Numero 10 (15-30 ottobre 2015)

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Quattro colonne

SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo

– ANNO XXIV n° 10 31 ottobre 2015 –

AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

Arriva il nuovo ISEE Oltre 350 borse di studio perse in Umbria

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

70% regime libero

Tutti più ricchi (solo sulla carta) Paola: da operaia a fornaia a domicilio pagg. 8-9

Perugia, la città dove i cinema tornano a vivere pagg. 12-13

Quando i cartelli stradali non sanno parlare pag. 16


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«S

iamo diventati ricchi e non ce ne siamo accorti»: è un grido unanime, da Torino a Palermo, che riempie striscioni e pagine social. Gli universitari italiani scendono in piazza, denunciando problemi più concreti che mai. Borse di studio perse, tasse alle stelle, famiglie nelle stesse condizioni economiche dello scorso anno che si trovano escluse da agevolazioni di cui godevano fino a pochi mesi fa. Effetti collaterali del nuovo ISEE, entrato in vigore da gennaio 2015: una riforma partita in sordina, che dalle pagine tecniche degli inserti sui tributi si è ritagliata spazio nelle cronache locali. Di ISEE in realtà si parla già da anni: l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente è stato introdotto nel 1998, per definire le condizioni economiche del cittadino e del suo nucleo familiare, sintetizzandole in un indice che combina redditi e patrimonio. Uno strumento prezioso, che amministrazioni pubbliche ed altri enti hanno sfruttato fin da subito, per individuare i criteri di accesso ad alcune prestazioni assistenziali. Dagli assegni maternità ai servizi sanitari a domicilio, una buona fetta del welfare italiano passa attraverso un semplice numero. Per calcolarlo, fino allo scorso anno, ci si basava di fatto su un’autodichiarazione: un pomeriggio al CAF, qualche modulo da compilare e la pratica era pronta. Con il nuovo modello, invece, la certificazione di redditi e patrimoni è comprovata da un incrocio di dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps. Una misura che punta ad amplificare i controlli, per evitare, come accadeva in passato, la cosiddetta “sotto-dichiarazione”: secondo le rilevazioni del ministero del Lavoro, l’80 per cento dei soggetti che compilava il vecchio ISEE dichiarava di non avere un conto in banca o un libretto di risparmio, dato chiaramente non coerente con quelli in possesso della Banca d’Italia. Ma queste verifiche più accurate allungano i tempi della burocrazia: per il passaggio tra gli uffici servono almeno dieci giorni lavorativi, che si moltiplicano nei periodi di maggiore affluenza. Tra settembre e ottobre, tutti gli studen-

L’esercito dei finti ricchi

Arriva il nuovo ISEE ma le università non si adeguano di Simona Peluso ti sono tenuti a presentare la dichiarazione ISEE, per poter essere inseriti (in base a reddito e patrimonio della famiglia) all’interno di una fascia di contribuzione per le tasse universitarie: in quel periodo diversi CAF sono stati costretti a rimandare l’avvio di nuove pratiche, tra file, attese e ritardi accumulati. Molti atenei, così, hanno dovuto prorogare i termini per le immatricolazioni: a Perugia, ad esempio, la scadenza finale è slittata dal 20 al 30 ottobre. Dati definitivi sul tema, perciò, non ce ne sono, ma quelli provvisori riservano amare sorprese: secondo le associazioni studentesche, oltre la metà degli universitari italiani dovrà versare

Oltre la metà degli universitari italiani dovrà versare più tasse rispetto allo scorso anno

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più tasse rispetto allo scorso anno, a fronte di una situazione familiare rimasta invariata. Gli “esodati” delle borse di studio, tagliati fuori dalle graduatorie, sarebbero più di 30mila; in Umbria ci sono almeno 325 persone in queste condizioni. Il mistero è presto svelato: il nuovo ISEE ci ha resi in media più abbienti, ma gli enti pubblici non hanno adeguato di conseguenza le soglie di accesso ai vari servizi. Le fasce di contribuzione, in università, sono rimaste le stesse, e gli studenti, con un ISEE più consistente, migrano in massa verso quelle più alte. Ma cosa gonfia questi valori ISEE? La componente patrimoniale, innanzitutto, che pesa di più rispetto al passato. Il valore fiscale di ogni abitazione viene ricalcolato a fini IMU e non più a fini ICI: fuor di tecnicismo, una stessa casa vale in media il 60 per cento in più


Primo piano Piano rispetto alle vecchie valutazioni. «Non sorprende, quindi, che le famiglie più colpite dall’aumento del valore ISEE siano proprio quelle che possiedono più di una casa – conferma il dott. Palmiero Bruscia dell’Ufficio controllo reddito dell’ADISU di Perugia – spesso, però, più che di ville si parla del rudere ereditato dalla nonna». Insieme a loro c’è chi è rimasto «vittima della nuova definizione di nucleo familiare: uno studente, oggi, può considerarsi autonomo solo se risiede da almeno due anni in una casa che non appartenga ad un parente, percependo un reddito minimo stabilito per legge». Un punto di svolta, per tanti versi: se tutto andrà bene finirà l’era dei ragazzi che fingono di risiedere da soli, presentando un ISEE da disoccupati che nasconde i redditi dei genitori benestanti. Dalla regola, però, nasce qualche paradosso: «una persona sposata che studia all’università e non lavora, infat-

Assemblea in Unipg contro il nuovo ISEE

ti, figura nel nucleo familiare dei suoi pur essendosene staccato. E un padre divorziato, in alcuni casi, rientra nel nucleo anche se non versa alimenti ai

Nuovo ISEE, vecchi furbetti

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redità dimenticate, immobili all’estero che spariscono, conti bancari che si svuotano il 30 dicembre per riempirsi magicamente il 1 gennaio. Il vecchio modello ISEE, che è stato usato per 17 anni, lasciava aperte diverse vie di fuga a chi voleva dichiarare un livello più basso di redditi e patrimoni. «Si può dire che prima non ci fossero controlli: era il contribuente a decidere cosa dichiarare e cosa no», racconta Silvia Liberati, commercialista. «Tantissime persone usufruivano di servizi di welfare di cui in realtà non avrebbero avuto bisogno». In questo modo, conferma il ministero del Lavoro, sono spariti dalle casse dello stato oltre 2 miliardi di Euro. «Col nuovo ISEE, in linea teorica, le cose dovrebbero migliorare: i dati vengono verificati due volte e non è raro che l’Agenzia delle Entrate o l’INPS rimandino indietro pratiche perché si accorgono che all’appello manca qualcosa. Fino allo scorso anno, chi aveva due case faceva risultare il figlio residente in una delle due: il ragazzo presentava ISEE come nucleo familiare autonomo, i genitori, compilando il 730, continuavano a prendere le detrazioni per il figlio a carico, la famiglia evitava di pagare l’IMU perché in possesso di due prime case. Adesso l’Agenzia delle Entrate si accorge del

bug e rimanda indietro la pratica: il figlio a carico deve dichiarare anche il reddito dei genitori e presenterà un ISEE decisamente più veritiero». Da quest’anno, poi, assume maggir rilievo il patrimonio mobiliare dell’intera famiglia, studenti inclusi: automobili, libretti di risparmio, conti bancari detenuti all’estero. «Il principio, a mio parere, è molto corretto – continua Silvia Liberati – Quando lo stato ti chiede se hai una carta prepagata non sta cercando di derubarti, ma di tutelare la tua posizione rispetto a quella di migliaia di evasori: le piccole cifre non fanno schizzare l’ISEE alle stelle, ma è giusto scoprire se il compagno di corso che risultava nullatenente possiede in verità una macchina di lusso». I controlli ci sono, insomma, ma la copertura putroppo non è totale. «Ci è capitato di compilare pratiche per clienti che chiedevano espressamente di non far figurare una seconda casa nel conteggio: l’Agenzia delle Entrate non si è accorta di nulla, anche perché l’immobile non è stato dichiarato neanche con il 730. La cosa buffa è che il proprietario ne paga regolarmente IMU e TASI. Per quanto ci siano alcune distorsioni, non si può dire che il nuovo modello sia meno equo del passato. La sfida, adesso, è adeguarsi ai nuovi paramentri».

figli. Nel conteggio, poi, sono compresi anche tutti i redditi di fratelli e sorelle lavoratori, che prima pesavano solo per il 50 per cento» racconta Bruscia. La situazione si fa drammatica quando si parla di famiglie con componenti diversamente abili: se un tempo la presenza di persone con disabilità incidevano sull’ISEE come un coefficiente che divideva il reddito totale, oggi, dal reddito totale, viene sottratta una somma fino a 7000 euro stabilita per legge in base al livello di inabilità. E il risultato finale è nettamente diverso – e nettamente più alto – rispetto al passato. Per la prima volta, poi, vengono presi in considerazione quei redditi su cui non si paga l’imposta IRPEF: sussidi, aiuti statali, assegni di cura, pensioni di invalidità, persino le stesse borse di studio. Se uno studente ha usufruito di agevolazioni negli anni precedenti, quelle stesse agevolazioni andranno ad alzare il valore ISEE della sua famiglia. Alcune persone sono rimaste fuori dai parametri proprio a causa di un paradosso del genere. Secondo le prime rilevazioni del Ministero del Lavoro il valore del nuovo ISEE risulta più alto rispetto a quello calcolato con il vecchio metodo per più dei 2/3 dei cittadini, che si ritrovano con un indicatore aumentato in media del 10 per cento. Il cambiamento, forse, sarebbe stato a stento percepito se enti pubblici e amministrazioni locali avessero adeguato per tempo le vecchie soglie ai nuovi criteri. Questo purtroppo non è accaduto. E la battaglia del governo ai finti poveri ha creato un esercito di finti ricchi.

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L’Umbria alla prova ISEE

Aumentano le tasse, spariscono le borse di studio. La risposta dell’università di Nicoletta Soave

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recentoventicinque studenti che alla fine dei conti saranno in tutto 703. fino all’anno scorso avevano diPensate che l’anno scorso i non idonei ritto alla borsa di studio e che per patrimonio erano solo 293. Stiamo quest’anno saranno costretti a farne a parlando di un incremento del 200%. E meno. È il primo e il più evidente dequesto senza contare le matricole!» gli effetti sull’Università di Perugia della È il patrimonio che conta di più e pornuova normativa ISEE. «Ma i numeta l’ISEE alle stelle. Così nascono i pari non sono ancora definitivi» avverte radossi che all’Adisu conoscono bene. Palmiero Bruscia, impiegato dell’AdiCome il ragazzo con il padre disoccusu, l’Agenzia regionale per il Diritto allo pato che però risulta proprietario di una Studio Universitario. È lui ad occuparsi seconda casa, quella che gli ha lasciato dell’assegnazione di borse di studio e di la nonna morta da poco. O lo studente altri benefici a concorso per l’Università sposato e senza reddito che però viedel capoluogo umbro. ne considerato Mentre spiega come parte del nucleo Sono 69 a Perugia funziona la nuova norfamiliare dei gli studenti con ma, Palmiero scuote suoi genitori e la testa e continua a deve pagare le reddito inferiore a controllare i dati che tasse sulla base 10.000 euro e senza di soldi che non ha inserito nella sua tabella di Excel, per ha. O ancora lo borsa di studio assicurarsi di non aver studente con un sbagliato: pare che quei numeri siano fratello disabile, che si ritrova con un incredibili anche per lui, che pure li agISEE molto più alto di quello che risulgiorna a cadenza regolare. tava con il vecchio calcolo. Mancano all’appello 621 studenti che A Perugia sono 69 gli studenti con non hanno ancora compilato il nuovo un reddito inferiore ai 10.000 euro che modulo ISEE, ma si può già affermare quest’anno non avranno diritto alla borche circa il 10% di chi rientrava nella fasa di studio a causa della nuova norma. scia di reddito coperta da borsa di stu«Molti di noi saranno costretti a lasciare dio quest’anno dovrà arrangiarsi senza gli studi – denunciano gli universitari – il contributo statale. «Per il momento – Proprio qualche giorno fa una ragazza prosegue Palmiero – 586 studenti non ci ha chiesto aiuto per trovare un lavoro sono idonei per patrimonio. Credo che che le consentisse anche di continua-

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re a studiare. La sua famiglia non può mantenerla senza borsa di studio. E lei è una che ce la farà comunque ad andare avanti. Sono tanti invece quelli che saranno costretti a rinunciare, almeno per il momento». L’Università al momento può fare poco: il rettore Franco Moriconi ha accettato di aprire un tavolo di discussione con gli studenti e con l’assessore regionale con delega per il diritto allo studio, Antonio Bartolini. Intanto, per timore di un crollo nel numero delle immatricolazioni, anche a causa dell’aumento delle tasse, il termine per le iscrizioni è stato spostato dal 20 al 30 ottobre. Ma la soluzione deve essere concordata tra gli atenei su scala nazionale, perché le università rimangano competitive. Anche la Regione cerca di porre rimedio alla situazione almeno per il momento: il Governo infatti ha assicurato che per l’inizio del prossimo anno accademico il problema verrà risolto, anche se non ha specificato in che modo. In vista delle elezioni studentasche, la questione ISEE è diventata anche un cavallo di battaglia della campagna elettorale. Gli studenti chiedono che l’Università restituisca l’extra gettito che ha accumulato e continuano a difendere il diritto allo studio.

I dati dell’UniPG


Primo piano Piano

Le nostre proposte: studenti verso il voto Associazioni universitarie a confronto: tra scenari immediati e soluzioni a lungo termine pesano le prossime elezioni di Davide Giuliani

Tavolo tecnico e proteste L’Udu: aumenti ingiusti

«I

soldi presi indebitamente agli studenti devono tornare agli studenti». È un messaggio chiaro quello che arriva dall’assemblea

Adattare subito le fasce Idee: mozioni in CdA

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dattare le fasce fin da subito, oppure usare l’extra gettitto di quest’anno per aiutare i soggetti più disagiati. Questi i due punti di partenza, secondo Idee in movimento, per risolvere l’emergenza creata dal nuovo calcolo Isee. «Non è colpa dell’Università, si tratta di una decisione governativa», precisa il presidente Alberto Gambelli (nella

«Via da ISEE le 150 ore» SO vuole nuovi bandi

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la Regione l’unica a poter fare il primo passo per risolvere la difficile situazione che si è creata». Ne è convinto

di Sinistra Universitaria – Udu sul nuovo Isee. Una restituzione che deve avvenire tassativamente sulla base del reddito e non del merito. A spiegare come questo sia possibile è Tiziano Scricciolo (nella foto), coordinatore perugino dell’associazione: «Il nostro obiettivo è che gli importi vengano ridati personalmente, contando quanto ciascuno ha pagato in più rispetto allo scorso anno. In alternativa vogliamo che l’extra gettito ottenuto dall’Università sia investito in servizi allo studio».

Per il futuro è in programma una riforma delle rette universitarie; l’Udu, intanto, si muove su un doppio binario: localmente c’è la contrattazione con Università e Regione, con il Rettore Moriconi che ha assicurato l’istituzione a gennaio di un tavolo tecnico di monitoraggio Isee a cui parteciperanno anche gli studenti. La seconda strada è quella della protesta, da gestire a livello nazionale, e che prevederà sit-in fuori dagli atenei e dai palazzi istituzionali e interventi in aula a margine delle lezioni.

foto). «Questo aspetto è fondamentale: non vogliamo attaccare l’ateneo, ma risolvere il problema assieme». Il primo passo, tramite la rappresentanza nel CdA universitario e nel Senato accademico, sarà dunque quello di chiedere l’adeguamento delle fasciazioni per la seconda e la terza rata di quest’anno. Qualora non fosse possibile, il budget accumulato potrebbe essere convertito in borse di studio. Un processo difficile, ma che metterebbe una toppa alla falla creata.

«I soldi non sarebbero ridati a tutti, ma solo agli studenti più in emergenza e con criteri esclusivamente di reddito». L’intervento maggiore spetterebbe dunque all’Università, ma una correzzione sarà cercata anche nella Commissione di controllo Adisu.

Pietro Aceto (nella foto) responsabile dell’associazione Student’s Office. Senza i tempi tecnici per una modifica delle fasce universitarie già nell’anno in corso, infatti, l’unica soluzione sembra l’apertura di nuovi bandi che mettano uno stop all’emergenza. «Non è stato fatto prima perché non si avevano dati sufficienti a livello nazionale per comprendere quale sarebbe stato il reale effetto del cambio di calcolo nell’ISEE. Per quanto ci risulta, tuttavia, l’Adisu sta studiando una mi-

sura di adeguamento dei parametri». Fondamentale, secondo Student’s Office, è poi escludere dal calcolo Isee le retribuzioni per attività a tempo parziale compiute dagli studenti all’interno dell’ateneo, come il bando “150 ore”. «Entro l’inizio del prossimo anno accademico – conclude Aceto – si dovrà pensare a una riforma della tassazione universitaria: occorrono più fasce, in modo da rendere gli scaglioni più progressivi ed evitare i pesanti salti che si sono verificati in questa circostanza».

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«Così ci rubano i diritti» Rincari in arrivo per mense, affitti e trasporti pubblici In viaggio tra le trecento vittime del nuovo ISEE

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er fortuna ci sono le mance». Matteo, 21 anni, terzo anno a medicina, media del 28, ringrazia l’unico ammortizzatore sociale che nessuna legge gli toglierà mai: la paghetta dei nonni. Aula Magna di filosofia, due bandiere rosse dell’Udu attaccate al palco, sessanta persone all’assemblea sul nuovo modello ISEE. Matteo è uno di loro: «Io e mia madre viviamo con il suo stipendio da mille euro al mese più i 500 che ci passa mio padre. L’anno scorso pagavo 200 euro. Da quest’anno la retta è balzata a 1900». Tutta colpa del valore della

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casa in cui vive con la madre. Continua Matteo: «Da quest’anno il calcolo ISEE è più preciso. Conteggiano le giacenze medie dei conti, le automobili, persino il valore dei libretti postali. Ma il mio tenore di vita non è cambiato». Storie di ordinaria tassazione di un’università che – secondo gli studenti – sta perdendo la sua vocazione al diritto allo studio. Elisa, 19 anni, ingegneria meccanica: «Un attentato al diritto allo studio. Così gli studenti scapperanno tutti all’estero. Come ha fatto mia sorella, che adesso insegna italiano a Dublino». Simone, 21 anni, lettere: «Non solo il mondo del lavoro, adesso il governo vuole precarizzare anche l’istruzione. Più tasse, meno alloggi e trasporti gratis ai fuorisede, meno pasti in mensa». Ne sa qualcosa l’aspirante ingegnere Daniele, 24 anni. Tre fratelli di cui due all’università, due automobili, un mutuo appena finito di pagare, padre ricercatore a quasi duemila euro al mese (contratto bloccato da cinque anni), mamma casalinga da venti. Da quando le lezioni sono cominciate, Daniele si alza alle sei e mezza per cucinarsi il pranzo. Così risparmia 4 euro e

50 centesimi: il prezzo di un primo, secondo e contorno alla mensa dell’università. Da buon ingegnere ha fatto il conto: «In un anno, tra tasse e cibo, spenderò 1300 euro in più. Volevo andare a scrivere la tesi alla Columbia University di New York, ma penso ripiegherò su Milano o Roma». Il nuovo ISEE complica la vita ai furbetti che evadono il fisco, ma, in assenza di un adeguamento delle fasce, colpisce anche quelli che ricchi non sono. L’Unione degli universitari stima che il dieci per cento degli studenti ha perso la borsa di studio. Una doccia fredda per trecento “non idonei” che quest’anno sono usciti dalle graduatorie dell’Adisu, l’agenzia regionale per il diritto allo studio. La scure si è abbattuta anche su chi, pur non percependo borse di studio, da quest’anno fa parte di una fascia di reddito superiore. «L’ISEE è uno strumento del welfare – dice dal palco Dario Sattarina, studente di medicina e responsabile dell’Udu per il diritto allo studio – Serve anche per avere diritto ai ticket sanitari. Siamo qui per lanciare un allarme che riguarda tutti quanti, non solo gli universitari». Interviene dalla platea il calabrese Giuseppe, aspirante avvocato: «Le tasse sono aumentate del cinquanta per cento in dieci anni e adesso non mi danno più nemmeno la borsa di studio. La Costituzione proclama che “i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi” devono poter continuare a studiare. Ce lo devono permettere, altrimenti sarò costretto a ritirarmi e a tornare in Calabria a fare il cameriere in nero, come tanti miei amici». Gli fa eco dal palco Tiziano Scricciolo, facoltà di scienze politiche e coordinatore Udu: «Con questo ulteriore aumento l’università incasserà soldi che non le spettano, ma non ci facciamo fregare. Questo tesoretto dovrà essere restituito agli studenti. A tutti gli studenti. Ma temiamo che decideranno di darlo solo in base al merito, escludendo i parametri del reddito. Se così fosse, sarebbe una misura classista, non ho paura a dirlo». «Il problema vero – dice una ragazza – è che la maggioranza non partecipa. Bisogna riuscire a coinvolgere gli inconsapevoli». Verso le sei e mezza fa irruzione in aula la signora delle pulizie: «Ragazzi, entro le sette avete finito, vero?». Risposte affermative dal palco. La lotta di classe, per questa sera, può attendere.

Davide Denina


Primo piano

È una regione per studenti? Da anni gli iscritti all’Università di Perugia calano a picco, eppure l’Umbria sembra particolarmente attenta al diritto allo studio. Almeno fino all’introduzione del nuovo ISEE

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a circa dieci anni il tallone d’Achille dell’Università di Perugia è il numero degli iscritti. I dati parlano chiaro: quasi 15.000 studenti persi tra l’anno del record, il 2003/2004, quando gli iscritti toccarono quota 35.409 e l’anno scorso, solo 22.017. Per rilanciare l’UniPg e riportarla agli antichi splendori continuano ad arrivare proposte, più o meno efficaci, di Università e organizzazioni studentesche. Ma nei giorni in cui tanto si discute del nuovo ISEE, c’è da chiedersi se la gestione del diritto allo studio c’entri qualcosa con questa emorragia di iscritti. Come si colloca l’Umbria nel confronto con le altre regioni?

Dati riferiti all’a.a. 2013/2014

Per capire cosa offre l’ateneo perugino agli studenti meno abbienti, bisogna far riferimento all’Agenzia per il diritto allo studio (ADiSu), ente che, per conto della Regione, eroga borse di studio e servizi come mense, alloggi e sussidi. «L’Umbria da anni sceglie di investire in questo campo e di garantire la borsa a tutti i ragazzi a cui spetta – assicura l’ufficio Redditi dell’Adisu di Perugia – Stanziando ogni anno circa 8 milioni di euro, assicuriamo la copertura delle spese a chi ne ha bisogno». La borsa di studio, nella nostra regione, racchiude infatti diverse agevolazioni: chi la ottiene non paga le tasse universitarie, ha diritto a uno o due pasti completi gratuiti al giorno, un alloggio in una residenza universitaria e, laddove non dovesse usufruirne, 1.500 euro in più per pagare l’affitto. Non tutte le regioni fanno lo stesso: ci sono quelle che offrono meno servizi o che semplicemente erogano un importo monetario più basso. I beneficiari vengono suddivisi in fasce di reddito su base Isee e se in Umbria un fuori sede in

prima fascia riceve direttamente 3.918 euro, in Lombardia lo stesso studente ne prende solo 2.637, che diventano 2.609 in Piemonte. Negli ultimi tre anni accademici, il 100% degli studenti risultati idonei ad ottenere la borsa di studio l’ha vista arrivare. Nient’affatto scontato, se si considera che regioni come il Lazio e la Lombardia nel 2013/2014 ne hanno coperte rispettivamente il 91 e il 77% lasciando fuori un esercito di cosiddetti “idonei non beneficiari”. La situazione peggiora scendendo a sud: nello stesso anno la Campania ha coperto solo la metà degli idonei, mentre la Sicilia – maglia nera – ha assegnato le borse solo al 32% degli aventi diritto. Per ovviare al problema degli “idonei non beneficiari”, senza però stanziare fondi maggiori per il diritto allo studio, molte regioni utilizzano un escamotage: introdurre criteri più restrittivi per accedere alle borse, facendo calare il numero di domande. La legge nazionale fissa due limiti entro i quali si può accedere alla copertura delle spese universitarie: un patrimonio (Ispeu) inferiore ai 35mila euro e un reddito (Iseeu) inferiore ai 21mila euro. Se l’Umbria mantiene invariati questi limiti, alcune regioni li abbassano: nelle Marche, ad esempio, i parametri diventano rispettivamente 30.000 e 18.500, nel Lazio 34.000 e 19.400. In questo modo una grande fetta di studenti che in altre regioni avrebbe ottenuto la borsa, rimane esclusa. Altre regioni, per ridurre le domande e spendere meno, fissano soglie più stringenti sul merito, oppure appaltano i servizi offerti ad altre aziende. In Lombardia ed Emilia Romagna, ad esempio, sono stati introdotti voucher per poter usufruire di mense e alloggi privati: l’amministrazione contiene i costi, ma la cifra allo studente non basta, perché i prezzi sono più alti rispetto a quelli pubblici. L’Umbria non ha privatizzato nulla e ha sempre garantito un aiuto a chi voleva studiare. Ma quest’anno avrà problemi ad accontentare tutti. «Chi risulterà idoneo riceverà la sua borsa di studio. Molti, purtroppo, non lo saranno più, pur non essendo diventati più ricchi».

«Stanziando ogni anno circa 8 milioni di euro, assicuriamo la borsa di studio a tutti quelli che ne hanno bisogno»

Elisa Marioni

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Economia

Porto il forno e facciamo la pizza Paola, ex operaia della Merloni, si è rialzata dopo il dramma del licenziamento A 42 anni si è inventata un lavoro che era sempre stata la sua passione

«P

ronto, quante persone siete? Quaranta? Bene! Fammi trovare abbastanza legna, io porto il forno e faccio pizza e torte per tutti». Sono quasi le nove di sera, ma il telefono continua a squillare senza tregua. «Pronto, no i ravioli li ho finiti, devi ordinarli prima la prossima volta». La voce che risponde è schietta e dà a tutti del tu. È la voce di Paola Mancini, che a 42 anni, dopo essere stata licenziata dall’Antonio Merloni S.p.a., si è inventata una nuova vita: con un forno a legna portatile gira l’Umbria e fa la locandiera a domicilio. Ha iniziato la sua avventura con il passaparola tra parenti e amici che le hanno commissionato rinfreschi, cresime e comunioni. Ma in poco tempo la clientela ha iniziato ad ampliarsi e Paola, a Gualdo Tadino, è conosciuta da tutti come “La locandiera”. Rimettersi in gioco dopo il licenziamento, però, non è stato semplice. «Sono stata la prima donna assunta dalla Merloni di Nocera Umbra. In catena di montaggio il lavoro è duro, specie per i metalmeccanici. Io ho fatto la gavetta per 14 anni, fino al 2008». L’anno in cui la crisi economica

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ha iniziato ad azzannare anche il settore del “bianco”, quello della produzione di elettrodomestici. La Merloni, incapace di estinguere un debito di oltre 500 milioni, è entrata in amministrazione straordinaria per evitare la liquidazione di immobili e capitali. Per 2300 dipendenti degli stabilimenti di Nocera Umbra e Fabriano è scattata la cassa integrazione. Così è stato anche per Paola. «Ho ricevuto il sussidio per tre anni. Poi nel 2011 l’azienda ha chiuso i cancelli e la produzione si è fermata». Solo 700 operai sono stati riassunti da Porcarelli, l’imprenditore che, nel 2012, ha rilevato l’intero perimetro industriale, ribattezzandolo “J. P. Industries S.p.a.”.

«Mi accolgono tutti a braccia aperte nelle loro case» «Dopo una vita passata in fabbrica non era facile trovare lavoro. Ma dovevo mantenere i miei due figli. Così,

dopo i primi momenti di smarrimento, mi è venuta l’idea di organizzare banchetti a domicilio. Del resto la cucina è sempre stata la mia grande passione». Così Paola ha investito tutti i risparmi e la liquidazione per comprare un forno a legna e lo ha fatto saldare sopra un carrello, così da poterlo portare in giro per tutta l’Umbria. Con un gancio lo attacca dietro al suo fuoristrada e va a casa di chi la chiama. Lavora soprattutto a Gualdo Tadino, Assisi e Fabriano. Ma la contattano anche da Perugia e Foligno. «Sono nata in una famiglia contadina che mi ha insegnato molte ricette tradizionali. Il cibo cucinato nel forno a legna ha tutto un altro sapore». Paola ha iniziato con pizze, torte, pane e dolci. La sua specialità, però, è sempre stata la spianata, una crescia con cipolla, sale e rosmarino fatta con l’impasto del pane. «Mi accolgono tutti a braccia aperte nelle loro case e, di solito, dopo la prima volta mi richiamano sempre. Per questo, con il tempo, ho dovuto cambiare i menù». Adesso non organizza più solo banchetti, ma anche battesimi, cresime e matrimoni: insomma veri e propri catering. Ha due


Economia ragazzi che l’aiutano, un apprendista e una tirocinante. In più, nel fine settimana, le danno una mano anche i figli, soprattutto se deve occuparsi di grandi ricevimenti. «Per l’inaugurazione di una birreria abbiamo servito più di mille persone. È stata durissima, ma alla fine mi sono divertita. Per l’occasione ho comprato un grande braciere a legna e ho inventato un menù da “fast food”». Fast food per modo di dire: i prodotti che utilizza sono tutti a kilometro zero, tutto viene dalla campagna, dalla farina alla carne. Il lavoro, per fortuna, non manca mai. Soprattutto in primavera e in estate, quando riesce a sostenere fino a 4 servizi a settimana. Dopo tre anni di attività, per l’usura, ha dovuto buttare il vecchio forno e comprarne un altro. D’inverno, però, le richieste calano. Così Paola ha deciso di aprire un piccolo laboratorio a Gualdo Tadino, con punto vendita annesso. Per comprare il locale si è fatta carico di enormi sacrifici. «Fino a quando sono stata in cassa integrazione non sono riuscita a prendere il mutuo. La banca me l’ha concesso solo dopo aver visto gli incassi dei primi due mesi. Devo ringraziare tutta la gente che ha creduto in me. A partire dai fornitori che mi hanno detto “quando avrai i soldi mi pagherai”». In città, chi ha potuto, le ha dato una mano. Chi le ha regalato la pala per infornare la pizza, chi i sesti, chi le teglie. Lei li ringrazia a modo suo: tutti gli anni, la mattina di Pasqua, imbastisce una

Le torte pasquali che Paola offre ogni anno per la colazione benedetta

grande tavola davanti al negozio e offre la colazione benedetta ai passanti insieme al prete. «È un modo per tenere viva una tradizione che mi hanno trasmesso i miei genitori». Certo c’è da pagare un mutuo da 100mila Euro, ma gli affari vanno bene e Paola è abituata al sacrificio. Tutte le mattine alle 5 inizia ad impastare il pane. Nel laboratorio produce anche pasta fresca, dolci tipici e rosticceria. Per assaggiare i suoi prodotti bisogna ordinarli con largo anticipo e mettersi in fila. A Gualdo Tadino vanno tutti pazzi per le leccornie della locandiera. Il primo testimonial della sua cucina è stato

«Sono felice di aver realizzato il mio sogno tra tante difficoltà»

il piccolo Lorenzo, figlio di amici. Il primo rinfresco l’ha organizzato per il suo battesimo. «Suo padre, poi, ha disegnato il logo della Locandiera che ormai è il mio portafortuna. Non smetterò mai di ringraziarlo». Se potesse tornare indietro, Paola, cambierebbe solo una cosa della sua vita. «Mi sarei licenziata molti anni prima, se solo avessi avuto il coraggio. Avrei comprato il forno per dedicarmi alla cucina anche prima della crisi della Merloni. Ma con due figli all’università non me la sono sentita di rinunciare allo stipendio fisso. Oggi, nonostante le difficoltà, sono felice di aver realizzato il mio sogno».

Dario Tomassini

Lavori (e lavoretti) anticrisi

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econdo i dati provvisori diffusi dall’Istat, in Italia il tasso di disoccupazione relativo al secondo trimestre del 2015 è del 12,1%. Oltre tre milioni di italiani sono senza lavoro. Ma c’è chi non si lascia scoraggiare dai numeri e si rimbocca le maniche. Alcune piccole attività artigianali, infatti, resistono stoicamente alle sferzate della crisi. A tenere botta sono soprattutto le pizzerie al taglio, le friggitorie, le rosticcerie e le gastronomie. Grazie anche alla grande diffusione di iniziative gastronomiche itineranti come lo “street food”. Secondo uno studio della CGIA (Associazione artigiani e piccole imprese) anche estetisti, parrucchieri e gelatai escono bene dalla congiuntura negativa. Ma le vere sorprese sono altre: in cima alla classifica dei mestieri anti crisi ci sono tatuatori, pellettieri e pasticceri. Se il mattone continua ad essere uno dei settori più in difficoltà, da qualche anno si è aperta una nuova

frontiera per l’edilizia: l’autocostruzione. Il termine, nel gergo architettonico, indica la sostituzione dei muratori professionisti con operatori dilettanti durante il processo di costruzione di un edificio. Gli utenti possono partecipare alla realizzazione della loro futura abitazione e risparmiare fino al 70% sul costo finale. Il progetto pilota in Italia è stato lanciato a Marsciano nel 2008. Certo, in alcuni casi la crisi ha fatto aguzzare l’ingegno. Ecco allora una serie di lavori decisamente singolari: cercatore di palline da golf; tester di fazzoletti; allevatore di grilli. Si aprono nuove possibilità anche per gli amanti degli animali. Alcuni laboratori farmaceutici sono pronti ad assumere mungitori di serpenti. In cosa consiste il lavoro? Semplice: nel catturare serpenti velenosi, estrarre loro il veleno e rilasciarli nel loro habitat naturale. Il tutto per fornire alle aziende materiale per la produzione di antidoti. 31 ottobre 2015 | 9


Economia

Stiamo sul mercato Lo rivendicano i venditori ambulanti e i dati confermano: nonostante alti e bassi il commercio itinerante regge

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hiedi a lui, che ha da sempre il banco di fronte al mio, quanti clienti ho e se la gente si fida della verdura che compra da me». E da dietro arriva immediata la replica: «Tanti, tantissimi. Le persone tornano sempre perché sanno che Anna ha la roba buona!». Al mercato di Umbertide c’è un furgoncino bianco allestito con piccole cassette capovolte una sull’altra, a sinistra la frutta, a destra gli ortaggi. In mezzo una signora piccola e riservata, che non alza mai lo sguardo dalla sua merce e non smette un attimo di sistemarla: «Questa è tutta roba del mio orto. Giro pochi mercati ma ho clienti fissi da trent’anni». I prezzi? Non sono bassi, la media è di due euro e cinquanta al chilo, ma l’imperfezione delle melanzane rivela che sono genuine. Il banchetto di Anna è l’unico di ortofrutta nella via destinata ai vestiti. Di fronte cartelli gialli appoggiati sulle cataste di insalata e arance promettono prezzi stracciati: 80 o 90 centesimi. Qui, da un lato e dall’altro dei banconi, “i nuovi italiani”: donne velate comprano peperoni e cavoli da commercianti provenienti dal Maghreb o dal Bangladesh. E se per un attimo sembra di essere in un suq, ci pensa l’accento umbro di Anna a rimettere ordine: «Io c’ho la qualità, quei prezzi non potrei tenerli: con questo lavoro ci campiamo in sei». Una giovane mamma di passaggio ribatte: «A parte qualche rara eccezione, ormai anche al mercato si fa fatica a trovare buoni prodotti: sembra che abbiano tutti la stessa roba. A questo punto conviene andare al discount». È un mondo variegato quello del commercio ambulante, fatto di storie e voci

diverse. Capirne le dinamiche, risalire le filiere, dipanare la matassa della burocrazia che ruota attorno ad una licenza o ad un posteggio è materia per esperti. O per chi si è tramandato questo mestiere di generazione in generazione: «Non smettiamo di essere un settore-rifugio: così attiriamo i giovani e gli stranieri, che sono ormai quasi la metà degli imprenditori», spiega Federico Zelli, giovane vicesegretario nazionale della Fiva (Federazione Italiana Venditori Ambulanti). Mappare il mondo delle bancarelle, itineranti per definizione, è molto complicato, ma le ricerche delle associazioni di categoria stilano un quadro di un settore complessivamente in buona salute, a dispetto della morte imminente prevista da qualche economista nel periodo pre-crisi. Tra gli ambulanti i fruttivendoli soffrono più degli altri la contrazione del numero di imprese: «Colpa delle liberalizzazioni, che hanno portato ad una omologazione dell’offerta. Ma abbiamo sempre prodotti più freschi della grande distribuzione» continua Zelli. E se si chiede alle persone perché si fidano ancora delle bancarelle, il relativo sondaggio rivela che il punto forte è la vicinanza a casa, «ma bisogna assolutamente ripensarne la collocazione, portarle dove la gente abita oggi, non dove stava 50 anni fa», sottolinea Massimiliano Baccari, presidente regionale Fiva-Confcommercio. Poi c’è il rapporto qualità-prezzo e quello di fiducia con il venditore «perché dietro ogni banco c’è una storia», ricorda Baccari. Infatti Marco, ambulante del mercatino di Torgiano rivendica: «Da me puoi trovare un cappotto buono anche a 150 euro, ma le mie clienti sanno che non vendo stracci. Poi ho anche la roba

Pensionati, casalinghe, disoccupati e studenti: i clienti fissi dei mercati rionali

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cinese a 10 euro, sei tu che devi saper scegliere», e racconta: «Mia madre ha avviato l’attività alzandosi ogni mattina alle 5 per quarant’anni, solo così possiamo mandare avanti due famiglie. Cominciare da zero oggi sarebbe dura».

Maria Teresa Santaguida


Economia

“Il mio segreto è l’onestà” così Chen resiste alla crisi Il proprietario cinese di un piccolo supermaket nel cuore di Perugia racconta come i negozianti stranieri tentano di arginare il calo dei consumi

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hen Peiqiang è fuori dal suo alimentari, sigaretta in mano e sguardo annoiato. Quando gli viene chiesto il suo nome, lui sorride, si guarda attorno e poi raccoglie da terra un vecchio scontrino stropicciato. «Mi chiamo così» dice indicando il pezzo di carta, dove sotto al marchio di una nota catena di supermercati è stampato anche il nominativo del titolare. Nel raggio di 100 metri, oltre al supermercato di Chen Peiqiang c’è il negozio d’abbigliamento della signora Zhang Qiuhua e un bar sempre gestito da cinesi. Ma qui non siamo nella Chinatown newyorkese, il quartiere è quello di Monteluce, a Perugia, e superando Porta Pesa si raggiunge il centro in pochi minuti. «Ho rilevato questa attività nel 2001 – continua Chen – stava fallendo perché non riuscivano a pagare i debiti. Sono ormai 15 anni che la gestisco, il mio segreto è l’onestà e la puntualità nei pagamenti. Ultimamente il proprietario dello stabile dove tengo il negozio – aggiunge – mi ha proposto una diminuzione dell’affitto perché si fida di me e sa che non è facile trovare persone che alla fine del mese pagano sempre». Il Censis stima in oltre 33 milioni gli italiani che dichiarano di fare acquisti presso negozi etnici, gestiti da cinesi, bengalesi, indiani ecc. E questo Chen lo sa bene: «Ho deciso di aprire un alimentari col marchio di una grande catena italiana perché preferisco vendere a tutti, non solo ai miei connazionali. Inoltre così fidelizzo il cliente, non avrei mai aperto un supermarket di soli prodotti cinesi». Il fenomeno in questione è chiamato ibridazione, come spiega sempre il rapporto del Censis. Si tratta, ad esempio di take away gestiti da arabi che offrono pizza e kebab, di supermercati gestiti da stranieri che vendono prodotti no-

Commessa al lavoro nel market di Peiqiang

strani accanto a prodotti etnici, oppure di esercizi che si sono sostituiti a quelli già esistenti e che hanno come clienti prevalentemente gli italiani, come nel caso dei cinesi che vendono di tutto a un euro, agli egiziani che vendono la frutta, o ai bar che si sono specializzati nel cappuccino nostrano. Nel periodo della crisi la propensione dei migranti a creare imprese è più alta. Nel 2012 erano 379.584 gli imprenditori nati all’estero che lavorano in Italia, con una crescita del 16,5% tra il 2009 e il 2012 e del 4,4% nel solo nel 2014: tutto questo mentre le imprese gestite dagli italiani diminuiscono del 4,4% nei quattro anni considerati. Questi numeri però non convincono Riad Abdul, ragazzone bengalese di 30 anni. Dal 2005 gestisce un piccolo bazar che vende bigiotteria indiana, sciarpe, cappelli e oggettistica varia sulle scalette di Sant’Ercolano, a Peru-

Nel periodo della crisi la propensione dei migranti a creare imprese è più alta

gia. «Gli affari vanno male – esclama Riad – ho guadagnato decentemente solo i primi anni di attività; qui la gente entra, guarda, fa domande, ma compra pochissimo. La crisi c’è per tutti – aggiunge – io mi do tempo qualche altro anno e poi se continua così lascio. Potrei anche tornare nel mio paese d’origine perché non sono sicuro di poter assicurare un futuro alla mia famiglia qui in Italia». Anche Chen Peiqiang sembra poco contento dell’andamento dei suoi affari: «Il mio ricarico è molto basso, non guadagno abbastanza e tutti i soldi se ne vanno via per le spese di gestione. Rimango qui solo per i mei figli, a loro non farebbe bene cambiare scuola e amicizie, adesso che sono così piccoli hanno bisogno di stabilità. E poi qui a Perugia l’aria è buona, in Cina c’è troppo inquinamento, la qualità della vita è molto più bassa. L’unica cosa che non riesco a togliermi dalla testa è che forse facendo lo stesso lavoro nel mio paese ora sarei ricco».

Giacomo Prioreschi

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Cultura e spettacoli

Schermi a parte Recupero e rilancio dei vecchi cinema del centro: la sorprendente controtendenza perugina di Alessandro Salveti

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erano una volta i cinema, ed è una crisi che ormai non fa nemmeno notizia. Le saracinesche abbassate a Roma sono oltre quaranta (l’ultima quella del Nuovo Cinema Aquila, al Pigneto). L’Apollo di Milano, altro indirizzo storico, è destinato ad ospitare un Apple Store. Da tempo, a Genova, via XX Settembre non è più la strada delle sale e dei film. Ma Perugia fa eccezione: nel capoluogo umbro sembra invece andare di moda il recupero e il rilancio dei vecchi locali del centro storico. Erano rimasti in due, e adesso sono quattro. Ne abbiamo parlato con Mirco Gatti, che con il fratello gestisce due di queste sale: il Meliès e il Sant’Angelo. Un lavoro che è prima di tutto una passione, tanto da scrivere anche un libro sull’argomento. «La presa di coscienza c’è stata. Il pubblico ha compreso la crisi del settore, ha visto tanti cinema chiudere e quindi, in qualche caso, ha messo una mano sulla coscienza e deciso di andare in sala». L’impressione, in questi casi e specialmente nell’esempio perugino, è che si vada oltre il concetto di cinema come posto per vedere film. Più che altro, al-

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lora, centro d’aggregazione, non virtuale, sentito come proprio e quindi da difendere. Non è quello che accade nelle grandi città. «Perugia, da questo punto di vista, è una città-paese. Ho visto il pubblico stancarsi progressivamente dei multisala, non-luogo per eccellenza. I due che ci sono a Perugia sono enormi, hanno 21 schermi, e in periferia: hanno aperto in un momento di grande decentramento. Ora si torna a investire nel centro storico, e anche questo aspetto è parte della generale inversione di tendenza». Proprio Gatti ci guida attraverso un tour figurato delle storiche sale di proiezione perugine. Si parte in cima a corso Vannucci: da quel Turreno che porta la sua “cittadinanza” già nel nome (nel Medioevo la “Turrena” era proprio Perugia,

Da due a quattro sale attive in pochi anni A Perugia il cinema è luogo d’aggregazione con le sue numerosi torri). Una sorta di multisala ante litteram, con gli oltre mille posti del cineteatro a cui aggiungere i

poco più di 100 della Turrenetta (aperta negli anni Novanta). Da lì, si scende verso piazza Piccinino: proprio in fondo alle scalette, sulla destra, il Moderno e poi Modernissimo. Dall’altra parte del corso, in piazza della Repubblica, il cinema teatro Pavone. Scendendo le scale mobili, verso piazza Partigiani, ecco il Lilli. Dai Tre Archi, fino a percorrere tutto corso Cavour, si arriva allo Zenith. Non era nemmeno troppo tempo fa: fino a poco prima del 2000 Perugia ospitava almeno otto sale, sei in centro e due in periferia (vicino la stazione di Fontivegge c’era la Multisala Ariston; già cinema a luci rosse con il nome Lux, e ora sala bingo). Poi la triste girandola delle chiusure: il Modernissimo nel 1999, il Lilli nel 2001, il Pavone nel 2009 (gestito negli ultimi anni proprio dalla famiglia Gatti), Turreno e Turrenetta pochi mesi dopo. La stagione delle grandi multisala, intanto, ha portato in città l’Uci Cinemas (ex Giometti) e il The Space Gherlinda (già Warner) di Corciano. Al centro resistono solo due esercizi: lo Zenith di Riccardo Bizzarri e il neonato Comunale Sant’Angelo, gestito dai Gatti. Nel 2013, da un’iniziativa sviluppata con l’Arci, proprio i fratelli Gatti fanno na-


Cultura e spettacoli Cinema: calano i giovani, crescono gli spettatori

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er le sale è un brutto film, ed è lo stesso per le grandi case di produzione. L’indagine presentata in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma, a cura dell’Istituto Toniolo e in collaborazione con l’Università Cattolica, è impietosa: i lungometraggi conservano il loro fascino, ma solo quando sono gratis. Su 1600 giovani nati in un periodo tra il 1982 e il 1994, solo il 26,1 per cento vede i film nelle sale (7 su 100 dichiarano di non andarci mai, e il 66,6 «raramente»). Il motivo è che «il biglietto è troppo caro»: sorprende che il problema sia più sentito al Nord (51 per cento). Potendo scegliere, la grande maggioranza preferisce il multisala (70,6) perché «più ricco di servizi»; il 15,2 per cento, invece, preferisce il vecchio cinema di paese

scere il Meliès. «Al suo posto non c’era una sala cinematografica. Il progetto è stato creato insieme all’Arci, e l’obiettivo era anche quello di tenere vivo il ricordo per ciò che era stato insieme a qualche speranza per il futuro». Il pensiero verso il passato è rappresentato da piccoli cimeli. Nella nuova sala, infatti, trovano posto alcune delle poltroncine dello storico Turreno. E il registratore di cassa del Sant’Angelo è quello che stava al Modernissimo. Porta bene, perché qualche mese dopo, al posto del Modernissimo, arriva il Post-Mod. I giovani quattro fondatori, già dal nome, dichiarano di assumersi l’eredità dello storico indirizzo ma di voler andare oltre, «ritornando all’idea di cinema come luogo di aggregazione e socialità che i multisala hanno messo in crisi». Programmazione d’autore e senso d’appartenenza. Il quattro su quattro perugino sembra passare proprio da qui. «Anche a Roma – spiega Gatti – sono nate iniziative simili. Penso al Quattro Fontane, o al Kino... Lì però sono una goccia nel mare. A Perugia il ritorno alle sale con piccola capienza forse si nota di più». L’utenza di una volta non c’è più. Il cinema cambia per inseguire il mercato? «Con l’avvento del digitale, la fruizione è forse più facile e quindi ci si regola di conseguenza. Anche se i distributori non regalano nulla e anzi mettono diversi “paletti”». Anche il pubblico è cambiato, nota il titolare della CineGatti. «Tra il 2002 e il 2009 abbiamo gestito il Pavone. C’è stato un calo netto da parte degli studenti, che fino al 2006 seguivano ras-

(un dato che valorizza ancora di più quanto accade a Perugia). Il 43,2 per cento preferisce vedere un film sulla tv generalista e il 20,4 li scarica illegalmente da Internet. Tutto questo, però, mentre le recenti rilevazioni Audimovie confermano la forte crescita degli spettatori nelle sale: nei primi nove mesi dell’anno l’incremento in rapporto allo stesso periodo del 2014 è di quasi dieci punti percentuali. I multisala con 8 o più schermi hanno attratto il 65,5% delle presenze; il 14,0% quelli con 6-7 schermi; il 15,9% i 3-5 schermi; il 3,0% i 2 schermi e l’1,6% i monosala. E nelle case degli italiani sta per arrivare Netfilx, il servizio che mette a disposizione (a pagamento) lo streaming di film e serie tv inedite. È molto atteso, ma in Francia è stato un insuccesso.

segne di cinema indipendente con film introvabili. Adesso abbiamo invece un target di persone molto più adulte, soprattutto al cinema Sant’Angelo. Al Meliès cominciano invece a tornare anche i ragazzi, ma questo dipende anche dal film in proposta. Adesso con il web uno scarica il film e lo vede a casa, anche con gli amici. Quindi il nostro mestiere diventa dedicarsi molto di più alla promozione e alla creazione di quell’evento aggregativo che dia la spinta per spostarsi dalle mura domestiche». Una professione che si fa per reale passione più che per i guadagni, questo sì. «Tutto il mondo del cinema vive ancora una fresca rivoluzione: il passaggio dalla proiezione analogica a quella digi-

tale. Questo ha profondamente cambiato il senso di questo lavoro, che prima era anche faticoso fisicamente (basti pensare al peso delle singole “pizze” di pellicola). Mio papà è stato proiezionista al Pavone per più di cinquant’anni e ha cominciato quando ne aveva 14. Per noi, che lavoriamo a gestione familiare, questa professione ha ancora un senso. Ma la passione è davvero fondamentale, e credo sia lo stesso per chi gestisce le altre realtà cittadine. Chi valuta solo gli aspetti economici – conclude Gatti – a questo mondo non ci si avvicina nemmeno». Non di solo business vive il proiezionista.

«Una professione che si fa per passione e non per business»

Mirco Gatti

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Cultura e spettacoli

Talenti fuori dai talent Il sogno interrotto di Selene, la rinascita di Michele Bravi, la lezione dei Fask I palchi dei giovani artisti umbri, dai festival indipendenti agli show televisivi Ma vivere di musica è ancora possibile?

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ei troppo perfetta per X Factor»: così Skin (frontwoman della band britannica Skunk Anansie e da quest’anno giudice dell’edizione italiana del talent show musicale) ha spiegato a Selene Capitanucci, cantante perugina di 22 anni, la sua scelta di non farle proseguire il programma. Un rifiuto che pesa, ma che Selene ha voluto prendere come un nuovo inizio. A un mese e mezzo dal “no” e a una settimana da quando tutta Italia l’ha scoperto in tv (le puntate delle selezioni sono registrate), la giovane interprete si è rimboccata le maniche: «Ho ripreso a studiare pianoforte e a scrivere pezzi miei», ci spiega. L’obiettivo è quello di delineare meglio la sua identità artistica. È questo, secondo lei, ad averla penalizzata nelle selezioni: «A livello tecnico ero pronta, ma non avevo un indirizzo preciso». Fa autocritica Selene e riflette anche sulla scelta di tentare il successo con uno show televisivo: «Ripensandoci, l’etichetta di “Selene di X Factor” l’avrei voluta fino a un certo punto: c’è il rischio di venire bruciati». Un concetto che gli Articolo 31 rappando spiegavano così: «La nuova stella del pop che bella che è/Numero uno in Italia anche se/La vecchia stella quella dell’anno scorso/Non mi ricordo

chi è». La loro canzone Nuova stella del pop uscì nel 2003. Allora Amici di Maria de Filippi – il talent più longevo della tv italiana – esercitava una sorta di monopolio sul piccolo schermo. Con gli anni il panorama si è arricchito di tanti altri format a caccia di star: i più famosi oggi – insieme al fortunato programma trasmesso su Canale 5 – sono The Voice of Italy su Rai 2 (in cui, ironia della sorte, giudice fino alla passata edizione era proprio il leader del duo rap J-ax, che pochi giorni fa ha annunciato di non ripresentarsi alla prossima edizione dello show «in cui cantanti che sperano di realizzare dischi di successo giudicano talenti musicali che i dischi di successo non li faranno mai»), e X Factor, in onda su Sky Uno. Da quel palco ha debuttato Michele Bravi, un giovanissimo tifernate che nel 2013, non ancora ventenne, ha vinto la competizione canora. Non sono passati neanche due anni, ma il tempo in tv scorre veloce: sei mesi dopo la vittoria Michele ha pubblicato il suo primo album, A passi piccoli, che ha risentito del fatto che era già «scemata quell’ondata di popolarità dovuta alla televisione», come ha spiegato il giovane artista in una video-confessione online. Da lì in avanti tante congetture: tra chi lo dava già per fallito e chi si aspettava di vederlo a Sanremo. Mi-

Il format più antico della tv

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a qualche anno a questa parte ovunque si sente parlare di talent show. Di cosa si tratta esattamente? Gli ingredienti fondamentali sono: un gruppo di aspiranti star, la competizione, il voto del pubblico e il premio. Per la televisione, niente di nuovo: i primi talent show infatti risalgono addirittura agli anni ’30. L’esordio fu in radio, ma diversi programmi traslocarono poi sul piccolo schermo, come in Italia La Corrida di Corrado. I pionieri del genere furono nel ‘48 gli americani con l’Arthur Godfrey’s Talent Scouts: segugi fiutavano in giro per il paese giovani promesse da sottoporre in studio al giudizio del pubblico, sovrano, ma forse sordo, dato che scartò Elvis. In Italia il primo talent televisivo comparve solo due anni dopo la nascita della tv nazionale, nel ’56. Si trattava di Primo Applauso, condotto da un Enzo Tortora al debutto sul piccolo schermo. Il programma si è fermato dopo una seconda stagione sfortunata, ma il suo successo dura ancora: lì è stato lanciato Celentano.

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chele invece si è preso del tempo per se stesso (e per i suoi fan, che ora lo seguono sul suo affollatissimo canale YouTube), ha cambiato etichetta e prodotto la sua nuova raccolta, I hate music, in commercio dai primi di ottobre e da allora tra i cinque dischi più venduti in Italia, tra online e scaffali. «Al primo posto nella classifica digitale c’è solo chi vince i talent», ironizzava qualche anno fa un altro grande del rap italiano, Caparezza. E se Bravi rimarca spesso (in primis attraverso il titolo del nuovo album, che tradotto in italiano significa “Odio la musica”) le difficoltà di un percorso come il suo, che – come ha raccontato a chi lo segue online – l’ha portato a «non sapere più chi era», è legittimo chiedersi se senza la vetrina tv sarebbe riuscito lo stesso a fare della sua passione la sua professione. Insomma bisogna vincere un talent per campare di musica? Lo abbiamo chiesto a Daniele Rotella, fonico dell’etichetta perugina La Fame


Cultura e spettacoli Dischi: «Si, si può vivere a tutti gli effetti di musica, anche fuori dalle grandi produzioni, ma non è semplice, perché i cd ormai si vendono poco e i guadagni su internet sono ridicoli!». In effetti devono servire parecchi passaggi per ricavare qualcosa dai circa 0,007 euro che Spotify paga ai musicisti per ogni ascolto. Per restare a galla, molti artisti tentano di svolgere altre attività legate alla musica, come ci racconta Rotella, lui stesso musicista prima ancora che fonico (è chitarra e voce dei The Rust and The Fury). La Fame Dischi è un’etichetta che s’impegna nella ricerca di nuovi talenti. «Il talent scout è Michele Maraglino – ci spiega il fonico-musicista – e nei locali dell’Umbria, nel sottobosco della realtà indipendente, recluta artisti emergenti fuori dalle righe». I locali dove si esibiscono i giovani alle prime armi – oltre ai più noti Urban e Afterlife, che ospitano anche band già affermate – sono il Marla e il Chupito di Perugia, il Supersonic di Foligno e il centro di Palmetta a Terni. «Lo scouting di fronte al palco è la prova del nove per un produttore: solo così si capisce se un progetto funzio-

na. E solo così si vede la differenza fra chi è determinato a fare della musica la propria vita o chi semplicemente un hobby». L’esempio su tutti per il musicista sono i Fast Animals and Slow Kids, un gruppo perugino che è riuscito a farsi conoscere in tutta Italia, vincendo nel 2010 come miglior band emergente l’Italia Wave Love Festival, un appuntamento importante nell’ambiente indie. Rotella è stato il loro primo fonico e giura che sin d’allora aveva capito che avrebbero fatto strada. A smentirlo almeno in parte è Alessio Mingoli, batterista e seconda voce della band: «Abbiamo iniziato a suonare insieme per caso: ognuno di noi era già in altri gruppi e all’inizio era solo un modo per divertirci». La svolta è arrivata con la vittoria all’Italia Wave Love e appena dopo i Fask – così li chiamano i loro fan – hanno registrato il loro primo album, Cavalli, con il prezioso aiuto degli Zen Circus, gruppo indie-rock. La fretta però li ha penalizzati e dall’album successivo hanno deciso di incidere in privato. Le registrazioni di Alaska – ultima fatica dei Fask – sono durate un mese.

«Lo scouting di fronte al palco è il solo modo per vedere chi è determinato a fare della musica la propria vita»

Nella foto a sinistra: Selene Capitanucci a X Factor. Sotto i Fast Animals and Slow Kids

Uno sforzo che ha ripagato però, dato che con quest’ultima raccolta il gruppo perugino è riuscito per la prima volta ad incassare qualcosa in più delle spese, anche se la stabilità è ancora lontana: «La vita di un musicista è come quella di un libero professionista: se si lavora, tutto bene; se non si lavora…». Una situazione che il quartetto sperimenterà a breve, dato che l’idea è di prendersi una pausa di un anno. A chi pensa che sia troppo, Alessio ribatte: «Per pensare a un nuovo album servono almeno sei mesi, altrimenti non viene bene. E noi – conclude – non produrremmo mai un disco ogni sei mesi solo per sopravvivere». «E a un talent sareste andati?», gli chiediamo. «No, non credo», ci risponde il batterista, che precisa: «Noi però non facciamo pop, a cui quel format è destinato. In quel genere funzionava allo stesso modo anche quando c’erano i produttori. Per questo non voglio demonizzare chi sceglie di andarci».

Alice Bellincioni Gianluca De Rosa

Il concorso a Perugia

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arà possibile fino al dieci novembre per i giovani artisti umbri che suonanao musica inedita partecipare alla IV edizione del conscorso Le canzoni migliori le aiuta la Fame dell’etichetta indipendente La Fame dischi. Per due fra gruppi o singoli musicisti il premio più goloso: ingresso nell’etichetta, produzione di un cd, distribuzione in tutti i principali catalogi online (Spotify, ITunes, ecc) e organizzazione di un tour di concerti. Per il primo classificato anche la possibilità di registrare un album in uno studio de La Fame dischi. Oltre ai premi principali anche quattro menzioni speciali. Per due gruppi la possibilità di essere distribuiti in digitale e per altri due l’organizzazione di un tour musicale. L’etichetta, inoltre, produrrà una compilation con le 30 migliori canzoni che verranno presentate al concorso. 31 ottobre 2015 | 15


Da sinistra: Il cartello che all’ascensore di via XIV novembre ne segnala la chiusura alle 21:20: in realtà durante l’estate, come spiegato sul sito internet, l’ascensore è in servizio fino alle 2 di notte; I cartelli “scompigliati” a Madonna Alta dopo un incidente, a inizio ottobre; La complessa segnaletica che si trova al termine di via Alessi, a Perugia, dove cominciano via delle Conce e via Bonaccia.

Quei cartelli un po’ così

Errori, dimenticanze, caos: quando la segnaletica fa sorridere (e arrabbiare)

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apita, talvolta, che i cartelli stradali ti facciano sorridere. Oppure confondere. O addirittura arrabbiare, in quanto sbagliati. È il caso, quest’ultimo, del cartello che segnala gli orari di apertura e chiusura dell’ascensore del Pincetto, quello che collega via XIV Settembre (accanto alla galleria Kennedy) con via della Rupe. Sul sito internet di Umbria Mobilià trovi ben spiegato che in estate – dal 1° giugno all’ultimo sabato di ottobre – è in funzione dalle 7 alle 2 di notte. Convinto, ne approfitti per lasciare l’auto laggiù e recarti in centro con l’ascensore. Ma all’imbocco ecco il cartello che a caratteri cubitali avvisa: orario di chiusura ore 21:20, come in inverno. Il dubbio s’insinua: chi avrà ragione? Il

sito internet oppure il cartello lì fuori? Per scoprirlo basta attendere qualche ora. A mezzanotte l’ascensore è aperto e funzionante, come l’attento internauta aveva capito. Ma è abbastanza clamoroso che per tutta l’estate nessuno abbia avuto il buon cuore di aggiornare il cartello là fuori. Che adesso, dal 1° novembre, tornerà a essere esatto. Però, insomma: è come non aggiornare l’orologio con l’ora legale tanto, poi, torna quella solare… Più curioso quello che è successo a inizio ottobre a Madonna Alta, dove all’uscita E45 l’ignaro automobilista si è trovato di fronte una serie di indicazioni a dir poco… scompigliate, probabilmente a causa di un incidente. Non sappiamo in quanto tempo gli addetti

al traffico abbiano risolto la situazione, nel frattempo anche qui l’unica soluzione è stata affidarsi alla tecnologia: navigatore o ricerca internet. Strappano un sorriso, ma anche un bel po’ di confusione, i cartelli che si trovano scendendo da via Alessi provenendo dal centro di Perugia. In quel punto verso destra comincia via delle Conce (e il cartello in alto segnala che è a senso unico), mentre a sinistra comincia via Bonaccia (e il cartello in mezzo segnala che è a senso unico). Il cartello in basso segnala infine che svoltando a destra si può uscire dalla città e andare in tutte le direzioni. Tutto corretto, per carità, ma a colpo d’occhio terribilmente complicato. Iacopo Barlotti

Quattro colonne

Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini

Anno XXIV numero 10 – 31 ottobre 2015 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993

SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni

In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi

Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: segreteria@centrogiornalismo.it http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia


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