’assobiamo gli appartale loro storie» ciazione. menti protetti, pur sapendo che queL’azione della Questura sto è un luogo sorvegliato» continua PaL’ispettrice Francesca Gosti cura l’ufsquino. Ma Amal non è tornata indietro, ficio famiglia della Questura di Perugia anzi è andata con i suoi bambini a prene, dall’inizio del 2015, ha dato avvio a dersi la sua libertà in una grande città. 30 procedure di ammonimento dopo Con un lavoro, l’aiuto dei servizi sociali e aver ascoltato altrettante storie di perquella forza di “dare la vita” che solo una secuzione: «Più che la pistola, le mie donna sa tirare fuori. armi sono una bottiglia d’acqua e un Un numero impressionante di donne pacco di fazzoletti: le persone vengono sono passate da Ponte Pattoli: da quanqui per sfogarsi e noi entriamo in empado il centro è stato fondato, un anno e tia con loro». mezzo fa, sono 470. E contro tutti gli Da quando è passata legge n.11 del stereotipi sono in maggioranza italiane 2009 (art.8), questo strumento ha pere istruite: «Chi arriva qui ha già gli strumesso di far emergere situazioni che menti per reagire. Ma il sommerso è tanrimanevano nascoste, perché è un protissimo», conclude la responsabile. cedimento amministrativo – non penale – e che ha efficacia immediata. L’uomo che maltratta L’ammonimento, nel caso di atti perNé in preda a raptus, né malati, né istigati o fuori controllo, gli uomini che mal- secutori, funziona: al 90% degli stalker trattano sono – per la maggior parte dei è sufficiente per smettere di molestare. casi – persone apparentemente normali. Quando invece si tratta di violenza fisiNon provengono da condizioni basse o ca anche la querela può essere inutile: il disagiate e non sono malati. L’associa- 56% delle donne uccise nel 2013 aveva zione Margot a Perugia prova a oltrepas- già denunciato. sare il muro fra i generi e a parlare con chi nella propria vita ha picchiato, insulElisa Marioni tato, violentato. Maria Teresa Santaguida

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Crisi economica

Io, padre separato La storia di un uomo che con la separazione ha perso la famiglia, ma non la fiducia negli altri e nel futuro di Nicola Tupputi

Foto Corbis

«E

ra una moglie perfetta». Fausto, lo chiameremo così, ricorda i quasi vent’anni di matrimonio con la donna che gli ha dato tre figli. Anni felici: un lavoro soddisfacente, una bella casa nella provincia perugina, vacanze al mare d’estate. Poi, ad agosto 2005, la crisi improvvisa. Michela, nome di fantasia, sospetta il tradimento del marito e lo caccia di casa. Le valigie sul pianerottolo, come in un film, sono la fine del loro amore: «Non mi sono accorto di nulla, del suo malessere, forse ero troppo preso dal mio lavoro», racconta Fausto. Quella notte torna a casa dei genitori, dove rimarrà per anni. Ci accoglie nel suo studio «anche se – ammette – è da un anno che non riesco a pagare l’affitto». Non è l’unico debito che si è ritrovato a contrarre. Il lavoro non è redditizio come un tempo, ma un

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padre separato ha l’obbligo di provvedere alla moglie e ai figli anche se sono grandi, ma non ancora autosufficienti. Nelle parole di Fausto, però, non c’è la minima traccia di risentimento nei confronti di quei ragazzi che quando vanno a trovarlo in ufficio gli chiedono sempre denaro. Poi riflette ad alta voce, il tono si incrina: «Non si sono mai preoccupati di me, delle mie condizioni. Mi hanno deluso profondamente».

«Non ho rimpianti ma un solo dispiacere: non essere riuscito a comprare una casa» Per sette anni, fino al 2012, Fausto non ha fatto mancare nulla alla sua famiglia. Spicca una cifra: 197.760 euro

è il denaro che ha corrisposto alla moglie sotto forma di mantenimento, affitto, spese ordinarie e straordinarie. Oltre duemila euro al mese. La prima sentenza provvisoria, nel 2005, lo aveva infatti impegnato a pagare 2.700 euro al mese. «Una somma assurda – spiega il suo avvocato – perché calcolata sul reddito lordo e non netto». Quattro anni dopo gli alimenti sono stati ridotti a 2.100 euro, mentre poche settimane fa è stata emessa la sentenza definitiva: 1.400 euro più affitto della casa coniugale. Fausto è un libero professionista e nel 2012 il settore nel quale lavora ha subìto una crisi drammatica. Il suo reddito, che nel 2005 era di 43mila euro netti, nel 2013 si è chiuso in negativo e nel 2014 ha raggiunto a fatica i settemila euro. Una ripresa, piccola, che fa gli fa sperare bene: «Sono ottimista, lentamente la crisi sta passando».


Crisi economica Ogni mese, da anni, ad attenderlo ci sono gli alimenti da pagare. Un obbligo legale e morale al quale non ha mai pensato di sottrarsi. A cominciare dall’affitto di casa, sempre corrisposto per evitare uno sfratto che mandarebbe per strada quel che resta della sua famiglia. Negli ultimi tre anni ha saltato gran parte delle mensilità. Non sa più a chi chiedere soldi. Quando le uscite hanno superato le entrate, si è rivolto alle banche: ha chiesto un prestito a un istituto, quindi ha acceso due fidi. Nonostante i sacrifici, i debiti sono aumentati sempre di più: oggi deve restituire oltre 100mila euro, frutto di interessi e piani di rientro che non riesce a rispettare: «Sono nei guai, non ho idea di come andrà a finire, di che fine farò. Non so neanche come ho fatto a rovinarmi così», spiega. Una banca ha dichiarato lo stato di sofferenza (in pratica lo ha inserito tra i clienti insolventi), e teme che, per effetto domino, anche gli altri istituti smettano di dargli fiducia e credito. Poi ci sono le pendenze con Equitalia: cartelle esattoriali che ammontano a 70mila euro e molti beni pignorati. Come l’automobile, parcheggiata in garage sotto un telo e con le ganasce alle ruote. Una spider, il sogno di una vita. Ora è in fermo amministrativo e se Fausto non riuscirà a pagare, com’è probabile, sarà messa all’asta. Adesso guida l’auto della sua compagna che, oltre a sostenerlo psicologicamente, lo aiuta economicamente: «È lei a camparmi, se fossi stato solo non ce

Una scena del film Kramer contro Kramer (1979)

l’avrei mai fatta». Ad assisterlo ci sono anche la sorella e gli amici, persone che gli consentono di andare avanti: «C’è gente che si è ammazzata nelle mie condizioni». Lui, invece, non ha alcuna intenzione di arrendersi. A riserntirne, naturalmente, sono anche le relazioni: Fausto ha conservato una grande dignità e, complice una professione che gode di prestigio sociale, non vuole che all’esterno si conosca l’effettiva gravità della sua situazione: «Esco quando amici e colleghi mi invitano a cena. E le vacanze le trascorro nelle case al mare dei parenti». A volte le frasi si fanno concitate, gli occhiali tolti e inforcati subito dopo tradiscono agitazione, ma Fausto non perde la calma neppure quando ricorda il tentativo di togliergli i figli. Un ragazzo era già maggiorenne e la moglie chiese al

«Non provo odio nei suoi riguardi, soltanto molta indifferenza»

Lo spot sui bambini contesi «Escludere un figlio dalla vita del tuo ex coniuge è una forma di violenza» recita la campagna promossa dalla fondazione Doppia Difesa contro la cosiddetta alienazione parentale, esposta dallo psichiatra americano Richard Garner trent’anni fa. Si tratterebbe di una forma di plagio operata da un genitore sui figli dopo una separazione conflittuale: il padre o la madre screditerebbe a tal punto l’ex coniuge da convincere il bambino a non volerlo più vedere. Al contrario di Garner, la maggior parte della comunità scientifica e legale internazionale non la riconosce come una sindrome. L’avvocato Giulia Bon-

giorno, fondatrice della Onlus che fornisce assistenza psicologica e legale alle vittime di violenze, abusi e discriminazioni, chiede invece che diventi «un reato vero e proprio». L’obiettivo è preservare l’equilibrio psicologico dei figli, evitando che i litigi tra genitori arrechino loro traumi permanenti. I bambini sono le uniche vittime dei tre spot autoprodotti dalla fondazione e interpretati da volti noti come Raul Bova e Ambra Angiolini. Sembra un paradosso, ma sempre più giudici applicano l’alienazione parentale sebbene da quasi dieci anni in Italia sia entrata in vigore la legge sull’affidamento condiviso.

giudice dei Minori l’affidamento esclusivo degli altri due: richiesta respinta. Fausto dice di essere sereno, nonostante tutto, perché non ha nulla da nascondere: «Non l’ho tradita, come confermato dagli investigatori che ha assoldato, e non ho fondi nascosti, come appurato dalla Guardia di finanza, che per oltre sei mesi ha svolto indagini approfondite. Hanno controllato persino la mia Poste Pay». Alla soglia dei sessant’anni non gli manca la fiducia nel futuro: spera di continuare a svolgere la sua professione, di non essere costretto ad abbandonare una passione che è diventata la sua ragione di vita. Michela, che non lavora, si rivolge direttamente ai clienti del marito per ottenere i 57mila euro che vanta nei suoi confronti: «È imbarazzante quando li chiede alle società ma soprattutto ai singoli committenti». Sono le 17,40: Fausto chiude lo studio, alle 18 ha un appuntamento con il commercialista.

Così in Umbria 1083 giorni: durata media delle

separazioni giudiziali.

99,3% separazioni con assegno alla moglie corrisposto dal marito.

95,7%

separazioni con assegno ai figli corrisposto dal padre.

24,3%

casa assegnata al marito dopo la separazione.

0,8% figli minori affidati esclusivamente al padre nelle separazioni.

Fonte: Istat, anno 2012

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Crisi economica

L

uca siede in sala d’aspetto, solo. Sembra preso dai suoi pensieri, ma non si infastidisce quando gli chiedo di fare due chiacchiere. Ha 54 anni e fa la fila al centro per l’impiego di Perugia: deve iscriversi alle liste di mobilità, quelle che prima si chiamavano – a scanso di equivoci – liste di disoccupazione. «Prima lavoravo per una cooperativa che gestisce autotrasporti, 700 euro al mese per guidare il camion. Poi gli incarichi sono diminuiti e mi sono dovuto fare da parte». All’ufficio di via Palermo spera di trovare un nuovo impiego, «o almeno – dice – un sussidio statale». Gli domando se crede davvero di ottenere qualcosa. Lui scuote la testa: «Mi auguro piuttosto di riuscire a mettermi in proprio». La mobilità aiuta i dipendenti quando vengono licenziati dalle grandi aziende. La loro Did, dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, viene convalidata da una commissione provinciale. Il centro per l’impiego serve proprio a gestire questa fase: mette in contatto persone e imprese, incrociando domande e offerte di lavoro. «Da quando è iniziata la crisi – spiega Riccardo Pompili, responsabile dell’area lavoro e formazione della Provincia di Perugia – il numero di chi si iscrive alle liste è aumentato sensibilmente. La parabola è però in discesa da circa sei mesi: più proposte dalle aziende e meno persone a casa». C’è un’inversione di tendenza, dunque, e si va verso un maggiore equilibrio di mercato. In effetti, secondo l’ultimo rapporto della Banca d’Italia, in Umbria l’andamento positivo riguarda già la fine del 2014: al calo di occupati nel primo semestre ha fatto seguito una discreta ripresa. E se il tasso di disoccupazione è salito di un punto percentuale, dal 10,3% del 2013, non bisogna disperare: più persone risultano senza lavoro, proprio perché è aumentato il numero di quelli che lo cercano. Quattromila inattivi si sono messi in gioco, entrando all’improvviso nel mercato. Una spinta notevole è arrivata, nel 2015, dal programma Garanzia giovani: fondi europei nei bilanci delle Regioni, che li destinano alla formazione dei ragazzi. E così la sala d’attesa del centro per l’impiego si riempie di visi nuovi. Come quello di Lorenzo, 24 anni, diplomato con la passione per la biologia. «Spero che le mie competenze scientifiche – spiega – mi rendano più compe-

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Lavoro cercasi Una giornata al centro per l’impiego di Perugia. Cresce il numero degli iscritti, tra disoccupati e giovani speranze di Giulia Presutti


Crisi economica titivo, ma accetterò qualsiasi proposta: noi giovani non possiamo permetterci di scegliere». L’ambiente di via Palermo è rassicurante: Stefania e Daniele hanno portato qui la figlia Valentina, 18 anni. Ha lasciato la scuola alberghiera e ha chiuso col mondo della ristorazione, per trovare lavoro in un settore diverso. «Speriamo che faccia qualche esperienza, anche di pochi mesi, per cominciare ad integrarsi. È molto responsabile, con un tirocinio si farà apprezzare e la richiameranno», dice la mamma. Meno fiducioso il suo compagno, che parla di «specchietti per le allodole». «Io le auguro il meglio, ma credo che il nostro Stato non stia facendo un buon lavoro per i giovani. A Valentina consiglio sempre di andare all’estero: un’altra mentalità, che aiuta chi vuole lavorare». In un anno e mezzo circa ottomila umbri tra i 15 e i 29 anni hanno usufruito di Garanzia giovani: il centro per l’impiego fa colloqui orientativi, studia la personalità dei ragazzi e li indirizza verso corsi e tirocini adatti a loro. «Già nelle scuole – spiega il responsabile Pompili – insegniamo agli studenti a muoversi nel mondo della disoccupazione: diamo loro le tecniche per promuoversi, dal giusto curriculum alla realizzazione di un video di presentazione». Anche chi ha già esperienza, perciò, si fa aiutare: Miriam, 26 anni, laureata in Farmacia, sfoglia una brochure. Aspetta di parlare con lo psicologo del lavoro. È già impegnata in un tirocinio post laurea, lavora gratis in una farmacia di Assisi, però non le basta: «Bisogna aprirsi più strade possibile, di questi tempi». È preoccupata, però, perché le hanno detto che i fondi per i corsi di formazione sono terminati: per iscriversi serve un voucher, ma pare che non lo distribuiscano più. In effetti, due ragazzi nigeriani vanno via rassegnati: l’impiegato ha detto che

Nella sala d’aspetto del centro per l’impiego di Perugia

non c’è più possibilità per loro. Wilson e Donald, rifugiati politici, sono saldatori. Hanno saputo che per lavorare in Umbria serve un attestato italiano, che si ottiene frequentando le lezioni. I voucher formativi però sono finiti. «Siamo venuti – raccontano – perché abbiamo bisogno di lavorare: non possiamo stare a casa senza far niente. Ora, invece, dicono che dovremo aspettare un anno per il corso. Nel frattempo penso che cercherò altro, qualsiasi impiego mi va bene». E se c’è chi per lavorare sogna l’Italia, non manca chi vuole lasciarla per trovare una strada all’estero: Jessica, 33 anni, l’ha fatto. Nove anni fuori, tra Irlanda, Australia e Sud Africa. «Sono tornata proprio perché mi scadeva il visto. E per i miei genitori, che stanno invecchiando. Qui però sono andata in crisi: è tutto più difficile». In realtà, grazie alle competenze acquisite in giro per il mondo la risposta dalle aziende umbre è stata discreta.

Ma dopo un’impresa che vende protesi dentali, che l’aveva assunta perché parla inglese, ora lavora come operatore sanitario in una struttura per malati psichiatrici: «L’atmosfera – confessa –è pesante. Sento il bisogno di guardarmi intorno e per questo stamattina sono qui». Anche se ha fatto la notte a lavoro. La vita oltreoceano l’ha cambiata, ora è intraprendente e non si accontenta: «Io sono fortunata proprio perché posso fare i confronti: in Australia sono tutti molto positivi, qui invece il sistema ti butta giù». È per questo che il centro per l’impiego di Perugia non resta chiuso nei confini dell’Umbria: per chi vuole andare fuori esiste un ufficio speciale, che aiuta a orientarsi nel mercato straniero. A gestirlo c’è Jowkar Saied, consigliere selezionato dalla Commissione europea. E grazie ad un portale online, il progetto Eures mette in contatto lavoratori e aziende di 32 Paesi del Vecchio continente. «Vengono persone – spiega Saied – di ogni genere, dai laureati con molta esperienza, che desiderano arricchire il curriculum, a chi pur di fare fortuna tenta il tutto per tutto». Il criterio di selezione, in questo caso, è la conoscenza della lingua. E soprattutto l’intraprendenza. «Oggi chi vuole il lavoro deve essere attivo, non possiamo andarlo a cercare a casa. Bisogna farsi trovare sul mercato prima degli altri. E più preparati». E quando gli chiedo quanti lo cerchino per lasciare l’Italia, l’iraniano Saied risponde: «Non molti qui vogliono separarsi dalla mamma».

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Sport e tempo libero

Tutti sulle scope

Dai college americani ai campionati europei in Toscana, lo sport di Harry Potter arriva a Perugia Quidditch day a perugia (���� �� C���� P���������)

di Simona Peluso

«A

cosa hai detto che giocate? A quindici? » È questa, forse, la frase che Gloria si sente ripetere più spesso quando gira per la città alla ricerca di sponsor. «I veri babbani, d’altronde, non riescono ad apprezzare il fascino del nostro sport», commenta ridendo. Ma anche chi è cresciuto a pane e Harry Potter fatica - sulle prime - a prendere sul serio l’iniziativa. Gloria è il capitano dei Perugia Gryphons, la «prima e finora unica squadra di quidditch dell’Umbria». Ogni domenica si allena con i suoi compagni sul prato del bocciodromo di Pian di Massiano: in sella a un manico di scopa, riproducono strategie e schemi di gioco dello sport nato dalla fantasia di J. K. Rowling, l’autrice della saga di Harry Potter. «Ci sono cacciatori, battitori, la

pluffa e le porte a forma di cerchio. Alla fine è proprio come nei libri, mancano solo le scope volanti» spiega Federica, una delle giocatrici. Certo, chi ha ancora in mente le scene dei film, con i giocatori che sfrecciano a tutta velocità da un lato all’altro dello stadio, sorvolando tifosi intenti ad osservarli coi binocoli, potrebbe restare un po’deluso: il “quidditch babbano” è meno scenografico, ma vanta una federazione mondiale e una pagina Wikipedia tradotta in tredici lingue. Il tutto ha avuto inizio dieci anni fa, in un college americano: a Middlebury, in Vermont, un gruppo di ragazzi decide di adattare lo sport di Potter alla realtà, mescolando elementi del rugby, dell’hockey e del dodgeball. Qualche video su Youtube, e la moda prende piede in ogni

angolo degli Stati Uniti. Piano piano si cominciano ad organizzare campionati tra università: il fenomeno diventa virale e sbarca in Asia e in Europa. È proprio così che Gloria ci racconta di aver scoperto l’esistenza del quidditch babbano. «Harry Potter mi è sempre piaciuto tantissimo. Un giorno, mentre guardavo spezzoni di film, mi sono apparse tra i video consigliati le riprese di una partita in un college. Ho letto che anche in Italia esisteva dal 2011 un movimento ufficiale e ho contattato i responsabili per chiedere se potevo aprire una squadra qui in Umbria. Abbiamo creato un gruppo Facebook e il 5 giugno sono nati ufficialmente i Perugia Gryphons». Qualcuno porta i palloni, qualcuno costruisce le porte (in pvc, 10 euro l’una): una decina di giorni dopo, si svolge il

Ricette magiche e spade laser C’è chi cucina torte di mele e chi si diletta a preparare il pan di via de “Il signore degli anelli”. Stanchi dei soliti cocktail? Cercate la ricetta della burrobirra, la bevanda preferita da Harry Potter e compagni. Potere del marketing, che crea occasioni di guadagno e nuovi passatempi: le grandi saghe fantasy e il mondo dei fumetti continuano a ispirare gadget e giochi sempre più popolari tra giovani e meno giovani. Così, mentre l’Associazione Internazionale Quidditch supera i centomila tesserati, e prepara petizioni per candidarsi come sport olimpico, nascono le acca12 | 30 novembre 2015

demie di scherma con le spade laser, per imparare a duallere come un jedi di Guerre Stellari. Gli aspiranti allenatori di Pokemon non devono far altro che salire su un aereo: in Giappone hanno allestito delle vere palestre dove inscenare combattimenti virtuali con altri appassionati. Per immergersi nelle atmosfere della Terra di Mezzo, basta sintonizzarsi su una delle tante web radio che discutono solo di libri di Tolkien. Per non parlare di miniature, statuine e costumi di qualunque saga immaginabile, cui sono dedicate decine di fiere e raduni.


Sport e tempo libero primo allenamento. «Siamo partiti in 15, adesso siamo solo 6: per poter formare una vera squadra ci manca una persona. Ma siamo sicuri che avremo presto nuove reclute: stiamo puntando tutto sugli universitari, ogni tanto cerchiamo di pubblicizzarci ad eventi legati al mondo dei fumetti». In genere, però, è proprio guardando gli allenamenti nei parchi che le persone si incuriosiscono. Mentre i Perugia Gryphons sistemano le porte, un bambino li tampina entusiasta, cercando di tirare la palla in mezzo agli anelli «Ma a cosa state giocando?» «A quidditch» «Ma non volate! Papà, è vero che non possono volare?». Gloria sorride godendosi la scena. «Quest’estate, a Sarteano, in provincia di Siena, si sono svolti i primi campionati europei di quidditch. C’era tantissima gente che dopo qualche perplessità iniziale si è stabilita per due giorni a bordo del campo da gioco, con sedie sdraio e pranzo al sacco». Ha vinto la Francia, ma a gioire è stato l’intero movimento italiano: da allora, in Toscana, sono nate quattro squadre, che si sono unite alle sei ufficiali e alle oltre quindici emergenti (non ancora iscritte al campionato), per un’associazione dilettantistica che nel nostro Paese conta più di seimila iscritti. «Alcuni - ribatte Gloria- pensano sia uno sport da nerd, adatto a ragazzi con gli occhialoni e la pancia che passano la giornata davanti al computer, di fronte a un mega poster di Harry Potter. In realtà, corriamo su e giù lungo un campo di 44 metri, schivando avversari e difendendo la palla. Non c’è un attimo di riposo. Molti giocatori non hanno mai aperto un romanzo della saga, eppure si allenano perché lo trovano divertente»

Una volta al mese, poi, tutte le squadre del centro Italia si incontrano per giocare insieme, organizzando un quidditch day: il 4 ottobre è toccato a Perugia ospitarne uno. «Essendo uno sport poco diffuso - insiste - l’aspetto umano è molto forte. Dopo ogni partita, c’è il terzo tempo: si va a mangiare una pizza insieme o si fa un pic-nic. Conosciamo tutte le squadre, da quella di Milano a quella di Lecce. Quando ci sono tornei e trasferte si viene ospitati dalla squadra del posto, sui divani di casa.» Sul campo, intanto, qualcosa inizia a muoversi. Daniele, nelle veci di preparatore atletico, richiama tutti all’ordine e spiega alla squadra gli esercizi di riscaldamento. «Ci autofinanziamo completamente – precisa Daniele – quindi dobbiamo darci al fai da te anche sul fronte dell’allenatore. Non avendo i soldi per affittare un campetto, giochiamo nei parchi, di domenica. Ci piacerebbe tanto introdurre un allenamento infrasettimanale, ma adesso che fa buio presto non è comodo giocare alla luce di un lampione». Il bambino di prima continua a correre attorno ai cinque giocatori, che intanto si esercitano con i lanci. «Con una squadra a ranghi ridotti, non possiamo giocare una vera partita – spiega Daniele – quindi cerchiamo di specializzarci sui ruoli che più ci piacciono. C’è chi preferisce fare il portiere, chi il cacciatore…» «Ma purtroppo non abbiamo dei boccinatori – conclude Federica – è il ruolo più spassoso, ma più difficile da interpretare. Parliamo di un giocatore extra, vestito di giallo, che attaccata ai pantaloni, ha una pallina da tennis infilata in un calzino. Quando uno dei due cercatori riesce a prenderla il gioco finisce: per evitare che questo accada,

«Quando dico che giochiamo a quidditch mi chiedono se voliamo»

I Perugia Gryphons in allenamento

Le regole del quidditch babbano Un po’ di dodgeball, un pizzico di hockey, una base di rugby: ecco gli ingredienti da combinare insieme per riadattare alla vita reale le regole del quidditch, lo sport dei maghi nella saga di Harry Potter. I giocatori corrono con una scopa tra le gambe lungo un campo ovale. Ogni squadra ha tre cacciatori, che hanno il compito di far passare la palla (pluffa) in uno dei tre anelli avversari, difesi da un portiere. Il goal vale 10 punti. L’azione di gioco è ostacolata dai battitori che cercano di colpire con una palla da dodgeball (bolide) i cacciatori della squadra avversaria. I cercatori, intanto, devono provare a catturare il boccino, una pallina da tennis infilata in un calzino appeso ai pantaloni del boccinatore, giocatore extra assistente dell’arbitro.La cattura del boccino vale 30 punti e pone fine alla partita (che dura in media 20 minuti). però, il boccinatore può fare qualunque cosa, anche nascondersi o arrampicarsi sugli alberi». I giocatori, finalmente, tirano fuori le scope. Una coppia padre figlio si ferma a guardare l’allenamento. Sembrano perplessi, mangiano un gelato. Un gruppo di vecchietti, che commenta i titoli della Gazzetta dello Sport, abbandona per un attimo la formazione della Juventus, per esordire a gran voce con un «Ma che è?» cui non arriva risposta. «In Umbria, purtroppo, la gente è un po’ restia ad appassionarsi a questo gioco» ci confida Federica. Ma l’accoglienza fredda non scoraggia i Perugia Gryphons. Il prossimo passo, secondo Gloria, saranno le divise. «Le vogliamo rosse, bianche e argento, come i colori della città. Poi certo, trovare uno sponsor è praticamente impossibile. È più facile che diano soldi all’ennesima società di calcetto di quartiere che a noi. Appena dico che siamo una squadra quidditch ci chiedono se voliamo. Ma se solo provassero a giocare, si accorgerebbero di quanto è divertente». Tutti invitati, quindi. Il movimento internazionale quidditch – si legge sul sito ufficiale – accoglie persone di ogni sesso, età e nazionalità. Babbani compresi.

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Sport e tempo libero

Il basket in piscina Due canestri in acqua, un gruppo di amici, un po’ di follia e il water basket arriva a Perugia La Waterbasket Perugia in azione

C

osa ci fanno un ristoratore, un banchiere e un agente di commercio, di notte, nei magazzini di una nota piscina perugina? Bilderberg, Massoneria o forse architettano una maxi truffa? Niente di tutto ciò, qui non c’è né spazio né tempo per i complottismi perché è domenica, sono le 11 di sera, e bisogna montare i “canestri galleggianti”. Loro sono i cestisti acquatici della A.S.D. waterbasket Perugia e dal 2013 praticano con passione quello che potremmo definire uno sport unico nel suo genere. Luca Carini, vice presidente della società, spiega che sono molte le difficoltà per una disciplina così poco diffusa e conosciuta: «Non è che entri in un negozio di sport e compri tutto il necessario per gli allenamenti e le partite. I canestri, ad esempio, vengono da Firenze, lì è nata una delle prime squadre d’Italia, i cesti e le strutture per farli galleggiare in acqua sono costruite da due loro amici che fanno i fabbri, ci hanno dato tutto gratuitamente». Il waterbasket è mix fra pallacanestro e pallanuoto, le regole sono quelle del basket, ma a rendere tutto più difficile c’è l’acqua di una piscina, alta 2 metri. «Siamo un bel gruppo – continua Luca – abbiamo giocatori di tutte le

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età, dallo studente di agraria fuori sede ventiduenne all’affermato architetto ormai prossimo ai 50». E aggiunge: «C’e grande entusiasmo anche se è sempre un po’ difficile organizzare gli allenamenti. Per evitare di pagare l’affitto dell’intero spazio in piscina ci alleniamo negli orari più improponibili, quando la piscina è libera, così te la cavi solo con i 5€ dell’ingresso». A prendere parte al prossimo campionato nazionale, secondo il sito ufficiale della federazione, saranno 4 squadre: waterbasket Perugia, Bentegodi Verona, waterbasket Firenze e waterbasket Pexaro. Francesco Vibi, allenatore e giocatore è fiducioso: «Sarebbe un grande successo arrivare almeno a sei squadre, comunque vada sarà un torneo avvincente e competitivo». Nel campionato passato il team perugino ha raggiunto la finale rimanendo imbattuto, fino all’ultima partita, persa contro la Bentegodi Verona. «Giochiamo per divertirci, per passione, ma la delusione c’è sempre quando arrivi ad un passo dallo scudetto» spiega Luca, «abbiamo perso la finale per 3 punti, è andata così, ora siamo totalmente proiettati al prossimo anno». Un campionato italiano con poche iscrizioni, per uno sport che è ancora

in una fase embrionale. Così i tornei si trasformano in un momento di aggregazione, si gioca e poi tutti a cena nello stesso ristorante per festeggiare la buona riuscita dell’evento. Tranne la sera prima della partita decisiva, dice Francesco, l’allenatore, con un sorriso: «Abbiamo chiesto ai giocatori del Verona di consigliarci un buon locale dove mangiare, ma a fine cena metà squadra si è sentita male. Ovviamente si è trattato di un caso, solo i più maligni hanno pensato ad un sabotaggio, non siamo mica alle olimpiadi. Ci scherziamo ancora su con quelli della Bentegodi». Rimpatriate fra amici e attrezzature artigianali, ma qual è il futuro di questa disciplina? Secondo il vice presidente Luca Carini ci sono due possibilità: «Dobbiamo riuscire ad arrivare ad un numero maggiore di squadre per poter disputare un campionato semi agonistico, oppure la cosa fra qualche anno andrà scemando e finirà. L’accesso alle attrezzature come i canestri galleggianti deve essere più semplice per tutti e vanno trovati spazi gratutiti per le nuove squadre, al momento sono difficilissimi da reperire. Da quest’anno il campionato inizierà a dicembre, eviteremo così di sovrapporlo a quello di pallanuoto e speriamo che questo porti a nuove iscrizioni». Giacomo Prioreschi

Come si gioca? Due canestri galleggianti, 5 giocatori per parte, vince - ovviamente chi segna più punti. Le regole sono molto simili a quelle del basket, ma tutto si svolge in una piscina profonda almeno 1,80 metri. Non esiste contatto fisico, la linea dell’area è distante 4 metri dal canestro: dentro a quel perimetro il tiro vale 2 punti, mentre il colpo da fuori equivale ad una tripla (3 punti). L’azione di gioco non può durare più di 24 secondi. Dalla pallanuoto sono invece presi in prestito tutti i movimenti, con e senza palla. Piccola differenza, sia dal basket che dalla pallanuoto, è quella del fuorigioco. Le regole in questo caso sono quelle del calcio: l’attaccante non può ricevere un passaggio se si trova al di là della linea difensiva avversaria.


Sport e tempo libero

Spade, urla e filosofia zen: anche a Perugia si pratica il kendo, che si rifà all’antica arte dei guerrieri giapponesi

L’istruttore Paolo Molinaro nel do�o Fudoshin Kai di Perugia

S

e vinci, non esultare: rischieresti Paolo insegna nel dojo (palestra) Fuuna penalità. È una delle regole del doshin kai di Perugia dal 2013. Segue kendo, la scherma giapponese fon- 15 allievi, che si allenano tre giorni alla data nel 1912 per trasformare il kenjutsu, settimana in tre diverse sedi della città. le tecniche di spada usate dai samurai, in «A livello numerico – ammette Paolo – il un metodo educativo. Obiettivo: migliora- kendo è molto marginale, se confrontato re l’individuo attraverso “la via della spa- con altre arti marziali. Il problema è coda” (il significato letterale di kendo). noscitivo: magari sai cosa è il judo o il Ancora oggi presente nel sistema sco- kung fu ma non il kendo. E come fai a lastico nipponico, il kendo, a differenza sceglierlo, se non lo conosci?». di altre arti marziali, continua a manteStando ai dati della CIK, infatti, il nunere forti legami con elementi tipici della mero dei kendoka italiani iscritti supera cultura giapponese. Anche a chilometri appena quota 2.500, con una prevalendi distanza dal Paese za di praticanti nel nord del «Quando dici a del Sol Levante. Paese. «Nella nostra disci«Quando dici a qualcuno qualcuno che plina si segue il buche pratichi kendo - ironizpratichi kendo, shido, ‘la via del guerza Daniele, che si allena al riero’, che è anche Fudoshin kai da due anni - ti ti chiedono un codice comportaguardano e chiedono ‘Che ‘Che cos’è?’» mentale» spiega Pacos’è?’. Allora io vado sul olo Molinaro, l’unico istruttore di kendo classico: ‘scherma giapponese’!». in tutta l’Umbria ufficialmente riconosciuMa combattere con le spade - il to dalla Confederazione Italiana Kendo bokken, una fedele riproduzione in legno (CIK). «Ecco perché - continua Paolo, della katana, usato prevalentemente in che indossa il keikogi, la tradizionale allenamento, e lo shinai, composto da divisa blu per l’allenamento - quando si quattro stecche di bambù, usato anche vince, non si festeggia. Una volta, con la in combattimento - e avere un’armatukatana (la spada giapponese utilizzata ra (bogu) che ti protegge, presenta un dai samurai) si uccideva l’avversario in vantaggio unico. «L’utilizzo di una spada maniera molto cruenta: il guerriero però riduce la differenza fisica, - dice Paolo non festeggiava, ma rispettava la morte mentre l’armatura fa sì che tu non ricedello sconfitto». va colpi dolorosi. Nel kendo, quindi, una

ValErio PEnna

Foto di Alice Bellincioni

I nipoti dei samurai

donna può combattere contro un uomo, un anziano contro un giovane. È improponibile in altri sport». Proprio questa parità ha spinto Sara, uno dei kendoka più esperti del dojo, a “tradire” un’altra arte marziale, il jujutsu: «Un’estate - racconta - ho voluto provare il kendo e mi sono appassionata perché potevo confrontarmi direttamente con i maschi». Il paragone con la scherma è corretto, con le dovute differenze però. «Tutti i colpi - dice Paolo - prendono il nome dalla parte del corpo che è lecito impattare, ossia la testa (men), le braccia (kote), il torace (do) e la gola (tsuki)». Per fare ippon (punto), tuttavia nel kendo occorre un kikentai icchi, concetto che indica l’unione di spirito, spada e corpo. «In un’azione singola - spiega Paolo, accompagnando le parole ai movimenti di spada - devo spostare il mio corpo in avanti, colpire l’avversario e fare kiai, l’urlo che accompagna i singoli colpi». I tre arbitri di gara assegneranno il punto solo in presenza di questi tre elementi. Vince chi arriva prima a due punti, oppure, in caso di parità, chi ha fatto punto per primo. È molto straniante rimanere ad assistere agli allenamenti nel dojo per qualche ora: sei a Perugia, ma potrebbe essere una palestra di un quartiere qualsiasi di Tokyo. «Il metodo d’insegnamento qui - conferma Davide, che prima di avvicinarsi al kendo, già studiava lingua e cultura giapponese - non è così diverso dall’originale. D’altronde, per i giapponesi è molto importante che questa disciplina venga insegnata all’estero secondo i loro canoni».

Una fase dell’allenamento

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Autunno, tempo di sagra e di festa Usanze, riti e tradizioni: il folclore autentico che prepara all’imminente inverno

«C

adon le foglie e si spilla il vino». È l’11 novembre e si festeggia San Martino. Vescovo di Tours nel IV secolo, tra i più celebri santi del Medioevo, festeggiato in tutta Europa, in Italia, in Umbria. La leggenda vuole che una notte d’inverno, incontrato un povero viandante lungo il cammino, Martino, non ancora santo, tagliò in due la sua veste per dividerla con l’infreddolito pellegrino. Detti, usanze, leggende: sono l’humus della nostra feconda tradizione, fatta di sagre e di feste che costellano la stagione autunnale. Secondo Treccani, crepuscolo, decadenza e declino sarebbero i sinonimi di autunno. L’etimologia, però, rac-

conta tutt’altra storia: augere, in latino aumentare, o dal sanscrito au>saziarsi. Radici che direttamente evocano un momento di arricchimento: quello dell’archetipo rurale, legato alla terra e ai contadini. Stagione ricca di frutti, dunque, che la tradizione celebra con riti e feste fin dalla notte dei tempi. Mentre le foglie ingialliscono, ecco arrivare il momento delle sagre: vino, castagne, olio e borghi in festa. Tradizioni autentiche che si legano al ritmo antico della vita rurale e riscoprono le radici profonde della festa: la sagra, dal latino sacrum, originario ringraziamento alla divinità propiziatrice. Il rito magico della vendemmia, le sagre del vino novello, le feste

della castagna: Assisi, Narni, Ospedaletto. Fino a San Martino quando, è risaputo, «ogni mosto è vino». Proverbi che riscoprono il valore autentico delle tradizioni popolari e millenarie. Inebriate dal vino, le nostre tavole si caricano di funghi porcini, ravioli di zucca, castagne e castagnacci. È il bisogno fisiologico di carboidrati e zuccheri, ci spiegano oggi, scorta naturale per l’inverno. Camminando per la piazza di Assisi, sgranocchiando caldarroste, ci piace immaginare, però, la magia di riti antichi, di usanze e tradizioni che, nel corpo e nello spirito, ci preparano al gelo dell’inverno, in allegria. Paolo Andreatta

Quattro colonne

Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini

Anno XXIV numero 12 – 30 novembre 2015 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993

SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni

In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi

Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: segreteria@centrogiornalismo.it http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia


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