pro.di.gio. BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ODV SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP
Giugno 2022 - n. 3
Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Trento. Contiene I.R.
NUMERO III - GIUGNO 2022 - ANNO XXIII - 132° NUMERO PUBBLICATO
RAccatuM BAND il complesso che restituisce la voce ai senza fissa dimora attraverso la musica pag. 4 AMA TRENTO Dalla pandemia alla crisi ucraina, sempre in prima linea, perché “nessuno può farcela da solo” pag. 8 LA REGIA L’autismo in scena con profondità e delicatezza pag. 9 SALUTE FEMMINILE E TABÙ Il dolore incompreso pag. 10
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IN EVIDENZA
EDITORIALE
Direttore responsabile Martina Dei Cas
Care lettrici e cari lettori, È arrivata l’estate, tempo di vacanze, ma anche di bilanci intermedi su questa prima metà del 2022. Per questo, per il numero di giugno abbiamo pensato di proporvi un gioco di parole, ovvero, come fare per trasformare le nostre fragilità in agilità e i finali in nuovi inizi? Ve lo raccontiamo attraverso 8 storie di impegno, forza e riscatto: dall’esperienza per il reinserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti dei volontari di APAS Trento alla RAccatuM band che mette in musica la vita dei senzatetto, passando per i gruppi di auto-mutuo aiuto AMA e per due scrittrici fuori
dagli schemi, la primierotta Jennifer Bettega e l’alense Francesca Debiasi. Vi proporremo un’intervista sulla medicina di genere e sui tabù che ancora circondano alcune malattie femminili e vi porteremo alla scoperta della sindrome di Treacher Collins. Vi consiglieremo uno spettacolo molto speciale, che porta in scena l’autismo con profondità e delicatezza e vi faremo divertire con un’ironica descrizione del “girello” a firma di Ugo Bosetti. In vista del 26 giugno, Giornata internazionale contro l’abuso di droga, condivideremo una toccante riflessione sulle dipendenze. Infine, con la rubrica “Viaggi
senza barriere” faremo tappa a Riva del Garda, primo comune trentino certificato “bandiera lilla”. Augurando a tutti buona lettura e buone vacanze, vi ricordiamo due importanti appuntamenti previsti in giugno: sabato 4 alle ore 16 la premiazione della sesta edizione del Premio Melchionna al Polo Vigilianum di Trento e sabato 11 giugno la presenza di Maurizio Menestrina al festival “Pergine Comics” con il fumetto per bambini e ragazzi in memoria di Pino. Vi aspettiamo! Martina
“PINO, UN AMICO SU DUE RUOTE” STA GIRANDO NELLE CLASSI TRENTINE. QUESTE SONO LE PRIME IMPRESSIONI ARRIVATE DALLA SCUOLA PRIMARIA DELLA CLARINA:
A me la storia di Pino è piaciuta molto, è stato molto coraggioso, non si è mai arreso ed è andato avanti. Ha reagito in un modo diverso dalla mia opinione. Da questo racconto ho imparato parole nuove, belle e brutte, come tetraplegico cioè paralizzato. Ho imparato che non bisogna mai arrendersi anche se non hai nessuno che ti aiuta e riesci sempre ad andare avanti e non dipende dall’età ma dal coraggio e dalla reazione che puoi avere da quello che ti sta accadendo. Mi è piaciuto il fatto che sono riusciti ad aiutarlo, gli hanno dato una casa, e gli sono stati a fianco. È un libro pieno di emozioni: gioia, speranza, forza, voglia di mettersi in gioco, rabbia, tristezza.
Ndrek
Ayla
Dopo averlo letto ho provato a sentirmi come lui se mi dicessero che non posso più muovere né braccia né gambe. La cosa che mi ha colpito è che nonostante la sua difficoltà fisica Pino abbia continuato a lottare per i suoi obiettivi. Ho imparato che anche se una persona ha delle difficoltà non significa che non possa avere dei sogni e realizzarli. Questa storia mi ha affascinato e credo che non riuscirò molto facilmente a dimenticarla.
Tommaso
Leonardo
Proprietà: Associazione Prodigio Odv Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana) Direttore responsabile: Martina Dei Cas Hanno collaborato a questo numero: Luciana Bertoldi, Francesca Bortolin, Ugo Bosetti, Giacomo Carbonara, Ivan Ferigo, Aaron Giazzon, Chiara Soma In Servizio civile Scup con il progetto “Comunità narrante” a PRODIGIO ODV: Michele Anastasia, Remedios Torrico Copertina: Freepik.com, elaborazione Publistampa In stampa: 1 giugno 2022
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Ho imparato che si guida sempre con prudenza e la massima attenzione, ma anche di non salire in macchina con persone ubriache o poco attente nella guida. La parte del libro che mi è piaciuta di più è stata quando tutti gli amici, appena saliti in auto, si credevano invincibili a ogni cosa. Poco dopo, però, si renderanno conto che anche loro sono comuni mortali e azioni pericolose possono avere gravissime conseguenze.
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STORIE
A.P.A.S.: un impegno costante nei confronti di chi sta “dentro” A.P.A.S. ODV – l’associazione provinciale di aiuto sociale per i detenuti, i dimessi dagli istituti di pena e le loro famiglie – nasce nel 1985 dall’idea di un gruppo di cittadini trentini con lo scopo di dare assistenza alle persone detenute dell’allora carcere di via Pilati. A oltre trentacinque anni dalla fondazione, l’associazione svolge attività di sostegno individualizzato, formazione al lavoro e accoglienza abitativa per circa quaranta persone all’anno ancora detenute, uscite dal carcere o ammesse ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. Il lavoro di A.P.A.S. ODV è svolto da un nutrito gruppo di volontari e da alcuni operatori, tra cui assistenti sociali, tutor e educatori. Un operatore e circa dieci volontari accedono alla casa circondariale di Spini
di Gardolo per svolgere colloqui conoscitivi, di segretariato sociale e di sostegno psico-sociale. Inoltre, sono organizzate attività culturali come la redazione di un notiziario, “Non solo Dentro”, redatto con la preziosa collaborazione di Vita Trentina. Infine, è organizzato anche uno sportello di patronato, in stretta sinergia con Patronato ACLI Trentine. A.P.A.S., però, svolge la gran parte delle proprie attività fuori dal carcere, in un’ottica di accoglienza nella società e nel territorio del soggetto precedentemente ristretto. Infatti, A.P.A.S. gestisce, al momento, ben otto appartamenti, di cui due in rete con ATAS Onlus, per l’accoglienza di persone, soprattutto, dimesse dal carcere. Riteniamo sia sempre importante sottolineare la delicatezza del fine pena e del ritor-
no sul territorio di persone fragili e disorientate dall’esperienza detentiva. Questa, per quanto anche rieducativa, è sostanzialmente traumatica e acuisce fragilità personali già insite nella persona o ne fa nascere altre. Ci permettiamo di portare all’attenzione l’importante insorgenza di patologie croniche, come il diabete, nei soggetti ristretti a causa di stress, poco movimento fisico e un’alimentazione poco adeguata. I volontari, debitamente formati, si impegnano in prima persona nel recepire i bisogni delle persone accolte tramite attività programmate come gli sportelli in carcere e le attività formative organizzate, oppure, in maniera del tutto individualizzata come nel caso di lezioni per il conseguimento della patente di guida, esercizi di italiano, accompa-
Giugno 2022 - n. 3 a cura di Aaron Giazzon
gnamenti per conoscere i servizi del territorio trentino e, soprattutto, della città di Trento.
TESTIMONIANZE
L’altro e me: oggi e domani. Un caloroso saluto a tutti voi. So quanto sia poco ortodosso cominciare uno scritto così ma sento proprio il desiderio di salutarvi uno per uno. Ospiti, assistiti, volontari, collaboratori, educatori e tutto il mondo di A.P.A.S. ODV. Ho incontrato solo da poco meno di due mesi il vostro mondo ma, nonostante questo breve tempo, ho già avuto modo di conoscere persone molto speciali. Giustamente vi domanderete chi sia io. Bene. In breve, molto in breve, mi chiamo Riccardo, sono sposato da… tanto tempo, abbiamo una figlia ormai lanciata nella sua vita e, per non farmi mancare nulla, alla soglia dei quarant’anni ho pensato bene di rimettere mano ai libri di scuola iscrivendomi all’università di Trento. In preparazione dell’ultimo scalino da affrontare, la fatidica tesi, con il mio relatore abbiamo concordato, visto il mio interesse verso il metodo della consultazione transculturale, di fare un’esperienza diretta del carcere, per toccare con mano i vissuti e le esperienze sia dei migrant i sia degli operatori che con essi vivono e condividono quotidianament e fatiche, progetti e speranze. Ecco, ho già usato un parolone. Niente paura, è solo un metodo, uno strumento in più, che dovrebbe appartenere alla cassetta degli attrezzi di quanti, operatori e non, si avvicinano al “mondo della vita” dell’altr o. È nella necessità di capirsi, di comprendersi, di parlarsi nella stessa lingua che risiede l’utilità della consultazione transculturale. Spesso anche gli stessi operatori sociali incontrano enormi ostacoli nel costruire con persone di background migratorio una comunicazione effettivamente comprensiva, che dia luogo ad efficaci percorsi di intervento. Però. Si un però c’è: questo capirsi, questo parlare la stessa lingua, non deve sottende re l’adagio classico del “noi” occidentali abbiamo le risposte, mentre “gli altri”, i migranti, sono solo portatori di problemi. Il messaggio forte, invece, è quello di cercare “provincie finite di significato”. Altro parolon e, e due. Parlo cioè di spazi nei quali l’altro, i suoi bisogni, i suoi vissuti e anche le sue difficoltà, vengono riproblematizzati partendo dalla consapevolezza che l’altro è, appunto, il più grande esperto di sè stesso. Da qui emerge per noi la necessità di osservare, leggere e interpretare questi bisogni alla luce anche dei riferimenti normativi e culturali di chi abbiamo davanti. Vuol dire, in breve, che dobbiamo ricordarci quotidianament e di mettere l’altro al centro del suo progetto di vita.
Eh sì, è dura. È dura entrare in contatto con situazioni e vissuti così distanti e a volte in aperta contrapposizione alle nostre convinzioni ed ai nostri modelli culturali di riferimento. Quante volte nelle discussioni tra compagni e insegnanti, ma anche nella vita privata, immerso nei preconcetti e a volte anche nei pregiudizi, mi sono trovato, prima ancora di riflettere, a puntare un dito accusatorio contro l’altro. Chissà quante volte lo facciamo anche senza cattive intenzioni. Nel carcere di Trento al 31 ottobre del 2021 per il ministero della Giustizia erano presenti 301 detenuti su una capienza di 410. Di questi 181, ben il 60% erano stranieri. Inoltre, i casi di suicidio, di tentato suicidio, di autolesionismo tra la popolazione carceraria sono in costante aumento. Le recidive all’ordine del giorno. Ultimo dato: sono anche presenti circa una trentina di detenuti che soffrono di disturbi psichiatrici e che, ciò nonostante, condividono lo stesso spazio degli altri invece di poter accedere a percorsi di cura dedicati. Questa realtà, anche se l’ho dipinta a tratti molto grossolani, dovrebbe farci riflettere. L’ipotesi è che la consultazione transculturale possa essere un dispositivo professionale utile nell’interazione con persone portatrici di un background migratorio, in quanto parte dai retroterra normativi, e simbolici, e dalle modalità comunicative tipiche di molte società non occidentali, per accogliere il vissuto personale dell’utente senza rinchiuderlo in scatole culturali predefinite. È un metodo di lavoro che potrebbe consentire ai partecipanti di superare i reciproci pregiudizi e di attuare una più efficace inclusione del punto di vista del migrante, ridefinendo la sua diversità non come disagio ma come risorsa importante da cui ripartire e su cui ricostruire.
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Riccardo (volontario A.P.A.S.)
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INNOVAZIONE SOCIALE
GLI “STRANI” LIBRETTI DI JENNIFER BETTEGA Jennifer Bettega ha ventidue anni e una grande passione: la scrittura. Passione che fin da piccola a causa di un arresto cardiaco all’età di dieci anni ha imparato a coltivare in maniera differente. Jennifer infatti non parla e non riesce a muoversi in autonomia. Questo però non le ha impedito di imparare a comunicare in maniera alternativa. Crescendo, una volta cominciata la scuola e in seguito frequentando il centro Anffas di Primiero, ha scritto e impaginato molti racconti: i suoi libretti. Ho scambiato qualche messaggio con lei via e-mail in questi giorni, ecco cosa mi ha raccontato. Jennifer, ho scoperto che tu ami scrivere storie divertenti, in grado di far sorridere le persone. Qual è il racconto scritto fino ad ora in cui credi di esserci riuscita meglio? Il racconto che secondo me fa più ridere è la Tartaruga Panino, che è anche il primo racconto che ho scritto al Centro Anffas di Primiero. Questo forse perché non credevo di riuscire a creare dei personaggi così strani. Io
credo che la stranezza sia un elemento fondamentale per poter scrivere dei buoni racconti. Nelle tue storie spesso racchiudi e “mixi” i tuoi sogni con quelli della tua educatrice. Da dove viene l’idea? In realtà non lo so. Nella mia giornata amo molto fare cose strane, e questa mi sembrava proprio adatta. Come funziona lo strumento e/o il metodo che utilizzi per scrivere? Solitamente per comunicare uso una tavoletta alfa-numerica, che è una tavoletta di legno contenente lettere e numeri. La mia educatrice Serenza (il nomignolo che Jennifer ha dato scherzosamente alla sua educatrice Serena n.d.r.) mi sostiene il braccio destro e io indico lettera per lettera cosa voglio dire. Non sempre è facile capirmi, infatti per essere sicura che lei non dorma a volte scrivo anche in inglese. È un momento, al di là della fatica, che per me è molto divertente.
a cura di Chiara Soma
Cosa ti piace di più della scrittura? Cosa significano per te i tuoi libretti? La cosa fondamentale è che scrivere mi dà gioia. Quindi penso che anche i libretti per me abbiano lo stesso significato. Ormai ne ho scritti più di venti, ma ognuno mi ha fatta molto ridere mentre lo ideavo e lo fa tutt’ora. Oltre alla passione per la scrittura, c’è qualcos’altro di te che hai piacere di condividere con noi? Oltre alla scrittura sono molto brava in tutto ciò che riguarda l’impaginazione grafica: dalla scelta dei colori all’elaborazione delle immagini. Infatti ho anche creato, sempre con Serenza all’interno del Centro Anffas, dei calendari decorati con i personaggi dei miei racconti. Sono molto fantasiosa e determinata. In futuro infatti spero di portare i miei racconti e le mie idee a più persone possibili, magari pubblicando quello che ho scritto finora e chissà che altro. So che mi hai chiesto di raccontare altro oltre alla scrittura, ma quello che vo-
RAccatuM BAND il complesso che restituisce la voce ai senza fissa dimora attraverso la musica La RAccatuM Band è un progetto musicale di strada che dà voce ai senza fissa dimora. Davide Caceffo, che si occupa del progetto nella sede de Il Punto d’Incontro in via Travai a Trento, ha fondato il gruppo nel 2012 assieme a Michele Boso e da allora la band ha vissuto “di alti e bassi”, «ma – spiega Davide – considerato tutto più di alti». Quando sono andato a trovarlo, oltre a lui ho conosciuto Tiziano, uno dei musicisti di strada che si esibisce con la band. La RAccatuM Band non è un posto per le persone con la cravatta e mi ci sono trovato subito bene anche per questo. Durante la nostra chiacchierata mi hanno fatto ascoltare alcune delle loro canzoni. Siamo dalle parti dei vecchi cantautori degli anni Settanta. Mi è venuto subito in mente Guccini per la sua capacità di raccontare spesso le storie degli ultimi, dei reietti dimenticati e abbandonati dalla società. «Io – dice Tiziano, che sicuramente è il membro più loquace della band – sono arrivato nel 2012 e loro avevano già iniziato. Un pomeriggio passando di qui, sento questa musica, apro la porta e Michele mi fa di andare dentro. Inizio ad ascoltare questa musica e penso che sia una figata». Sandor, che in questa occasione ci ha raggiunto per via telefonica, aggiunge: «La band è tutto quello in cui credo. Affetti, musica, fratellanza e soprattutto un modo per stare insieme ad altre persone. Quando Davide mi parlò di questo suo progetto, io gli
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In foto, la RAccatuM Band
chiesi subito dove si firmava. La musica è sempre stata una mia passione, ma è grazie a Davide se sono riuscito ad imparare uno strumento musicale. Fino a ventindue anni fa non suonavo. Ho iniziato quando ero piccolo. Suonavo assieme a lui perché era il mio padrino». Il cofondatore aggiunge: «Inizialmente eravamo io e Sandor. Poi si è aggiunto Michele. Poi Tiziano. E ci siamo espansi». La musica della RAccatuM Band è molto semplice e gli arrangiamenti cambiano in base ai componenti della band presenti in quel momento. A volte si tratta solo di un paio di persone. Altre si aggiunge qualcun altro con un flauto, una percussione o quel che c’è. Anche la composizione dei brani è simile. Non c’è molto spazio per le cose raffinate della musica che passa per le radio. «Le canzoni sono spesso un colpo di fortuna. Alcune vengono fuori in maniera spontanea» dice Davide.
Ma cosa significa suonare in strada con persone che non hanno una casa? Per Sandor «è uno stile di vita. Si impara molto. Sono del parere che quando suoni con una persona impari tanto del suo vissuto, del suo malessere ma anche dei suoi pregi e difetti. Una delle cose per cui mi piace suonare coi senza fissa dimora è proprio questa. Conoscere le persone. Non sentirsi soli. Il senza fissa dimora, che lo ammetta oppure no, è sempre una persona che soffre della solitudine. Noi facciamo in modo che ciò non accada. Noi gli diamo una voce». Tiziano aggiunge: «A me piace l’allegria, Davide sa come sono fatto. Non lo facciamo per scopo di lucro. Io mi diverto un casino, ma anche gli altri si divertono». La band si esibisce per le strade di Trento, ma anche in altre città, come Bergamo, Pavia e Brescia. In dieci anni, ha suonato in circa 125 concerti. La musica di strada ti impo-
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glio condividere oggi è che proprio questa notte ho avuto un’idea per un nuovo racconto ispirato a mia nonna: il pupazzo di neve.
In foto Jennifer Bettega
a cura di Michele Anastasia
ne di suonare davanti a palchi poco convenzionali, ma ti concede anche molte libertà artistiche. I testi della RAccatuM Band, che sono scritti un po’ da Davide, un po’ da tutti assieme, raccontano proprio di cosa significa vivere ai margini di una società. «Non ho mai voluto cercare la lacrima facile – dice Davide – non ho mai vissuto in strada, ma non ho mai voluto neanche fare qualcosa di simile alle pubblicità strappalacrime che si vedono ogni tanto in tv. Quando scrivo una canzone e la propongo alla band, chiedo sempre se è valida oppure no, se riesce a ricalcare davvero quello che significa trovarsi in questa situazione». Il lockdown ha influito sulla composizione della band. Molti elementi hanno dovuto abbandonare per le più svariate ragioni. Igor Pivotto, ad esempio, si occupa della gestione di una radio. Anche i concerti sono diminuiti, per ovvi motivi. Da pochissimo la RaccatuM Band collabora anche con Piazza Grande, la rivista bolognese che si occupa della tematica dei senza fissa dimora, ospitando anche diversi di loro fra le proprie pagine. Attualmente, Piazza Grande viene venduta anche a Trento, grazie alla collaborazione di Libera La Parola, Gioco degli Specchi, ATAS Onlus e Punto d’Incontro. L’idea è quella di permettere a due persone, incaricate di vendere i giornali per strada, una piccola possibilità di guadagno.
ACCESSIBILITÀ
IL GIRELLO
MARKETING SAIT
A fine aprile me ne stavo bello spaparanzato in un caffè di Gardolo quando, con la coda dell’occhio, vedo una signora che entra saldamente aggrappata ad un girello. Arriva arrancando fino a un tavolo, si fa largo, le fan posto, si siede accolta da un applauso e si ordina uno spritz. Qualcuno le propone un brindisino, risate, racconta di altre esperienze, parla della figlia e dell’ormai prossimo pranzo. Ecco, penso tra me e me, una che cento anni fa o anche solo trenta sarebbe stata reclusa in casa a vita o addirittura costretta a letto, si fa invece gli affari suoi, viene a trovare vecchi amici e se ne va pian pianino. Vera cartina tornasole di un fenomeno epocale, i vecchi o malati dal passo stentato si vedono sempre più spesso per strada. Per dire, esempio del 18 aprile scorso, ce n’erano ben due al caffè del Palaonda, almeno quattro per le vie del centro di Trento, altre due assieme in via all’Aeroporto in reciproca affabulazione. Alcuni anche a passeggio sulla ciclabile del Garda e una alla Fiera di San Giuseppe a guardare i fiori! Sempre più spesso capita di vederne in giro indaffarati a far qualcosa, cercar qualcuno o cazzeggiare, segno che vecchiaia o malattia, notoriamente inibenti una circolazione autonoma, hanno perso un po’ di sostanza e di
Giugno 2022 - n. 3 a cura di Ugo Bosetti
Immagine: Freepik.com
significato per far posto ad una qualità di vita accettabile. Mi era già successo negli anni scorsi di incrociare persone con il girello ma tante come in questa primavera mai! Tanti, così tanti da venir spontaneo chiedersi: ma dov’erano
prima? Perché non andavano in giro così numerosi già nel ’19? Forse la gran paura della pandemia “quasi” passata li ha convinti a “prender quel che passa il convento” ossia a prender per buona qualsiasi occasione di far qualcosa piuttosto che starsene rintanati in casa dietro la mascherina e col rischio Covid sempre incombente e minaccioso? Difficile da dire, ma è certo che così tanti non si sapeva nemmeno esistessero! Inizialmente, molte persone con difficoltà motorie sono scettiche all’idea di usare il “girello”, ma altrettanto spesso il livello di autonomia riconquistato in questo modo fa cambiar loro rapidamente idea. Infatti, il girello oltre a restituire parte della mobilità perduta, permette di chiedere meno “per favore” a familiari, conoscenti e “aiutanti”. Elementare il funzionamento: ci si appoggia assicurandosi di aver afferrato saldamente le maniglie e ci si muove normalmente spingendo in avanti. Ne esistono in acciaio (più pesa, più è stabile) e alluminio (più leggeri e maneggevoli) e perfino in plastica, con quattro, tre, due o nessuna ruota, girelli a motore elettrico per fare salite, con freni di stazionamento, con seduta o senza, per fare pochi ma importantissimi passi in casa o molti di più fuori. Con l’avanzare dell’età molte persone faticano ad alzarsi da una sedia, camminare a passo sostenuto, piegarsi sulle ginocchia, prender l’ascensore o magari andar a ritirarsi la pensione da soli. Pensano che quei gesti e quelle azioni non appartengano più a loro, di esser ormai ai titoli di coda della propria vita. A volte però con questo aiutino meccanico tornano ad arrangiarsi, a essere i protagonisti della propria quotidianità e non oggetti in mano a qualcun altro! A proposito, amici di fuori provincia si sono sorpresi del numero di persone con difficoltà di deambulazione presenti a Trento, in carrozzina, col girello, col bastone, saldamente affiancati da un altro, a passi trascinati, quasi i trentini fossero geneticamente degli sfigati o che i disabili rappresentassero qui una percentuale altissima rispetto al resto d’Italia. Ebbene cari amici, la domanda è assolutamente impropria o perlomeno mal posta! Quella vera sarebbe: come mai ce ne sono così pochi a casa vostra? Perché non si incontrano girelli e carrozzine in strada, a scuola, nei negozi? Risposta semplice: voi non avete avuto un Marzari “spaccascalini e smussa marciapiedi”, un presidente della Giunta provinciale che si scusa per la ridotta attenzione, un Pino che voilà si inventa la Ruota, un Ente pubblico che già trent’anni fa teneva il fiato sul collo di costruttori e affrontava ogni barriera architettonica. Grazie a questi pionieri, Trento e provincia si sono liberati “quasi” del
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tutto delle barriere architettoniche più intralcianti, marciapiedi spigolati, ascensori stretti, cine e bar con scale, impianti sportivi con posti facilmente accessibili e riservati. Il territorio è stato reso più fruibile a tutti: ecco spiegata la diffusa presenza qui di persone col girello, carrozzina. Parlando in soldoni, concludiamo ricordando che un salvifico girello non è difficile da ottenere: domanda del proprio medico, poi lo specialista, un po’ di trafila e voilà. Buona uscita di casa a tutti!
MAMMATUS di Giacomo Carbonara Ci sono momenti in cui inizi a calcolare i passi fatti, ma ti dimentichi delle cadute. E altri in cui inizi a ricordare solo le cose perdute. Oppure a quelle che non hai. Un giorno ti senti pronta per accogliere quel figlio che hai in grembo. E un altro in cui ti senti come un bonsai. E poi arriva l’undici di Giugno, una giornata calda e afosa. La risposta arriva dal cielo e ti senti una donna fortunata. E lo hai sentito scalciare dentro di te proprio in quell’istante. In cui le nuvole coprivano tutta la volta celeste. Sembravano a tratti la tua pancia gravida. E lì hai capito il significato di quel momento. Perché ogni cosa porta con sé un insegnamento. Ed è lì che hai capito, che come in una Mammatus, la vita è fatta di alti e bassi. E che le nuvole non cadono come se fossero sassi. E arriverà un giorno in cui lo terrai in braccio. Come dentro ad un capolavoro. E gli dirai a quel punto, con voce gentile, ricorda che non sarai mai solo.
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PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Centro clinico NeMO TRENTO, un anno di attività Ad un anno dalla sua apertura, i numeri del Centro Clinico NeMO Trento raccontano in concreto come il centro sia diventato il punto di riferimento per persone con SLA, SMA e Distrofie Muscolari del Triveneto, e non solo. Per una persona con malattia neuromuscolare la riabilitazione è, prima di tutto, riabilitazione alla vita. Così il direttore clinico del Centro, Riccardo Zuccarino, ha motivato l’approccio integrato di cura e riabilitazione di NeMO Trento. Un patto che viene compiuto insieme, medico-paziente, perché ogni gesto su cui si lavora ha un valore inestimabile per la quotidianità della persona e della sua dignità di vita. L’analisi dei dati dimostra che l’adeguata presa in carico riduce l’indice della mobilità passiva del territorio e previene le situazioni di acuzie e di emergenza. Sono 465 gli ambulatori specialistici multidisciplinari, 67 i DH e 166 il numero dei ricoveri in degenza, con una media di 20 giorni a ricovero. Il 43% dei pazienti proviene dai territori fuori Provincia, in particolare dal Veneto, dall’Alto Adige, ma anche dall’Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Friuli e, qualcuno ancora, dal Centro e Sud Italia. La continuità di cura è legata tanto al percorso assistenziale di ogni paziente, quanto alla capacità di rispondere ai bisogni complessi e specifici di ogni patologia. L’assessore provinciale alla salute, politiche sociali, disabilità e famiglia Stefania Segnana – in occasione del primo compleanno di NeMO – ha dichiarato: ««In soli cinque mesi di lavori, e nonostante le complicazioni dettate dalla pandemia, il 1° marzo del 2021 ha preso avvio l’attività clinica di questa eccellenza, frutto di un percorso di collaborazione con Fondazione Serena, sancita nell’ottobre 2019. In poco più di un anno, abbiamo potuto dare una risposta concreta alle persone con patologie neurodegenerative e neuromuscolari, ma anche alle loro famiglie. Di questi, circa il 60% sono pazienti affetti da SLA, il 30% con Distrofie muscolari e Miotonie, l’ultimo 10% è suddiviso fra pazienti con SMA e altre patologie. Un’attività intensa e importante, dove la presa in carico è sempre multidisciplinare e in grado di assicurare continuità di cura»».
Non solo, NeMO Trento è anche ricerca scientifica. Già in questo primo anno sono 7 gli studi attivati, di cui 2 di ricerca di base su SLA e SMA e 5 di ricerca clinica su SMA, Distrofie Muscolari, Distrofie Miotoniche, CMT e Sindrome di Canvas. Progetti condotti in sinergia con il network nazionale dei Centri NeMO e grazie all’attivazione di nuove partnership e collaborazioni scientifiche, come quella con il CNR, l’Università delle Marche, l’Università di Verona e l’Università di Trento con il CIBIO. A ciò si aggiunge la diffusione della ricerca, con una prima pubblicazione sulla rivista Biomolecules e la partecipazione ai più importanti meeting scientifici nazionali e internazionali sulle patologie. Il Centro NeMO Trento concretizza il modello di presa in carico con una équipe di 37 professionisti. Sono 12 le figure mediche e sanitarie presenti attraverso le quali si offre un approccio di cura omniservice e multidisciplinare, in stretta sinergia con l’esperienza clinica e riabilitativa dell’Ospedale Villa Rosa di Pergine Valsugana. Neurologi, fisiatra, pneumologi e psicologi, insieme a terapisti motori e respiratori, nutrizionista, logopedista, terapista occupazionale e TNPEE (terapista delle neuro e psicomotricità dell’età evolutiva), infermieri ed oss sono il cuore pulsante di un reparto che ha imparato a lavorare insieme per garantire la migliore qualità di vita. Grazie alla disponibilità di 14 posti letto per la degenza, 4 day hospital, 3 ambulatori, 1 palestra, 2 piscine, 1 laboratorio di analisi del movimento, 1 centro di valutazione domotica e addestramento ausili e 1 sezione dedicata alla riabilitazione robotica è possibile realizzare piani riabilitativi, personalizzati sulle necessità e gli obiettivi di ciascun paziente.
Con l’obiettivo di garantire il più a lungo nel tempo l’autonomia personale, per ogni paziente viene previsto un percorso riabilitativo personalizzato. Dall’aspetto motorio (50% dell’intervento), a quello respiratorio (30%), agli aspetti di terapia occupazionale e di comunicazione (20%), il programma valorizza, in questo modo, le abilità e le risorse residue di ciascuno.
Il valore di NeMO è racchiuso tutto nelle parole del professore universitario Carlo Borzaga, presidente Euricse, che ha voluto portare la sua testimonianza di paziente: ««Nei miei 40 giorni di ricovero al NeMO ho potuto apprezzare concretamente sia l’approccio multidisciplinare, sia l’attenzione alla prevenzione dei futuri stadi della malattia, sia la competenza, l’attenzione alla persona e l’empatia con cui mi sono sentito accolto e seguito da tutto il personale. Sto affrontando con serenità una malattia del tutto inaspettata e che mi ha costretto a rivedere diversi progetti a cui speravo di dedicarmi. Una delle ragioni è il poter contare sul NeMO. Sapere di avere alle spalle un punto di riferimento per ogni necessità collegata alla malattia e di potermi confrontare in tempo reale nelle scelte da fare, mi dà grande serenità»».
Prova ausili
La palestra riabilitativa
PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Le tappe del percorso:
I pazienti presi in carico:
• 28 ottobre 2019
166 pazienti di cui: 4 pediatrici e 72 provenienti da fuori Provincia Autonoma di Trento
Firma della convenzione di avvio progetto, da parte di Provincia Autonoma di Trento, Azienda provinciale per i servizi sanitari e Fondazione Serena Onlus, Ente gestore dei Centri Clinici NeMO.
• 24 febbraio 2021
Inaugurazione degli spazi. Ristrutturazione degli spazi in 5 mesi di lavoro, recuperando le difficoltà dei tempi legati all’emergenza sanitaria.
• 1 marzo 2021
Avvio delle attività di cura
• 4 aprile 2022
Presentazione dei primi 13 mesi di attività di cura
Le patologie prese in carico 5% 60%
I numeri dei servizi
30%
67 Day Hospital, 465 Ambulatori Specialistici, di cui il 30% da fuori Provincia Autonoma di Trento; 166 Ricoveri Ordinari, di cui il 43% da fuori Provincia Autonoma, con l’80% di saturazione media dei posti letto e una media di 20 giorni a ricovero.
5%
Il progetto riabilitativo
SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA DISTROFIE MUSCOLARI e Miotoniche
Per ogni paziente viene previsto un progetto riabilitativo personalizzato con:
• 50% Riabilitazione motoria • 30% Riabilitazione respiratoria • 20% Logopedia e Terapia Occupazionale
Le figure coinvolte nel progetto riabilitativo
ATROFIA MUSCOLARE SPINALE ALTRO
Le patologie coinvolte negli studi SLA: 2 studi SMA: 1 studio Distrofie Miotoniche (DM1): 1 studio Distrofie muscolari: 1 studio Charcot Marie Tooth (CMT): 1 studio Sindrome di Canvas: 1 studio
3 Neurologi/e, 1 Fisiatra, 2 Pneumologi, 3 Terapisti/e Motori, 3 Terapisti/e Respiratori, 1 Terapista Occupazionale, Una Logopedista, 2 Psicologhe
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Gli studi scientifici in corso
I nuovi trattamenti di cura
• 5 studi CLINICI • 2 studi DI RICERCA DI BASE • 1 pubblicazione SCIENTIFICA su Biomolecules
• 4 pazienti SLA: sperimentazione clinica con TOFERSEN • 3 pazienti SMA adulti: trattamento con SPINRAZA • 4 pazienti SMA adulti: trattamento con RISDIPLAM
Giugno 2022 - n. 3
SOCIETÀ
AMA TRENTO Dalla pandemia alla crisi ucraina, sempre in prima linea, perché “nessuno può farcela da solo”
In foto Zilma Lucia Velame, psicologa e psicoterapeuta di AMA Trento
Nel 2019 abbiamo affrontato con l’Associazione AMA (acronimo di Auto Mutuo Aiuto) di Trento il fenomeno emergente del ritiro sociale “hikikomori”, che anche in Trentino coinvolge ragazzi e giovani adulti principalmente maschi di età compresa tra i 14 e i 30 anni, che decidono di isolarsi dal mondo e di ritirarsi nelle loro stanze e in se stessi. Ora, a distanza di tre anni, ci siamo incontrati nuovamente presso la sede dell’associazione con la psicologa e
psicoterapeuta Zilma Lucia Velame per capire come la pandemia abbia influito sulle persone che frequentano l’associazione e sulla sua organizzazione. AMA è presente in Trentino dal 1995 e basa le proprie attività sul principio secondo cui «solo tu puoi farcela, ma non puoi farcela da solo». Attraverso le dinamiche di gruppo, AMA condivide, garantendo l’anonimato, le esperienze di persone che stanno attraversando circostanze o momenti simili nella loro
vita (malattia, divorzio, lutto, neogenitorialità). Nei gruppi, si confrontano le esperienze reciproche e, attraverso la condivisione, si mettono in comune le proprie difficoltà e si acquisiscono nuove competenze per raggiungere un maggiore benessere. Durante questi due anni, la realtà di AMA è stata stravolta dalla pandemia. «Lo slogan di AMA è "insieme è meglio" ed è proprio partendo da questo presupposto che abbiamo iniziato a riorganizzarci appena scoppiato il Covid – spiega Zilma Lucia Velame –. Fin da subito abbiamo riorganizzato le attività che andavano a sostituire quelle consuete, per evitare che all’isolamento fisico corrispondesse anche l’isolamento sociale. Alcune attività già presenti in associazione erano particolarmente adatte al periodo di lockdown perché strutturate da remoto e non in presenza, tra queste ricordiamo in particolare TRA DI NOI progetto che gestisce la chat anonima e gratuita di ascolto e sostegno per giovani sulla app Youngle. Abbiamo ampliato i turni settimanali da due a tre in modo da dare maggior opportunità ai ragazzi di avere un momento di ascolto solo per loro. A questo si affianca la linea di ascolto “Invito alla vita” 800-061650, attiva dalle 7 del mattino all’1 di notte, sette giorni su sette. In alcuni casi abbiamo potuto dotare di tablet alcune persone e famiglie sprovviste che sarebbero state tagliate fuori dalle opportunità di relazione tramite questi strumenti e abbiamo implementato il nostro sostegno a distanza tramite colloqui online e con la reperibilità telefoni-
“UN FIORE TRA L’ASFALTO” Una riflessione sulle dipendenze Sembra ieri, ma sono già passati poco più di cinque anni da quello che considero il giorno più bello della mia vita. Un giorno freddo di fine dicembre, con Natale alle porte. Freddo, come quello delle crisi d’astinenza, che ti fanno provare sulla tua pelle i sintomi della febbre, ma di gran lunga più intensi. Freddo come quello descritto dalla celebre canzone, “Nei giardini che nessuno sa” di Renato Zero. E poi? Silenzi. Perché l’indifferenza e la mancanza di attenzioni e di amore sono i complici dell’inizio di una dipendenza. Quelle sofferenze da addormentare in ogni modo possibile. Ma dopo la tempesta c’è una luce ritrovata, che è più bella di quella esistente in precedenza, come il “kintsugi”, una tecnica giapponese che consiste nel riparare gli oggetti danneggiati con l’oro.
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Così me lo ricordo infatti il giorno più bello della mia vita: una ragazza al mio fianco con gli occhi luminosissimi e intenta a raccontarmi della sua recente uscita dalla tossicodipendenza. Un ricordo indelebile che non mi abbandonerà mai. Lei, per esempio, era dipendente dalla cannabis, che viene considerata una droga leggera, ma che in realtà ti porta in una spirale che non dà tregua creando agitazione e assuefazione. Ci sono droghe – come la cocaina o anche la cannabis stessa – che possono lasciare danni a lungo termine, se non permanenti, al sistema nervoso e dipendenze meno conosciute come l’autolesionismo che porta a concentrarti sul dolore esterno per non farti sentire quello interno. Quindi ogni volta è il nascondere il proprio dolore interiore che innesca quell’incendio che è poi difficile spe-
gnere, considerando che ci vogliono ben dieci anni per uscirne completamente; nasconderlo anche a costo di riempirsi di alcol, entrare nell’inferno dei disordini alimentari o di stare ore e ore davanti ad un videogioco. Riconoscere quando una persona entra nel circolo delle dipendenze non sempre è facile. Ci sono poi dipendenze più difficili da individuare rispetto ad altre. Nella maggior parte dei casi, è il cambiamento nel comportamento a
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a cura di Remedios Torrico
ca». Più di recente, AMA è scesa in campo per supportare le famiglie ucraine in fuga dalla guerra. «In questo momento – continua Velame – abbiamo un nostro spazio di socializzazione che si chiama “Conosciamoci in italiano”, dove le persone che non padroneggiano la lingua italiana s’incontrano per parlare di sé e così migliorano la propria competenza di espressione nella nostra lingua. L’attività è gestita da volontari che sono spesso ex insegnanti d’italiano. Abbiamo triplicato questi spazi nell’ultimo periodo e li abbiamo destinati all’emergenza dei profughi ucraini». AMA Trento continua quindi ad essere un ponte tra le varie associazioni di aiuto presenti sul nostro territorio e si dimostra capace di adattarsi alle circostanze e crescere con progetti diversi, che hanno in comune l’obiettivo di migliorare la vita di chi ne ha bisogno. E nel frattempo punta a costruire una rete nazionale e internazionale che, sfruttando l’online, possa potenziare anche esperienze diverse rispetto a quella finora fatta. Per maggiori info: Associazione A.M.A. Auto Mutuo Aiuto Via Taramelli, 17 – Trento Tel. 0461.239640 info@automutuoaiuto.it @associazioneama @associazioneama_trento Associazione A.M.A. Auto Mutuo Aiuto Trento
di Giacomo Carbonara
farci pensare che qualcosa non va nel verso giusto. Massima attenzione, quindi, va prestata alle risposte che un amico, un figlio o in generale una persona a noi cara dà e che non eravamo abituati a sentire. L’agitazione e il nervosismo frequente devono farci scavare nel profondo di quella nuvola nera, per avere il coraggio, nel caso fosse necessario, di tendere la mano. Concludendo, ci tengo a dire che il modo per uscire da queste situazioni è affidarsi a dei professionisti che sappiano aiutare in maniera concreta la persona che necessita un aiuto e bisogna quindi lavorare perché la persona accetti di farsi aiutare. Con dei professionisti, inoltre, si può lavorare anche sulla vita dei famigliari o in generale di chi ne fa le veci, in un percorso a doppio senso; perché come diceva Ezio Bosso: «La musica, come la vita, si può fare solo in un modo: insieme».
CULTURA
CAMPANA. PALLA AVVELENATA. ASINO E FRECCETTE.
Giugno 2022 - n. 3 a cura di Martina Dei Cas
Grazie al libro di Francesca Debiasi, ad Ala torna la magia dei “giochi di una volta” Il gioco dello stendino, ma anche le ombre cinesi, il “non t’arrabbiare”, mosca cieca, il girotondo, “guardie e ladri”, “strega comanda color”, il telefono senza fili e gli immancabili burattini sono solo alcuni dei passatempi più comuni della nostra infanzia riscoperti e reinterpretati dall’alense Francesca Debiasi nel suo libro “Piccola raccolta dei giochi di una volta. Per bimbe e bimbi dei giorni nostri e adulti che vogliono restare bambini”. L’opera – edita dal Comune di Ala e stampata con il contributo della Cassa Rurale Vallagarina – è frutto di un tirocinio molto speciale, studiato dal municipio assieme all’Agenzia del Lavoro di Trento. Francesca Debiasi, infatti, è laurea ta in Scienze dell’Educazione all’Università di Verona e ha conseguito la specialistica in Scienze Pedagogiche. Da sempre, inoltre, è attiva nell’associazionismo in favore dei più giovani, in particolare attraverso l’oratorio. Per questo motivo, “incastrarla” nello stereotipo del tirocinio standard, fatto di
protocolli e fotocopie, da settembre 2021 a luglio 2022, sarebbe stato un peccato. «Di qui – spiegano la segretaria comunale Flavia Brunelli e la vice Liliana Stratta – l’idea di organizzare un tirocinio differente, che liberasse energie nuove e creative. Abbiamo quindi provato ad abilitare noi e il nostro contesto lavorativo, adeguando le condizioni ambientali nella direzione dell’inclusività e, grazie a Francesca che si è messa in gioco, direi che ci siamo riuscite». L’obiettivo era infatti quello di curare – con il supporto grafico delle servizio civiliste della biblioteca Michela Tonolli e Sofia Furlani – una pubblicazione che permettesse a grandi e piccini di riscoprire i “giochi di una volta”. «In un mondo sempre più tecnologico – commenta il sindaco Claudio Soini – ma anche nel contesto immerso nel verde di un piccolo borgo prealpino come Ala, sentiamo ancora le grida divertite dei bambini al parco giochi. Vediamo le altalene sempre in movimento e i palloni che sfrecciano nei
Presentazione del volume di Francesca Debiasi in biblioteca ad Ala
prati. E allora perché non mischiare le carte e far sì che, quei giochi tradizionali tanto cari a noi bambini di ieri non possano entusiasmare anche i bambini di oggi?». «La mia pubblicazione – gli fa eco Francesca Debiasi – punta su due elementi fondamentali. Da un lato, vuole esprimere valori senza età, come l’amicizia, lo stare insieme e la bellezza semplice della vita all’aria aperta. Dall’altra, mira a riscoprire i luoghi di Ala, i parchi, i palazzi, i pertugi e le vie del centro storico». I giochi sono dun-
LA REGIA L’autismo in scena con profondità e delicatezza
La regista Jennifer Miller, in basso a destra, sul fondale di scena
Portare sul palcoscenico il mondo dell’autismo con delicatezza. Questo l’intento de “La regia”, produzione Alla Ribalta al debutto lo scorso 24 aprile al Cantiere 26 di Arco, con prime repliche a Trento al Teatro San Marco e in quel di Meano. Uno spettacolo diretto da Jennifer Miller (non nuova a tematiche legate alla disabilità: “Dov’è sparita Betty” trattava dell’Alzheimer), interpretato da Andrea Bonfanti, Pietro Michelini, Janna Konyaeva ed Elisa Salvini. Innanzitutto, di cosa racconta “La regia”? «È la storia di Pietro, un ragazzo autistico, del suo sogno di mettere in scena uno spettacolo», illustra la regista, «il Woyzeck di Büchner. È la storia del rapporto conflittuale, ma al tempo stesso di amicizia e amore, tra due fratelli in piena adolescenza. Theo è un ribelle, si ritrova spesso a doverlo salvare da situazioni difficili. Dopo
l’ennesima crisi in famiglia, decide che non può più vedere la madre Maria soffrire così tanto e il fratello improvvisarsi regista in mezzo alla cucina, e decide di attivarsi insieme all’educatrice Greta per creare un gruppo di teatro integrato a scuola. Qui la chiave di svolta dello spettacolo». Questa produzione è l’esito di un progetto avviato nel 2019, sostenuto fin dal principio da Fondazione Caritro, e che ha coinvolto diverse persone, associazioni, realtà. Fondazione Trentina per l’Autismo ha dato consulenza su passaggi delicati, tipo i momenti di terapia. C’è stata una collaborazione concreta con Casa Sebastiano a Coredo: lì, guidati dalla terapista della riabilitazione psichiatrica ed arteterapeuta Valentina Ropelato e dalla scenografa di compagnia Alice Zaniboni, alcuni ragazzi hanno realizzato il fondale
dello spettacolo. Una tela divisa in più sezioni da riempire con emozioni tradotte in un’esplosione di colori. Questa esperienza ha pure dato indicazioni sul personaggio dell’educatrice, così come il teatroterapeuta Stefano Borile ha dato input soprattutto riguardo a quello della madre. C’è stata poi la sinergia con Teatro Moda, ariaTeatro, Teatro delle Garberie e Cantiere 26. Lo spettacolo avrebbe dovuto debuttare a marzo 2020, e in questi due anni di pandemia ha vissuto diversi cambiamenti. «Ci mancava proprio la parte di residenza in teatro a Meano», ricorda Jennifer. «Ci siamo trovati con uno spettacolo praticamente fatto, ma con un’unica ripresa non fruibile sulle piattaforme in streaming. Ci siamo detti che non aveva senso proporre online uno spettacolo che era nato per il pubblico, per creare comunità e dialogo, per star vicino alle famiglie che vivono l’autismo». È mutato anche il cast: gli originari Pietro e Theo hanno preso altre strade artistiche, sono entrati nel gruppo Andrea Bonfanti e Pietro Michelini. «Vedere questo progetto nella sua interezza dopo due anni, dopo tutta questa frammentazione, è stata veramente una grandissima soddisfazione». Lo spettacolo – del quale nuove repliche sono previste in autunno – è adatto ad un pubblico di tutte le età, adulti come giovani. La replica mattutina del San Marco per medie e superiori (Winkler e Buonarroti) insegna. «Sicuramente vogliamo riproporlo alle scuole», sottolinea la regista. «Non ho mai visto classi così attente,
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que stati riadattati per essere svolti nel contesto alense, in modo da insegnare ai più piccoli quella “geografia del territorio e del cuore” che sempre più fatica a trovare spazio nei programmi scolastici. Le proposte sono centoundici, per tutte le occasioni. La guida racchiude infatti giochi da fare all’aperto, ma anche giochi da tavolo per quando è freddo o piove, senza trascurare il tema della sostenibilità, per trasformare mestoli di legno, stracci e vecchi elastici in oggetti per divertirsi e imparare in compagnia.
a cura di Ivan Ferigo
così prese emotivamente. I ragazzi si sono molto immedesimati con i personaggi loro coetanei. Grandi applausi per Pietro nella scena in cui impara a difendersi da chi lo prende in giro, compagni e professori. Tanti si sono ritrovati nel ruolo ribelle del fratello punk, ed hanno empatizzato con lui quando si invaghisce di Greta». Una metafora per raccontare, con profondità e delicatezza, la realtà di chi vive certe condizioni. Questo il modo di Jennifer di intendere il teatro sociale. «È parte del mio percorso di studi, del mio essere persona e artista. Il teatro, per come lo vivo, è sociale, benefico, terapeutico sempre. Dà la possibilità di specchiarsi, vedersi, di riflettere guardando quest’immagine specchiata della vita».
Theo e Greta, due dei protagonisti dello spettacolo
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Giugno 2022 - n. 3
SALUTE
SALUTE FEMMINILE E TABÙ. IL DOLORE INCOMPRESO
a cura di Francesca Bortolin
La storia di Tara Riva: un esempio di forza e speranza
In foto Tara Riva
Al giorno d’oggi, purtroppo, le donne non ricevono ancora la dovuta considerazione in medicina. Ci racconta la sua esperienza Tara Riva, giovane mamma, che ha convissuto con il dolore cronico per molti anni prima di ricevere cure appropriate, sperimentando i sistemi sanitari di Italia, Inghilterra, Belgio e Svizzera, dove ha vissuto per studio e lavoro. Tara, ci racconteresti la tua storia? Nel 2012, a vent’anni, ho avuto la prima cistite dolorosissima ed emorragica poi, per circa un anno, una recidiva ogni tre settimane trattata con il classico antibiotico. La situazione
peggiorava sensibilmente dopo i rapporti sessuali e questo mi creava forte disagio e imbarazzo. Il dolore non mi permetteva di dedicarmi agli studi serenamente, dovevo andare in bagno frequentemente e soffrivo a mantenere la posizione seduta. I primi anni ho consultato svariati dottori, tra cui una psicologa, ma tutti finivano per declassare le mie preoccupazioni a meri capricci adolescenziali. A furia di prendere antibiotici e subire cistiti ho sviluppato vulvodinia (dolore cronico alla zona vulvare) e contrattura del pavimento pelvico: prima diagnosi specialistica avuta su mia iniziativa, scoprendo una onlus online. Mi sono poi rivolta alla dottoressa Di Maria, competente fisioterapista del pavimento pelvico, e i buoni risultati faticosamente ottenuti mi hanno fatto ben sperare. Qualche anno fa, mentre vivevo a Bruxelles, ho avuto una delle recidive più forti e assumevo antidepressivi per il dolore prescritti dal medico. Dalla gravidanza la situazione è diventata intollerabile. Fino al momento della svolta… Esatto. Di lì a poco mi sono trasferita in Svizzera, a Baden, dove il primario dell’ospedale è specializzato in vulvodinia. Il medico è rimasto scioccato dal fatto che non mi avessero mai effettuato i dovuti accertamenti e mi ha proposto di procedere con una laparoscopia esplo-
rativa, per escludere l’endometriosi. Io ho accettato immediatamente e dall’intervento è emerso tutt’altro: avevo un indebolimento dei legamenti dell’utero che lo rendevano ipermobile, facendolo premere sulla vescica. Riscontra anche una malformazione genetica uterina mai notata dagli specialisti – neanche durante il cesareo – che mi aveva fatto condurre una gravidanza a rischio senza saperlo. Con l’operazione ho trovato un po’ di pace ma continuo a chiedermi perché non mi abbiano mai ascoltata, mi sarei risparmiata dieci anni di dolore cronico. Hai mai sentito il desiderio di “gettare la spugna”? Appena avevo un po’ di sollievo dal dolore cercavo di dimenticare il problema. Mi accontentavo perché pensavo che nessuno potesse aiutarmi sebbene mi sia spesso sentita dire dagli specialisti che il mio era solo un tentativo di cercare attenzioni, che mi piaceva “giocare a fare la malata”. Andare da un medico era ogni volta una ferita che si riapriva. Un giorno però ho pensato a tutto quello che avevo subìto e mi sono chiesta: se uno specialista dicesse a Daphne, mia figlia, le stesse cose che alcuni dottori hanno detto a me, lo accetterei? Ho deciso che avrei lottato ogni giorno per lei e avrei dato l’esempio.
CHE COS’È LA SINDROME DI TREACHER COLLINS? La Sindrome di Treacher Collins è una malattia genetica rara, scoperta e diagnosticata da Edward Treacher Collins nel diciannovesimo secolo. La malattia colpisce, secondo le stime, una persona su 50 mila. Può essere trasmessa da un genitore o acquisita in maniera totalmente casuale e influisce sui geni del nostro corpo, causando delle malformazioni della mandibola, della laringe, delle palpebre e delle orecchie. Chi ne è affetto deve affrontare diversi ostacoli. Nei soggetti più gravi sorgono complicazioni nell’udito, difficoltà nell’ingerire il cibo e difficoltà respiratorie. Le cause della malattia sono ascrivibili ad una mutazione di alcuni geni che compongono il DNA e che sono conosciuti con le sigle TCOF1, POLR1C e POLR1D. La Sindrome di Treacher Collins non influisce in alcun modo sulle capacità intellettive dell’individuo, eppure capita spesso che i soggetti affetti debbano fare i conti con difficoltà di carattere comunicativo. L’emarginazione è spesso la causa di problematiche come
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la depressione e la fobia sociale. I soggetti afflitti da TCS sono spesso costretti a svolgere diverse operazioni di chirurgia maxillofacciale nel corso della loro vita. In alcuni casi si tratta di operazioni necessarie per un’esistenza perlomeno decente. Non sempre basta la chirurgia a risolvere tutti i problemi che affliggono i casi più gravi di TCS. Talvolta è necessario ricorrere ad apparecchi per le orecchie o respiratori nei casi di deformità nasali o di micrognatia, cioè quando la mandibola è più piccola della media. Non tutte le persone affette dalla sindrome di Treacher Collins presentano gli stessi sintomi. Talvolta la malattia può emergere in maniera più lieve. La sindrome di Treacher Collins si trasmette per via genetica con un’incidenza del 50% e una persona affetta da TCS deve tenere in considerazione anche questo qualora decida di mettere al mondo un bambino. Le persone con TCS sono costrette a dare molto più di quanto sia richiesto alle persone completamente sane. Me ne sono ac-
Quanto ha inciso questa condizione sulla qualità della tua vita? Quando si sono presentati i primi sintomi ero all’università e ho rinunciato all’Erasmus. Ho poi fatto altre esperienze all’estero ma ogni volta che mi spostavo la prima cosa su cui mi informavo era l’accessibilità della fisioterapia del pavimento pelvico. Tuttora è così. Negli anni mi sono assentata molte volte dal lavoro per il dolore e la vulvodinia non è tuttora riconosciuta. Per molte patologie femminili esiste un vero e proprio tabù e spesso le lavoratrici fanno fatica a parlane sul luogo di lavoro. Essere donna è ancora estremamente penalizzante nella società. Che consiglio daresti a chi vive una situazione simile e cosa pensi andrebbe fatto a livello pubblico? Se senti forte dolore e questo diviene parte integrante della vita quotidiana, non normalizzare la cosa. Raccomando di consultare i siti delle onlus che si occupano di patologie simili (es. cistite.info) e presentano liste di medici convenzionati. A livello statale c’è bisogno di rendere accessibili le cure, inoltre è essenziale parlare nelle scuole: occorre rivolgersi direttamente ai giovani – maschi e femmine – e fornire loro le corrette informazioni sin dall’adolescenza, ben il 15% delle donne soffre di vulvodinia e una diagnosi tempestiva può aiutare molto.
a cura di Michele Anastasia
corto raccogliendo informazioni per questo articolo. Sono una delle poche persone in Italia ad aver vinto la lotteria, se possiamo dire così. Sono stato anche abbastanza fortunato. Ho dei problemi alla vista, qualche problemino all’udito, ma il viso non è così male come è capitato ad altri. Questo non mi ha impedito di dover fare i conti con un certo stigma sociale che accompagna sempre le persone più brutte in un contesto in cui il cinema, i social media e la televisione promuovono l’ideale della perfezione estetica a tutti i costi. Nonostante questo, la Sindrome di Treacher Collins non è molto conosciuta. Mi hanno diagnosticato la sindrome quando ho dovuto fare i conti con lo strabismo. Fino ad allora, ho sempre pensato di essere soltanto “brutto”. La consapevolezza della malattia mi ha dato modo di accettare meglio il mio rapporto con il mondo. La sensibilizzazione in materia, però, è ancora poca: nonostante associazioni specializzate nel campo delle malattie rare, la TCS rimane poco studiata.
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Il dottor Edward Treacher Collins, scopritore dell’omonima sindrome
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TEMPO LIBERO
UNA RECENSIONE DEL FILM “WONDER”: QUANDO NON BASTA ESSERE “SPECIALI” Wonder è un film del 2017 diretto da Stephen Chbosky e ispirato al romanzo omonimo di R. J. Palacio, che racconta la storia di August Pullman, un ragazzino che è affetto sin dalla nascita dalla sindrome di Treacher-Collins. Durante la visione del film, il cui titolo in italiano si potrebbe tradurre proprio con “prodigio”, mi è sembrato che gli autori abbiano trasmesso molto bene le sensazioni e le esperienze che anche io, avendo la TCS, ho vissuto nel corso della mia vita. August si è sottoposto a ben ventisette interventi chirurgici (io ne ho fatti solo due), ha paura di affrontare il primo giorno di scuola, deve lottare contro i pregiudizi degli altri, deve faticare per farsi accettare da tutti. La sua condizione influisce inevitabilmente anche sulle vite delle persone a lui vicine: sua madre ha smesso di dedicarsi al proprio lavoro di illustratrice per seguirlo, mentre sua sorella è sempre stata messa in ombra dal fratellino “speciale”. Nel corso del film assistiamo alla maturazione del protagonista, che riesce a stringere le prime amicizie importanti con altri bambini (non senza qualche incomprensione) e scopre che anche chi è apparentemente diverso può avere delle aspirazioni e dei sogni. Partito come scherzo della natura, August finisce per diventare il collante fra i personaggi, che, tramite lui, daranno un nuovo senso alle relazioni umane. Il film ha lo scopo molto nobile di veicolare dei valori positivi, anche se, c’è da dirlo, la realtà che le persone affette dalla sindrome di Treacher Collins
si trovano ad affrontare è molto diversa. Se alla fine August ottiene una medaglia come premio per essere stato uno studente modello, nel mondo reale è molto più probabile che la sofferenza di questi soggetti passi inosservata. Sono stato preso in giro per quattro anni da un professore che avrebbe dovuto tutelarmi; fino a quindici anni non sapevo nemmeno di essere affetto dalla sindrome di Treacher Collins. Sono sempre stato trattato come un idiota; ho messo in dubbio tutte le mie amicizie e
le relazioni sentimentali, perché è così che funziona (voglio davvero che gli altri si vergognino di me?); potevo farmi rispettare soltanto coi pugni, e anche lì non è che fossi molto bravo. Non sono mai stato il centro della vita di nessuno, ero semplicemente una persona “brutta”, che è nata così. Nel mio caso la sindrome è apparsa in una forma più lieve: non ero nemmeno abbastanza brutto da meritare compassione. Da noi, a Taranto, si dice sempre: “E che dobbiamo fare?”. Si dice così per tutto,
a cura di Michele Anastasia facendo spallucce. Non ho mai ricevuto un atto di gentilezza, anche perché dalle mie parti le persone gentili sono rare in generale. Questo è un aspetto del film che non mi ha convinto molto: i bei sentimenti possono andare bene per un’opera di finzione, ma la realtà è sempre molto più difficile. Non è raccontandoci le favolette che si svolge un’opera di sensibilizzazione efficace e credo che questo sia il problema più diffuso nei film che parlano di disabilità. Fateci soffrire come gli altri, grazie.
Una scena del film “Wonder” (2017) diretto da Stephen Chbosky, con protagonisti Jacob Tremblay, Julia Roberts e Owen Wilson
SU RIVA DEL GARDA SVENTOLA LA “BANDIERA LILLA” DELL’ACCESSIBILITÀ Viaggi
barriere a z n e s È Riva del Garda il primo comune “lilla” del Trentino Alto-Adige. Il progetto “Bandiera Lilla” è nato in Liguria nel 2012 con l’obiettivo di favorire il turismo da parte di persone con disabilità, premiando e supportando quelle municipalità – e presto anche quegli operatori privati – che, con lungimiranza, prestano una particolare attenzione alle esigenze specifiche di questo target. Attualmente i comuni italiani certificati sono 39, premiati per l’impegno nello sbarrieramento di spiagge, aree verdi e zone interne, nella ristrutturazione nell’ottica dell’accessibilità di impianti sportivi e luoghi pubblici e nell’implementazione di rassegne ed eventi fruibili da diversi tipi di spettatori. Il presidente di “Bandiera Lilla” Roberto Bazzano spiega: «Nel caso specifico di Riva del Garda, durante le attività di valutazione abbiamo
potuto constatare come la progettazione inclusiva sia diventata negli anni una modalità operativa consueta, trasversale ai diversi settori del comune, attività che ha permesso di raggiungere un livello di accessibilità più che buono portandoci a
considerare la zona del centro e del lungolago come una unica Zona ad Elevata Accessibilità. Questo fatto risulta ancora più significativo considerando che una parte di accessibilità importante è stata ricavata in edifici di pregio storico e architetto-
Il nostro presidente Carlo Nichelatti e l’amica Angela durante una gita sbarrierata sul bastione di Riva del Garda con il pullmino accessibile di Prodigio.
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a cura di Martina Dei Cas
nico come, ad esempio, La Rocca. La presenza di numerose aree verdi, di parcheggi, piste ciclabili, impianti sportivi, vie, piazze ed edifici tutti dotati di buona accessibilità fanno di Riva del Garda una meta ideale per turisti con esigenze speciali, famiglie e anche turismo over 65 offrendo davvero un’esperienza per tutti. Inoltre, i progetti di miglioramento in essere lasciano pensare che nel prossimo futuro l’accessibilità di Riva del Garda subirà un ulteriore significativo incremento». Altre due realtà sbarrierate del Garda sono Sirmione, dove tra i luoghi facilmente accessibili ai diversi tipi di pubblico troviamo le fonti termali rilassanti e curative, e Malcesine. Per organizzare il tuo viaggio sbarrierato in uno dei 39 comuni lilla, visita il sito: bandieralilla.it Pensi che il tuo comune abbia le caratteristiche giuste per diventare “Bandiera Lilla?” Candidalo inviando una mail a comuni@bandieralilla.it
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Cassa di Trento si unisce a Cassa Rurale Alta Vallagarina e Lizzana.
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