Una storia di fede e devozione

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Con la consueta sensibilità per l’universo femminile, il Signore vi farà riferimento, parlando ai discepoli della propria morte: La donna, quando partorisce, è triste, perché è giunta l’ora sua; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi adesso siete tristi; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno più vi potrà togliere la vostra gioia (Gv 16,21-22). È la stessa tenera empatia che indurrà Gesù, commosso, a consolare la vedova di Nain, quando si imbatterà nel funerale del suo unico figlio: vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: <<Non piangere>>…Ed egli lo diede alla madre (Lc 7,13,15)2; né meno comprensivo è per il dolore dei padri, come insegnano i casi di Giairo, cui restituisce viva la figlia (Mt 9,18-19; Mc 5,2143), e del centurione, al quale risuscita il servo, ad ogni evidenza caro come un figlio (Mt 8,5-13; Lc 7,1-10); di pari impatto è la metafora che Gesù impiega nella parabola del figliol prodigo: bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Lc 15,32). Anche nella dolorosa circostanza del compianto sul figlio ucciso, la Vergine è ‘la nuova Eva’ della Patristica, colei che ha ribaltato l’effetto nefasto del peccato, diventando protagonista designata della storia della salvezza (per Evam perditio, per Mariam recuperatio, ovvero Ave est inversum Evae3), con la meravigliosa e innovativa differenza della consapevolezza, ad Eva allora negata, che il suo dolore non sarebbe stato per sempre: non è di quelli che finiscono solo con la morte della madre; Maria conosce la soluzione che induce chi ha fede nella resurrezione di Cristo, e nella conseguente ‘resurrezione della carne’, alla speranza, alla certezza di cose sperate (Ebrei 11,1), per dirla con san Paolo, 2 Non mancano episodi affini nell’Antico Testamento, anticipatore del Nuovo ed in esso compreso, secondo la dottrina tipologica; si vedano i casi della vedova di Sarepta e della donna di Sunem (1Re 17,17-23; 2Re 4,32-35), aventi per protagonisti i profeti Elia ed Eliseo, ‘tipi’ del Cristo; entrambi restituiranno vivo il figliuolo alle rispettive madri. In diretta filiazione dalla sacra scrittura, nella scultura romanica, i due episodi alluderanno alla resurrezione del credente che a Cristo si affida, tradotti nell’immagine simbolica del leone disteso su un essere umano, riverso e fiducioso (portale maggiore della cattedrale di Trani, finestroni absidali delle cattedrali di Bitonto e Troia, finestrone nella testata meridionale del transetto della cattedrale di Bari), riproponendo visivamente le modalità delle due resurrezioni veterotestamentarie. 3 Sull’iconologia mariana e sulla dottrina tipologica, L. Réau, Iconographie de l’Art Chretien, Parigi 1955, tomi I, II, passim; Bibliotheca Sanctorum, Roma 1964, ad vocem Maria, Eva, Adamo.

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