Players 13 (revised)

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2009, a un anno soltanto dal fortunato biopic, Refn si apre alle suggestioni mistiche e alle teorie più eretiche sul profondo e sottile legame tra paganesimo e religioni monoteiste imperanti. Si riscopre così il mito dell’uomo primevo, di quell’Adam Kadmon che era tutt’uno col divino e non aveva bisogno di riscoprirlo in un libro o in un dogma, ma semplicemente avendo fede nelle sue visioni interiori, che lo avrebbero portato al compimento del destino comune di tutti i prescelti da una volontà superiore, non barbuta o sovrappeso, ma vivente nella Natura tutta. One Eye, il protagonista muto e spietato di Valhalla Rising, dotato di una forza combattiva incomparabile ma privo di un passato e di uno scopo, diventa così l’incarnazione stessa di ciò che in Bronson era solo una visione inseguita per tutta la vita e, aldilà delle suggestioni esoteriche, si ammanta del puro carattere dell’artista/regista secondo la poetica di Refn: un individuo che osserva la vita da un solo occhio (quello della camera o del cosiddetto vetrino di contrasto), disegnandola esattamente come le sue visioni gli suggeriscono, senza che vi sia un scopo premeditato in questo, ma trovandolo nel momento stesso del compimento dell’atto che di-

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venta pura creazione, dove etica ed estetica si fondono nell’assunto leonardiano che la forma sia l’immagine plastica della funzione. E alla fine arriva Drive, che prima di un film a doppio carburatore, è un fortunatissimo gioco di parole, non di quelli sciocchi e forzati come se ne possono vedere sulle pompose riviste di critica cinematografica su improbabili legami tra cognomi e neurofisiologia, ma su ciò che spinge un uomo, un pilota, ad agire, improvvisamente, violentemente, definitivamente. Ciak, azione. In Bronson c’era una visione da perseguire, in Valhalla Rising delle visioni da realizzare. In Drive c’è una visione, unica e irripetibile, col faccino da caramellina gommosa di Carey Mulligan, il mite e riservato protagonista, senza nome né passato come il vichingo di qualche anno prima, che si mette in moto come i bolidi su cui lavora giorno… e notte. Summa ideale e concettuale delle precedenti esperienze, Drive è il manifesto di se stesso nel modo certosino con cui l’eccezionale precisione chirurgica nello svolgere il tessuto cinematografico della prima parte, si sgretola progressivamente man mano che il “cuore di macchina” del protagonista affronta le turbolenze antiae-


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