Bruno Monguzzi Cinquant'anni di carta

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3.5.2011

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Il modo in cui io interpreto una immagine grafica è lo stesso che ha portato il suo autore a delinearla? Come è possibile leggere in trasparenza il sistema di interconnessioni, di relazioni fra le parti e i dispiegamenti geometrici le cui regole di generazione hanno prodotto quel testo o quella immagine? E quali sono i gradi di libertà interpretativa? Bruno Monguzzi è un autore radicato nel moderno razionale e progettuale ed è dotato di una qualità assai rara che lo induce a esprimersi con spontanea chiarezza induttiva e deduttiva su ogni progetto, radicale o marginale. In ogni suo progetto traspare sempre il nucleo, il cuore dell’intuizione che ha prodotto la catena delle relazioni che “sono” quell’oggetto. Questo oggetto è ciò che è, per l’interconnessione fra regole di produzione, i processi estetici e l’esplicitazione delle norme interpretative, regola prima delle avanguardie storiche cui Bruno Monguzzi guarda con emozione non dissimulata e anche con una sorta di distacco scientifico. Del suo talento grafico si potrebbero comporre vasti arabeschi elogiativi. Giovanissimo, una sorta di enfant prodige nello studio Boggeri, esprime la sua vocazione accanto ad Aldo Calabresi, poi girovaga per il mondo, infine si chiude nell’eremo di Meride (Svizzera), professore dotto e amatissimo. Ma ciò che qui interessa, è capire come riesca a fare della composizione grafica un oggetto così intensamente poetico. Come può un “orario” ferroviario, oltre che rendere espliciti con diagrammatica chiarezza gli spostamenti sul territorio, essere più bello di tutti gli altri orari ferroviari? Può una mappa rappresentare un territorio senza riprodurlo, ma sottostando a una volontà di astrazione che restituisca un’idea dei flussi di materia e di informazione, attraverso una nuova logica formale? Di quale logica formale, di quale valore estetico, di quale bellezza si tratta? Una pagina appare in tutta la sua chiarezza quando è misurata da una griglia invisibile che fin dall’inizio ha striato la sua superficie e la si legge secondo uno schema definito rispetto al quale ogni rottura è devianza. Paradossalmente si può leggere la storia della grafica moderna come una successione di devianze necessarie. Nel lavoro di Bruno Monguzzi la devianza non è così palese ma non conosco lavoro più trasgressivo e nello stesso tempo così fermamente razionale. Monguzzi ha premeditato un’azione scandalosa dentro il conformismo del lavoro grafico. Ha rimesso in discussione l’autonomia della scrittura rispetto alla grafica. Non colloca al posto giusto pacchetti di caratteri, non ingabbia i testi ma li disegna, li interpreta, li fa appartenere al processo visivo, li manipola in “rigorosa dipendenza”, li dispiega sul foglio pensato come supporto che interagisce con la sua materialità, il suo colore, la sua “tattilità”. In questa fusione concettuale stanno i gradi di libertà compostiva di Bruno Monguzzi, e poi nella sua sapienza tecnica, nella sua capacità di indurre, in quella di sintetizzare ma, soprattutto, in quel territorio di confine dove si elabora la parte più misteriosa del progetto che gli fa rendere poetico anche il lato più insignificante del messaggio.

Un’azione scandalosa di Pierluigi Cerri Milano maggio 1998


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