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Piani, norme e progetti

La nuova Legge lombarda sulla Rigenerazione Urbana: opportunità e limiti per le tecniche pianificatorie nel caso di Pavia

Roberto De Lotto

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Università di Pavia DICAr - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Email: roberto.delotto@unipv.it

Augusto Allegrini

Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pavia Email: allegrini.augusto@gmail.com

Caterina Pietra

Università di Pavia DICAr - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Email: caterina.pietra@unipv.it

Elisabetta M. Venco

Università di Pavia DICAr - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Email: elisabettamaria.venco@unipv.it

Abstract

La Legge Regionale Lombardia n. 18 del 26 novembre 2019 sulla rigenerazione urbana propone numerose novità che vengono criticamente descritte in relazione alla realtà della Provincia di Pavia. Il tema della rigenerazione urbana, in Regione Lombardia, risulta disciplinato dalla specifica legge come completamento di un processo di rinnovamento normativo della Legge Fondamentale Regionale dell’Urbanistica, L.R. n. 12 del 2005, (Legge per il Governo del Territorio) e finalizzato a ridurre il consumo di suolo (L.R. n. 31 del 2014). In particolare, la LR 18/2019 è strutturata in relazione a due macro-ambiti: il primo riguarda la rigenerazione territoriale ed urbana, mentre il secondo la rigenerazione edilizia (puntuale). Nella presente trattazione, gli autori intendono discutere il tema della rigenerazione urbanistica (non edilizia) con particolare riferimento al conteso pavese ed alle problematiche che la Legge riesce ad affrontare rispetto a quelle che necessitano di ulteriori spinte normative. Il territorio di Pavia è oggetto di verifica delle opportunità e dei limiti che la nuova normativa propone, e particolare attenzione viene posta alle esigenze di modifica o integrazione delle tecniche e delle modalità operative dell’urbanistica finalizzate alla redazione dei piani attuativi per la rigenerazione di aree dismesse, di piani comunali di nuova generazione e di piani territoriali di più ampia visione.

Parole chiave: rigenerazione urbana, spatial planning, tools and techniques.

Introduzione

La Regione Lombardia ha recentemente legiferato in materia di Rigenerazione Urbana con la L.R. n. 18 del 26 novembre 2019 “Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali”. Si tratta, come evidente dal titolo, di una integrazione alla legge fondamentale della Regione Lombardia, che completa il processo di traduzione normativa dei principi che da tempo la comunità scientifica propone: la lotta al consumo di suolo (normata nel 2014 con la L.R. n. 31 del 1 dicembre 2014), e la rigenerazione urbana. Come noto, i due temi sono strettamente legati in quanto la doverosa limitazione all’utilizzo del “greenfield” non è riuscita, da sola, ad attivare estese operazioni di rigenerazione urbana, per lo meno con le norme regionali e statali esistenti. Occorre precisare come le problematiche della riqualificazione (poi ridefinita rigenerazione) urbana siano da anni al centro del dibattito disciplinare ed anche operativo data la notevole estensione dei siti che decenni fa erano occupati da attività produttive e che da tempo sono dismesse. Sull’opportunità di rigenerare tali ambiti appare inutile aggiungere quanto è stato già scritto e ribadito numerose volte, come anche è noto che

le problematiche di maggiore rilievo risiedano nel costo delle attività di bonifica dei terreni per poterli utilizzare con funzioni urbane economicamente pregiate. Il Codice dell’Ambiente (D. Lgs 152/2006 e smi.) è estremamente rigido riguardo alla qualità dei suoli che possono accogliere funzioni quali la residenza, il verde e i servizi, la nota Tabella A: tali funzioni sono economicamente più pregiate rispetto a quelle permesse dalla Tabella B che permette una concentrazione maggiore di sostanze inquinanti per le funzioni commerciali e produttive (a rendita minore se parametrata al mq/mq). Oltre ai siti industriali dismessi, che costituiscono in Regione Lombardia e non solo una tema di grande rilievo, la L.R. 18/2019 si occupa anche della rigenerazione degli edifici. Nel presente contributo, gli autori intendono soffermarsi sugli aspetti relativi alla pianificazione di scala comunale e provinciale, evidenziando criticamente alcuni aspetti della legge che sicuramente serviranno da driver per l’utilizzo a nuova funzione delle aree già consumate, ed altri che potrebbero essere migliorabili in sede di definizione dei Criteri Attutivi della Legge (ad oggi, luglio 2020 non ancora promulgati) o di aggiornamento della stessa Legge.

Definizioni

La citata L.R. 18/2019 definisce all’art. 2, comma 1 a) e b), la rigenerazione urbana e la rigenerazione territoriale; precisamente come segue: “rigenerazione urbana: l'insieme coordinato di interventi urbanistico-edilizi e di iniziative sociali che possono includere la sostituzione, il riuso, la riqualificazione dell'ambiente costruito e la riorganizzazione dell'assetto urbano attraverso il recupero delle aree degradate, sottoutilizzate o anche dismesse, nonché attraverso la realizzazione e gestione di attrezzature, infrastrutture, spazi verdi e servizi e il recupero o il potenziamento di quelli esistenti, in un'ottica di sostenibilità e di resilienza ambientale e sociale, di innovazione tecnologica e di incremento della biodiversità dell'ambiente urbano;” “ rigenerazione territoriale: l'insieme coordinato di azioni, generalmente con ricadute sovralocali, finalizzate alla risoluzione di situazioni di degrado urbanistico, infrastrutturale, ambientale, paesaggistico o sociale che mira in particolare a salvaguardare e ripristinare il suolo e le sue funzioni ecosistemiche e a migliorare la qualità paesaggistica ed ecologica del territorio, nonché dei manufatti agrari rurali tradizionali, per prevenire conseguenze negative per la salute umana, gli ecosistemi e le risorse naturali.” Tali definizioni sono molto chiare e complete. È importante evidenziare come la rigenerazione sia intesa come un processo legato ad azioni coordinate e non come singolo gesto attuativo; ciò richiama l’approccio sistemico alla città che è paradigma fondamentale per l’approccio alla pianificazione ed alla progettazione urbanistica e territoriale.

I tempi del processo legislativo

Il tempo trascorso dall’efficacia della L.R. sul consumo di suolo (pubblicata sul BURL il 1° dicembre 2014) all’efficacia della legge sulla rigenerazione urbana (pubblicata sul BURL il 28 novembre 2019) è quasi esattamente di cinque anni. È difficile esprimere un parere obiettivo sul fatto che cinque anni siano un tempo corretto o troppo lungo per chiudere un quadro aperto con la limitazione del consumo di suolo e chiuso con la semplificazione sui processi di rigenerazione; però in questi cinque anni si registra un passaggio fondamentale, cioè l’adeguamento del Piano Territoriale Regionale alla L.R 31/2014 sul consumo di suolo (con la relativa disciplina per i PTCP o Piani Territoriali Metropolitani e per i PGT) che andrà rivisto alla luce della nuova Legge (art. 2, comma 1.c)). Dal punto di vista normativo, negli stessi anni, la Regione Lombardia ha ampliato la possibilità di recuperare e rendere abitabili, in determinate condizioni, i seminterrati esistenti con la L.R. n. 7 del 10 marzo 2017. Quest’ultima legge appare un primo passo di liberalizzazione della funzione abitativa, forse adeguata data la nota utilizzazione di fatto dei seminterrati con funzioni residenziali o para-residenziali in quasi tutti gli spazi interrati delle residenze private isolate o a schiera (le taverne), oppure nei luoghi ad alta densità abitativa (generalizzando, si possono citare i capoluoghi di Provincia). Ebbene, la legge 7 del 2017 in qualche modo prende atto di una situazione reale non perseguibile se non sanzionando quasi tutta la Regione, ma d’altra parte appare una vera e propria sanatoria che, peraltro, si scontra con altri indirizzi sempre regionali sulla limitazione di utilizzo dei vani interrati per ragioni sanitarie dovute, ad esempio, alla concentrazione del gas Radon. La Regione, ha dato facoltà ai Comuni di individuare gli ambiti territoriali dove escludere l’applicazione della Legge 7 del 2017, ed ha utilizzato più o meno lo stesso metodo per l’applicazione della Legge 18/2019. Infatti, viene chiesto ai Comuni di individuare entro il 31 luglio 2020 gli ambiti dismessi e

gli edifici dismessi, nei quali possono essere applicate le semplificazioni introdotte dalla legge (Art. 8-bis della L.R 12/2005, testo coordinato). La delega ai Comuni è utile e, anzi, necessaria anche se i processi di rigenerazione, specie quando si tratta di aree di grande estensione, richiedono una pianificazione sovralocale (tema di cui si parla poco oltre). Dunque, cinque anni non sono bastati per ottenere un quadro normativo di sicuro interesse, ma ancora non completo sia per la mancata deliberazione dei criteri attuativi della legge, sia per la difficile integrazione con le sopravvenute normative.

Consumo di suolo e rigenerazione urbana: un tema ancora attuale?

La domanda posta nel titolo, ovviamente provocatoria, intende sottolineare come si avverta una notevole distanza temporale tra lo studio e l’analisi dei fenomeni urbani effettuata all’interno delle comunità scientifiche e ordinistiche, e la struttura legislativa che prende atto di un determinato problema abbondantemente approfondito e lo traduce in norma. Sull’efficacia o meno della natura della pianificazione urbanistica e territoriale come materia concorrente tra Stato e Regioni non si intende ribadire quanto già scritto da autorevoli colleghi in decenni: è ovvio però che il coordinamento tra normativa nazionale e quella regionale su un tema così importante sia fondamentale. Si è parlato di consumo di suolo per diversi anni e, considerando la natura de suolo come risorsa scarsa, le origini del dibattito si possono ritrovare nel Rapporto MIT del 1972 (Meadows et. al, 1972); in Italia si parla di recupero delle aree dismesse da circa tre decenni, da quando le grandi aree industriali hanno cominciato a rendersi evidenti come vuoti urbani. Da qui la domanda: per gli studiosi della città, per gli operatori professionali, è ancora utile parlare o scrivere di questi temi? È parere di chi scrive che ormai siano chiare e testate modalità di buon uso del suolo e che vi sia una certa ridondanza nell’evidenziazione di tematiche volte alla descrizione piuttosto che alla soluzione. In questo senso, la Legge lombarda fa qualche passo in avanti ma evidenzia sempre più la necessità di un intervento deciso al livello nazionale, come a breve si specificherà.

Interscalarità

Il processo di rigenerazione chiama in causa direttamente il tema della interscalarità della pianificazione: ponendo al centro la Regione, è necessario un passaggio verso l’alto (di coordinamento normativo e di coordinamento fiscale) e verso il basso (con i piani provinciali verso i piani comunali ed i piani attuativi). L’aspetto fiscale è noto nel momento in cui si affronta il tema dei costi delle bonifiche: da molti anni è chiarito che il problema principale consista nel costo delle bonifiche che devono portare un suolo contaminato ad essere adeguato a funzioni pubbliche o residenziali come anche imposto dal D. Lgs 152/2006. Tale costo deve in qualche modo essere recuperato nella sua entità e con tempistiche adeguate. Ovviamente, nell’ordinamento italiano, l’unico soggetto che può agire in tal senso è lo Stato, che può defiscalizzare le spese di bonifica, anche attraverso il meccanismo del credito di imposta. In questo modo, il recupero economico sarebbe relativamente rapido e contestuale alla spesa e non graverebbe finanziariamente sull’operazione immobiliare. Invece, dato che la Regione non ha giurisdizione in ambito erariale, come ente può trovare meccanismi che stiano all’interno della azione regionale o comunale. Nello specifico, la L.R. 18/2019 agisce configurando la azione di bonifica come di interesse pubblico e parificandolo alla urbanizzazione secondaria. In questo modo, il privato che ottemperi a doveri di bonifica, ottiene uno scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria. La legge incentiva l’accordo sovracomunale o gli strumenti inter-scalari come l’Accordo di Programma, ma non introduce sgravi economici che essa stessa può assorbire, e questi devono ricadere sulle casse dei Comuni. In sintesi, senza una azione forte e centrale, il problema rimane a carico delle amministrazioni locali che non sempre possono permettersi sconti sulle urbanizzazioni secondarie.

La scala adeguata per le incentivazioni

La storia italiana dimostra come senza specifiche incentivazioni le azioni di rigenerazione non avvengono. In Regione Lombardia, i casi delle Aree Falck di Sesto San Giovanni, o dell’area Santa Giulia di Milano sono testimonianza più che evidente. Allo stesso modo, in contesti meno attivi o che non subiscono le conseguenze benefiche del cosiddetto “effetto Milano”, come ad esempio la città di Pavia e la Provincia di Pavia, esistono ambiti di dimensione molto minore che sono dormienti da decenni. La città di Pavia ha quasi un chilometro quadrato di aree ex industriali dismesse (area ex NeCa, ex SNIA, ex Necchi, ex Dogana, Scalo Merci): dopo circa vent’anni c’è uno spiraglio per l’area ex NeCa, metà dell’area ex Necchi pare possa partire, mentre è ancora difficile immaginare un futuro per le altre aree dismesse. Nella Provincia di Pavia, ci sono

circa cinque chilometri quadrati di territorio consumato occupato da aree ex industriali ognuna di dimensioni significative, che attendono un rilancio. Il tutto, senza citare le centinaia di edifici dismessi presenti nel territorio pavese. Le incentivazioni proposte dalla legge consistono sostanzialmente in uno sgravio degli oneri di urbanizzazione secondaria ed in una incentivazione volumetrica. Entrambe le misure appaiono decisamente insufficienti per i piccoli e medi Comuni per ragioni abbastanza evidenti. In primo luogo, va citato come lo sgravio sugli oneri di urbanizzazione secondaria indica in modo sostanziale sulle casse delle amministrazioni locali già duramente messe alla prova dai recenti aggiornamenti riguardanti proprio l’impossibilità di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la gestione ordinaria (spesa corrente). Ciò è assolutamente corretto, il territorio non è il portafoglio a cui attingere per mantenere livelli di spesa elevati ma, atteso che in Lombardia la quantità di servizi dei Comuni è ampiamente rispettata ai sensi del DM 1444/68, ed atteso che dal 2001 (con la L.R. 1/2001 poi abrogata dalla L.R. 12/2005) i servizi sono considerati non solo nella loro quantità ma nella loro qualità, la prima necessità dei Comuni è la manutenzione dei servizi realizzati decenni orsono. Come noto, la manutenzione ordinaria avviene sui capitoli della spesa corrente che è sostenuta esclusivamente dalla tassazione diretta. La manutenzione straordinaria, o le spese di investimento possono intervenire a sanare queste problematiche, essendo alimentabili con il ricavato degli oneri. Da un lato è vero che la rigenerazione (incentivata economicamente) comunque implichi delle entrate che altrimenti non ci sarebbero, dall’altro, a regime, tutte le attività edilizie avranno come conseguenza un minore gettito per i comuni che dovranno affrontare spese sempre maggiori per mantenere efficiente il sistema dei servizi. Una possibile soluzione del problema risiede nella introduzione di passaggi convenzionali che richiamano il vecchio “standard qualitativo”. In sostanza, le Amministrazioni locali affideranno ai privati che rigenerano la città l’onere della manutenzione dei beni pubblici. Tecnicamente ciò non è complesso, ma fa ricadere l’intera responsabilità della rigenerazione nella negoziazione pubblico/privato alla scala locale. L’incentivazione volumetrica, introdotta dalla legge nell’articolo 4 ai commi a)5 e a)6, è probabilmente un sostengo non operativo. Al di là delle ridotte aree regionali in cui il metro cubo ancora ha un valore elevato (approssimativamente si può il Comune di Milano e pochi ambiti dei capoluoghi di provincia più attivi), l’aumento degli indici edificatori in deroga al piano comunale rischia di essere un mero strumento di leveraggio finanziario. Ormai è chiaro come non sia la quantità, ma siano la qualità e la velocità a determinare il successo o meno di una operazione immobiliare di dimensioni significative. Pertanto, l’incentivazione volumetrica rischia di essere appannaggio di pochissime realtà o solamente della scala dell’edificio.

Perequazione territoriale

All’articolo 3, comma 1.o), la L.R. 18/2019 prevede che i comuni, nel rispetto della normativa vigente, possano attivare “forme di perequazione territoriale intercomunale, anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato con risorse proprie o con quote degli oneri di urbanizzazione e altre risorse conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati”. Perla realtà pavese il principio della perequazione territoriale intesa in senso estensivo, cioè relativamente agli aspetti economici ed alle esternalità ambientali, è indispensabile. Il tema della perequazione sovracomunale, in una realtà che ha 186 Comuni ed una densità media di 184 abitanti/kmq (contro i 2.070 della Città Metropolitana di Milano) e che vede prevalere nettamente i piccoli comuni, può essere gestita al livello provinciale ma deve essere sostenuta al livello locale. Ancora una volta, si intravedono ottime opportunità con alcuni rischi, soprattutto quello del fattore tempo: appare difficile riuscire a definire accordi intercomunali avendo le Amministrazioni locali tempi amministrativi relativamente brevi (cinque anni) e mai bene coordinati. Le priorità amministrative locali rischiano di sembrare sempre prevalenti rispetto agli accordi sovralocali anche, o soprattutto, per la discontinuità amministrativa che può comportare un accordo (o una serie di accordi) che coinvolgono diversi enti. Il caso degli Accordi di Programma, forme operative di sussidiarietà verticale, è emblematico della rarità di tempi rapidi per il loro compimento. L’Accordo di Programma, però, rimane uno strumento sicuramente più efficace del semplice accordo tra Comuni proprio perché coinvolge gli interessi di scala sovralocale. Esso appare, a tutti gli effetti, lo strumento più concreto con il quale attuare una sana perequazione territoriale.

Conclusioni

In sintesi, la nuova Legge Regionale ha il merito di affrontare direttamente una problematica viva da decenni nel territorio lombardo e colma una lacuna normativa che, nel territorio pavese, potrebbe innescare processi virtuosi di rinnovamento urbano e territoriale.

Lambito della Provincia di Pavia, insieme ai noti problemi legati alle crisi immobiliari, soffre di una notevole frammentazione territoriale, di una spiccata diversità tra ambiti territoriali e di una scarsa dotazione infrastrutturale se paragonata alle altre province lombarde. Questi fattori non sono recuperabili solo con uno strumento normativo ma questo è indispensabile per permettere di avviare processi di durata notevole con però delle prospettive economiche e finanziarie meglio governabili rispetto al passato. Rimane, per Pavia, una necessità di ricalibrare gli obiettivi della rigenerazione e di effettuare scelte che non siano la copia di scenari già visti in passato, ma che siano capaci di indirizzare lo sviluppo territoriale verso una rigenerazione multifunzionale. La rigenerazione non avviene solamente con la previsione di nuovi comparti residenziali, di cui non si sente più la necessità, ma di attività anche produttive o di industria avanzata che si avvalga delle eccellenze presenti sul territorio (nel caso della città di Pavia: l’università, gli IRCCS, le realtà di ricerca tecnologica). Ciò richiede un cambio di orizzonte degli operatori immobiliari che non possono più fermarsi a mix funzionali ormai fuori mercato (esclusa Milano, ovviamente) e che sfruttino le opportunità della Legge Regionale per creare ricchezza nell’intero ciclo di vita dei comparti rigenerati e non tanto nella loro sola trasformazione. Le funzioni temporanee introdotte dalla legge (possibili per un arco temporale di tre anni prorogabile per ulteriori due anni), e la indifferenziazione funzionale (che richiama la necessità di fissare uno standard urbanistico identico per tutte le funzioni urbane) sono volani che devono essere sfruttati, ma in un’ottica complessiva di rilancio territoriale. Per questo obiettivo, le Province e le Città Metropolitane possono ritagliarsi un ruolo importante che fino ad oggi hanno faticato a trovare.

Riferimenti bibliografici

De Lotto R., Di Tolle M. (a cura di, 2014), Elementi di progettazione urbanistica, Poljtecnica Maggioli Editore,

Sant’Arcangelo di Romagna. Galdini R. (2008), Reinventare la città. Strategie di rigenerazione urbana in Italia e in Germania, FrancoAngeli, Milano. Meadows D. H., Meadows D. L., Randers J.; Behrens W. W. III (172), The Limits to Growth, Rapporto MIT per Club di Roma. Moroni S. (2013), La città responsabile. Rinnovamento istituzionale e rinascita civica, Carocci, Roma. Musco F. (2010), Rigenerazione urbana e sostenibilità, FrancoAngeli, Milano.

Sitografia

Legge Regionale n. 18/2019, testo completo dalla banca dati della Regione Lombardia http://normelombardia.consiglio.regione.lombardia.it/NormeLombardia/Accessibile/main.aspx?exp_c oll=lr002019112600018&view=showdoc&iddoc=lr002019112600018&selnode=lr002019112600018 Legge Regionale n. 12/2005, teso coordinato con la L.R. 18/2019 https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/lombardia/2005_012.htm#006 Ricerche sulla rigenerazione dell’Associazione Audis http://audis.it/ricerca/la-rigenerazione-urbana-in-europa-dalle-aree-dismesse-a-nuovi-spazi-di-vita-e-dilavoro/

Riconoscimenti

Il testo nasce da una serie di riflessioni condivise da tutti gli autori. La stesura è ad opera di Roberto De Lotto.