Pro.di.gio. n.V ottobre 2012

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pro.di.gio.

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO V - OTTOBRE 2012 - ANNO XIII - LXXIV NUMERO PUBBLICATO

TELEFONO E FAX 0461 925161

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progetto di giornale

Le Paralimpiadi fanno tristezza Questa l’opinione di Paolo Villaggio a Radio 24, la nostra risposta

Un po’ meno soli Come dare voce a chi non viene ascoltato

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Sailing Campus

Il confine tra necessità e superamento dei propri limiti

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Un’esperienza unica da veleggiare

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Ancora una volta manca praticità e sensibilità rispetto al problema della mobilità.

Licenze taxi per trasporto disabili

L’

articolo che presentiamo qui di seguito, è stato siglato da alcune delle maggiori associazioni che sul territorio della città di Trento si occupano di disabilità. Hanno voluto portare in evidenza una problematica che si auspicano non si ripeta più in futuro, nonché ricordare il ruolo attivo e il contributo che le persone con disabilità possono portare alla gestione della cosa pubblica, in un ottica di piena collaborazione e ascolto reciproco con le istituzioni. L’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità il 13 dicembre 2006. Rappresenta la strada che gli Stati devono percorrere per garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità. Il 24 febbraio 2009: il Parlamento italiano ratifica la Convenzione, che diventa legge dello Stato. Recentemente siamo venuti a conoscenza che con delibera n.85 del 25 maggio 2010 il Consiglio Comunale di Trento in risposta a richieste per l’assegnazione di 3 autorizzazioni per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente con veicoli fino a 9 posti e di 3 autorizzazioni per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente per il trasporto di disabili con veicoli fino a 9 posti ha ritenuto di provvedere ad aumentare rispettivamente di n. 5 unità i

A sinistra, soluzione di vettura accessibile a tutti. Sotto, esempio di soluzione accolta dall’amministrazione.

due contingenti per poi procedere all’indizione dei bandi di concorso per l’assegnazione delle autorizzazioni; con le seguenti motivazioni, tra

Arrivano a Trento il 17-18 novembre

APPUNTAMENTI

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento

Dal doping alla terapia

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Le giornate della Solidarietà e Disabilità

l convegno di novembre sul tema “Solidarietà Internazionale e Disabilità”, sarà un’iniziativa nata in seno alla Provincia Autonoma di Trento e in particolare all’Assessorato alla Solidarietà Internazionale e alla Convivenza. Questa che vi diamo è una prima indiscrezione, nonostante il titolo non sia stato ancora deciso, i contenuti che si stanno delineando non possono che promettere un evento, a cui non si può mancare. Nello scorso numero abbiamo introdotto questo nuovo argomento che pone in parallelo la disabilità con il contesto internazionale con uno spirito solidale. L’esperienza della comunità di St. Martin CSA, organizzazione religiosa di base attiva in Kenya, che ha l’obiettivo di venire incontro alle categorie di persone più vulnerabili come disabili e bambini di strada, rappresenta un esempio di organizzazione che lavora con un approccio comunitario. È la comunità stessa a farsi carico dei bisogni dei suoi membri attraverso i mezzi di cui dispone. Ma questa bella storia di solidarietà attiva, la potrete apprezzare di persona, infatti al convegno prenderà parte un gruppo di persone del St.Martin che si occupano del programma “disabilità”.

Racconteranno e dimostreranno come sia stato possibile ricostruire il tessuto sociale di una comunità partendo dalla cura di bambini disabili, come Kamau, costruendo con l’impegno e il lavoro di squadra, le solide fondamenta per una vita più attenta ai bisogni di tutti. Ma il convegno non ci sarà solo questo, infatti il giorno 18 novembre l’ospite d’eccezione e testimonial dell’evento sarà Simona Atzori con il suo spettacolo “ Cosa ti manca per essere felice”. La danzatrice, famosa oltre che per le sue straordinarie doti artistiche, da anni ormai si occupa in prima persona con il ruolo di Ambasciatrice per la Fondazione Fontana, nel sostenere e raccogliere fondi per progetti come quello del St. Martin, portando attraverso il suo movimento un messaggio di solidarietà e impegno sociale coinvolgente e appassionante. L’evento, oltre che un momento di riflessione a partire da esperienze concrete, si propone di rafforzare la rete tra le associazioni di solidarietà internazionale che si occupano di disabilità, sia tra queste e le associazioni che di questo si occupano in Trentino. Invitiamo calorosamente tutti quindi a partecipare a queste due belle giornate, ricordando che dalla relazione e dal confronto tra persone e tra culture diverse, nascono sempre idee e progetti che in un modo o nell’altro riguardano tutti noi. Lorenzo Pupi

le quali quella che a noi interessa: d) è crescente la necessità di garantire il trasporto con mezzi idonei ed opportunamente attrezzati, di persone disabili e portatori di handicap, al fine di favorire e consentire una piena integrazione sociale ed umana; Il problema che intendiamo evidenziare, cercando di parlare per tutta la comunità dei disabili permanenti o non, è il mancato coinvolgimento dei rappresentanti delle associazioni di questo settore, in una decisione, che riguardando il trasporto pubblico, rappresenta un’occasione importante di riflessione sul concetto di città accessibile. La vicenda colpisce in quanto il bando comunale per l’assegnazione di tre licenze taxi per trasporto di disabili richiedeva sostanzialmente due condizioni tecniche dei veicoli da soddisfare: che fossero ecologici e accessibili. Ci è stato confermato in Comune, in un

incontro organizzato con l’Assessore allo Vedi articolo originale sviluppo economico e tributi dott. Fabiano Condini, dall’Associazione PRODIGIO di Trento, presenti l’Associazione ANGLAT onlus di Trento e Cooperativa Handicrea di Trento, che alcune difficoltà tecniche hanno impedito di rispettare questi prerequisiti, con di fatto, la penalizzazione dell’aspetto della accessibilità al mezzo. Infatti l’accorgimento a misura di disabile compatibile con il requisito dell’ecosostenibilità del veicolo, consiste in un seggiolino girevole automatizzato che dovrebbe assicurare un comodo ingresso nella autovettura. Purtroppo tale soluzione crea una discriminante in quanto tale accesso risulterebbe invece negato a soggetti con disabilità motorie gravi portatori di sedia a rotelle che ovviamente dovrebbero, quando è possibile, essere caricati di peso sul seggiolino. Ciò che forse rammarica maggiormente come si accennava pocanzi, è il mancato coinvolgimento delle Associazioni rappresentative, in una decisione che riguarda un problema, quello del trasporto pubblico per i disabili, che necessità ancora di accorgimenti, nonostante, e questo va sicuramente sottolineato, l’impegno continuo dell’amministrazione comunale nell’affrontare la questione. Senza dubbio il Comune di Trento ha a cuore il tema sulla mobilità e accessibilità dei disabili a tutti i servizi che la città offre, come ci è stato anche ribadito nell’incontro con l’Assessore Condini. Quindi va dato atto della disponibilità e sensibilità dimostrata dalla stessa amministrazione anche in occasione della costituzione del tavolo di lavoro sulla disabilità. Infatti in data 19 maggio 2011 le associazioni rappresentative hanno sottoscritto in presenza di assessori e del Sindaco di Trento dott. Alessandro Andreatta un impegno di collaborazione in questo senso. Tale tavolo dovrebbe essere proprio lo strumento ideale da impiegare in processi decisori come quello delle licenze taxi per trasporto disabili, anche se talvolta capita non venga preso troppo in considerazione. Quello che si vuole mettere in evidenza è il fatto che in un clima di leale collaborazione, associazioni e amministrazione comunale dovrebbero forse dialogare maggiormente per risolvere eventuali dubbi interpretativi sulla miglior concetto di città accessibile. La reale accessibilità non implica che debbano esserci per forza adattamenti preferenziali per tipologie di persone disabili, ma l’obbiettivo dovrebbe tendere ad una accessibilità a 360° della città e dei suoi servizi, una accessibilità che diventi normale e non speciale, dove un taxi accessibile lo sia per tutti dal disabile, all’anziano, all’infortunato e così via. Giuseppe Melchionna Presidente PRODIGIO onlus di Trento Marco Groff Presidente ANGLAT onlus di Trento Graziella Anesi Presidente Coop. HANDICREA di Trento


S P O RT

Campo di applicazione e limiti

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L’accessibilità ai parcheggi per disabili

er l’edilizia residenziale privata e l’edilizia residenziale pubblica va premesso che il campo di applicazione e la decorrenza sono legati all’entrata in vigore delle norme relative al DM 236/89: “... è importante sottolineare che, a decorrere dall’11 agosto 1989 (primo giorno posteriore ai sei mesi dall’entrata in vigore delle legge previsti dall’art. 1, comma 1), tutti i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici ovvero alla ristrutturazione di interi edifici (siano essi, nel primo e nel secondo caso, destinati ad uso abitativo o ad uso non abitativo), compresi anche quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, dovranno essere adeguati alle prescrizioni tecniche contenute nel decreto del Ministro dei Lavori Pubblici di cui al comma 2 dell’art. 1. “ (fonte: circolare 1669/89) Ne consegue che le prescrizioni sull’accessibilità riguardanti i parcheggi riguardano immobili realizzati a partire dal giorno 11 agosto 1989. Quindi se l’edificio o le attrezzature sono stati consegnati o completati successivamente all’entrata in vigore del DM 236 e sono dotati di area parcheggio essi dovranno rispettarne le prescrizioni al punto 8.2.3 che richiede un posto auto riservato gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili nella misura di 1 ogni 50 o frazione di 50. Cosa prescrive la legge in materia Il DM 236 all’art. 8.2.3 Parcheggi, detta: “Nelle aree di parcheggio devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50 o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a m 3,20, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili. Detti posti auto, opportunamente segnalati, sono ubicati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze dell’accesso dell’edificio o attrezzatura. Al fine di agevolare la manovra di trasferimento della persona su sedia a ruote in comuni condizioni atmosferiche, detti posti auto riservati sono, preferibilmente, dotati di copertura.” Si osserva quindi che nell’articolo sopra citato non si parla di parcheggi privati acquistati da singoli condomini, né di parcheggi riservati a residenti disabili, ma si richiede di prevedere posti riservati ai veicoli al servizio di persone disabili, che potranno essere residenti o visitatori e quindi potranno variare.

Posti per i veicoli al servizio delle persone disabili È importante sottolineare che in caso di posti auto comuni va prevista la presenza di almeno 1 posto auto, ogni 50 o frazione di 50, riservato ma non personale quindi a disposizione della collettività e in particolare dei mezzi al servizio di persone disabili, posto che il condominio sia stato realizzato dopo l’entrata in vigore del DM 236. Questa disposizione si collega anche al requisito di VISITABILITÀ previsto per l’edilizia residenziale dallo stesso DM 236 che detta “Per visitabilità si intende la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta”. Inoltre le stesse prescrizioni parlano di edificio o attrezzatura quindi valgono per i condomini o per attrezzature quali ad esempio impianti sportivi o di alto genere (attrezzature private aperte al pubblico). Nel DM si specifica anche l’ubicazione che deve essere in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze dell’accesso e la possibilità di avere una copertura. In caso di un condominio realizzato prima dell’entrata in vigore della legge 13 e relativo DM 236 o in caso di assenza di area parcheggio comune le modalità per poter avere un posto auto riservato come sopra indicato può essere sottoposto al parere dell’assemblea condominiale in relazione alle possibili opzioni che si presentano. Un caso da segnalare Da una ricerca effettuata abbiamo verificato anche il caso di un regolamento edilizio che detta sia l’obbligo di avere dei posti riservati agli ospiti o visitatori con disabilità (1 ogni 50 o frazione) sia un posto riservato per ogni condomino residente che risulti essere disabile alla data di consegna dell’edificio. Questa è comunque una disposizione locale che citiamo solo come esempio a carattere locale. (Città di Cesano Maderno, prov. Milano, Nuovo Regolamento Edilizio, Allegato Tecnico, Nota 5 Parcheggi, anno 2004). Marco Groff, ANGLAT Trento

Il confine tra necessità e superamento dei propri limiti

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Dal doping alla terapia

ono Giuseppe Melchionna, presidente dell’Associazione Prodigio che da più di dieci anni si occupa di sensibilizzare sulle tematiche della disabilità e del mondo sociale. Volevo esprimere alcune considerazioni in merito al tema del doping nel mondo sportivo professionistico e non solo, mi

sorprende il fatto che queste persone sane e dotate fisicamente debbano ricorrere a sostanze dopanti per migliorare ulteriormente le proprie performance. Non sono ingenuo nel capire che ci sono in mezzo oltre alla gratificazione personale, anche notevoli interessi economici e di marketing che vanno a disegnare un uso quasi sistemico di sostanze dopanti. Ciò che mi rammarica maggiormente è il fatto che questi soggetti oltretutto compromettono la loro salute in primis, ma anche la fiducia di chi gli sta intorno e di chi li segue.

Per la mia personale esperienza di tetraplegico a causa di un incidente stradale, da più di trent’anni vivo su una sedia a rotelle e adesso a causa di altri problemi di salute, devo assumere terapeuticamente le stesse sostanze (EPO) di questi “finti” sportivi. L’eritropoietina o EPO è un ormone glicoproteico prodotto negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello, che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi (produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo). L’EPO è prodotta anche in laboratorio e utilizzata come farmaco per curare le anemie in pazienti come me affetti da malattie renali o da malattie del sangue, o per permettere un recupero più veloce dopo la somministrazione di chemioterapia nei pazienti affetti da cancro. In studi recenti è stato osservato pure un ruolo neuroprotettivo di EPO come agente antinfiammatorio. Al di fuori delle indicazioni previste nella scheda tecnica, il farmaco è purtroppo impiegato anche come sostanza dopante, sfruttando la sua capacità di aumentare il numero di eritrociti anche in soggetti sani, come gli atleti, al fine di aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti (specie quello muscolare scheletrico e cardiaco) e di migliorare quindi la performance sportiva. Alla luce di questo ultimo utilizzo mi sento di affermare che per me essere uomini vuol dire combattere ogni giorno con dignità, affrontando la vita nonostante la disabilità, la malattia e tutto quello che ne consegue, felice di apprezzare ciò che si ha. Vorrei invitare gli atleti a fare un passo indietro e ad avvicinarsi alle vere sfide quotidiane che tante persone affrontano con costante fierezza. Potrebbe essere un’occasione di crescita personale ma anche un modo per approcciarsi ai limiti in maniera più costruttiva e sana. Giuseppe Melchionna

Questa l’opinione di Paolo Villaggio a Radio 24, la nostra risposta

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«Le Paralimpiadi fanno tristezza, esaltano le disgrazie»

pro.di.gio.

rmai da cinquant’anni in coda alle Olimpiadi normali ossia dei normodotati (puah... ma chi mette in circolazione questi termini?) si svolgono anche quelle dei disabili. Qualcuno ha trovato da ridire: Paolo Villaggio, il popolare ragionier Ugo Fantozzi di tanti film! Ecco qui a seguire le sue perle: «La paralimpiadi di Londra fanno molta tristezza, non sono entusiasmanti, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». L’ha detto Paolo Villaggio a La Zanzara su Radio 24. Poi continuando: «Non fa ridere una partita di pallacanestro di gente seduta in sedia a rotelle io non le guardo, fa tristezza vedere gente che si trascina sulla sedia con arti artificiali. Mi sembra un po’ fastidioso, non è divertente». Ancora: «Ce n’è una, cieca, che fa i duecento metri in pista. Dicevano che si allena con due persone a fianco che le dicono dove andare. Tanto vale allora correre col bastone». Infine: «La mia non è crudeltà ma è crudele esaltare una finta pietà. Questo è ipocrita. Sembrano Olimpiadi organizzate da De Amicis con dei “personaggini”». Disabili e non hanno immediatamente risposto per le rime all’attore e questo giornale, fatto da disabili per se stessi e per “tutti gli altri”, non poteva esser da meno:

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Caro rag. Fantocci, chi le ha mai detto che le Olimpiadi devono divertire? Forse che Lei le guarda per spasso, come si vede un film di Totò, Stanlio e Ollio o di Paolo Villaggio? Perché le Paraolimpiadi non si guardano per ridere e divertirsi ma per ammirare la forza e l’impegno di atleti veri con handicap veri di fronte alle barriere fisiche: devono entusiasmare, emozionare, portarti a tifare, quasi a partecipare. E poi, rag. Bambocci, perché bisognerebbe ridere di un incontro di basket? Sappia che una tale partita in carrozzina può essere bella o brutta esattamente come qualsiasi altra, si tratti di basket, pallavolo, corsa, ecc... In più, a volte, può essere bellissima. Provare per credere! Personalmente ne ho visto due, una tra Colombia e Stati Uniti, tirata fino all’ultimo canestro e l’altra tra Cina e Stati Uniti in cui gli atleti hanno profuso una grinta incredibile: continui cambiamenti di campo, rincorsa di ogni palla, cadute a terra e rapidi ritorni in assetto da gara da soli. Quanto alla “cieca che fa i duecento metri in pista”, credo si riferisca alla signora Minetti, Le ricordo che detto “personaggino alla DeAmicis” (ma le sta sulle palle anche l’Edmondo?) ha lavorato nella moda, è stata cantante di un certo successo (festival di San Remo), è diplomata ragioniera (come

Lei, rag. Imbranatozzi) ed è mamma: non male, crede? Lo spettacolo erano gli atleti stessi e il loro impegno: non ci vuole molto a capire che nel caso delle Paraolimpiadi lo spettacolo è un pretesto per eliminare le barriere sociali che rendono difficile la vita ad una fetta di Suoi concittadini (noi umili sfigati) e insegnare che nella società c’è posto per tutti, disabili inclusi: se non l’ha capito allora è proprio Lei da compatire! Probabilmente a caratterizzare certi suoi imbarazzanti atteggiamenti, disistimato Rag. Bacherozzi, è una mal celata e pelosissima compassione, un pietismo tanto inopportuno quanto pesantemente offensivo derivato dalla falsa e odiosa convinzione che la vita di un uomo o di una donna con handicap debba per forza essere triste, insoddisfacente, misera, grigia e quasi sprecata. Una vita priva di tutto ciò che invece un uomo dovrebbe considerare costitutivo della propria felicità: indipendenza, stimoli, vita sociale, carisma, attrattiva, bellezza, successo lavorativo, sportivo e sentimentale, competenza professionale. Per fortuna non è così. sennò saremmo tutti come Lei, il vero Fantozzi. Un’ultima annotazione, Rag. Pupazzi: come ha fatto Lei, il patrono di tutti gli sfigati d’Italia,

Paralimpiadi Londra 2012: il trionfo di Alex Zanardi a Brands Hatch

a precipitare in banalità del genere? Lei che ha sempre “cavalcato” sfigati in TV, nei libri e al cinema? Si è mai chiesto cosa avrebbero pensato delle sue esternazioni i tanti perdenti che, bisognosi di conforto, riempivano i cinema facendo di Lei un riccone? Nietzsche scriveva che non c’è cosa peggiore della compassione perché, avendo noi compassione degli altri, ci eleviamo, ci sentiamo superiori rispetto a quelli messi peggio di noi. Se la sua è di tal tacca, allora, caro rag. Petolozzi, ce la risparmi: non ci servono parole né intinte nella vasellina né nel veleno né, meno di tutte, nella (sua) compassione: siamo in grado di arrangiarci senza! UB

Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Lorenzo Pupi, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Giulio Thiella. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Matteo Tabarelli, Dorotea Maria Guida, Elisa Mazzurana, 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it Maurizio Menestrina, Marco Groff. ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it In stampa: martedì 2 ottobre 2012. Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | ottobre 2012 - n. 5


AV V E N T U R A

Un’esperienza unica da veleggiare

Sailing Campus

INFORMAZIONI

servizio Tg3 Trentino

un’occasione per coltivare relazioni, per confrontarsi e per divertirsi in totale sicurezza, seguiti da un team di istruttori e volontari messi a disposizione dalla

e livelli, partendo da un trimarano e due classe Access messe a disposizione da Archè oltre ad altre barche dell’Associazione “lo Spirito di Stella” tra cui spiccava uno Skud 18, imbarcazione biposto, completamente accessibile e da competizione, modello usato anche nelle recenti paraolimpiadi in Inghilterra. I momenti di confronto sono stati tanti sia durante le giornate di vela vera e propria, sia nelle pause di relax, tra pranzi e risate serali in compagnia di volontari, operatori, fisioterapisti e tanti, tanti amici. Il concetto di inclusione della persona disabile, in queste Dalla teoria alla pratica.. i momenti più belli del quattro giornate ha superato Sailing Campus 2012, sul ogni aspettativa generando un Lago di Caldonazzo gruppo compatto, spiritoso che ha saputo affrontare la vela con l’atteggiamento giusto, con la voglia di imparare, di cimentarsi in qualcosa di nuovo, per molti inusuale, ma che sicuramente ha regalato intense sensazioni di libertà. Mettersi in gioco e sperimentare attività come queste può risultare altamente terapeutico per il corpo e per la mente, la pratica della vela implica l’osservazione, la concentrazione e il confronto con gli elementi. Da molti è considerato sport di nicchia, ma iniziative come “Sailing Campus” e l’impegno delle associazioni e cooperative come “ lo Spirito di Stella” e Archè smentiscono in pieno tale pregiudizio, dimostrando quanto sia realmente accessibile e alla portata di tutti. Lorenzo Pupi Consulta Disabili Provincia Della Spezia

Cooperativa Archè, la quale si occupa da anni di vela accessibile attraverso attività sul Lago di Garda e adesso anche a su quello di Caldonazzo. La flotta a disposizione dei novelli marinai è ricca di imbarcazioni per tutti i gusti

www.arche-tn.it

MARKETING SAIT

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irata, strambata, cazza la randa, lasca, poggia... No non vi preoccupate, non sono parolacce, ma semplici termini nautici, con cui una decina di ragazze e ragazzi con disabilità si sono approcciati prima di salire a bordo ad una vera imbarcazione a vela nel contesto del progetto itinerante “Sailing Campus”.Ospitato dalla Cooperativa Archè sul Lago di Caldonazzo al nuovo Centro Nautico “Econ”nel mese di settembre, rappresenta un’esperienza unica nel suo genere che ha l’obiettivo di consentire a ragazzi e adulti, con e senza disabilità, di praticare sport all’aria aperta in un ambiente inclusivo ed aperto a tutti, cimentandosi, individualmente e in squadra, nel condurre imbarcazioni accessibili. L’iniziativa stà facendo il giro d’Italia e nasce da un’idea dell’Associazione Onlus “ lo Spirito di Stella” e del suo fondatore, Andrea Stella, paraplegico a seguito di un aggressione negli Stati Uniti nel 2000. L’Associazione è molto attiva dal 2003 nel promuovere iniziative che riguardano la pratica sportiva per le persone disabili ed è impegnata in un’opera di sensibilizzazione sull’annoso problema delle barriere architettoniche. “Sailing Campus” nasce sulla scia di un altro progetto “Spirito Libero”, un tour velico per persone con diversa disabilità, totalmente gratuito. Ad oggi sono state organizzate 400 giornate di vela per più di 4.000 partecipanti. Nello specifico la tappa sul suggestivo Lago di Caldonazzo, ha visto la partecipazione di un nutrito gruppo di giovani e meno giovani che ha colto a pieno lo spirito del corso. Non è stata una semplice esperienza di pratica velica, ma

www.lospiritodistella.it

Associazione Onlus “lo Spirito di Stella”

Sailing Campus: progetto di vela per tutti

Obiettivi 1. Avviare alla pratica velica persone disabili per le quali è particolarmente importante svolgere attività sportiva, per trovare nuovi stimoli, per capire che anche in carrozzina la vita può essere vissuta a pieno. 2. Stimolare lo sviluppo di nuovi centri di vela adattata e rafforzare quelli già esistenti. 3. Sensibilizzare enti, istituzioni e cittadinanza sulla disabilità e sull’importanza dello sport per i disabili. 4. Attivare una sinergia con gli enti locali per offrire un’offerta completa e attenta alle necessità di tutti. 5. Sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità dell’abbattimento delle barriere, mediante il oinvolgimento dei media locali e nazionali, facendo leva su web e social network. Le imbarcazioni Per i Sailing Campus vengono utilizzate le imbarcazioni australiane della flotta Access, in particolare le 303 e lo

Skudd 18. Semplici e sicure, sono perfette per un primo approccio alla vela e ottime anche per utenti con difficoltà motorie in quanto presentano dei servomeccanismi controllabili non solo con le mani, ma anche con altre parti del corpo. In particolare presentano: 1. Vele rollabili che permettono al velista di regolare le dimensioni della vela, anche in navigazione. 2. Derive zavorrate che assicurano l’imbarcazione contro ogni possibilità di rovesciamento. 3. Innovativa forma concava della carena che promuove la stabilità. 4. Disposizione dell’equipaggio con baricentro in posizione centrale bassa che consente una grande stabilità. 5. Possibilità di essere allestite con servocomando e joystick controllabile con varie parti del corpo in movimento, per consentire la pratica della vela anche a chi ha disabilità motoria di vario tipo.

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Locazione di un alloggio pubblico e contributo integrativo sul canone di locazione: come presentare domanda

AUTUNNO TRENTINO Tutto il programma

PIAZZA DANTE La nuova zona sud

A SPASSO CON FIDO Come comportarsi con il proprio cane

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- settembre ANNO XIII - n° 63

Trento 0-18

Dopo il successo dello scorso anno, torna Trento 0-18, iniziativa dedicata all’infanzia e l’adolescenza, promossa dal Comune in collaborazione con tutti i soggetti che in città si occupano di minori. Un modo diverso per parlare di bambini, ragazzi, giovani, per verificare cosa è stato fatto e cosa si potrà fare in futuro. Gli eventi in programma sono centrati sui diritti dei minori, indicati e sanciti nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Si parla spesso di emergenza educativa, un’espressione che rischia di mettere l’accento sugli aspetti problematici dell’educare. Per questo, più che di emergenza sarebbe importante parlare di priorità educative, che coinvolgono non solo il singolo ma anche, ai diversi livelli di responsabilità, la collettività. Fra le tante, due sono state scelte come temi dell’edizione di quest’anno: • il diritto all’educazione per tutti i bambini, nella cui realizzazione assumono un significato particolare quei valori e quelle regole che forniscono ai bambini e ai ragazzi il bagaglio culturale per crescere insieme agli altri nell’accoglienza e nel rispetto della diversità • il diritto all’uguaglianza e non discriminazione, per impedire che la crisi che stiamo vivendo torni ad accentuare le disuguaglianze sociali e le diversità di opportunità per bambini e ragazzi. Nei mesi di ottobre e novembre le singole realtà aderenti all’iniziativa organizzeranno le proprie attività su questi temi per sensibilizzare la cittadinanza con laboratori di teatro, cineforum, letture guidate, momenti “aperti”, conversazioni educative, ecc... I due eventi principali si terranno a palazzo Geremia sabato 17 novembre (confronto su temi educativi per genitori e laboratori per i bambini) e martedì 20 novembre, giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza (workshop sulle disuguaglianze sociali nel contesto trentino e tradizionale incontro del Consiglio comunale con le consulte dei giovani Unicef). Dal 12 al 21 novembre sarà allestita presso la Biblioteca comunale una mostra sui temi dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Entro il 5 novembre classi o singoli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado possono partecipare alla realizzazione di disegni che raccontino le disuguaglianze, consegnandoli alla sede del Comitato Unicef di Trento. I disegni verranno esposti nelle vie della città in occasione della manifestazione.

Dalla coppia alla famiglia

Sito Internet del Comune di Trento: www.comune.trento.it Numero Verde 800 017 615

Anche quest’anno il Servizio Attività sociali, in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari, istituito presso l’Assessorato alle politiche sociali, propone alle giovani coppie il ciclo di incontri Dalla coppia alla famiglia. Formare una coppia stabile e condividere il

per la raccolta rifiuti composta da due Iveco DAILY sperimentali a miscela metano-idrogeno (idrometano) e tre Iveco DAILY a metano, che sostituiranno veicoli diesel in uso nel centro storico della città e di dotare gli stessi di un sistema info-telematico avanzato per il monitoraggio, al fine di certificare la riduzione dell’impatto ambientale e l’incremento dell’efficienza delle operazioni di raccolta. Dolomiti Energia, che finanzia la parte non coperta dal contributo ministeriale, ha realizzato presso il cantiere un impianto ad hoc per effettuare il rifornimento di idrometano (miscela di metano con idrogeno fino al 30%).

trentoinforma

- OttObre

Pagina a cura del Comune di Trento

Fino al 28 dicembre 2012 i cittadini dei Comuni di Trento, Aldeno, Cimone e Garniga Terme possono presentare domanda per la locazione di un alloggio pubblico e per l’erogazione del contributo integrativo sul canone di locazione agli sportelli del Servizio casa e residenze protette in via Torre d’Augusto n. 34 (orario di raccolta domande: lunedì, martedì, mercoledì e venerdì 8.30-11.30, giovedì 8-15.30). Prima della presentazione della domanda è necessario richiedere ad un Caf convenzionato con la Provincia autonoma di Trento l’attestazione Icef edilizia pubblica (che deve essere inferiore allo 0,23). Per facilitare la compilazione della domanda, è stato predisposto, sotto forma di intervista, uno schema riepilogativo delle informazioni che il richiedente dovrà conoscere; lo schema è disponibile presso gli uffici o su www.comune.trento.it.

desiderio di essere una famiglia è un passo importante nella vita di una persona e nella storia di una coppia, un punto di arrivo e di partenza dove l’assunzione di responsabilità, l’attenzione all’altro, il dialogo e il conflitto, la gestione della casa e del bilancio familiare si confrontano e, qualche volta si scontrano. Gli incontri proposti sono un’occasione per parlare di questi temi con esperti e con chi condivide la stessa esperienza; le serate, ad ingresso gratuito, si terranno tutti i giovedì di novembre alle 20.30 a Villa De Mersi a Villazzano.

Da settembre cinque nuovi mezzi a ridotte emissioni per la raccolta rifiuti nel centro storico Un progetto innovativo che utilizza un combustibile sperimentale: l’idro-metano

A partire dal prossimo mese di settembre la raccolta dei rifiuti nel centro storico sarà realizzata da cinque nuovi automezzi a ridotte emissioni in atmosfera. Il progetto, sta ora giungendo a conclusione ed i veicoli cominceranno la regolare raccolta dei rifiuti nel centro storico, dove la necessità di riduzione delle emissioni è ancora più impellente rispetto alle altre zone cittadine. Le caratteristiche urbanistiche ed architettoniche di un centro antico e delicato come quello della nostra città impongono infatti un’attenzione ancora maggiore agli aspetti ambientali, alla riduzione dei rumori e delle emissioni maggiormente inquinanti. La nuova flotta, composta da 5 veicoli, nasce dalla collaborazione tra Ministero dell’Ambiente, che ha finanziato in parte il progetto, Comune di Trento, Dolomiti Energia e il Centro Ricerche FIAT (Dipartimento Low investment and flexible technologies) che ha sede a Mattarello. Si tratta di un progetto che, rispondendo ad un bando di finanziamento del Ministero per l’Ambiente, ha visto il Centro Ricerche Fiat proporre all’Amministrazione comunale ed a Dolomiti Energia di predisporre congiuntamente un progetto per la minimizzazione delle emissioni in atmosfera, che consentisse a FIAT di impegnarsi in un significativo programma di ricerca e innovazione nel quale anche la città di Trento fosse protagonista. L’attività di ricerca realizzata dal Centro FIAT ha riguardato in questi due anni due aspetti significativi: lo studio e l’utilizzo di un nuovo combustibile consistente in una miscela di idrogeno-metano che potrà ridurre sensibilmente le emissioni inquinanti in atmosfera, e la contemporanea ideazione di un sistema info-telematico innovativo che gli automezzi utilizzeranno per monitorare le attività quotidiane. Il progetto, ideato congiuntamente dall’Amministrazione comunale, da Dolomiti Energia e dal Centro Ricerche FIAT ha consentito così di dotare Trento di una flotta di veicoli ecologici

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A spasso con Fido

Le regole da rispettare quando si porta il proprio cane in spazi pubblici Gli animali vanno rispettati e curati. Nella gestione quotidiana è necessario teE nere presente non solo la convivenza con il proprio animale, ma anche rispettare le persone evitando situazioni di pericolo, di danno o disturbo. I cani vanno iscritti dai loro padroni all’anagrafe canina. Spazi privati Nei luoghi privati gli animali possono essere lasciati liberi, a patto che sia presente un’idonea recinzione che impedisca qualsiasi interferenza con chiunque transiti su spazi pubblici. Se nonostante la recinzione gli animali disturbano o spaventano i passanti, i proprietari sono tenuti a installare adeguate barriere oscuranti. Spazi pubblici Il regolamento di polizia locale stabilisce precise regole anche sul come comportarsi con il proprio cane in spazi pubblici. Nello specifico il cane va condotto a) al guinzaglio e con la museruola nei locali pubblici; b) al guinzaglio lungo vie ed altri luoghi pubblici o aperti al pubblico; c) al guinzaglio e con la museruola lungo vie e luoghi pubblici o aperti al pubblico in situazioni di affollamento nelle quali non sia possibile evitare il contatto con persone. Il guinzaglio va utilizzato ad una misura non superiore ad un metro e mezzo. Si può passeggiare con il proprio cane in tutte le aree pubbliche e d’uso pubblico, compresi i giardini e i parchi, tranne nelle aree dove è presente un divieto. È vietato l’accesso ai cani: a) in aree destinate e attrezzate per particolari scopi, come le aree giochi per bambini; b) nelle scuole e loro pertinenze funzionali se non è giustificato da scopi didattici; c) in luoghi di cura, fatti salvi gli ambulatori veterinari e i luoghi ove è praticata la pet-therapy; d) nei luoghi di culto. Nelle aree dedicate esclusivamente ai cani, in genere all’interno di parchi pubblici e aree verdi, e comunque segnalate da un apposito cartello, gli animali possono muoversi, correre e giocare sguinzagliati, senza museruola e sotto la vigile responsabilità dei loro accompagnatori. I cani accedono a tutti i luoghi aperti al pubblico, fatta eccezione per quelli in cui l’accesso è vietato da altre norme o da specifica determinazione dell’esercente resa palese al pubblico tramite avviso ben visibile. Come si trasporta? L’accesso ai cani è consentito su tutti i mezzi di trasporto pubblico operanti nel Comune di Trento solo se accompagnati dal detentore. Per i cani è obbligatorio l’uso del guinzaglio e della museruola. L’accompagnatore deve aver cura che il proprio animale non sporchi né crei disturbo. Per quanto riguarda i taxi i conducenti possono rifiutare il trasporto di animali ad esclusione dei cani guida per non vedenti. Pulizia di luoghi pubblici Proprietari e accompagnatori hanno l’obbligo di pulire gli spazi pubblici sporcati dal proprio cane. Nello specifico su aree pubbliche o aperte al pubblico nei centri abitati è necessario portare con sé sacchetti e paletta adeguati alle dimensioni degli animali per la rimozione delle loro feci. L’attrezzatura deve mostrata a richiesta degli organi di vigilanza. È vietato consentire ad animali di urinare su edifici, monumenti, veicoli in sosta e nelle aiuole dei parchi pubblici.


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Con TETRA un unico centralino e un’unica rete radio per le emergenze

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na rete di comunicazione radio efficiente a tutela del territorio basata su un sistema digitale che si sposa perfettamente con le necessità ambientali, che, in sostanza non deturpa il paesaggio, bensì ne consente una migliore gestione e monitoraggio. È la rete TETRA che sta emergendo in Italia per i casi di emergenza, e che vede il Trentino tra i pionieri. Se ne è parlato a Trento durante il convegno “I sistemi radio a tutela del territorio” organizzato dalla Provincia autonoma di Trento e dalla società di sistema Trentino Network. Il caso del Trentino, dell’Emilia Romagna, di Torino, dell’Alto Adige e dell’Austria sono stati così illustrati e messi a confronto. A cominciare dal Trentino con l’intervento di Raffaele De Col, dirigente generale Dipartimento Lavori Pubblici e Mobilità: “Avere una propria rete di comunicazione per la gestione integrata dell’emergenza non è cosa da poco. In caso di necessità questo consente di tornare rapidamente alla quotidianità. Il Trentino è all’avanguardia anche con questo straordinario progetto che prevede il passaggio della rete da diversi sistemi analogici a uno unico digitale”. TETRANET, questo il nome della rete trentina, è una rete digitale e quindi porta con sé molti vantaggi, come la segretezza che consente per esempio alle forze dell’ordine di agire in sicurezza senza perdita di informazioni, la possibilità di parlare in duplex, cioè contemporaneamente come un normale telefono e consente anche la possibilità di trasmettere dati quali testi, immagini, ecc. In Trentino, hanno spiegato Mario Groff e Paolo Ghirardini di Trentino Network, la rete TETRANET è composta da 50 stazioni radio, 56 siti che compongono la dorsale della rete interconnessi tra loro tramite ponti radio e fibra ottica. Al momento l’80% del territorio è già coperto dalla rete TETRANET e vengono utilizzate dal mondo del soccorso ben 1601 radio. Il prossimo passo del Trentino prevede la copertura anche delle aree limitrofe, piccole valli, boschi, crepacci, ecc. con ponti radio TETRANET e l’avvio della “Centrale unica per l’emergenza” in cui le varie organizzazioni coinvolte troveranno il fulcro del presidio 24 ore su 24. Per i cittadini, poi, sarà previsto un unico numero d’emergenza, 112 europeo, per

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raggiungere l’intero mondo del soccorso (Vigili del fuoco, forze dell’ordine, soccorso sanitario, ecc.). “Noi dobbiamo garantire - ha ricordato Luisa Zappini, responsabile Centrale unica di emergenza - di supportare un sistema trentino che vanta circa 12.000 volontari e che necessita di informazioni in tempo veloce e specialmente corrette”. A fianco del Trentino emerge l’Emilia Romagna con la società Lepida Spa, gemella di Trentino Network, e che si sta impegnando per coprire il territorio di un’infrastruttura di rete efficiente: “Abbiamo progettato - ha affermato Gabriele Falciasecca, presidente di Lepida Spa una rete, denominata ERretre, pronta per l’emergenza e quest’anno, purtroppo, abbiamo avuto prova della sua importanza a seguito del recente terremoto. La nostra rete l’abbiamo sviluppata in stretto contatto con il mondo dell’emergenza per rispondere in maniera concreta e diretta alle necessità. La rete inoltre, viene ampiamente utilizzata, al mese vengono inviati ben 7.200.000 messaggi”. A parlare del caso di Torino è subentrato Sergio Zaccaria, direttore vicario Protezione Civile, che ha ricordato come grazie a un evento come le Olimpiadi nella città sia emersa la necessità di prevedere un sistema di comunicazione tale da consentire dinamicità e sicurezza: “In Cina - ha concluso Sergio Zaccaria - hanno poi deciso di rifarsi alla nostra esperienza di utilizzo del TETRA”. Allargando lo sguardo all’Europa, risulta in tal senso rilevante, il caso dell’Austria che già dal 2006 utilizza la rete radio TETRA, dotata di 4800 apparecchi digitali. È infatti a questo sistema, collaudato da anni a cui si sta ispirando l’Alto Adige per la migrazione delle varie reti analogiche presenti sul territorio a un’unica rete digitale. Da un punto di vista normativo, invece, il ministero dello sviluppo economico, rappresentato a Trento da Luciano Baldacci, ha affermato che la linea di sviluppo futuro deve mirare alla sicurezza, e TETRA per questo è una rete estremamente affidabile. Risulta inoltre necessario mettere in comunicazioni le varie reti TETRA già presenti sul territorio nazionale tra loro, e con quelle analogiche, in modo da garantire un unico sistema di comunicazione, pronta ad agire in caso di necessità.

Convenzione per reperire e distribuire tessuti per trapianti

o schema di convenzione tra la Provincia autonoma di Trento e la Fondazione Banca dei tessuti di Treviso approvato dalla Giunta - la deliberazione è dell’assessore alla salute e politiche sociali, Ugo Rossi - riguarda il reperimento e la distribuzione di tessuti omologhi da donatore per l’utilizzo clinico. Prevede che l’Azienda provinciale per i servizi sanitari sviluppi un piano di reperimento e sia competente alle procedure di individuazione del donatore, alla valutazione delle idoneità e di acquisizione del consenso, alla raccolta ed invio dei tessuti alla Banca. Quest’ultima svolgerà le attività di prelievo e conservazione di tessuti cardiovascolari e osseotendinei per soddisfare

alle richieste delle strutture ospedaliere della Provincia autonoma di Trento. Solo le strutture sanitarie pubbliche che hanno la funzione di conservare e distribuire i tessuti prelevati da donatore, garantiscono per legge l’idoneità e la sicurezza certificate. Laddove un territorio fosse privo di queste strutture specializzate è possibile utilizzare, mediante convenzione, le banche di tessuto muscolo-scheletrico presenti altrove. La Provincia autonoma di Trento fin dal 2002 ha aderito all’accordo di collaborazione con la regione Veneto per il prelievo e la conservazione dei tessuti a scopo di trapianto e la Fondazione Banca dei Tessuti di Treviso è la struttura accreditata per questi scopi dal Centro Nazionale Trapianti. La convenzione è di durata triennale ed impegna tutti i soggetti coinvolti al pieno rispetto della riservatezza e confidenzialità dei dati e all’anonimato.

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Inaugurata a Gardolo la nuova sede della Croce Bianca

ata nel 1976, forte di 120 volontari, la Croce Bianca ha inaugurato la sua nuova sede, a Gardolo, in via IV Novembre 95. Una grande struttura di circa 1000 metri quadri, operativa 365 giorni all’anno, dove trovano posto una decina di mezzi, completa di spazi per la logistica e i corsi di formazione. All’evento, assieme al presidente della Croce Bianca Oscar Bertamini, numerose autorità, fra cui il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai e l’assessore alle politiche sociali e salute Ugo Rossi, il vicesindaco di Trento Paolo Biasioli, i vertici della Cassa Rurale. “Un avvenimento che segna una svolta storica nel nostro organismo di volontariato - ha definito il presidente della Croce Bianca Oscar Bertamini - Questa nuova sede rappresenta uno stimolo e un veicolo per arricchire le nostre capacità professionali. Abbiamo oggi gli strumenti più innovativi e tecnologicamente avanzati per rispondere a tutte le esigenze del primo soccorso e per la prima volta nella nostra storia anche una sede tutta nostra.” Un ringraziamento particolare è stato rivolto da Bertamini alla Provincia, che ha reso possibile l’accesso, da parte di Croce Bianca, ai mezzi finanziari per acquistare la nuova sede, e

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alla Cassa Rurale di Trento, rappresentata per l’occasione dal suo presidente Giorgio Fracalossi. A portare i saluti della Provincia, l’assessore Ugo Rossi, per il quale “è preferibile non pensare a come potremmo gestire tutti i servizi che vanno alla nostra popolazione senza il contributo vostro e delle altre realtà del volontariato come la vostra, in termini di qualità e anche sotto il profilo dei costi. Abbiamo creduto al sogno di questa nuova sede, è vero, ma l’importanza dell’impegno che confermiamo va al di là delle sedi e riguarda i valori che qui sono in gioco, il fare da sé, anzi, il ‘fare da noi’ che la vostra attività sottintende. Valori che confermate con il vostro operato per 365 giorni all’anno.” Monsignor Giuseppe Zadra, già vicario della Diocesi, ha portato i saluti del vescovo di Trento Luigi Bressan, per poi impartire una benedizione “che va prima alle persone che vi operano che alla struttura. Il nostro Trentino - ha detto ancora - sta scrivendo una pagina molto bella della sua storia, una pagina a cui le altre regioni guardano con ammirazione, attraverso il volontariato e i valori che esso esprime.” La Croce Bianca in internet: www.crocebiancatn.org

Approvate le linee guida per il turismo accessibile

u proposta dell’assessore al turismo Tiziano Mellarini, la Giunta provinciale ha approvato le Linee Guida per il Turismo Accessibile, per certificare l’accessibilità di strutture, che potranno contraddistinguersi con il marchio “Open”, di eventi, ai quali andrà il marchio “Open Event”, e di aree di territorio, per le quali è riservato il marchio “Open Area”. Il soggetto a cui la Giunta aveva già affidato la gestione del marchio legato al Turismo Accessibile è la Fondazione Accademia della Montagna del Trentino: adesso tale gestione si allarga ai marchi relativi agli eventi e ai territori. Il turismo accessibile rappresenta una delle nuove frontiere di sviluppo dell’offerta turistica, con cui qualsiasi territorio deve saper fare i conti per aumentare la competitività. Nel Turismo Accessibile rientrano persone con disabilità fisica o intellettiva o sensoriale, con esigenze dietetiche particolari come le intolleranze alimentari, con problematiche legate ad allergia, con età avanzata. Si calcola che le persone potenzialmente interessate a un turismo accessibile ammontino a circa 130 milioni. In questo quadro la Provincia autonoma di Trento ha rilevato l’opportunità di sviluppare una buona pratica sul territorio grazie all’organizzazione dei Mondiali di sci nordico che si terranno nel 2013 in val di Fiemme. La Provincia infatti ha previsto l’introduzione di un marchio di qualità legato al livello di accessibilità ai servizi offerti da strutture ed eventi: il percorso è identico a quello compiuto da precedenti esperienze che hanno portato all’adozione di marchi innovativi come il Marchio Family in materia di politiche sociali e il marchio led in quello dell’edilizia sostenibile. La creazione del marchio “Fiemme Accessibile”, proposto dall’Accademia della Montagna del Trentino, dal Comitato Mondiali WM Fiemme 2013 e dall’ApT Fiemme, approvato e finanziato dalla Comunità di Fiemme e condiviso da tutte le categorie economiche, sociali e scolastiche della valle, ha dato il via a un processo in grado di contribuire allo sviluppo dell’offerta turistica e alla cultura della cittadinanza. Si è così dato il via al protocollo di Accessibilità per i marchi “Open”, “Open Event” e “Open Area”, coi quali la Provincia autonoma di Trento, che si avvarrà

dell’Accademia della Montagna del Trentino in qualità di ente gestore, vuole concretizzare un processo in grado di garantire uno standard di accessibilità delle strutture, degli eventi, delle destinazioni e dei territori nell’ottica appunto del turismo accessibile. Sulla base di appositi disciplinari che verificheranno la presenza dei requisiti richiesti, il marchio “Open” certificherà l’accessibilità delle strutture ricettive, commerciali, di pubblica utilità e servizio, di imprese, impianti e altre tipologie. Il marchio “Open Event” sarà riferito invece agli eventi e alle manifestazioni. Il marchio “Open Area” sarà infine riferito ai territori turistici. I requisiti richiesti e necessari per assicurare l’accessibilità non si concentreranno solo sugli aspetti delle barriere architettoniche, che sono già oggetto di interventi legislativi specifici, ma riguarderanno anche aspetti organizzativi, culturali e comportamentali. “E questa - ci ha detto l’assessore Mellarini, - è una precisa strategia che la Provincia ha adottato in merito alla creazione e alla gestione dei marchi di qualità innovativi. È quel che è accaduto per i marchi Family e LEED: con questi standard qualitativi vogliamo creare nuovi punti di riferimento, aumentare la competitività, creare nuove professionalità e generare indotto economico nel territorio”. La certificazione dell’evento Nordic Ski WM Fiemme 2013, primi evento certificato in Trentino, risponde a quanto previsto dalle Linee Guida per la politica turistica provinciale, in cui esplicitamente si afferma che uno degli obiettivi è quello di “rendere il Trentino una destinazione turistica realmente accessibile a chiunque”.

...VERSO UN NUOVO WELFARE PER IL TRENTINO... PIÙ EQUITÀ E PIÙ PARTECIPAZIONE DELLA RIFORMA SULLE POLITICHE SOCIALI

foto archivio Ufficio stampa Pat ( AgF Bernardinatti,Cavagna )

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO


PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | ottobre 2012 - n. 5

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RUBRICHE

Paolo Simone ci racconta la sua esperienza personale

Come dare voce a chi non viene ascoltato

L’autosufficienza, un diritto necessario

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ono una persona con disabilità affetta da una patologia che indebolisce progressivamente in modo irreversibile i muscoli. Grazie ad una carrozzina elettronica riesco a spostarmi, ma non sono in grado di compiere da solo gli atti quotidiani della vita, come alzarmi dal letto, lavarmi, vestirmi o cucinare. Vengo pertanto seguito in forma di assistenza domiciliare da parte di operatori privati e dall’ottima Cooperativa Sad, che mi permettono di vivere dignitosamente da solo e non dover essere ricoverato in strutture apposite. Mi sono laureato in economia nel 1998. Con soddisfazione ho avuto varie esperienze come libero professionista in ambito informatico. Nel 2007 sono però stato costretto a chiudere l’attività lavorativa a causa degli altissimi costi dei servizi, sociali, che vengono calcolati in base al reddito. Le vigenti regole provinciali prevedono nel mio caso il versamento di quote che arrivano addirittura fino al 70% del reddito netto! Il sistema attuale comporta un totale blocco dell’attività lavorativa e premia chi non fa niente (o fa il furbo) e penalizza fortemente chi vuole essere una risorsa attiva (che produce ricchezza e versa le imposte). L’articolo 3 della legge in oggetto dice: “La Giunta provinciale promuove altre sì interventi diretti al mantenimento personale, alla prevenzione degli stati di non autosufficienza nonché, se possibile, alla riabilitazione”. Riabilitazione che, per chi ha la fortuna di avere ancora delle capacità residue, può certamente nascere dalla soddisfazione e dall’autonomia generata da un’attività lavorativa, che va considerata virtuosa e quindi incentivata. D’altro canto ostacolare il lavoro può portare a grandi disagi psicologici come ad esempio depressione e connessi problemi sanitari con relative ripercussioni economiche e sociali. Auspico fortemente che il regolamento attuativo della nuova legge sulla non autosufficienza, in via di definizione da parte della Giunta provinciale, possa aiutare anziché soffocare le persone che, come me, in una condizione di disagio fisico, decidono di impegnarsi a lavorare. Va inoltre tutelato il prezioso lavoro, l’organizzazione e professionalità delle cooperative che prestano il servizio di assistenza sul territorio. Vanno posti in essere strumenti per mantenere snello l’accesso ai servizi già presenti rispetto alla mera erogazione di denaro sotto forma di assegno di cura. L’assistenza è necessaria per far fronte ai bisogni primari dell’utente, è quindi fondamentale l’affidabilità del servizio, difficilmente raggiungibile con operatori privati gestiti direttamente. Basti pensare ad un’assenza improvvisa dell’assistente che deve aiutare l’utente ad uscire dal letto o andare in bagno. Una cooperativa ha un coordinamento e un’organizzazione tale da riuscire in tempi brevi a tamponare l’emergenza. Per l’utente diventa invece traumatico e praticamente impossibile riuscire a gestire autonomamente eventi di questo tipo. Paolo Simone

no degli aspetti più traumatici della permanenza in carcere è probabilmente l’esclusione dalla società, dal mondo esterno libero e in continuo movimento, ma soprattutto la mancanza di contatto con coloro che attendono da fuori il termine della pena per riabbracciare i propri cari, e dar loro un’altra possibilità. Questa assenza di partecipazione alla vita sociale, unita alla mancanza di un continuo controllo degli organi preposti alla rieducazione, rischia di portare il detenuto verso la via opposta, cioè seguire comportamenti errati imparati negli stessi istituti di pena che in questo modo diventano delle vere e proprie scuole del crimine. L’ordinamento italiano tende a conservare e tutelare le relazioni familiari affinché non venga meno il legame con l’esterno; legame che spesso rimane l’unico appiglio a cui il detenuto si aggrappa per sopportare il peso della pena. L’Ordinamento Penitenziario prevede infatti, all’articolo 28 legge 354/1975 rubricata “Rapporti con la famiglia”, una tutela particolare volta a preservare il vincolo familiare altrimenti annichilito dalla distanza fisica: “Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.” Vi sono, in alcuni istituti penitenziari italiani, dei progetti che mirano a sviluppare il contatto tra il mondo oltre i muri e le recinzioni e il mondo interno ad esse, come per esempio i giornali scritti dai detenuti. Questi possono essere utili sotto molteplici aspetti infatti i carcerati stessi devono organizzare tra di loro la redazione, dividendosi quindi i compiti e ponendo delle date, dei termini improrogabili entro cui il lavoro deve essere compiuto e questo, unito al bisogno di cooperazione e coordinazione tra più soggetti, dà la possibilità al detenuto di impegnarsi attivamente per la realizzazione di un progetto comune. Un simile impegno, quando viene portato a termine regala a chi vi ha investito tempo ed energie enormi soddisfazioni,

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oltre a poter far conoscere la vita e le difficoltà quotidiane di chi non ha più la sua libertà. Il giornale è quindi un’attività di forte stimolo per coloro che devono passare lunghi periodi tra i cancelli di un Istituto, nonché una voce diretta che può raccontare difficoltà che spesso da fuori non si possono nemmeno cogliere. Un esempio paradigmatico è quello di Vincenzo Andraous, che in cella scoprì le sue grandi doti di scrittore e poeta, da solo, senza lo stimolo dato da progetti carcerari.

Non tutti però prendono in mano carta e penna per esprimere le loro idee ed è per questo motivo che diventa di basilare importanza mettere a disposizione strumenti adatti per introdurre i soggetti a queste attività intellettuali e portare a galla attitudini e capacità magari ancora sopite o mai messe in pratica.

Il Circo della Farfalla (cortometraggio, 2009)

La Casa di Reclusione di Padova insieme al carcere femminile della Giudecca danno la possibilità da anni di redigere un giornale dall’interno dei due istituti; il periodico si chiama Ristretti Orizzonti e dagli stessi organizzatori viene definito”una linea diretta tra carcere e città”. I detenuti vengono appoggiati all’esterno dall’associazione di volontari Carcere e Territorio, i quali gestiscono soprattutto la parte non cartacea della rivista come per esempio il sito internet di riferimento. Questo perché all’interno delle due carceri non vi è accesso alla rete informatica multimediale. Ristretti Orizzonti tratta di svariati temi tra cui il disagio da dipendenze, la violenza in carcere, il rapporto con il territorio e molti altri aspetti tipici della privazione di libertà imposta dal tribunale come salute lavoro e cultura all’interno degli istituti di pena. Un altro esempio di redazione in carcere è la rivista Zona 508 redatta dai detenuti delle carceri di Verziano e Canton Mombello entrambi a Brescia; l’ ultimo dei quali tristemente noto per essere il più sovraffollato d’Italia, dove si possono assistere a condizioni di vita insostenibili. Un esempio è rappresentato dalle celle minuscole dove vengono stipate più di 15 persone con un solo servizio igienico, e dove ognuno non ha più di mezzo metro quadro di spazio a fronte dei 7 metri minimi fissati dalla Corte di Giustizia Europea per poter definire l’istituto un carcere e non un lager. Pensare che in queste condizioni gli stessi detenuti hanno trovato la forza di unirsi e raccontare le loro difficoltà tramite un giornale, è un segno della forza di questi soggetti che non vogliono arrendersi e ogni mese affrontano gli ulteriori problemi riguardanti i fondi da stanziare per impaginare, stampare e distribuire il frutto di tanta fatica. Giulio Thiella

l'angolo del volontario

“Se solo potessi vedere la bellezza che viene dalle ceneri...”

Pieno supporto a Paolo Simone e tanti come lui In riferimento all’intervista di Paolo Simone di comparsa di recente sui quotidiani locali, esprimo piena condivisione per la sua battaglia civile; lavorare e pagare le tasse come qualsiasi cittadino, in una misura tale da non incidere pesantemente sulla propria autonomia. Una persona non autosufficiente come Paolo, e come tanti di noi nella sua situazione, che non riescono a compiere quegli atti quotidiani, come uscire dal letto e vestirsi, hanno il diritto inviolabile di ricevere assistenza che non incida come un lusso sulla propria situazione economica. Da persona disabile, condivido le preoccupazioni riguardo al regolamento di attuazione della legge sulla non autosufficienza e mi sentirei di sottolineare il fatto che vivere da soli con una grave disabilità fisica, comporta una gran dispendio di energie e risorse, soprattutto mentali. Certo viviamo in una Provincia attenta alle fasce deboli per tradizione, ma in un periodo di recessione economica si avverte la preoccupazione di percorrere un passo indietro, soprattutto in tema di supporto socio assistenziale. So che l’assessore Ugo Rossi ha molto a cuore la questione e ha rassicurato più volte la comunità sul fatto che si cercherà di mantenere uno standard elevato di servizi all’assistenza. Mi auspico solo che la normativa tenga presente dell’esigenza del singolo, senza stravolgere in modo drastico la quotidianità raggiunta con fatica. Dando al contrario un sostegno e un supporto mirato alla piena soddisfazione e integrazione della persona non autosufficiente. Giuseppe Melchionna, presidente Ass. Prodigio

Un po’ meno soli

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iò di cui ha bisogno questo mondo è un po’ di stupore” afferma il signor Mendez, direttore del Circo della Farfalla negli anni clou della Grande Depressione Americana. Frase che risuona quasi ironica a noi spettatori, calati nella realtà del ventunesimo secolo: di cosa potremmo ancora stupirci al giorno d’oggi? La prima volta che ho visto questo breve film ero tra le 400 persone presenti alla Giornata Studio dello scorso dicembre, presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Verona. Dopo quei 20 minuti di riproduzione siamo rimasti sbalorditi, in apnea per alcuni lunghissimi istanti. Le corde delle emozioni hanno vibrato armoniose, suonate con fermezza durante l’intera evoluzione del cortometraggio. Questo lavoro è stato realizzato e prodotto nel 2009 da Joshua Weigel, in collaborazione con la moglie Rebekah, è stato visualizzato più di 7 milioni di volte su youtube ed ha ricevuto numerosi premi (tra cui il Clint Eastwood Filmmaker Award 2010, il Best of Show, il Best Short Film and Audience Favourite, il Gran Premio al Doorpost Film Project nel 2010). La trama viene raccontata attraverso un’accuratezza speciale della fotografia e delle immagini. La farfalla rappresenta il filo rosso che accompagna lo spettatore nel corso della storia, passando da piccolo bozzolo nel barattolo del bambino, in una delle prime scene, al volo liberatorio, consapevole e prezioso delle ultime. Metafora del frangente di vita di uno dei protagonisti, Will, definito “un uomo, se così lo si può chiamare, che Dio stesso ha rigettato”. Questa è la presentazione che fanno di lui al tendone delle “mostruosità”

del circo che lo espone come fenomeno da deridere. L’uomo senza arti. E questo è quello che crede anche Will. L’incontro con il signor Mendez, il direttore del Circo della Farfalla, un circo con uno stile “alternativo” poiché fondato su una diversa concezione pedagogica dell’essere umano, del valore e delle potenzialità che racchiudono le persone, segnerà la svolta graduale per il nostro uomo. Il carisma del signor Mendez lo aiuterà a riappropriarsi della sua dignità, svelando che il vantaggio di Will, rispetto alle altre persone, si cela proprio nel fatto che “più grande è la lotta e più glorioso è il trionfo”. Un film da assaporare, da respirare e gustare oltre che ammirare. Impossibile non lasciarsi coinvolgere, impossibile non lasciarsi stupire... già, la semplicità e la naturalezza delle piccole cose riesce ancora a stupirci! Elisa Mazzurana

video sottotitolato

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | ottobre 2012 - n. 5

sito ufficiale

www.thebutterflycircus.com


PA R O L A A I D I SA B I L I

Chiacchierata con con Giovanni Sandri autore del libro “Cammino da seduto” della famiglia, sono stato ai loro occhi un figlio presente, a cui non hanno mai nascosto nulla, né il bello, né il brutto. La mia disabilità non è mai stata motivo di particolari privilegi, hanno saputo anche dirmi di no quando ce n’era bisogno, hanno saputo educarmi come figlio. Il non sostituirsi a me, il lasciarmi provare, il lasciarmi soffrire, il lasciarmi vivere è stato un grande sforzo per loro.

per ottenerle. Ho molti amici che mi vogliono bene, un lavoro e mille interessi...tutto questo è nato grazie al loro amore. Nella loro fiducia estrema, hanno tenuto salda la certezza che avrei potuto essere protagonista della mia vita e della vita di altre persone. Lei crede che alcuni valori, come il senso della famiglia, dell’appartenenza si stiano perdendo?

Allo stesso tempo si sono sempre adoperati, senza mai stancarsi, nell’aiutarmi ad essere in grado di fare le stesse esperienze che facevano gli altri bambini. La mia disabilità non è mai stata per loro una giustificazione. Ricordo mamma che chiedeva agli insegnanti di non favorirmi, di trattarmi come gli altri, di sgridarmi al bisogno, di essere dinanzi a me limpidi e decisi al di là delle mie difficoltà. Papà e mamma sapevano trasmettere alle persone la loro naturalezza, semplicità e schiettezza; aiutavano gli altri a volermi bene come bimbo, come essere bisognoso di amore e protezione; si ponevano come mediatori così le resistenze che il mio handicap poteva procurare avevano la possibilità di sciogliersi. Durante le scuole elementari si adoperarono molto per conoscere e frequentare famiglie di miei compagni; diventava così naturale trovarsi anche al di fuori della scuola. Il capriccio non aveva spazio, ma le vere esigenze erano sostenute e aiutate. Ricordo l’impegno di mio padre, alla mia richiesta di avere una bicicletta, nel trovarne una a tre ruote che mi permettesse di muovermi come gli altri bambini. Ogni bambino disabile avrebbe bisogno dei genitori che ho avuto io: persone calde e affettuose, tenere e vicine; ma anche ferme e determinate a darmi il giusto, la mia parte. Quando sono nato in mamma e papà è cresciuta la curiosità nei confronti della tipologia del mio handicap...si sono adoperati alla ricerca di manuali per “studiarmi” e “capirmi”... Dopo un po’ di tempo però tutti e due si sono resi conto che quello non era il modo giusto per approcciarsi a me, hanno ritirato i libri e hanno iniziato a volermi bene, concretamente nei piccoli gesti di tutti i giorni. Avevano un occhio attento alla teoria, ma lo sguardo era fisso sul loro figlio portatore di amore. Hanno dato forza e fiducia alla loro genitorialità e questo loro sincero amore mi ha permesso di sentirmi accettato semplicemente per il fatto di essere figlio. Mamma e papà hanno speso mille energie per aiutarmi, non si sono mai demoralizzati e le mie conquiste erano lo slancio e la gratificazione per i loro sacrifici. In casa c’era armonia; avevo una stanza colorata e c’era molta attenzione rivolta ai particolari: gli angoli erano smussati...l’affetto e il calore erano costanti. “Non perché sei disabile hai dei diritti in più” era il motto dei miei, non volevano scuse, non volevano educarmi alla prevaricazione; mi hanno insegnato a guadagnarmi le cose, a sudare

La fiducia è dono che i genitori, vivendola per primi, trasmettono al figlio, che a sua volta, avendola respirata e imparata, può viverla per se stesso e per gli altri. Oggi si sente molto parlare di crisi d’identità, dovuta a più fattori, che possono essere il non sentirsi di appartenere a una famiglia, come il sentirsi solo perché non seguito, non coinvolto, non preso in considerazione, ma in quanti casi emergere l’esatto contrario? Vale a dire che una delle priorità della famiglia è proprio coltivare e rafforzare la propria identità troppe volte messa a rischio da fattori esterni, per cui va difesa, tutelata e protetta. Per una persona disabile, la propria identità è troppo spesso attaccata, perché essendo una persona che ha bisogno di aiuti esterni, dipende da persone che, al di fuori della famiglia, sono preposti a dare servizi o fornire mezzi attraverso i quali lo stesso disabile possa vivere meglio. Peccato che troppe volte queste persone, forse anche involontariamente, siccome ti forniscono un servizio, si sentono in diritto di essere in qualche modo padroni su di te e quindi ti tolgono l’identità. Papà e mamma, col loro vissuto, per come vivono la quotidianità, per la loro semplicità fatta di concretezza e non di teoria, trasmettono a noi figli la propria identità, che a nostra volta abbiamo la responsabilità di vivere e portare avanti. Con maggior frequenza sento dire, soprattutto dai giovani: io non me la sento di mettere al mondo dei figli, perché al giorno d’oggi è una responsabilità troppo grande. È un’affermazione che porta con sé una tristezza infinita. Quale può essere un messaggio da dare affinché questa culla di relazioni familiari non si sgretoli sempre di più? “Non c’è speranza senza paura, né paura senza speranza” (Carol Wojtyla). La speranza non è dunque una chimera né un rifugio dalla realtà, proprio perché “sperare è imparare a vedere ciò che è veramente amabile e desiderabile dentro l’apparente banalità quotidiana, persino dentro la contraddizione quale può sembrare la disabilità. Sperare è intravedere nel presente il futuro di ogni cosa”. La speranza è attuale, è possibile nella vita di ognuno di noi e intorno a noi. La speranza accade nella vita di ciascuno, innanzitutto come sguardo nuovo sulle persone più vicine. Anche la speranza va tradotta,

declinata dentro la vita concreta, le scelte quotidiane, i comportamenti e i desideri di ciascuno. Solo così ci aiuta a guardare sempre avanti, a superare le difficoltà e le umiliazioni, perché diventa promessa e premessa di giustizia e cambiamento. Un “non ancora” che ci impone coerenze già nel presente: la speranza è anche responsabilità e scelta nell’oggi e per l’oggi. A ogni disperazione corrisponde una speranza negata. Queste sono alcune riflessioni lette tra le righe delle mamme profetesse che in questi anni mi raccontano i loro figli, e la speranza maggiore è il constatare che grazie all’amore e alla forza dell’intera vita di queste mamme, la speranza è un ingranaggio del motore della vita grazie al quale la vita è vita da gustare e vivere, e non c’entra nulla con l’illusione. Povera gente chi crede che le famiglie che hanno figli con disabilità vivano grazie alle illusioni: non hanno ancora fatto esperienza della speranza che sgorga da un amore. La speranza è così vera da essere un miracolo, proprio come una nascita e nessuno può annientarla, ma sarebbe così bello che anche i più pessimisti, leggendo, prendessero voglia di impararla per gustare bene la vita. La speranza richiede impegno, molti non ce l’hanno e non riescono a darla perché temono di perderla nel darla. Cos’è per me la speranza? È l’aver respirato e l’essermi nutrito da mamma e papà della speranza che da sempre hanno messo al centro della nostra famiglia, dalla speranza che insieme potevamo fare molto e potevamo raggiungere quella serenità che in molti hanno cercato di oscurare, ed è anche la speranza dei miei amici che con la loro stessa vita mi esprimono, dicendomi e facendomi sperimentare che con la speranza tutto è possibile, e sperano con me e per me, condividendo tanto della loro vita, capaci di assumersi quelle responsabilità, che talvolta includono sacrifici, ma che sempre mirano a dare completezza vera e concreta alla stessa vita. A quasi due ani dall’uscita del mio libro, “Cammino da seduto - ecco i miei passi”, edizioni PRIMALPE, ascoltando e leggendo le riflessioni di molti, incontrando molte persone alle varie presentazioni, si fa sempre più forte e concreta in me la voglia e la necessità di mettere nero su bianco una sorta di progetto che chiamo: Camminiamo la vita! Giovanni Sandri (sandri.giovanni@gmail.com) Dorotea Maria Guida

IN RICORDO DI...

R

icordo negli anni della mia adolescenza di aver letto una frase significativa circa il ruolo della famiglia. La proferiva una persona anziana e disabile per la quale, da molti anni, il rapporto con i familiari era divenuto conflittuale, eppure era riuscito ad elaborare questa massima di vita che mi continua a rimanere impressa. La frase recitava così: “Se ci si mette al di fuori della famiglia, mi sai dire, chi può mai aver voglia di aiutarci, sostenerci, capirci, sopportarci?”(Mario Rota) Ne parliamo con Giovanni Sandri autore del libro “Cammino da seduto”, che ci invita a riflettere sul ruolo che la famiglia e i genitori possono avere sulle nostre esistenze sempre più complicate. Una riflessione, più di tutte, la sento mia. Quella di non metterci mai al di fuori della famiglia poiché solo in tale ambito riusciremo a trovare la giusta forza e il giusto equilibrio nell’affrontare i problemi della nostra vita. Buongiorno Signor Sandri, ci racconta qualcosa di lei? Mi chiamo Giovanni Paolo Sandri (Giampaolo o Giampy), sono nato a Cuneo il 4 ottobre 1970. Abito a Madonna dell’Olmo, frazione del comune di Cuneo, vivo con la mamma in una bella casa con un grande giardino e un grosso gatto nero. Lavoro da sette anni presso gli uffici amministrativi dell’Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo. Mi interesso molto del mondo del sociale, a partire dal comune di Cuneo dove con un gruppo di persone segue l’evoluzione della lotta contro le barriere architettoniche. Questo gruppo, che non è però ancora diventato un’associazione, ha avuto ottimi risultati; per esempio raccogliendo 15.000 firme ha ottenuto l’installazione di un ascensore nella stazione di Cuneo per permettere a tutti l’accesso ai binari. Da un paio di anni partecipo al progetto “Pedagogia dei genitori” a Savigliano con il Consorzio “Monviso Solidale” in qualità di Supervisore. È un progetto che coinvolge i genitori di bambini e bambine con qualche forma di disabilità e cerco di aiutarli ad emergere, ad essere genitori il più possibile efficaci. Il gruppo è frequentato in media da 40 persone. Amo lo sport: ogni settimana frequento con regolarità la piscina e da quest’anno ha cominciato a sciare. Adoro viaggiare e mi piace conoscere e confrontarmi con stili di vita di altre persone, anche molto diverse da me. Da quattro anni faccio parte dell’associazione Oftal di Cuneo che si occupa principalmente del trasporto degli ammalati in pellegrinaggio a Lourdes ogni estate. Al momento del parto tutto è andato bene... crescevo sano e robusto come la maggior parte dei bimbi. Quando avevo all’incirca sei mesi, qualche giorno dopo aver fatto il vaccino dell’Antipolio, mamma ha notato che tenevo la testa storta da una parte. Sono stati avviati i primi accertamenti dai quali è emersa la diagnosi: Grave Tetraparesi Spastica con compromissione prevalente della parte destra del corpo. Papà e mamma mi hanno spiegato la tetraplegia quando già andavo a scuola, all’età di sette anni, dicendomi che avevo la parte sinistra del cervello con alcune cellule che purtroppo erano morte quando ero molto piccolo; cellule che erano preposte al movimento, cellule che purtroppo non si sarebbero più rigenerate; era necessario lavorare affinché le altre parti del mio cervello fossero in grado di sostituire parzialmente quello che queste non potevano fare. In questa maniera mi rendevo conto del perché fossi costretto tutte le settimane a passare ore e ore con delle dottoresse in strani ambulatori: erano sedute di fisioterapia che mi sarebbero state utili per acquisire controllo delle funzionalità del mio corpo. In che contesto relazionale - familiare vive? Che importanza ha la sua famiglia o le persone che le sono care in un ambito così delicato come la disabilità? Mamma e papà sono stati veramente i primi educatori della mia vita. Hanno iniziato mille battaglie con me, e mi hanno trasmesso la voglia di lottare per i miei diritti. Mi sono sempre sentito parte integrante

La Famiglia sostegno e forza per gli individui

Ti ho rivisto dopo 40 anni.. mi sembrava appena ieri. Ciao Maurizio. Ugo Bosetti

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S P O RT E S O C I E TÀ

Quel pomeriggio d’estate...

Io e Lui, una storia d’amore senza ostacoli

C

ominciamo con il dire che la disabilità non è stata mai estranea nella mia vita. Sono stata sempre impegnata nel volontariato e ho sempre messo le mie capacità a servizio degli altri. Ho un matrimonio alle spalle, dei figli, ho assaporato l’amaro fiele delle sconfitte della vita, ho cambiato più volte città e finalmente sono approdata in quella città del Nord Italia che pensavo finalmente facesse a caso mio. Non scappavo dai luoghi, dalle città, scappavo da me stessa. Arrivata lì, ho finito di scappare. Lui l’ho conosciuto un pomeriggio d’estate. Prima che arrivasse in corsia, nella quale era degente uno dei suoi genitori, sentivo il fruscio che i suoi braccialetti metallici emettevano incontrando l’acciaio delle ruote della carrozzina. Assisteva il suo familiare per un turno intero, chiamava di rado, solo per necessità. Quando il genitore dormiva, lui usciva dalla camera, si posizionava contro il muro ed armeggiava con il telefonino. Durante la degenza, forse ci siamo scambiati solo qualche parola, non sapevo neppure il suo nome. Solo il cognome. Eppure mi aveva presa. Quella serietà, quello spirito d’assistenza verso il familiare, quella normalità mi aveva catturata come fanno le maglie di una rete. Non avevo occhi che per lui, per quella stanza e per riflesso verso quel paziente che Lui con tanta abnegazione assisteva. Un giorno entrai in camera e da quel letto mi arrivò un sorriso, quel genitore, alla fine dei suoi giorni aveva capito. Io mi ero innamorata del figlio, così a prima vista. Provai a raccontarlo timidamente alle mie colleghe, che conoscevano

il mio vissuto: “Sei Pazza? Ma dove ti vuoi andare ad impelagare...l’hai visto che è paraplegico?” Fu la loro sentenza. Eppure io ho voluto dare retta al mio cuore e l’ho cercato. Ero riuscita a sapere il suo nome. Con il nome ed il cognome riuscii a trovarlo su Facebook. Lo contattai con una scusa, ma si capiva che sotto c’era dell’altro. E lui non si fece pregare e non si fece sfuggire l’occasione. Mi invitò ad uscire la sera dopo, diceva che non si ricordava, che in corsia c’era sempre tanta gente e che lui era preso dai suoi problemi familiari. La prima settimana siamo usciti tutte le sere. Si sorbiva 60 km tra andata e ritorno per toccare tre paesi, il suo, il mio e quello nel quale era stato trasferito il genitore in lungo-degenza. C’era qualcosa e lo abbiamo capito sin da subito. Quella scintilla che scocca inevitabilmente tra un uomo ed una donna che si piacciono e non importa se di mezzo ci sono 30 anni di paraplegia. Sembravamo scemi d’amore i primi giorni, quando ci dicevano: scusa se ti ho baciato sulle guance due volte, scusa se ti ho lisciato i capelli... I problemi ci sono stati e li abbiamo affrontati. La volta che dovevo presentarlo ai mie figli lui si prese una gastrite acuta, era la vigilia di Natale. Quante volte è stato lì lì per gettare la spugna per la paura di non riuscire a soddisfarmi in toto e quante volte abbiamo rinsaldato il rapporto e lo abbiamo reso più forte di prima!Sono caparbia e lui lo sa, non mollo! Non mi faccio scappare una persona così bella, matura, onesta, solo perché c’è la carrozzina di mezzo. E finalmente Lui ha capito! Dorotea Maria Guida

Quando saper riconoscere i propri limiti può salvare la vita

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La ricerca dell’estremo

’ennesima tragica morte di un giovane che pratica base-jumping apre una dovuta riflessione. In una società contemporanea dove il benessere è sostanzialmente diffuso, nonostante la recente crisi, la ricerca a

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tutti i costi delle sensazioni estreme e l’estasi per l’adrenalina porta a giocarsi in un attimo la vita stessa. Un sospiro, il battito accelerato, un passo nel vuoto e un’esplosione dei sensi. Poi più nulla. Arriva l’elicottero e i soccorritori, la stampa e per un giorno non si parla d’altro, poi di nuovo nulla. Ne valeva proprio la pena ? Io ritengo che sport estremi come questo non prendano in dovuta considerazione il valore della vita. Certo uno è libero di decidere il proprio destino, ma bisogna considerare che in questo “gioco” sono comunque coinvolte altre persone, soccorritori, familiari, amici. Come nel caso di incidenti stradali dovuti alla velocità si tende sempre a trovare una spiegazione plausibile, dando magari la colpa alle condizioni esterne, dimenticandosi delle responsabilità personali. C’è chi come me e tante altre persone disabili e non, sa riconoscere e apprezzare i propri limiti, trovando in essi punti di forza e stimoli di benessere. Passeggiare in carrozzina, osservare un paesaggio, assaporare profumi e odori della natura permette di dare un senso alla propria vita nonostante le innumerevoli difficoltà. Giuseppe Melchionna

Come ricordare un campione

È

Paolo Cia, nel cuore di tutti

ancora tanta la commozione e l’amarezza nel mondo del tennis italiano, per la scomparsa prematura del campione di tennis in carrozzina Paolo Cia. Il campione del tennis italiano è stato vittima il 13 Agosto di un tragico incidente automobilistico, una ruota di scorta che si stacca da un Tir lungo l’A1 colpisce la sua auto e gli fa perdere il controllo del mezzo che poi si andrà a schiantare contro quel Tir. Paolo Cia aveva solo 43 anni e una vita tutta da vivere, all’insegna dell’amore per lo sport, la famiglia e per la sua compagna Elisabetta, all’insegna della stima e dell’affetto palpabile nelle relazioni con i suoi innumerevoli amici. Era uno dei migliori giocatori italiani di tennis in carrozzina. In pochi anni era arrivato a occupare la terza posizione del ranking italiano vincendo diversi tornei nazionali, l’ultimo del quale poche settimane fa a Forlì. Paolo giocava anche per un sogno, quello di indossare la maglia azzurra e di partecipare un giorno alle Paralimpiadi. In primavera aveva partecipato agli Internazionali d’Italia al Foro Italico accanto ai suoi idoli Federer, Nadal e Djokovic, conquistando la finale del doppio. Originario di Pramaggiore in provincia di Venezia, dopo l’incidente che nel 2006 lo aveva reso paraplegico, aveva cominciato ad avere una visione tutta particolare della vita e della disabilità. Paolo Cia, infatti, diceva che il danno di una disabilità lo sostengono anche i familiari che soffrono ad accettare le limitazioni del loro congiunto sia esso figlio, fratello, zio o compagno. I quali, amava tanto ed erano la sua ragione di vita. Sosteneva che la compagna Elisabetta era più brava di lui ad accettare la sua disabilità, perchè nonostante avesse la possibilità di starne fuori, invece la conviveva assieme nel bene e nel male. L’azzurro del tennis in carrozzina era anche impegnato sovente nelle scuole per l’opera di sensibilizzazione contro gli incidenti stradali, e nella promozione delle attività sportive con i bambini disabili. Tragici e inspiegabili incidenti stradali nella vita di Paolo, sull’ultimo, che gli ha causato la morte, ancora s’indaga per fare piena luce. Cia, infatti, era partito da Pesaro, dove conviveva con la sua compagna Elisabetta con la quale aveva passato una settimana spensierata e di riposo per riprendere subito dopo i suoi allenamenti, infatti, quella mattina era partito per andare a prendere l’aereo a Torino per fare una settimana di Stage a Djerba assieme al suo maestro Gianluca Carbone e al rientro si sarebbe fermato a Torino per il torneo internazionale “trofeo della Mole”. Aveva tantissimi amici che lo apprezzavano e lo stimavano e proprio con loro in un torneo in Austria il 4 Agosto aveva festeggiato il suo compleanno, amici come Fabian Mazzei, altro azzurro del tennis impegnato attualmente nelle Paralimpiadi di Londra, che adesso dalla rete e dal social network fa sentire tutta la sua sofferenza e l’incredulità per la prematura perdita. “Ti penseremo “ ha ribadito Renzo, mentre Bruno ha voluto ricordare ”l’amicizia, la stima e la lealtà” dell’amico. Ma le parole più toccanti e la testimonianza più bella ci è arrivata dalla compagna Elisabetta Guarino, che abbiamo sentito in questi giorni. “Ho conosciuto Paolo sei mesi prima che restasse paraplegico e ci siamo innamorati subito” ci racconta commossa - “avevamo interessi in comune come lo sport, i viaggi, gli amici e la famiglia io con una figlia Allison allora di 14 anni quando la vide se ne innamorò subito, purtroppo anche lei in poco tempo, in un’età difficile, ha vissuto la tragedia dell’infortunio di Paolo e la morte del padre. E adesso a 19 anni rivive un altro lutto. Il 17 Ottobre del 2006 alle ore 17.00 eravamo al telefono e mi disse che doveva andare a giocare a tennis ma il suo compagno all’ultimo momento aveva annullato l’impegno e che quindi avrebbe fatto solo delle commissioni e mi avrebbe richiamata per le 22.00 dopo aver giocato a calcio. Da lì è iniziato il mio incubo per il quale non riuscì a contattarlo per due giorni. Poi, finalmente riuscii a parlare con il fratello Valter che mi disse che Paolo quel giorno stesso mezz’ora dopo circa la ns. telefonata aveva avuto un incidente con la moto a causa di una ragazza che con la macchina gli aveva tagliato la strada.” Paolo Cia, dopo l’impatto era stato portato con l’e-

liambulanza all’ospedale di Mestre, dove lo avevano operato tutta la notte per salvargli la vita, ma dove non avevano potuto fare nulla per la lesione midollare. Dopo un mese di rianimazione a causa del coma farmacologico fu trasferito a Udine all’ospedale di Gervasutta presso l’unità spinale per i lunghi mesi

di riabilitazione. Elisabetta, che è di Pesaro dove è proprietaria di un ristorante sul lungomare allora annuale, che poi in seguito per seguire Paolo apriva solo in estate. A quel tempo riusciva a stare con lui solo la domenica di chiusura. Ci racconta: ”Partivo alle cinque del mattino e guidavo per 4 ore. Restavo con Paolo fino a mezzanotte praticamente fino a quando non mi buttavano fuori e poi altre 4 ore di macchina e andavo a lavorare. Ma non mi pesava perchè desideravo più di tutto potergli stare vicino”. Paolo Cia aveva bruciato le tappe della riabilitazione e appena uscito dall’Ospedale aveva subito preso la macchina con i comandi per andare lui a Pesaro, dalla sua compagna. Aveva subito iniziato a fare sensibilizzazione negli ospedali dove si faceva portavoce del fatto che la vita non finisce a causa di un incidente o di una malattia, anzi, che la vita continua e si deve vivere con più intensità di prima. “Abbiamo anche coltivato il sogno di avere un figlio frutto del ns. amore - ci dice Elisabetta con gli occhi velati - e i medici di Firenze avevano dato a Paolo esito negativo per i suoi valori bassi, forse, sarebbe riuscito a concepire se avesse avuto una compagna più giovane, ma Paolo avrebbe voluto avere un figlio con me e allora... abbiamo abbandonato il sogno e mi diceva che sarebbe bastata mia figlia e i nostri nipoti a riempirci la vita... “ Nel 2010 Paolo Cia si è avvicinato al tennis in carrozzina con risultati eccezionali: Terzo in Italia e 130° nel mondo. Il suo obiettivo era di poter partecipare le Paralimpiadi di Rio. “Facevamo tanti altri bei sogni - continua Elisabetta - Dopo le Paralimpiadi di Rio Paolo avrebbe mollato il tennis, io chiuso il ristorante, mia figlia ormai grande avrebbe preso la sua strada e noi avremmo girato il mondo anche con un Camper facendoci sempre portavoce della nostra esperienza di vita fino a quando non fossimo diventati vecchi”. Nell’attesa di realizzare questi sogni Paolo d’inverno, con Elisabetta al suo fianco, perché conviveva con lei a Pramaggiore fino in estate, si allenava tantissimo a Jesolo sia a tennis, sia a basket, e nel frattempo praticava sci, nuoto, bicycle, go kart, canoa, vela, paracadutismo e quad. Poi si esibiva in numerose manifestazioni anche per raccogliere i soldi per i bambini disabili della Tanzania. “Era un vulcano, amava la vita e non tralasciava niente, voleva fare tutto, anche troppo! Quando rientrava a casa a Pesaro tra un torneo e un’altro, metteva da parte allenamenti e progetti si rilassava andando assieme al mare e in piscina. - Elisabetta fa una pausa - e adesso sono sola ad affrontare questo dolore così atroce e il vuoto così immenso...Io ero la sua forza e lui la mia, ecco perchè rimarrà sempre nel mio cuore”. E nel cuore di tutti, aggiungiamo noi. Dorotea Maria Guida

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PA SSAT E M P O

“Era una persona gentile... un uomo tranquillo...”

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Un Uomo Qualunque

uante volte sentiamo o leggiamo testimonianze del genere da parte di amici, conoscenti, vicini di casa di persone apparentemente insospettabili che diventano protagoniste di fatti di cronaca? Bob Maconel è una di queste: un “semplice” ???? impiegato, solitario e dal carattere riservato, quotidianamente sottomesso e vessato sia in ufficio che fuori. Ma tutti hanno un punto di rottura, tanto che Bob ritiene di averne avuto abbastanza

e, di conseguenza, decide che è arrivato il momento di reagire. Medita quotidianamente di fare strage dei colleghi di lavoro ma, proprio quando sembra aver trovato il coraggio di mettere in pratica la sua vendetta, un altro impiegato gli ruba la scena anticipando le sue intenzioni e compiendo un massacro al posto suo. Ma il destino riserva a Bob una prima sorpresa, trasformandolo da assassino in eroe: è proprio lui ad uccidere l’autore della carneficina. Come spesso accade in situazioni del genere, da una tragedia scaturiscono una serie di combinazioni favorevoli: viene promosso ai “piani alti”, rispettato da coloro che prima lo mortificavano e diventa addirittura il destinatario delle attenzioni della donna dei suoi sogni, Vanessa, una

collega sopravvissuta al massacro grazie a lui ma costretta, da quel momento, su una sedia a rotelle. Tutto questo lo condurrà in una spirale di cambiamenti difficili da gestire. Una volta terminata la visione, non è facile commentare con assoluta oggettività una pellicola costruita per lasciare grande spazio alla personale interpretazione dello spettatore. Il regista, Frank Cappello, ci mostra la vita di una persona come tante, intrappolata in un lavoro monotono e senza prospettive, circondata da persone disposte a tutto per realizzarsi (emblematica una frase di Vanessa che, per argomentare la sua ascesa lavorativa, afferma: “Non ti fai degli amici se li calpesti per arrivare in cima”) e inserita in una società dove l’egoismo e la prepotenza sono le virtù dei forti. O si è pronti ad adeguarsi, oppure chi ha una coscienza è realmente destinato ad un’esistenza mediocre. Certo, nel film ogni sequenza è estremizzata, come pure certi dialoghi, comportamenti e reazioni; ma siamo sicuri che l’ambiente e la società da cui Bob cerca di sfuggire siano così diversi da ciò che ci circonda tutti i giorni? La critica verso il “sistema” e il suo funzionamento non sono poi così tanto velate: probabilmente i concetti di fondo non spiccano per particolare originalità, tuttavia rendono perfettamente l’idea di quei “valori” che sembrano, purtroppo, dominare la società contemporanea, fatta di egoismo, esibizionismo e volontà di primeggiare sugli altri a qualsiasi costo. Certo, fortunatamente non tutti cedono a determinati compromessi, perché dentro di loro non potrebbero convivere con le conseguenze delle loro azioni; ed è anche il caso di Bob (interpretato da un ispirato Christian Slater), l’uomo qualunque schiacciato dalla routine quotidiana, privo di ambizioni, sottomesso dalle sopracitate meccaniche sociali che, quasi per caso, diventa un eroe e tutto “magicamente” cambia. Ora è un vincente ma, per mantenere tale status, dovrà affrontare dei cambiamenti; e se non fosse questa la sua vera dimensione? Alla fine, in un inusuale epilogo, troverà la forza di prendere la sua strada... Matteo Tabarelli

Quando si giustifica la caccia con “nobili” motivazioni

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Un amore... mortale

a suscitato molto scalpore l’intervista ad una Contessa comparsa sul quotidiano locale L’Adige del 2 settembre scorso, la quale descriveva con ardore il suo personale rapporto con la caccia, descrivendolo come un atto d’amore. A molti sarà sembrato normale, avrà riportato la mente a suggestioni di altri tempi, a cene di famiglia a base di ottima cacciagione, il tutto condito da quell’istinto che contraddistingue l’essere umano da altri predatori e cioè cacciare solo per il gusto di farlo e non per esigenze di sopravvivenza. A molte altre persone invece è sembrata un’affermazione del tutto anacronistica e soprattutto diseducativa. Per essere più precisi ci si riferisce ad un passo dell’intervista in cui si chiede se esiste una contraddizione nel dire che si prova affetto per gli animali sparandogli e uccidendogli. La risposta lascia a dir poco sorpresi:”Un antico filosofo diceva: se tu uccidi ciò che ami, e ami ciò che uccidi, non domandarti il perché: questa è la caccia”. Piacerebbe capire chi fosse il filosofo per comprendere al meglio il suo messaggio. Troppo comodo contestualizzarlo a proprio favore e in ogni caso si potrebbe rispondere con altra citazione, questa volta di Leonardo da Vinci:” Verrà un tempo in cui considereremo l’uccisione di un animale con lo stesso biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo”. La caccia oggi è del tutto fuori misura, e la testimonianza più recente si riferisce alla notizia che in Alto Adige fino a poche settimane fa vigeva una deroga per l’abbattimento delle marmotte considerate in soprannumero, che ne avrebbe permesso un abbattimento sconsiderato. Per fortuna il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, su ricorso della Lav (Lega Anti Vivisezione) ha sospeso il decreto assessorile ed il piano di abbattimento con cui era stata autorizzata, per tutto il mese di settembre, la caccia a 1227 piccoli mammiferi. Pare che la cultura della caccia sia indissolubilmente legata alla nostra tradizione, ma sempre più spesso dietro a questa scusa, si nascondono grandi interessi commerciali e propagandistici.

Cercasi volontari

QR CODE... cos’è? Dal 2012 questo giornale sarà multimediale. Infatti accanto ad alcuni articoli troverete questa strana immagine che è come un codice a barre che nasconde un indirizzo web. Attraverso un’applicazione del vostro smarthphone potete accedere facilmente a ulteriori contenuti video o foto. Con il codice in alto potete consultare la nostra nuova pagina facebook.

Attenzione attenzione: volontari cercasi. Abiti a Trento, o lontano da qui ma conosci comunque l’Associazione Prodigio? È proprio te che stiamo cercando! Se decidi di essere dei nostri, avrai la possibilità di: scrivere articoli per il nostro bimestrale, anche seduto comodamente sul tuo divano di casa; accompagnare i disabili dell’Associazione agli incontri nelle scuole, conferenze, tavole rotonde, convegni; collaborare attivamente agli eventi organizzati e promossi dall’Associazione; esprimere la tua creatività e voglia di fare al servizio dei diversamente abili. Non esitare, ti vogliamo così come sei!

Per info chiama i numeri: 0461 925161 o 335 5600769, oppure visita il nostro sito: www.prodigio.it. Siamo a Trento, in via Gramsci 46 a/b

In una società occidentale che sta attraversando un periodo di relativa pace, una delle grandi preoccupazioni e aghi della bilancia politica sono rappresentati dalle concessioni dei periodi di caccia che ogni anno lasciano col fiato sospeso molti animali selvatici. Una vera e propria cultura della morte, per alcuni e folclore per altri, che in ogni caso alimenta l’industria degli armamenti e che propone ogni anno nuove, efficienti e leggere armi. Uno sport, come alcuni lo definiscono, che ha notevoli ricadute sul piano ambientale e sociale. Non solo un danno diretto quindi alle specie faunistiche che oltre ad avere sempre meno spazio a disposizione, vista la vorace urbanizzazione del nostro territorio, devono pure vedersela con le canne dei fucili. Ma anche un danno indiretto a tutta la collettività che trova ragion d’essere nelle minaccia di inquinamento da piombo protratto negli anni passati. Ricordiamo che l’uso dei pallini è dal 2007 proibito grazie all’adesione della Repubblica italiana all’Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa - Eurasia, fatto a L’Aja il 15 agosto 1996; è recepito con L. 6 febbraio 2006, n. 66. Il piombo è infatti uno dei quattro metalli più tossici. Causa danni ai reni, al sangue, al sistema riproduttivo e, soprattutto, al sistema nervoso centrale. Il piombo risulta dannoso anche se si è esposti a bassi livelli ma in modo costante nel tempo. Il pericolo aumenta se si parla di bambini o addirittura feti (il piombo riesce a penetrare la placenta) poiché il loro sistema nervoso è ancora in fase di costituzione ed è quindi particolarmente sensibile agli effetti nocivi di questo metallo, che possono provocare danni alla crescita e allo sviluppo neurocognitivo già a concentrazioni inferiori a 10 μg/dL. Il danno resta, questo è certo, e anche se adesso il materiale usato per i pallini è l’acciaio, poco cambia, si continuerà comunque a sparare. La cultura delle armi si adatterà pure alle circostanze e alle istanze ambientali, ma infondo rimane tale e quale. Lorenzo Pupi

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