Humus Magazine Preface

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ITALIAN VERSION

GIANNI MORETTI

ǯ ° Ƥ Ƥ Ƥ Ǥ ° ǡ ǡ Ǥ ǯ ǫ Ricordo un gioco di cui mi parlava mia madre quando ero piccolo. Durante la sua infanzia si ritrovava spesso attorno ad un tavolo con sua sorella e una cugina, al centro del tavolo una grande torta di farina. Ognuna di loro aveva un coltello. Il compito era di raggiungere la moneta nascosta dentro la torta creandosi un percorso tagliando, la torta, fetta per fetta. L’esercizio è quell’approssimazione, avvicinamento a un nucleo collocato in un punto nascosto. Il risultato è il percorso in sé, che è processo di conoscenza di sé e dei propri strumenti, della propria resistenza e della propria forma. Il percorso è integrazione, crescita, scoperta della propria miniera di tesori che, come scriveva Nietzsche, è l’ultima a essere scavata. ǡ ǡ Ǥ ǡ Ǥ ǯ ǡ Ǥ ǫ La memoria è la relazione con la propria storia, personale e condivisa. È uno dei pochi elementi, forse l’uni-­‐ ǡ ƪ Ǥ 1 ƥ ǡ Ƥ Ǥ -­‐ ơ ǡ ǡ ǡ î ǡ insetto esotico. Riguardo all’insicurezza, credo che non sia la condizione dell’essere contemporaneo, piuttosto la principale ǡ ǡ Ǥ ǯ ǡ ơ rimedio, un altro nome o smascherandolo senza lasciare appiglio.

ǡ ǡ Ƥ Ǥ ǡ ǡ ǯ ǯ ơ Ǥ ǯ Ǥ ° ǯ ǯ ǣ ° ǡ -­‐ pita come tale. ǯ Ƥ Ǥ ǡ ƪ ǡ Ǥ

ǣ ǡ ǣ Ƥ ǫ ° ǯ Ǥ Öǡ ǡ ǯ ǯ ǯ ǫ ǯ ǡ ǡ Ö ǫ ǯ ǡ ǡ ǯ ǡ Ǥ L’errore è semplicemente la conferma della progressione di un cammino. Senza errore non esiste crescita né Ǥ ǯ ° Ƥ ǯ Ǣ ° ǯ ǡ ǯ Ǥ ± ǯ ǫ ǡ ǯ Ǥ ǯ articolare, semplice, quasi ovvia, occasione di conoscenza.


ǡ Ƥ ǡ Ǥ ǡ -­‐ tenzialmente fastidioso, come la piega che divide a metà ognuno dei novanta fogli di carta velina usati per l’installazione.

ǡ ǯ ǡ ° Ǥ ǡ ǡ ǡ Ǥ -­‐ ǯ ǡ ǯ Ǥ î ǯ ǫ ° Ǥ ǡ ǡ Ǥ Ƥ -­‐ ǯ ǡ ǡ Ǥ ǯ Ǥ ǡ ǡ ǫ Si tratta di un percorso di attenzione e ascolto. Il lavoro che citi nasce proprio da un errore. In quel periodo ǡ ǡ Dz dz Ǥ Ƥ Ö ǯ ǯ Ǥ ǣ ǡ -­‐ Ƥ ǡ ǯ Ǥ 1 Ö î ǡ Ǥ Ƥ ° ǡ Ö Ǥ accanivo a voler dimostrare qualcosa. Nel momento in cui ho decontratto i muscoli e allentato le mascelle, ho aperto gli occhi per iniziare a guardare sul serio. Ǥ -­‐ ǡ ǡ ǡ ± Ǥ ǯ ǡ Ǥ 1 ǫ ǯ Dz dz Ǥ ǯ ± ǡ ǡ ǡ ǡ ǯ -­‐ servazione. Andy Warhol era solito chiedere ai suoi commensali di poter mettere al centro del tavolo un re-­‐ gistratore acceso. Penso alla mia ricerca come a quel registratore. Un dispositivo in grado di rilevare il reale ǡ Ƥ ǡ ǡ Ǥ Ö ǡ ǡ -­‐ Ƥ Ǥ ƥ ǡ ǣ Dz Ƥ ǡ Ö ° î ǡ Ǣ Ö Ö ǡ ǯ Ǥdz



ITALIAN VERSION

KIND OF COLLAR Si conobbero d’inverno. Il cielo era bianco sporco, contaminato dalle luci della città, bianco colmo di nuvole, raggrumato dalla neve. Di lì a poco una distesa candida si sarebbe adagiata su ciò che li circondava, come un lenzuolo abbandonato all’andamento del vento. Circondati solo dai colori del paesaggio: tinte brillanti alternate a sfumature cupe. Di notte il solito chiosco verde intenso dell'edicola assumeva un tono diverso per la luce gialla sfocata dei lampioni. Si sedettero su una grigia panchina: dinanzi a loro l’azzurro soave di una giostra e il rosso deciso di un’insegna parevano armonicamente danzare. Chiuse gli occhi, le sue braccia la accolsero in un delicato abbraccio, e la somma di quei colori si trasformò in candore. Crebbe con lui. Le loro visioni insieme ristabilivano, giorno dopo giorno, quel biancore invernale. Imparò a sporcarsi le mani con la farina. La quiete domenicale accompagnava il gesto ripetitivo dell’impastare elementi semplici: farina, acqua, sale e lievito. Un odore familiare riscaldava l’ambiente e l’attesa, come la maggior parte delle volte, aumentava l’aspettativa. Insieme si nutrivano di sostanze elementari, di pane. Conosceva quel sapore, un sacchetto in carta ancora caldo e la sua camicia, ormai senza cravatta, annunciavano l’arrivo della sera. Quel paterno colletto sbottonato, un colletto inglese chiuso tutto il giorno al suo collo, da bambina le donava tranquillità. Imparò ad ammirare i fiori. Erano pochi quelli che apprezzava realmente. I tulipani così infantili, i girasoli carichi di allegria e le calle. Le calle le piacevano veramente. Regine del giardino di sua nonna, tra il limone e gli iris, si abbandanava in quell’angolo nascosto affascinata dalla forma elegante e l'aspetto femminile di quel fiore, una vergine eterna. Tanto perfetto da pretendere un solo petalo: la sua punta leggermente ripiegata come le vele di un collo diplomatico. Epifaniche per eleganza e raffinatezza, osservava le calle come oggi contempla i dettagli di una camicia maschile. Imparò a scarabocchiare su superfici bianche. Ogni sera disegnavano le loro giornate su piccoli fogli, per ogni viaggio registravano i ricordi su nuove pagine e a ogni arrivederci lui le lasciava un biglietto. Le piaceva collezionare taccuini, album e tele: qualunque supporto che permettesse, a entrambi, di avviare dal bianco un nuovo racconto. Il suo posto preferito per acquistarli era in legno, gestito da un signore ben vestito. Indossava pull in cashmere abbinati a immacolati colli bianchi, assicurati da bottoncini in madreperla, perfettamente inamidati, abilmente stirati, probabilmente da sua moglie. Quel colletto le asseriva fede verso quello sconosciuto. Imparò ad aspirare alla bellezza. La cercava nelle piccole cose: nelle immacolate ceramiche, nei merletti nivei lavorati a uncinetto, nel biancore delle pagine che introduceva i libri letti. La stessa bellezza, in parte compresa in evadenti figure maschili, divenne assoluta. I particolari del suo abbigliare, il suo essenziale colletto alla coreana che delicatamente lo accarezzava, la rassicurava, come quell’abbraccio.


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